Concordanze nella Divina Commedia di Dante (beta)

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Purgatorio • Canto XX

[1] Contra miglior voler voler mal pugna;
[2] onde contra ’l piacer mio, per piacerli,
[3] trassi de l’acqua non sazia la spugna.
 
[4] Mossimi; e ’l duca mio si mosse per li
[5] luoghi spediti pur lungo la roccia,
[6] come si va per muro stretto a’ merli;
 
[7] ché la gente che fonde a goccia a goccia
[8] per li occhi il mal che tutto ’l mondo occupa,
[9] da l’altra parte in fuor troppo s’approccia.
 
[10] Maladetta sie tu, antica lupa,
[11] che più che tutte l’altre bestie hai preda
[12] per la tua fame sanza fine cupa!
 
[13] O ciel, nel cui girar par che si creda
[14] le condizion di qua giù trasmutarsi,
[15] quando verrà per cui questa disceda?
 
[16] Noi andavam con passi lenti e scarsi,
[17] e io attento a l’ombre, ch’i’ sentia
[18] pietosamente piangere e lagnarsi;
 
[19] e per ventura udi’ «Dolce Maria!»
[20] dinanzi a noi chiamar così nel pianto
[21] come fa donna che in parturir sia;
 
[22] e seguitar: «Povera fosti tanto,
[23] quanto veder si può per quello ospizio
[24] dove sponesti il tuo portato santo».
 
[25] Seguentemente intesi: «O buon Fabrizio,
[26] con povertà volesti anzi virtute
[27] che gran ricchezza posseder con vizio».
 
[28] Queste parole m’eran sì piaciute,
[29] ch’io mi trassi oltre per aver contezza
[30] di quello spirto onde parean venute.
 
[31] Esso parlava ancor de la larghezza
[32] che fece Niccolò a le pulcelle,
[33] per condurre ad onor lor giovinezza.
 
[34] «O anima che tanto ben favelle,
[35] dimmi chi fosti», dissi, «e perché sola
[36] tu queste degne lode rinovelle.
 
[37] Non fia sanza mercé la tua parola,
[38] s’io ritorno a compiér lo cammin corto
[39] di quella vita ch’al termine vola».
 
[40] Ed elli: «Io ti dirò, non per conforto
[41] ch’io attenda di là, ma perché tanta
[42] grazia in te luce prima che sie morto.
 
[43] Io fui radice de la mala pianta
[44] che la terra cristiana tutta aduggia,
[45] sì che buon frutto rado se ne schianta.
 
[46] Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia
[47] potesser, tosto ne saria vendetta;
[48] e io la cheggio a lui che tutto giuggia.
 
[49] Chiamato fui di là Ugo Ciappetta;
[50] di me son nati i Filippi e i Luigi
[51] per cui novellamente è Francia retta.
 
[52] Figliuol fu’ io d’un beccaio di Parigi:
[53] quando li regi antichi venner meno
[54] tutti, fuor ch’un renduto in panni bigi,
 
[55] trova’mi stretto ne le mani il freno
[56] del governo del regno, e tanta possa
[57] di nuovo acquisto, e sì d’amici pieno,
 
[58] ch’a la corona vedova promossa
[59] la testa di mio figlio fu, dal quale
[60] cominciar di costor le sacrate ossa.
 
[61] Mentre che la gran dota provenzale
[62] al sangue mio non tolse la vergogna,
[63] poco valea, ma pur non facea male.
 
[64] Lì cominciò con forza e con menzogna
[65] la sua rapina; e poscia, per ammenda,
[66] Pontì e Normandia prese e Guascogna.
 
[67] Carlo venne in Italia e, per ammenda,
[68] vittima fé di Curradino; e poi
[69] ripinse al ciel Tommaso, per ammenda.
 
[70] Tempo vegg’ io, non molto dopo ancoi,
[71] che tragge un altro Carlo fuor di Francia,
[72] per far conoscer meglio e sé e ’ suoi.
 
[73] Sanz’ arme n’esce e solo con la lancia
[74] con la qual giostrò Giuda, e quella ponta
[75] sì, ch’a Fiorenza fa scoppiar la pancia.
 
