Concordanze nella Divina Commedia di Dante (beta)

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Purgatorio • Canto XXVI

[1] Mentre che sì per l’orlo, uno innanzi altro,
[2] ce n’andavamo, e spesso il buon maestro
[3] diceami: «Guarda: giovi ch’io ti scaltro»;
 
[4] feriami il sole in su l’omero destro,
[5] che già, raggiando, tutto l’occidente
[6] mutava in bianco aspetto di cilestro;
 
[7] e io facea con l’ombra più rovente
[8] parer la fiamma; e pur a tanto indizio
[9] vidi molt’ ombre, andando, poner mente.
 
[10] Questa fu la cagion che diede inizio
[11] loro a parlar di me; e cominciarsi
[12] a dir: «Colui non par corpo fittizio»;
 
[13] poi verso me, quanto potëan farsi,
[14] certi si fero, sempre con riguardo
[15] di non uscir dove non fosser arsi.
 
[16] «O tu che vai, non per esser più tardo,
[17] ma forse reverente, a li altri dopo,
[18] rispondi a me che ’n sete e ’n foco ardo.
 
[19] Né solo a me la tua risposta è uopo;
[20] ché tutti questi n’hanno maggior sete
[21] che d’acqua fredda Indo o Etïopo.
 
[22] Dinne com’ è che fai di te parete
[23] al sol, pur come tu non fossi ancora
[24] di morte intrato dentro da la rete».
 
[25] Sì mi parlava un d’essi; e io mi fora
[26] già manifesto, s’io non fossi atteso
[27] ad altra novità ch’apparve allora;
 
[28] ché per lo mezzo del cammino acceso
[29] venne gente col viso incontro a questa,
[30] la qual mi fece a rimirar sospeso.
 
[31] Lì veggio d’ogne parte farsi presta
[32] ciascun’ ombra e basciarsi una con una
[33] sanza restar, contente a brieve festa;
 
[34] così per entro loro schiera bruna
[35] s’ammusa l’una con l’altra formica,
[36] forse a spïar lor via e lor fortuna.
 
[37] Tosto che parton l’accoglienza amica,
[38] prima che ’l primo passo lì trascorra,
[39] sopragridar ciascuna s’affatica:
 
[40] la nova gente: «Soddoma e Gomorra»;
[41] e l’altra: «Ne la vacca entra Pasife,
[42] perché ’l torello a sua lussuria corra».
 
[43] Poi, come grue ch’a le montagne Rife
[44] volasser parte, e parte inver’ l’arene,
[45] queste del gel, quelle del sole schife,
 
[46] l’una gente sen va, l’altra sen vene;
[47] e tornan, lagrimando, a’ primi canti
[48] e al gridar che più lor si convene;
 
[49] e raccostansi a me, come davanti,
[50] essi medesmi che m’avean pregato,
[51] attenti ad ascoltar ne’ lor sembianti.
 
[52] Io, che due volte avea visto lor grato,
[53] incominciai: «O anime sicure
[54] d’aver, quando che sia, di pace stato,
 
[55] non son rimase acerbe né mature
[56] le membra mie di là, ma son qui meco
[57] col sangue suo e con le sue giunture.
 
[58] Quinci sù vo per non esser più cieco;
[59] donna è di sopra che m’acquista grazia,
[60] per che ’l mortal per vostro mondo reco.
 
[61] Ma se la vostra maggior voglia sazia
[62] tosto divegna, sì che ’l ciel v’alberghi
[63] ch’è pien d’amore e più ampio si spazia,
 
[64] ditemi, acciò ch’ancor carte ne verghi,
[65] chi siete voi, e chi è quella turba
[66] che se ne va di retro a’ vostri terghi».
 
[67] Non altrimenti stupido si turba
[68] lo montanaro, e rimirando ammuta,
[69] quando rozzo e salvatico s’inurba,
 
[70] che ciascun’ ombra fece in sua paruta;
[71] ma poi che furon di stupore scarche,
[72] lo qual ne li alti cuor tosto s’attuta,
 
[73] «Beato te, che de le nostre marche»,
[74] ricominciò colei che pria m’inchiese,
[75] «per morir meglio, esperïenza imbarche!
 
