Concordanze nella Divina Commedia di Dante (beta)

Testo dei Canti

Ricerca parole

case sensitive parola intera

Contaparole

case sensitive

Inferno • Canto IX

[1] Quel color che viltà di fuor mi pinse
[2] veggendo il duca mio tornare in volta,
[3] più tosto dentro il suo novo ristrinse.
 
[4] Attento si fermò com’ uom ch’ascolta;
[5] ché l’occhio nol potea menare a lunga
[6] per l’aere nero e per la nebbia folta.
 
[7] «Pur a noi converrà vincer la punga»,
[8] cominciò el, «se non . . . Tal ne s’offerse.
[9] Oh quanto tarda a me ch’altri qui giunga!».
 
[10] I’ vidi ben sì com’ ei ricoperse
[11] lo cominciar con l’altro che poi venne,
[12] che fur parole a le prime diverse;
 
[13] ma nondimen paura il suo dir dienne,
[14] perch’ io traeva la parola tronca
[15] forse a peggior sentenzia che non tenne.
 
[16] «In questo fondo de la trista conca
[17] discende mai alcun del primo grado,
[18] che sol per pena ha la speranza cionca?».
 
[19] Questa question fec’ io; e quei «Di rado
[20] incontra», mi rispuose, «che di noi
[21] faccia il cammino alcun per qual io vado.
 
[22] Ver è ch’altra fïata qua giù fui,
[23] congiurato da quella Eritón cruda
[24] che richiamava l’ombre a’ corpi sui.
 
[25] Di poco era di me la carne nuda,
[26] ch’ella mi fece intrar dentr’ a quel muro,
[27] per trarne un spirto del cerchio di Giuda.
 
[28] Quell’ è ’l più basso loco e ’l più oscuro,
[29] e ’l più lontan dal ciel che tutto gira:
[30] ben so ’l cammin; però ti fa sicuro.
 
[31] Questa palude che ’l gran puzzo spira
[32] cigne dintorno la città dolente,
[33] u’ non potemo intrare omai sanz’ ira».
 
[34] E altro disse, ma non l’ho a mente;
[35] però che l’occhio m’avea tutto tratto
[36] ver’ l’alta torre a la cima rovente,
 
[37] dove in un punto furon dritte ratto
[38] tre furïe infernal di sangue tinte,
[39] che membra feminine avieno e atto,
 
[40] e con idre verdissime eran cinte;
[41] serpentelli e ceraste avien per crine,
[42] onde le fiere tempie erano avvinte.
 
[43] E quei, che ben conobbe le meschine
[44] de la regina de l’etterno pianto,
[45] «Guarda», mi disse, «le feroci Erine.
 
[46] Quest’ è Megera dal sinistro canto;
[47] quella che piange dal destro è Aletto;
[48] Tesifón è nel mezzo»; e tacque a tanto.
 
[49] Con l’unghie si fendea ciascuna il petto;
[50] battiensi a palme e gridavan sì alto,
[51] ch’i’ mi strinsi al poeta per sospetto.
 
[52] «Vegna Medusa: sì ’l farem di smalto»,
[53] dicevan tutte riguardando in giuso;
[54] «mal non vengiammo in Tesëo l’assalto».
 
[55] «Volgiti ’n dietro e tien lo viso chiuso;
[56] ché se ’l Gorgón si mostra e tu ’l vedessi,
[57] nulla sarebbe di tornar mai suso».
 
[58] Così disse ’l maestro; ed elli stessi
[59] mi volse, e non si tenne a le mie mani,
[60] che con le sue ancor non mi chiudessi.
 
[61] O voi ch’avete li ’ntelletti sani,
[62] mirate la dottrina che s’asconde
[63] sotto ’l velame de li versi strani.
 
[64] E già venìa su per le torbide onde
[65] un fracasso d’un suon, pien di spavento,
[66] per cui tremavano amendue le sponde,
 
[67] non altrimenti fatto che d’un vento
[68] impetüoso per li avversi ardori,
[69] che fier la selva e sanz’ alcun rattento
 
[70] li rami schianta, abbatte e porta fori;
[71] dinanzi polveroso va superbo,
[72] e fa fuggir le fiere e li pastori.
 
[73] Li occhi mi sciolse e disse: «Or drizza il nerbo
[74] del viso su per quella schiuma antica
[75] per indi ove quel fummo è più acerbo».
 
[76] Come le rane innanzi a la nimica
[77] biscia per l’acqua si dileguan tutte,
[78] fin ch’a la terra ciascuna s’abbica,
 
[79] vid’ io più di mille anime distrutte
[80] fuggir così dinanzi ad un ch’al passo
[81] passava Stige con le piante asciutte.
 
[82] Dal volto rimovea quell’ aere grasso,
[83] menando la sinistra innanzi spesso;
[84] e sol di quell’ angoscia parea lasso.
 
[85] Ben m’accorsi ch’elli era da ciel messo,
[86] e volsimi al maestro; e quei fé segno
[87] ch’i’ stessi queto ed inchinassi ad esso.
 
[88] Ahi quanto mi parea pien di disdegno!
[89] Venne a la porta e con una verghetta
[90] l’aperse, che non v’ebbe alcun ritegno.
 
[91] «O cacciati del ciel, gente dispetta»,
[92] cominciò elli in su l’orribil soglia,
[93] «ond’ esta oltracotanza in voi s’alletta?
 
[94] Perché recalcitrate a quella voglia
[95] a cui non puote il fin mai esser mozzo,
[96] e che più volte v’ha cresciuta doglia?
 
[97] Che giova ne le fata dar di cozzo?
[98] Cerbero vostro, se ben vi ricorda,
[99] ne porta ancor pelato il mento e ’l gozzo».
 
[100] Poi si rivolse per la strada lorda,
[101] e non fé motto a noi, ma fé sembiante
[102] d’omo cui altra cura stringa e morda
 
[103] che quella di colui che li è davante;
[104] e noi movemmo i piedi inver’ la terra,
[105] sicuri appresso le parole sante.
 
[106] Dentro li ’ntrammo sanz’ alcuna guerra;
[107] e io, ch’avea di riguardar disio
[108] la condizion che tal fortezza serra,
 
[109] com’ io fui dentro, l’occhio intorno invio:
[110] e veggio ad ogne man grande campagna,
[111] piena di duolo e di tormento rio.
 
[112] Sì come ad Arli, ove Rodano stagna,
[113] sì com’ a Pola, presso del Carnaro
[114] ch’Italia chiude e suoi termini bagna,
 
[115] fanno i sepulcri tutt’ il loco varo,
[116] così facevan quivi d’ogne parte,
[117] salvo che ’l modo v’era più amaro;
 
[118] ché tra li avelli fiamme erano sparte,
[119] per le quali eran sì del tutto accesi,
[120] che ferro più non chiede verun’ arte.
 
[121] Tutti li lor coperchi eran sospesi,
[122] e fuor n’uscivan sì duri lamenti,
[123] che ben parean di miseri e d’offesi.
 
[124] E io: «Maestro, quai son quelle genti
[125] che, seppellite dentro da quell’ arche,
[126] si fan sentir coi sospiri dolenti?».
 
[127] E quelli a me: «Qui son li eresïarche
[128] con lor seguaci, d’ogne setta, e molto
[129] più che non credi son le tombe carche.
 
[130] Simile qui con simile è sepolto,
[131] e i monimenti son più e men caldi».
[132] E poi ch’a la man destra si fu vòlto,
[133] passammo tra i martìri e li alti spaldi.
Successivo: Inferno • Canto X