Concordanze nella Divina Commedia di Dante (beta)

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1. Inferno • Canto I

[6] che nel pensier rinova la paura!
[7] Tant’ è amara che poco è più morte;
[12] che la verace via abbandonai.
[15] che m’avea di paura il cor compunto,
[18] che mena dritto altrui per ogne calle.
[20] che nel lago del cor m’era durata
[22] E come quei che con lena affannata,
[27] che non lasciò già mai persona viva.
[30] sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso.
[33] che di pel macolato era coverta;
[44] ma non sì che paura non mi desse
[45] la vista che m’apparve d’un leone.
[46] Questi parea che contra me venisse
[48] sì che parea che l’aere ne tremesse.
[49] Ed una lupa, che di tutte brame
[55] E qual è quei che volontieri acquista,
[56] e giugne ’l tempo che perder lo face,
[57] che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista;
[59] che, venendomi ’ncontro, a poco a poco
[66] «qual che tu sii, od ombra od omo certo!».
[70] Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
[74] figliuol d’Anchise che venne di Troia,
[75] poi che ’l superbo Ilïón fu combusto.
[80] che spandi di parlar sì largo fiume?»,
[84] che m’ha fatto cercar lo tuo volume.
[87] lo bello stilo che m’ha fatto onore.
[92] rispuose, poi che lagrimar mi vide,
[96] ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide;
[98] che mai non empie la bramosa voglia,
[99] e dopo ’l pasto ha più fame che pria.
[101] e più saranno ancora, infin che ’l veltro
[102] verrà, che la farà morir con doglia.
[110] fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno,
[113] che tu mi segui, e io sarò tua guida,
[118] e vederai color che son contenti
[120] quando che sia a le beate genti.
[124] ché quello imperador che là sù regna,
[126] non vuol che ’n sua città per me si vegna.
[131] per quello Dio che tu non conoscesti,
[133] che tu mi meni là dov’ or dicesti,

2. Inferno • Canto II

[2] toglieva li animai che sono in terra
[6] che ritrarrà la mente che non erra.
[8] o mente che scrivesti ciò ch’io vidi,
[10] Io cominciai: «Poeta che mi guidi,
[13] Tu dici che di Silvïo il parente,
[26] intese cose che furon cagione
[34] Per che, se del venire io m’abbandono,
[35] temo che la venuta non sia folle.
[37] E qual è quei che disvuol ciò che volle
[39] sì che dal cominciar tutto si tolle,
[42] che fu nel cominciar cotanto tosta.
[47] sì che d’onrata impresa lo rivolve,
[49] Da questa tema acciò che tu ti solve,
[51] nel primo punto che di te mi dolve.
[52] Io era tra color che son sospesi,
[54] tal che di comandare io la richiesi.
[55] Lucevan li occhi suoi più che la stella;
[63] sì nel cammin, che vòlt’ è per paura;
[64] e temo che non sia già sì smarrito,
[70] I’ son Beatrice che ti faccio andare;
[72] amor mi mosse, che mi fa parlare.
[80] che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi;
[82] Ma dimmi la cagion che non ti guardi
[85] “Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro,
[92] che la vostra miseria non mi tange,
[94] Donna è gentil nel ciel che si compiange
[96] sì che duro giudicio là sù frange.
[102] che mi sedea con l’antica Rachele.
[104] ché non soccorri quei che t’amò tanto,
[107] non vedi tu la morte che ’l combatte
[115] Poscia che m’ebbe ragionato questo,
[117] per che mi fece del venir più presto.
[120] che del bel monte il corto andar ti tolse.
[121] Dunque: che è? perché, perché restai,
[124] poscia che tai tre donne benedette
[128] chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca,
[133] «Oh pietosa colei che mi soccorse!
[135] a le vere parole che ti porse!
[141] Così li dissi; e poi che mosso fue,