[76] Quindi non terra, ma peccato e onta
[77] guadagnerà, per sé tanto più grave,
[78] quanto più lieve simil danno conta.
 
[79] L’altro, che già uscì preso di nave,
[80] veggio vender sua figlia e patteggiarne
[81] come fanno i corsar de l’altre schiave.
 
[82] O avarizia, che puoi tu più farne,
[83] poscia c’ha’ il mio sangue a te sì tratto,
[84] che non si cura de la propria carne?
 
[85] Perché men paia il mal futuro e ’l fatto,
[86] veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,
[87] e nel vicario suo Cristo esser catto.
 
[88] Veggiolo un’altra volta esser deriso;
[89] veggio rinovellar l’aceto e ’l fiele,
[90] e tra vivi ladroni esser anciso.
 
[91] Veggio il novo Pilato sì crudele,
[92] che ciò nol sazia, ma sanza decreto
[93] portar nel Tempio le cupide vele.
 
[94] O Segnor mio, quando sarò io lieto
[95] a veder la vendetta che, nascosa,
[96] fa dolce l’ira tua nel tuo secreto?
 
[97] Ciò ch’io dicea di quell’ unica sposa
[98] de lo Spirito Santo e che ti fece
[99] verso me volger per alcuna chiosa,
 
[100] tanto è risposto a tutte nostre prece
[101] quanto ’l dì dura; ma com’ el s’annotta,
[102] contrario suon prendemo in quella vece.
 
[103] Noi repetiam Pigmalïon allotta,
[104] cui traditore e ladro e paricida
[105] fece la voglia sua de l’oro ghiotta;
 
[106] e la miseria de l’avaro Mida,
[107] che seguì a la sua dimanda gorda,
[108] per la qual sempre convien che si rida.
 
[109] Del folle Acàn ciascun poi si ricorda,
[110] come furò le spoglie, sì che l’ira
[111] di Iosüè qui par ch’ancor lo morda.
 
[112] Indi accusiam col marito Saffira;
[113] lodiam i calci ch’ebbe Elïodoro;
[114] e in infamia tutto ’l monte gira
 
[115] Polinestòr ch’ancise Polidoro;
[116] ultimamente ci si grida: “Crasso,
[117] dilci, che ’l sai: di che sapore è l’oro?”.
 
[118] Talor parla l’uno alto e l’altro basso,
[119] secondo l’affezion ch’ad ir ci sprona
[120] ora a maggiore e ora a minor passo:
 
[121] però al ben che ’l dì ci si ragiona,
[122] dianzi non era io sol; ma qui da presso
[123] non alzava la voce altra persona».
 
[124] Noi eravam partiti già da esso,
[125] e brigavam di soverchiar la strada
[126] tanto quanto al poder n’era permesso,
 
[127] quand’ io senti’, come cosa che cada,
[128] tremar lo monte; onde mi prese un gelo
[129] qual prender suol colui ch’a morte vada.
 
[130] Certo non si scoteo sì forte Delo,
[131] pria che Latona in lei facesse ’l nido
[132] a parturir li due occhi del cielo.
 
[133] Poi cominciò da tutte parti un grido
[134] tal, che ’l maestro inverso me si feo,
[135] dicendo: «Non dubbiar, mentr’ io ti guido».
 
[136] ‘Glorïa in excelsis’ tutti ‘Deo’
[137] dicean, per quel ch’io da’ vicin compresi,
[138] onde intender lo grido si poteo.
 
[139] No’ istavamo immobili e sospesi
[140] come i pastor che prima udir quel canto,
[141] fin che ’l tremar cessò ed el compiési.
 
[142] Poi ripigliammo nostro cammin santo,
[143] guardando l’ombre che giacean per terra,
[144] tornate già in su l’usato pianto.
 
[145] Nulla ignoranza mai con tanta guerra
[146] mi fé desideroso di sapere,
[147] se la memoria mia in ciò non erra,
 
[148] quanta pareami allor, pensando, avere;
[149] né per la fretta dimandare er’ oso,
[150] né per me lì potea cosa vedere:
[151] così m’andava timido e pensoso.
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