Concordanze nella Divina Commedia di Dante (beta)

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Paradiso • Canto VIII

[1] Solea creder lo mondo in suo periclo
[2] che la bella Ciprigna il folle amore
[3] raggiasse, volta nel terzo epiciclo;
 
[4] per che non pur a lei faceano onore
[5] di sacrificio e di votivo grido
[6] le genti antiche ne l’antico errore;
 
[7] ma Dïone onoravano e Cupido,
[8] quella per madre sua, questo per figlio,
[9] e dicean ch’el sedette in grembo a Dido;
 
[10] e da costei ond’ io principio piglio
[11] pigliavano il vocabol de la stella
[12] che ’l sol vagheggia or da coppa or da ciglio.
 
[13] Io non m’accorsi del salire in ella;
[14] ma d’esservi entro mi fé assai fede
[15] la donna mia ch’i’ vidi far più bella.
 
[16] E come in fiamma favilla si vede,
[17] e come in voce voce si discerne,
[18] quand’ una è ferma e altra va e riede,
 
[19] vid’ io in essa luce altre lucerne
[20] muoversi in giro più e men correnti,
[21] al modo, credo, di lor viste interne.
 
[22] Di fredda nube non disceser venti,
[23] o visibili o no, tanto festini,
[24] che non paressero impediti e lenti
 
[25] a chi avesse quei lumi divini
[26] veduti a noi venir, lasciando il giro
[27] pria cominciato in li alti Serafini;
 
[28] e dentro a quei che più innanzi appariro
[29] sonava ‘Osanna’ sì, che unque poi
[30] di rïudir non fui sanza disiro.
 
[31] Indi si fece l’un più presso a noi
[32] e solo incominciò: «Tutti sem presti
[33] al tuo piacer, perché di noi ti gioi.
 
[34] Noi ci volgiam coi principi celesti
[35] d’un giro e d’un girare e d’una sete,
[36] ai quali tu del mondo già dicesti:
 
[37] ‘Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete’;
[38] e sem sì pien d’amor, che, per piacerti,
[39] non fia men dolce un poco di quïete».
 
[40] Poscia che li occhi miei si fuoro offerti
[41] a la mia donna reverenti, ed essa
[42] fatti li avea di sé contenti e certi,
 
[43] rivolsersi a la luce che promessa
[44] tanto s’avea, e «Deh, chi siete?» fue
[45] la voce mia di grande affetto impressa.
 
[46] E quanta e quale vid’ io lei far piùe
[47] per allegrezza nova che s’accrebbe,
[48] quando parlai, a l’allegrezze sue!
 
[49] Così fatta, mi disse: «Il mondo m’ebbe
[50] giù poco tempo; e se più fosse stato,
[51] molto sarà di mal, che non sarebbe.
 
[52] La mia letizia mi ti tien celato
[53] che mi raggia dintorno e mi nasconde
[54] quasi animal di sua seta fasciato.
 
[55] Assai m’amasti, e avesti ben onde;
[56] che s’io fossi giù stato, io ti mostrava
[57] di mio amor più oltre che le fronde.
 
[58] Quella sinistra riva che si lava
[59] di Rodano poi ch’è misto con Sorga,
[60] per suo segnore a tempo m’aspettava,
 
[61] e quel corno d’Ausonia che s’imborga
[62] di Bari e di Gaeta e di Catona,
[63] da ove Tronto e Verde in mare sgorga.
 
[64] Fulgeami già in fronte la corona
[65] di quella terra che ’l Danubio riga
[66] poi che le ripe tedesche abbandona.
 
[67] E la bella Trinacria, che caliga
[68] tra Pachino e Peloro, sopra ’l golfo
[69] che riceve da Euro maggior briga,
 
[70] non per Tifeo ma per nascente solfo,
[71] attesi avrebbe li suoi regi ancora,
[72] nati per me di Carlo e di Ridolfo,
 
[73] se mala segnoria, che sempre accora
[74] li popoli suggetti, non avesse
[75] mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”.
 