[76] La gente che non vien con noi, offese
[77] di ciò per che già Cesar, trïunfando,
[78] “Regina” contra sé chiamar s’intese:
 
[79] però si parton “Soddoma” gridando,
[80] rimproverando a sé com’ hai udito,
[81] e aiutan l’arsura vergognando.
 
[82] Nostro peccato fu ermafrodito;
[83] ma perché non servammo umana legge,
[84] seguendo come bestie l’appetito,
 
[85] in obbrobrio di noi, per noi si legge,
[86] quando partinci, il nome di colei
[87] che s’imbestiò ne le ’mbestiate schegge.
 
[88] Or sai nostri atti e di che fummo rei:
[89] se forse a nome vuo’ saper chi semo,
[90] tempo non è di dire, e non saprei.
 
[91] Farotti ben di me volere scemo:
[92] son Guido Guinizzelli, e già mi purgo
[93] per ben dolermi prima ch’a lo stremo».
 
[94] Quali ne la tristizia di Ligurgo
[95] si fer due figli a riveder la madre,
[96] tal mi fec’ io, ma non a tanto insurgo,
 
[97] quand’ io odo nomar sé stesso il padre
[98] mio e de li altri miei miglior che mai
[99] rime d’amore usar dolci e leggiadre;
 
[100] e sanza udire e dir pensoso andai
[101] lunga fïata rimirando lui,
[102] né, per lo foco, in là più m’appressai.
 
[103] Poi che di riguardar pasciuto fui,
[104] tutto m’offersi pronto al suo servigio
[105] con l’affermar che fa credere altrui.
 
[106] Ed elli a me: «Tu lasci tal vestigio,
[107] per quel ch’i’ odo, in me, e tanto chiaro,
[108] che Letè nol può tòrre né far bigio.
 
[109] Ma se le tue parole or ver giuraro,
[110] dimmi che è cagion per che dimostri
[111] nel dire e nel guardar d’avermi caro».
 
[112] E io a lui: «Li dolci detti vostri,
[113] che, quanto durerà l’uso moderno,
[114] faranno cari ancora i loro incostri».
 
[115] «O frate», disse, «questi ch’io ti cerno
[116] col dito», e additò un spirto innanzi,
[117] «fu miglior fabbro del parlar materno.
 
[118] Versi d’amore e prose di romanzi
[119] soverchiò tutti; e lascia dir li stolti
[120] che quel di Lemosì credon ch’avanzi.
 
[121] A voce più ch’al ver drizzan li volti,
[122] e così ferman sua oppinïone
[123] prima ch’arte o ragion per lor s’ascolti.
 
[124] Così fer molti antichi di Guittone,
[125] di grido in grido pur lui dando pregio,
[126] fin che l’ha vinto il ver con più persone.
 
[127] Or se tu hai sì ampio privilegio,
[128] che licito ti sia l’andare al chiostro
[129] nel quale è Cristo abate del collegio,
 
[130] falli per me un dir d’un paternostro,
[131] quanto bisogna a noi di questo mondo,
[132] dove poter peccar non è più nostro».
 
[133] Poi, forse per dar luogo altrui secondo
[134] che presso avea, disparve per lo foco,
[135] come per l’acqua il pesce andando al fondo.
 
[136] Io mi fei al mostrato innanzi un poco,
[137] e dissi ch’al suo nome il mio disire
[138] apparecchiava grazïoso loco.
 
[139] El cominciò liberamente a dire:
[140] «Tan m’abellis vostre cortes deman,
[141] qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire.
 
[142] Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
[143] consiros vei la passada folor,
[144] e vei jausen lo joi qu’esper, denan.
 
[145] Ara vos prec, per aquella valor
[146] que vos guida al som de l’escalina,
[147] sovenha vos a temps de ma dolor!».
[148] Poi s’ascose nel foco che li affina.
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