3. Inferno • Canto III

[15] ogne viltà convien che qui sia morta.
[17] che tu vedrai le genti dolorose
[19] E poi che la sua mano a la mia puose
[32] dissi: «Maestro, che è quel ch’i’ odo?
[33] e che gent’ è che par nel duol sì vinta?».
[36] che visser sanza ’nfamia e sanza lodo.
[38] de li angeli che non furon ribelli
[43] E io: «Maestro, che è tanto greve
[44] a lor che lamentar li fa sì forte?».
[48] che ’nvidïosi son d’ogne altra sorte.
[52] E io, che riguardai, vidi una ’nsegna
[53] che girando correva tanto ratta,
[54] che d’ogne posa mi parea indegna;
[57] che morte tanta n’avesse disfatta.
[60] che fece per viltade il gran rifiuto.
[62] che questa era la setta d’i cattivi,
[64] Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
[68] che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi
[88] E tu che se’ costì, anima viva,
[89] pàrtiti da cotesti che son morti».
[90] Ma poi che vide ch’io non mi partiva,
[93] più lieve legno convien che ti porti».
[96] ciò che si vuole, e più non dimandare».
[99] che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
[102] ratto che ’nteser le parole crude.
[108] ch’attende ciascun uom che Dio non teme.
[113] l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo
[119] e avanti che sien di là discese,
[122] «quelli che muoion ne l’ira di Dio
[126] sì che la tema si volve in disio.
[129] ben puoi sapere omai che ’l suo dir suona».
[131] tremò sì forte, che de lo spavento
[134] che balenò una luce vermiglia

4. Inferno • Canto IV

[7] Vero è che ’n su la proda mi trovai
[9] che ’ntrono accoglie d’infiniti guai.
[11] tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
[16] E io, che del color mi fui accorto,
[18] che suoli al mio dubbiare esser conforto?».
[20] che son qua giù, nel viso mi dipigne
[21] quella pietà che tu per tema senti.
[24] nel primo cerchio che l’abisso cigne.
[25] Quivi, secondo che per ascoltare,
[26] non avea pianto mai che di sospiri
[27] che l’aura etterna facevan tremare;
[32] che spiriti son questi che tu vedi?
[33] Or vo’ che sappi, innanzi che più andi,
[36] ch’è porta de la fede che tu credi;
[42] che sanza speme vivemo in disio».
[44] però che gente di molto valore
[45] conobbi che ’n quel limbo eran sospesi.
[48] di quella fede che vince ogne errore:
[50] o per altrui, che poi fosse beato?».
[51] E quei che ’ntese il mio parlar coverto,
[62] E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi,
[75] che dal modo de li altri li diparte?».
[77] che di lor suona sù ne la tua vita,
[78] grazïa acquista in ciel che sì li avanza».
[82] Poi che la voce fu restata e queta,
[87] che vien dinanzi ai tre sì come sire:
[89] l’altro è Orazio satiro che vene;
[91] Però che ciascun meco si convene
[92] nel nome che sonò la voce sola,
[96] che sovra li altri com’ aquila vola.
[104] parlando cose che ’l tacere è bello,
[117] sì che veder si potien tutti quanti.
[120] che del vedere in me stesso m’essalto.
[126] che con Lavina sua figlia sedea.
[127] Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,
[131] vidi ’l maestro di color che sanno
[135] che ’nnanzi a li altri più presso li stanno;
[136] Democrito che ’l mondo a caso pone,
[144] Averoìs, che ’l gran comento feo.
[146] però che sì mi caccia il lungo tema,
[147] che molte volte al fatto il dir vien meno.
[150] fuor de la queta, ne l’aura che trema.
[151] E vegno in parte ove non è che luca.

5. Inferno • Canto V

[2] giù nel secondo, che men loco cinghia
[3] e tanto più dolor, che punge a guaio.
[7] Dico che quando l’anima mal nata
[12] quantunque gradi vuol che giù sia messa.
[16] «O tu che vieni al doloroso ospizio»,
[96] ciò che si vuole, e più non dimandare».
[29] che mugghia come fa mar per tempesta,
[31] La bufera infernal, che mai non resta,
[39] che la ragion sommettono al talento.
[45] non che di posa, ma di minor pena.
[51] genti che l’aura nera sì gastiga?».
[56] che libito fé licito in sua legge,
[57] per tòrre il biasmo in che era condotta.
[59] che succedette a Nino e fu sua sposa:
[60] tenne la terra che ’l Soldan corregge.
[61] L’altra è colei che s’ancise amorosa,
[66] che con amore al fine combatteo.
[74] parlerei a quei due che ’nsieme vanno,
[78] per quello amor che i mena, ed ei verranno».
[89] che visitando vai per l’aere perso
[90] noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
[94] Di quel che udire e che parlar vi piace,
[96] mentre che ’l vento, come fa, ci tace.
[102] che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.
[105] che, come vedi, ancor non m’abbandona.
[111] fin che ’l poeta mi disse: «Che pense?».
[119] a che e come concedette amore
[120] che conosceste i dubbiosi disiri?».
[122] che ricordarsi del tempo felice
[126] dirò come colui che piange e dice.
[132] ma solo un punto fu quel che ci vinse.
[135] questi, che mai da me non fia diviso,
[139] Mentre che l’uno spirto questo disse,
[140] l’altro piangëa; sì che di pietade