[76] E se mio frate questo antivedesse,
[77] l’avara povertà di Catalogna
[78] già fuggeria, perché non li offendesse;
 
[79] ché veramente proveder bisogna
[80] per lui, o per altrui, sì ch’a sua barca
[81] carcata più d’incarco non si pogna.
 
[82] La sua natura, che di larga parca
[83] discese, avria mestier di tal milizia
[84] che non curasse di mettere in arca».
 
[85] «Però ch’i’ credo che l’alta letizia
[86] che ’l tuo parlar m’infonde, segnor mio,
[87] là ’ve ogne ben si termina e s’inizia,
 
[88] per te si veggia come la vegg’ io,
[89] grata m’è più; e anco quest’ ho caro
[90] perché ’l discerni rimirando in Dio.
 
[91] Fatto m’hai lieto, e così mi fa chiaro,
[92] poi che, parlando, a dubitar m’hai mosso
[93] com’ esser può, di dolce seme, amaro».
 
[94] Questo io a lui; ed elli a me: «S’io posso
[95] mostrarti un vero, a quel che tu dimandi
[96] terrai lo viso come tien lo dosso.
 
[97] Lo ben che tutto il regno che tu scandi
[98] volge e contenta, fa esser virtute
[99] sua provedenza in questi corpi grandi.
 
[100] E non pur le nature provedute
[101] sono in la mente ch’è da sé perfetta,
[102] ma esse insieme con la lor salute:
 
[103] per che quantunque quest’ arco saetta
[104] disposto cade a proveduto fine,
[105] sì come cosa in suo segno diretta.
 
[106] Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine
[107] producerebbe sì li suoi effetti,
[108] che non sarebbero arti, ma ruine;
 
[109] e ciò esser non può, se li ’ntelletti
[110] che muovon queste stelle non son manchi,
[111] e manco il primo, che non li ha perfetti.
 
[112] Vuo’ tu che questo ver più ti s’imbianchi?».
[113] E io: «Non già; ché impossibil veggio
[114] che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi».
 
[115] Ond’ elli ancora: «Or dì: sarebbe il peggio
[116] per l’omo in terra, se non fosse cive?».
[117] «Sì», rispuos’ io; «e qui ragion non cheggio».
 
[118] «E puot’ elli esser, se giù non si vive
[119] diversamente per diversi offici?
[120] Non, se ’l maestro vostro ben vi scrive».
 
[121] Sì venne deducendo infino a quici;
[122] poscia conchiuse: «Dunque esser diverse
[123] convien di vostri effetti le radici:
 
[124] per ch’un nasce Solone e altro Serse,
[125] altro Melchisedèch e altro quello
[126] che, volando per l’aere, il figlio perse.
 
[127] La circular natura, ch’è suggello
[128] a la cera mortal, fa ben sua arte,
[129] ma non distingue l’un da l’altro ostello.
 
[130] Quinci addivien ch’Esaù si diparte
[131] per seme da Iacòb; e vien Quirino
[132] da sì vil padre, che si rende a Marte.
 
[133] Natura generata il suo cammino
[134] simil farebbe sempre a’ generanti,
[135] se non vincesse il proveder divino.
 
[136] Or quel che t’era dietro t’è davanti:
[137] ma perché sappi che di te mi giova,
[138] un corollario voglio che t’ammanti.
 
[139] Sempre natura, se fortuna trova
[140] discorde a sé, com’ ogne altra semente
[141] fuor di sua regïon, fa mala prova.
 
[142] E se ’l mondo là giù ponesse mente
[143] al fondamento che natura pone,
[144] seguendo lui, avria buona la gente.
 
[145] Ma voi torcete a la religïone
[146] tal che fia nato a cignersi la spada,
[147] e fate re di tal ch’è da sermone;
[148] onde la traccia vostra è fuor di strada».
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