Concordanze nella Divina Commedia di Dante (beta)

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Purgatorio • Canto X

[1] Poi fummo dentro al soglio de la porta
[2] che ’l mal amor de l’anime disusa,
[3] perché fa parer dritta la via torta,
 
[4] sonando la senti’ esser richiusa;
[5] e s’io avesse li occhi vòlti ad essa,
[6] qual fora stata al fallo degna scusa?
 
[7] Noi salavam per una pietra fessa,
[8] che si moveva e d’una e d’altra parte,
[9] sì come l’onda che fugge e s’appressa.
 
[10] «Qui si conviene usare un poco d’arte»,
[11] cominciò ’l duca mio, «in accostarsi
[12] or quinci, or quindi al lato che si parte».
 
[13] E questo fece i nostri passi scarsi,
[14] tanto che pria lo scemo de la luna
[15] rigiunse al letto suo per ricorcarsi,
 
[16] che noi fossimo fuor di quella cruna;
[17] ma quando fummo liberi e aperti
[18] sù dove il monte in dietro si rauna,
 
[19] ïo stancato e amendue incerti
[20] di nostra via, restammo in su un piano
[21] solingo più che strade per diserti.
 
[22] Da la sua sponda, ove confina il vano,
[23] al piè de l’alta ripa che pur sale,
[24] misurrebbe in tre volte un corpo umano;
 
[25] e quanto l’occhio mio potea trar d’ale,
[26] or dal sinistro e or dal destro fianco,
[27] questa cornice mi parea cotale.
 
[28] Là sù non eran mossi i piè nostri anco,
[29] quand’ io conobbi quella ripa intorno
[30] che dritto di salita aveva manco,
 
[31] esser di marmo candido e addorno
[32] d’intagli sì, che non pur Policleto,
[33] ma la natura lì avrebbe scorno.
 
[34] L’angel che venne in terra col decreto
[35] de la molt’ anni lagrimata pace,
[36] ch’aperse il ciel del suo lungo divieto,
 
[37] dinanzi a noi pareva sì verace
[38] quivi intagliato in un atto soave,
[39] che non sembiava imagine che tace.
 
[40] Giurato si saria ch’el dicesse ‘Ave!’;
[41] perché iv’ era imaginata quella
[42] ch’ad aprir l’alto amor volse la chiave;
 
[43] e avea in atto impressa esta favella
[44] ‘Ecce ancilla Deï’, propriamente
[45] come figura in cera si suggella.
 
[46] «Non tener pur ad un loco la mente»,
[47] disse ’l dolce maestro, che m’avea
[48] da quella parte onde ’l cuore ha la gente.
 
[49] Per ch’i’ mi mossi col viso, e vedea
[50] di retro da Maria, da quella costa
[51] onde m’era colui che mi movea,
 
[52] un’altra storia ne la roccia imposta;
[53] per ch’io varcai Virgilio, e fe’mi presso,
[54] acciò che fosse a li occhi miei disposta.
 
[55] Era intagliato lì nel marmo stesso
[56] lo carro e ’ buoi, traendo l’arca santa,
[57] per che si teme officio non commesso.
 
[58] Dinanzi parea gente; e tutta quanta,
[59] partita in sette cori, a’ due mie’ sensi
[60] faceva dir l’un ‘No’, l’altro ‘Sì, canta’.
 
[61] Similemente al fummo de li ’ncensi
[62] che v’era imaginato, li occhi e ’l naso
[63] e al sì e al no discordi fensi.
 
[64] Lì precedeva al benedetto vaso,
[65] trescando alzato, l’umile salmista,
[66] e più e men che re era in quel caso.
 
[67] Di contra, effigïata ad una vista
[68] d’un gran palazzo, Micòl ammirava
[69] sì come donna dispettosa e trista.
 
[70] I’ mossi i piè del loco dov’ io stava,
[71] per avvisar da presso un’altra istoria,
[72] che di dietro a Micòl mi biancheggiava.
 
[73] Quiv’ era storïata l’alta gloria
[74] del roman principato, il cui valore
[75] mosse Gregorio a la sua gran vittoria;
 
[76] i’ dico di Traiano imperadore;
[77] e una vedovella li era al freno,
[78] di lagrime atteggiata e di dolore.
 
[79] Intorno a lui parea calcato e pieno
[80] di cavalieri, e l’aguglie ne l’oro
[81] sovr’ essi in vista al vento si movieno.
 
[82] La miserella intra tutti costoro
[83] pareva dir: «Segnor, fammi vendetta
[84] di mio figliuol ch’è morto, ond’ io m’accoro»;
 
[85] ed elli a lei rispondere: «Or aspetta
[86] tanto ch’i’ torni»; e quella: «Segnor mio»,
[87] come persona in cui dolor s’affretta,
 
[88] «se tu non torni?»; ed ei: «Chi fia dov’ io,
[89] la ti farà»; ed ella: «L’altrui bene
[90] a te che fia, se ’l tuo metti in oblio?»;
 
[91] ond’ elli: «Or ti conforta; ch’ei convene
[92] ch’i’ solva il mio dovere anzi ch’i’ mova:
[93] giustizia vuole e pietà mi ritene».
 
[94] Colui che mai non vide cosa nova
[95] produsse esto visibile parlare,
[96] novello a noi perché qui non si trova.
 
[97] Mentr’ io mi dilettava di guardare
[98] l’imagini di tante umilitadi,
[99] e per lo fabbro loro a veder care,
 
[100] «Ecco di qua, ma fanno i passi radi»,
[101] mormorava il poeta, «molte genti:
[102] questi ne ’nvïeranno a li alti gradi».
 
[103] Li occhi miei, ch’a mirare eran contenti
[104] per veder novitadi ond’ e’ son vaghi,
[105] volgendosi ver’ lui non furon lenti.
 
[106] Non vo’ però, lettor, che tu ti smaghi
[107] di buon proponimento per udire
[108] come Dio vuol che ’l debito si paghi.
 
[109] Non attender la forma del martìre:
[110] pensa la succession; pensa ch’al peggio
[111] oltre la gran sentenza non può ire.
 
[112] Io cominciai: «Maestro, quel ch’io veggio
[113] muovere a noi, non mi sembian persone,
[114] e non so che, sì nel veder vaneggio».
 
[115] Ed elli a me: «La grave condizione
[116] di lor tormento a terra li rannicchia,
[117] sì che ’ miei occhi pria n’ebber tencione.
 
[118] Ma guarda fiso là, e disviticchia
[119] col viso quel che vien sotto a quei sassi:
[120] già scorger puoi come ciascun si picchia».
 
[121] O superbi cristian, miseri lassi,
[122] che, de la vista de la mente infermi,
[123] fidanza avete ne’ retrosi passi,
 
[124] non v’accorgete voi che noi siam vermi
[125] nati a formar l’angelica farfalla,
[126] che vola a la giustizia sanza schermi?
 
[127] Di che l’animo vostro in alto galla,
[128] poi siete quasi antomata in difetto,
[129] sì come vermo in cui formazion falla?
 
[130] Come per sostentar solaio o tetto,
[131] per mensola talvolta una figura
[132] si vede giugner le ginocchia al petto,
 
[133] la qual fa del non ver vera rancura
[134] nascere ’n chi la vede; così fatti
[135] vid’ io color, quando puosi ben cura.
 
[136] Vero è che più e meno eran contratti
[137] secondo ch’avien più e meno a dosso;
[138] e qual più pazïenza avea ne li atti,
[139] piangendo parea dicer: ‘Più non posso’.
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