6. Inferno • Canto VI

[1] Al tornar de la mente, che si chiuse
[3] che di trestizia tutto mi confuse,
[6] e ch’io mi volga, e come che io guati.
[12] pute la terra che questo riceve.
[15] sovra la gente che quivi è sommersa.
[24] non avea membro che tenesse fermo.
[29] e si racqueta poi che ’l pasto morde,
[32] de lo demonio Cerbero, che ’ntrona
[34] Noi passavam su per l’ombre che adona
[36] sovra lor vanità che par persona.
[40] «O tu che se’ per questo ’nferno tratto»,
[43] E io a lui: «L’angoscia che tu hai
[45] sì che non par ch’i’ ti vedessi mai.
[46] Ma dimmi chi tu se’ che ’n sì dolente
[48] che, s’altra è maggio, nulla è sì spiacente».
[50] d’invidia sì che già trabocca il sacco,
[60] ma dimmi, se tu sai, a che verranno
[63] per che l’ha tanta discordia assalita».
[67] Poi appresso convien che questa caggia
[68] infra tre soli, e che l’altra sormonti
[69] con la forza di tal che testé piaggia.
[72] come che di ciò pianga o che n’aonti.
[77] E io a lui: «Ancor vo’ che mi ’nsegni
[78] e che di più parlar mi facci dono.
[79] Farinata e ’l Tegghiaio, che fuor sì degni,
[107] che vuol, quanto la cosa è più perfetta,
[109] Tutto che questa gente maladetta
[111] di là più che di qua essere aspetta».

7. Inferno • Canto VII

[3] e quel savio gentil, che tutto seppe,
[14] caggiono avvolte, poi che l’alber fiacca,
[18] che ’l mal de l’universo tutto insacca.
[23] che si frange con quella in cui s’intoppa,
[24] così convien che qui la gente riddi.
[38] che gente è questa, e se tutti fuor cherci
[42] che con misura nullo spendio ferci.
[46] Questi fuor cherci, che non han coperchio
[51] che furo immondi di cotesti mali».
[53] la sconoscente vita che i fé sozzi,
[62] d’i ben che son commessi a la fortuna,
[63] per che l’umana gente si rabbuffa;
[65] e che già fu, di quest’ anime stanche
[68] questa fortuna di che tu mi tocche,
[69] che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?».
[71] quanta ignoranza è quella che v’offende!
[72] Or vo’ che tu mia sentenza ne ’mbocche.
[79] che permutasse a tempo li ben vani
[84] che è occulto come in erba l’angue.
[92] pur da color che le dovrien dar lode,
[98] già ogne stella cade che saliva
[101] sovr’ una fonte che bolle e riversa
[102] per un fossato che da lei deriva.
[103] L’acqua era buia assai più che persa;
[109] E io, che di mirare stava inteso,
[117] e anche vo’ che tu per certo credi
[118] che sotto l’acqua è gente che sospira,
[120] come l’occhio ti dice, u’ che s’aggira.
[122] ne l’aere dolce che dal sol s’allegra,

8. Inferno • Canto VIII

[2] che noi fossimo al piè de l’alta torre,
[4] per due fiammette che i vedemmo porre,
[8] dissi: «Questo che dice? e che risponde
[9] quell’ altro foco? e chi son quei che ’l fenno?».
[11] già scorgere puoi quello che s’aspetta,
[14] che sì corresse via per l’aere snella,
[18] che gridava: «Or se’ giunta, anima fella!».
[21] più non ci avrai che sol passando il loto».
[22] Qual è colui che grande inganno ascolta
[23] che li sia fatto, e poi se ne rammarca,
[28] Tosto che ’l duca e io nel legno fui,
[30] de l’acqua più che non suol con altrui.
[33] e disse: «Chi se’ tu che vieni anzi ora?».
[35] ma tu chi se’, che sì se’ fatto brutto?».
[36] Rispuose: «Vedi che son un che piango».
[41] per che ’l maestro accorto lo sospinse,
[45] benedetta colei che ’n te s’incinse!
[47] bontà non è che sua memoria fregi:
[50] che qui staranno come porci in brago,
[54] prima che noi uscissimo del lago».
[55] Ed elli a me: «Avante che la proda
[57] di tal disïo convien che tu goda».
[60] che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.
[64] Quivi il lasciammo, che più non ne narro;
[77] che vallan quella terra sconsolata:
[78] le mura mi parean che ferro fosse.
[83] da ciel piovuti, che stizzosamente
[84] dicean: «Chi è costui che sanza morte
[90] che sì ardito intrò per questo regno.
[93] che li ha’ iscorta sì buia contrada».
[97] «O caro duca mio, che più di sette
[99] d’alto periglio che ’ncontra mi stette,
[103] E quel segnor che lì m’avea menato,
[111] che sì e no nel capo mi tenciona.
[114] che ciascun dentro a pruova si ricorse.
[116] nel petto al mio segnor, che fuor rimase
[130] tal che per lui ne fia la terra aperta».

