Concordanze nella Divina Commedia di Dante (beta)

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Inferno • Canto XI

[1] In su l’estremità d’un’alta ripa
[2] che facevan gran pietre rotte in cerchio,
[3] venimmo sopra più crudele stipa;
 
[4] e quivi, per l’orribile soperchio
[5] del puzzo che ’l profondo abisso gitta,
[6] ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio
 
[7] d’un grand’ avello, ov’ io vidi una scritta
[8] che dicea: ‘Anastasio papa guardo,
[9] lo qual trasse Fotin de la via dritta’.
 
[10] «Lo nostro scender conviene esser tardo,
[11] sì che s’ausi un poco in prima il senso
[12] al tristo fiato; e poi no i fia riguardo».
 
[13] Così ’l maestro; e io «Alcun compenso»,
[14] dissi lui, «trova che ’l tempo non passi
[15] perduto». Ed elli: «Vedi ch’a ciò penso».
 
[16] «Figliuol mio, dentro da cotesti sassi»,
[17] cominciò poi a dir, «son tre cerchietti
[18] di grado in grado, come que’ che lassi.
 
[19] Tutti son pien di spirti maladetti;
[20] ma perché poi ti basti pur la vista,
[21] intendi come e perché son costretti.
 
[22] D’ogne malizia, ch’odio in cielo acquista,
[23] ingiuria è ’l fine, ed ogne fin cotale
[24] o con forza o con frode altrui contrista.
 
[25] Ma perché frode è de l’uom proprio male,
[26] più spiace a Dio; e però stan di sotto
[27] li frodolenti, e più dolor li assale.
 
[28] Di vïolenti il primo cerchio è tutto;
[29] ma perché si fa forza a tre persone,
[30] in tre gironi è distinto e costrutto.
 
[31] A Dio, a sé, al prossimo si pòne
[32] far forza, dico in loro e in lor cose,
[33] come udirai con aperta ragione.
 
[34] Morte per forza e ferute dogliose
[35] nel prossimo si danno, e nel suo avere
[36] ruine, incendi e tollette dannose;
 
[37] onde omicide e ciascun che mal fiere,
[38] guastatori e predon, tutti tormenta
[39] lo giron primo per diverse schiere.
 
[40] Puote omo avere in sé man vïolenta
[41] e ne’ suoi beni; e però nel secondo
[42] giron convien che sanza pro si penta
 
[43] qualunque priva sé del vostro mondo,
[44] biscazza e fonde la sua facultade,
[45] e piange là dov’ esser de’ giocondo.
 
[46] Puossi far forza ne la deïtade,
[47] col cor negando e bestemmiando quella,
[48] e spregiando natura e sua bontade;
 
[49] e però lo minor giron suggella
[50] del segno suo e Soddoma e Caorsa
[51] e chi, spregiando Dio col cor, favella.
 
[52] La frode, ond’ ogne coscïenza è morsa,
[53] può l’omo usare in colui che ’n lui fida
[54] e in quel che fidanza non imborsa.
 
[55] Questo modo di retro par ch’incida
[56] pur lo vinco d’amor che fa natura;
[57] onde nel cerchio secondo s’annida
 
[58] ipocresia, lusinghe e chi affattura,
[59] falsità, ladroneccio e simonia,
[60] ruffian, baratti e simile lordura.
 
[61] Per l’altro modo quell’ amor s’oblia
[62] che fa natura, e quel ch’è poi aggiunto,
[63] di che la fede spezïal si cria;
 
[64] onde nel cerchio minore, ov’ è ’l punto
[65] de l’universo in su che Dite siede,
[66] qualunque trade in etterno è consunto».
 
[67] E io: «Maestro, assai chiara procede
[68] la tua ragione, e assai ben distingue
[69] questo baràtro e ’l popol ch’e’ possiede.
 
[70] Ma dimmi: quei de la palude pingue,
[71] che mena il vento, e che batte la pioggia,
[72] e che s’incontran con sì aspre lingue,
 
[73] perché non dentro da la città roggia
[74] sono ei puniti, se Dio li ha in ira?
[75] e se non li ha, perché sono a tal foggia?».
 
[76] Ed elli a me «Perché tanto delira»,
[77] disse, «lo ’ngegno tuo da quel che sòle?
[78] o ver la mente dove altrove mira?
 
[79] Non ti rimembra di quelle parole
[80] con le quai la tua Etica pertratta
[81] le tre disposizion che ’l ciel non vole,
 
[82] incontenenza, malizia e la matta
[83] bestialitade? e come incontenenza
[84] men Dio offende e men biasimo accatta?
 
[85] Se tu riguardi ben questa sentenza,
[86] e rechiti a la mente chi son quelli
[87] che sù di fuor sostegnon penitenza,
 
[88] tu vedrai ben perché da questi felli
[89] sien dipartiti, e perché men crucciata
[90] la divina vendetta li martelli».
 
[91] «O sol che sani ogne vista turbata,
[92] tu mi contenti sì quando tu solvi,
[93] che, non men che saver, dubbiar m’aggrata.
 
[94] Ancora in dietro un poco ti rivolvi»,
[95] diss’ io, «là dove di’ ch’usura offende
[96] la divina bontade, e ’l groppo solvi».
 
[97] «Filosofia», mi disse, «a chi la ’ntende,
[98] nota, non pure in una sola parte,
[99] come natura lo suo corso prende
 
[100] dal divino ’ntelletto e da sua arte;
[101] e se tu ben la tua Fisica note,
[102] tu troverai, non dopo molte carte,
 
[103] che l’arte vostra quella, quanto pote,
[104] segue, come ’l maestro fa ’l discente;
[105] sì che vostr’ arte a Dio quasi è nepote.
 
[106] Da queste due, se tu ti rechi a mente
[107] lo Genesì dal principio, convene
[108] prender sua vita e avanzar la gente;
 
[109] e perché l’usuriere altra via tene,
[110] per sé natura e per la sua seguace
[111] dispregia, poi ch’in altro pon la spene.
 
[112] Ma seguimi oramai che ’l gir mi piace;
[113] ché i Pesci guizzan su per l’orizzonta,
[114] e ’l Carro tutto sovra ’l Coro giace,
[115] e ’l balzo via là oltra si dismonta».
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