Concordanze nella Divina Commedia di Dante (beta)

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Paradiso • Canto XIV

[1] Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro
[2] movesi l’acqua in un ritondo vaso,
[3] secondo ch’è percosso fuori o dentro:
 
[4] ne la mia mente fé sùbito caso
[5] questo ch’io dico, sì come si tacque
[6] la glorïosa vita di Tommaso,
 
[7] per la similitudine che nacque
[8] del suo parlare e di quel di Beatrice,
[9] a cui sì cominciar, dopo lui, piacque:
 
[10] «A costui fa mestieri, e nol vi dice
[11] né con la voce né pensando ancora,
[12] d’un altro vero andare a la radice.
 
[13] Diteli se la luce onde s’infiora
[14] vostra sustanza, rimarrà con voi
[15] etternalmente sì com’ ell’ è ora;
 
[16] e se rimane, dite come, poi
[17] che sarete visibili rifatti,
[18] esser porà ch’al veder non vi nòi».
 
[19] Come, da più letizia pinti e tratti,
[20] a la fïata quei che vanno a rota
[21] levan la voce e rallegrano li atti,
 
[22] così, a l’orazion pronta e divota,
[23] li santi cerchi mostrar nova gioia
[24] nel torneare e ne la mira nota.
 
[25] Qual si lamenta perché qui si moia
[26] per viver colà sù, non vide quive
[27] lo refrigerio de l’etterna ploia.
 
[28] Quell’ uno e due e tre che sempre vive
[29] e regna sempre in tre e ’n due e ’n uno,
[30] non circunscritto, e tutto circunscrive,
 
[31] tre volte era cantato da ciascuno
[32] di quelli spirti con tal melodia,
[33] ch’ad ogne merto saria giusto muno.
 
[34] E io udi’ ne la luce più dia
[35] del minor cerchio una voce modesta,
[36] forse qual fu da l’angelo a Maria,
 
[37] risponder: «Quanto fia lunga la festa
[38] di paradiso, tanto il nostro amore
[39] si raggerà dintorno cotal vesta.
 
[40] La sua chiarezza séguita l’ardore;
[41] l’ardor la visïone, e quella è tanta,
[42] quant’ ha di grazia sovra suo valore.
 
[43] Come la carne glorïosa e santa
[44] fia rivestita, la nostra persona
[45] più grata fia per esser tutta quanta;
 
[46] per che s’accrescerà ciò che ne dona
[47] di gratüito lume il sommo bene,
[48] lume ch’a lui veder ne condiziona;
 
[49] onde la visïon crescer convene,
[50] crescer l’ardor che di quella s’accende,
[51] crescer lo raggio che da esso vene.
 
[52] Ma sì come carbon che fiamma rende,
[53] e per vivo candor quella soverchia,
[54] sì che la sua parvenza si difende;
 
[55] così questo folgór che già ne cerchia
[56] fia vinto in apparenza da la carne
[57] che tutto dì la terra ricoperchia;
 
[58] né potrà tanta luce affaticarne:
[59] ché li organi del corpo saran forti
[60] a tutto ciò che potrà dilettarne».
 
[61] Tanto mi parver sùbiti e accorti
[62] e l’uno e l’altro coro a dicer «Amme!»,
[63] che ben mostrar disio d’i corpi morti:
 
[64] forse non pur per lor, ma per le mamme,
[65] per li padri e per li altri che fuor cari
[66] anzi che fosser sempiterne fiamme.
 
[67] Ed ecco intorno, di chiarezza pari,
[68] nascere un lustro sopra quel che v’era,
[69] per guisa d’orizzonte che rischiari.
 
[70] E sì come al salir di prima sera
[71] comincian per lo ciel nove parvenze,
[72] sì che la vista pare e non par vera,
 
[73] parvemi lì novelle sussistenze
[74] cominciare a vedere, e fare un giro
[75] di fuor da l’altre due circunferenze.
 
[76] Oh vero sfavillar del Santo Spiro!
[77] come si fece sùbito e candente
[78] a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!
 
[79] Ma Bëatrice sì bella e ridente
[80] mi si mostrò, che tra quelle vedute
[81] si vuol lasciar che non seguir la mente.
 
[82] Quindi ripreser li occhi miei virtute
[83] a rilevarsi; e vidimi translato
[84] sol con mia donna in più alta salute.
 
[85] Ben m’accors’ io ch’io era più levato,
[86] per l’affocato riso de la stella,
[87] che mi parea più roggio che l’usato.
 
[88] Con tutto ’l core e con quella favella
[89] ch’è una in tutti, a Dio feci olocausto,
[90] qual conveniesi a la grazia novella.
 
[91] E non er’ anco del mio petto essausto
[92] l’ardor del sacrificio, ch’io conobbi
[93] esso litare stato accetto e fausto;
 
[94] ché con tanto lucore e tanto robbi
[95] m’apparvero splendor dentro a due raggi,
[96] ch’io dissi: «O Elïòs che sì li addobbi!».
 
[97] Come distinta da minori e maggi
[98] lumi biancheggia tra ’ poli del mondo
[99] Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;
 
[100] sì costellati facean nel profondo
[101] Marte quei raggi il venerabil segno
[102] che fan giunture di quadranti in tondo.
 
[103] Qui vince la memoria mia lo ’ngegno;
[104] ché quella croce lampeggiava Cristo,
[105] sì ch’io non so trovare essempro degno;
 
[106] ma chi prende sua croce e segue Cristo,
[107] ancor mi scuserà di quel ch’io lasso,
[108] vedendo in quell’ albor balenar Cristo.
 
[109] Di corno in corno e tra la cima e ’l basso
[110] si movien lumi, scintillando forte
[111] nel congiugnersi insieme e nel trapasso:
 
[112] così si veggion qui diritte e torte,
[113] veloci e tarde, rinovando vista,
[114] le minuzie d’i corpi, lunghe e corte,
 
[115] moversi per lo raggio onde si lista
[116] talvolta l’ombra che, per sua difesa,
[117] la gente con ingegno e arte acquista.
 
[118] E come giga e arpa, in tempra tesa
[119] di molte corde, fa dolce tintinno
[120] a tal da cui la nota non è intesa,
 
[121] così da’ lumi che lì m’apparinno
[122] s’accogliea per la croce una melode
[123] che mi rapiva, sanza intender l’inno.
 
[124] Ben m’accors’ io ch’elli era d’alte lode,
[125] però ch’a me venìa «Resurgi» e «Vinci»
[126] come a colui che non intende e ode.
 
[127] Ïo m’innamorava tanto quinci,
[128] che ’nfino a lì non fu alcuna cosa
[129] che mi legasse con sì dolci vinci.
 
[130] Forse la mia parola par troppo osa,
[131] posponendo il piacer de li occhi belli,
[132] ne’ quai mirando mio disio ha posa;
 
[133] ma chi s’avvede che i vivi suggelli
[134] d’ogne bellezza più fanno più suso,
[135] e ch’io non m’era lì rivolto a quelli,
 
[136] escusar puommi di quel ch’io m’accuso
[137] per escusarmi, e vedermi dir vero:
[138] ché ’l piacer santo non è qui dischiuso,
[139] perché si fa, montando, più sincero.
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