Purgatorio • Canto XV
[1] Quanto tra l’ultimar de l’ora terza
[2] e ’l principio del dì par de la spera
[3] che sempre a guisa di fanciullo scherza,
 
[4] tanto pareva già inver’ la sera
[5] essere al sol del suo corso rimaso;
[6] vespero là, e qui mezza notte era.
 
[7] E i raggi ne ferien per mezzo ’l naso,
[8] perché per noi girato era sì ’l monte,
[9] che già dritti andavamo inver’ l’occaso,
 
[10] quand’ io senti’ a me gravar la fronte
[11] a lo splendore assai più che di prima,
[12] e stupor m’eran le cose non conte;
 
[13] ond’ io levai le mani inver’ la cima
[14] de le mie ciglia, e fecimi ’l solecchio,
[15] che del soverchio visibile lima.
 
[16] Come quando da l’acqua o da lo specchio
[17] salta lo raggio a l’opposita parte,
[18] salendo su per lo modo parecchio
 
[19] a quel che scende, e tanto si diparte
[20] dal cader de la pietra in igual tratta,
[21] sì come mostra esperïenza e arte;
 
[22] così mi parve da luce rifratta
[23] quivi dinanzi a me esser percosso;
[24] per che a fuggir la mia vista fu ratta.
 
[25] «Che è quel, dolce padre, a che non posso
[26] schermar lo viso tanto che mi vaglia»,
[27] diss’ io, «e pare inver’ noi esser mosso?».
 
[28] «Non ti maravigliar s’ancor t’abbaglia
[29] la famiglia del cielo», a me rispuose:
[30] «messo è che viene ad invitar ch’om saglia.
 
[31] Tosto sarà ch’a veder queste cose
[32] non ti fia grave, ma fieti diletto
[33] quanto natura a sentir ti dispuose».
 
[34] Poi giunti fummo a l’angel benedetto,
[35] con lieta voce disse: «Intrate quinci
[36] ad un scaleo vie men che li altri eretto».
 
[37] Noi montavam, già partiti di linci,
[38] e ‘Beati misericordes!’ fue
[39] cantato retro, e ‘Godi tu che vinci!’.
 
[40] Lo mio maestro e io soli amendue
[41] suso andavamo; e io pensai, andando,
[42] prode acquistar ne le parole sue;
 
[43] e dirizza’mi a lui sì dimandando:
[44] «Che volse dir lo spirto di Romagna,
[45] e ‘divieto’ e ‘consorte’ menzionando?».
 
[46] Per ch’elli a me: «Di sua maggior magagna
[47] conosce il danno; e però non s’ammiri
[48] se ne riprende perché men si piagna.
 
[49] Perché s’appuntano i vostri disiri
[50] dove per compagnia parte si scema,
[51] invidia move il mantaco a’ sospiri.
 
[52] Ma se l’amor de la spera supprema
[53] torcesse in suso il disiderio vostro,
[54] non vi sarebbe al petto quella tema;
 
[55] ché, per quanti si dice più lì ‘nostro’,
[56] tanto possiede più di ben ciascuno,
[57] e più di caritate arde in quel chiostro».
 
[58] «Io son d’esser contento più digiuno»,
[59] diss’ io, «che se mi fosse pria taciuto,
[60] e più di dubbio ne la mente aduno.
 
[61] Com’ esser puote ch’un ben, distributo
[62] in più posseditor, faccia più ricchi
[63] di sé che se da pochi è posseduto?».
 
[64] Ed elli a me: «Però che tu rificchi
[65] la mente pur a le cose terrene,
[66] di vera luce tenebre dispicchi.
 
[67] Quello infinito e ineffabil bene
[68] che là sù è, così corre ad amore
[69] com’ a lucido corpo raggio vene.
 
[70] Tanto si dà quanto trova d’ardore;
[71] sì che, quantunque carità si stende,
[72] cresce sovr’ essa l’etterno valore.
 
