Concordanze nella Divina Commedia di Dante (beta)

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Purgatorio • Canto V

[1] Io era già da quell’ ombre partito,
[2] e seguitava l’orme del mio duca,
[3] quando di retro a me, drizzando ’l dito,
 
[4] una gridò: «Ve’ che non par che luca
[5] lo raggio da sinistra a quel di sotto,
[6] e come vivo par che si conduca!».
 
[7] Li occhi rivolsi al suon di questo motto,
[8] e vidile guardar per maraviglia
[9] pur me, pur me, e ’l lume ch’era rotto.
 
[10] «Perché l’animo tuo tanto s’impiglia»,
[11] disse ’l maestro, «che l’andare allenti?
[12] che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
 
[13] Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
[14] sta come torre ferma, che non crolla
[15] già mai la cima per soffiar di venti;
 
[16] ché sempre l’omo in cui pensier rampolla
[17] sovra pensier, da sé dilunga il segno,
[18] perché la foga l’un de l’altro insolla».
 
[19] Che potea io ridir, se non «Io vegno»?
[20] Dissilo, alquanto del color consperso
[21] che fa l’uom di perdon talvolta degno.
 
[22] E ’ntanto per la costa di traverso
[23] venivan genti innanzi a noi un poco,
[24] cantando ‘Miserere’ a verso a verso.
 
[25] Quando s’accorser ch’i’ non dava loco
[26] per lo mio corpo al trapassar d’i raggi,
[27] mutar lor canto in un «oh!» lungo e roco;
 
[28] e due di loro, in forma di messaggi,
[29] corsero incontr’ a noi e dimandarne:
[30] «Di vostra condizion fatene saggi».
 
[31] E ’l mio maestro: «Voi potete andarne
[32] e ritrarre a color che vi mandaro
[33] che ’l corpo di costui è vera carne.
 
[34] Se per veder la sua ombra restaro,
[35] com’ io avviso, assai è lor risposto:
[36] fàccianli onore, ed esser può lor caro».
 
[37] Vapori accesi non vid’ io sì tosto
[38] di prima notte mai fender sereno,
[39] né, sol calando, nuvole d’agosto,
 
[40] che color non tornasser suso in meno;
[41] e, giunti là, con li altri a noi dier volta,
[42] come schiera che scorre sanza freno.
 
[43] «Questa gente che preme a noi è molta,
[44] e vegnonti a pregar», disse ’l poeta:
[45] «però pur va, e in andando ascolta».
 
[46] «O anima che vai per esser lieta
[47] con quelle membra con le quai nascesti»,
[48] venian gridando, «un poco il passo queta.
 
[49] Guarda s’alcun di noi unqua vedesti,
[50] sì che di lui di là novella porti:
[51] deh, perché vai? deh, perché non t’arresti?
 
[52] Noi fummo tutti già per forza morti,
[53] e peccatori infino a l’ultima ora;
[54] quivi lume del ciel ne fece accorti,
 
[55] sì che, pentendo e perdonando, fora
[56] di vita uscimmo a Dio pacificati,
[57] che del disio di sé veder n’accora».
 
[58] E io: «Perché ne’ vostri visi guati,
[59] non riconosco alcun; ma s’a voi piace
[60] cosa ch’io possa, spiriti ben nati,
 
[61] voi dite, e io farò per quella pace
[62] che, dietro a’ piedi di sì fatta guida,
[63] di mondo in mondo cercar mi si face».
 
[64] E uno incominciò: «Ciascun si fida
[65] del beneficio tuo sanza giurarlo,
[66] pur che ’l voler nonpossa non ricida.
 
[67] Ond’ io, che solo innanzi a li altri parlo,
[68] ti priego, se mai vedi quel paese
[69] che siede tra Romagna e quel di Carlo,
 
[70] che tu mi sie di tuoi prieghi cortese
[71] in Fano, sì che ben per me s’adori
[72] pur ch’i’ possa purgar le gravi offese.
 
[73] Quindi fu’ io; ma li profondi fóri
[74] ond’ uscì ’l sangue in sul quale io sedea,
[75] fatti mi fuoro in grembo a li Antenori,
 
[76] là dov’ io più sicuro esser credea:
[77] quel da Esti il fé far, che m’avea in ira
[78] assai più là che dritto non volea.
 
[79] Ma s’io fosse fuggito inver’ la Mira,
[80] quando fu’ sovragiunto ad Orïaco,
[81] ancor sarei di là dove si spira.
 
[82] Corsi al palude, e le cannucce e ’l braco
[83] m’impigliar sì ch’i’ caddi; e lì vid’ io
[84] de le mie vene farsi in terra laco».
 
[85] Poi disse un altro: «Deh, se quel disio
[86] si compia che ti tragge a l’alto monte,
[87] con buona pïetate aiuta il mio!
 
[88] Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
[89] Giovanna o altri non ha di me cura;
[90] per ch’io vo tra costor con bassa fronte».
 
[91] E io a lui: «Qual forza o qual ventura
[92] ti travïò sì fuor di Campaldino,
[93] che non si seppe mai tua sepultura?».
 
[94] «Oh!», rispuos’ elli, «a piè del Casentino
[95] traversa un’acqua c’ha nome l’Archiano,
[96] che sovra l’Ermo nasce in Apennino.
 
[97] Là ’ve ’l vocabol suo diventa vano,
[98] arriva’ io forato ne la gola,
[99] fuggendo a piede e sanguinando il piano.
 
[100] Quivi perdei la vista e la parola;
[101] nel nome di Maria fini’, e quivi
[102] caddi, e rimase la mia carne sola.
 
[103] Io dirò vero, e tu ’l ridì tra ’ vivi:
[104] l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno
[105] gridava: “O tu del ciel, perché mi privi?
 
[106] Tu te ne porti di costui l’etterno
[107] per una lagrimetta che ’l mi toglie;
[108] ma io farò de l’altro altro governo!”.
 
[109] Ben sai come ne l’aere si raccoglie
[110] quell’ umido vapor che in acqua riede,
[111] tosto che sale dove ’l freddo il coglie.
 
[112] Giunse quel mal voler che pur mal chiede
[113] con lo ’ntelletto, e mosse il fummo e ’l vento
[114] per la virtù che sua natura diede.
 
[115] Indi la valle, come ’l dì fu spento,
[116] da Pratomagno al gran giogo coperse
[117] di nebbia; e ’l ciel di sopra fece intento,
 
[118] sì che ’l pregno aere in acqua si converse;
[119] la pioggia cadde, e a’ fossati venne
[120] di lei ciò che la terra non sofferse;
 
[121] e come ai rivi grandi si convenne,
[122] ver’ lo fiume real tanto veloce
[123] si ruinò, che nulla la ritenne.
 
[124] Lo corpo mio gelato in su la foce
[125] trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse
[126] ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce
 
[127] ch’i’ fe’ di me quando ’l dolor mi vinse;
[128] voltòmmi per le ripe e per lo fondo,
[129] poi di sua preda mi coperse e cinse».
 
[130] «Deh, quando tu sarai tornato al mondo
[131] e riposato de la lunga via»,
[132] seguitò ’l terzo spirito al secondo,
 
[133] «ricorditi di me, che son la Pia;
[134] Siena mi fé, disfecemi Maremma:
[135] salsi colui che ’nnanellata pria
[136] disposando m’avea con la sua gemma».
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