[73] E quanta gente più là sù s’intende,
[74] più v’è da bene amare, e più vi s’ama,
[75] e come specchio l’uno a l’altro rende.
 
[76] E se la mia ragion non ti disfama,
[77] vedrai Beatrice, ed ella pienamente
[78] ti torrà questa e ciascun’ altra brama.
 
[79] Procaccia pur che tosto sieno spente,
[80] come son già le due, le cinque piaghe,
[81] che si richiudon per esser dolente».
 
[82] Com’ io voleva dicer ‘Tu m’appaghe’,
[83] vidimi giunto in su l’altro girone,
[84] sì che tacer mi fer le luci vaghe.
 
[85] Ivi mi parve in una visïone
[86] estatica di sùbito esser tratto,
[87] e vedere in un tempio più persone;
 
[88] e una donna, in su l’entrar, con atto
[89] dolce di madre dicer: «Figliuol mio,
[90] perché hai tu così verso noi fatto?
 
[91] Ecco, dolenti, lo tuo padre e io
[92] ti cercavamo». E come qui si tacque,
[93] ciò che pareva prima, dispario.
 
[94] Indi m’apparve un’altra con quell’ acque
[95] giù per le gote che ’l dolor distilla
[96] quando di gran dispetto in altrui nacque,
 
[97] e dir: «Se tu se’ sire de la villa
[98] del cui nome ne’ dèi fu tanta lite,
[99] e onde ogne scïenza disfavilla,
 
[100] vendica te di quelle braccia ardite
[101] ch’abbracciar nostra figlia, o Pisistràto».
[102] E ’l segnor mi parea, benigno e mite,
 
[103] risponder lei con viso temperato:
[104] «Che farem noi a chi mal ne disira,
[105] se quei che ci ama è per noi condannato?»,
 
[106] Poi vidi genti accese in foco d’ira
[107] con pietre un giovinetto ancider, forte
[108] gridando a sé pur: «Martira, martira!».
 
[109] E lui vedea chinarsi, per la morte
[110] che l’aggravava già, inver’ la terra,
[111] ma de li occhi facea sempre al ciel porte,
 
[112] orando a l’alto Sire, in tanta guerra,
[113] che perdonasse a’ suoi persecutori,
[114] con quello aspetto che pietà diserra.
 
[115] Quando l’anima mia tornò di fori
[116] a le cose che son fuor di lei vere,
[117] io riconobbi i miei non falsi errori.
 
[118] Lo duca mio, che mi potea vedere
[119] far sì com’ om che dal sonno si slega,
[120] disse: «Che hai che non ti puoi tenere,
 
[121] ma se’ venuto più che mezza lega
[122] velando li occhi e con le gambe avvolte,
[123] a guisa di cui vino o sonno piega?».
 
[124] «O dolce padre mio, se tu m’ascolte,
[125] io ti dirò», diss’ io, «ciò che m’apparve
[126] quando le gambe mi furon sì tolte».
 
[127] Ed ei: «Se tu avessi cento larve
[128] sovra la faccia, non mi sarian chiuse
[129] le tue cogitazion, quantunque parve.
 
[130] Ciò che vedesti fu perché non scuse
[131] d’aprir lo core a l’acque de la pace
[132] che da l’etterno fonte son diffuse.
 
[133] Non dimandai “Che hai?” per quel che face
[134] chi guarda pur con l’occhio che non vede,
[135] quando disanimato il corpo giace;
 
[136] ma dimandai per darti forza al piede:
[137] così frugar conviensi i pigri, lenti
[138] ad usar lor vigilia quando riede».
 
[139] Noi andavam per lo vespero, attenti
[140] oltre quanto potean li occhi allungarsi
[141] contra i raggi serotini e lucenti.
 
[142] Ed ecco a poco a poco un fummo farsi
[143] verso di noi come la notte oscuro;
[144] né da quello era loco da cansarsi.
[145] Questo ne tolse li occhi e l’aere puro.