9. Inferno • Canto IX

[1] Quel color che viltà di fuor mi pinse
[11] lo cominciar con l’altro che poi venne,
[12] che fur parole a le prime diverse;
[15] forse a peggior sentenzia che non tenne.
[18] che sol per pena ha la speranza cionca?».
[20] incontra», mi rispuose, «che di noi
[24] che richiamava l’ombre a’ corpi sui.
[29] e ’l più lontan dal ciel che tutto gira:
[31] Questa palude che ’l gran puzzo spira
[35] però che l’occhio m’avea tutto tratto
[39] che membra feminine avieno e atto,
[43] E quei, che ben conobbe le meschine
[47] quella che piange dal destro è Aletto;
[60] che con le sue ancor non mi chiudessi.
[62] mirate la dottrina che s’asconde
[67] non altrimenti fatto che d’un vento
[69] che fier la selva e sanz’ alcun rattento
[90] l’aperse, che non v’ebbe alcun ritegno.
[96] e che più volte v’ha cresciuta doglia?
[97] Che giova ne le fata dar di cozzo?
[103] che quella di colui che li è davante;
[108] la condizion che tal fortezza serra,
[117] salvo che ’l modo v’era più amaro;
[120] che ferro più non chiede verun’ arte.
[123] che ben parean di miseri e d’offesi.
[125] che, seppellite dentro da quell’ arche,
[129] più che non credi son le tombe carche.

10. Inferno • Canto X

[4] «O virtù somma, che per li empi giri
[7] La gente che per li sepolcri giace
[12] coi corpi che là sù hanno lasciati.
[15] che l’anima col corpo morta fanno.
[16] Però a la dimanda che mi faci
[18] e al disio ancor che tu mi taci».
[22] «O Tosco che per la città del foco
[31] Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?
[32] Vedi là Farinata che s’è dritto:
[48] sì che per due fïate li dispersi».
[54] credo che s’era in ginocchie levata.
[57] e poi che ’l sospecciar fu tutto spento,
[78] ciò mi tormenta più che questo letto.
[80] la faccia de la donna che qui regge,
[81] che tu saprai quanto quell’ arte pesa.
[86] che fece l’Arbia colorata in rosso,
[93] colui che la difesi a viso aperto».
[96] che qui ha ’nviluppata mia sentenza.
[97] El par che voi veggiate, se ben odo,
[98] dinanzi quel che ’l tempo seco adduce,
[101] le cose», disse, «che ne son lontano;
[106] Però comprender puoi che tutta morta
[108] che del futuro fia chiusa la porta».
[111] che ’l suo nato è co’ vivi ancor congiunto;
[113] fate i saper che ’l fei perché pensava
[114] già ne l’error che m’avete soluto».
[117] che mi dicesse chi con lu’ istava.
[123] a quel parlar che mi parea nemico.
[136] che ’nfin là sù facea spiacer suo lezzo.

11. Inferno • Canto XI

[2] che facevan gran pietre rotte in cerchio,
[5] del puzzo che ’l profondo abisso gitta,
[8] che dicea: ‘Anastasio papa guardo,
[11] sì che s’ausi un poco in prima il senso
[14] dissi lui, «trova che ’l tempo non passi
[18] di grado in grado, come que’ che lassi.
[37] onde omicide e ciascun che mal fiere,
[42] giron convien che sanza pro si penta
[53] può l’omo usare in colui che ’n lui fida
[54] e in quel che fidanza non imborsa.
[56] pur lo vinco d’amor che fa natura;
[62] che fa natura, e quel ch’è poi aggiunto,
[63] di che la fede spezïal si cria;
[65] de l’universo in su che Dite siede,
[71] che mena il vento, e che batte la pioggia,
[72] e che s’incontran con sì aspre lingue,
[77] disse, «lo ’ngegno tuo da quel che sòle?
[81] le tre disposizion che ’l ciel non vole,
[87] che sù di fuor sostegnon penitenza,
[91] «O sol che sani ogne vista turbata,
[93] che, non men che saver, dubbiar m’aggrata.
[103] che l’arte vostra quella, quanto pote,
[105] sì che vostr’ arte a Dio quasi è nepote.
[112] Ma seguimi oramai che ’l gir mi piace;

12. Inferno • Canto XII

[2] venimmo, alpestro e, per quel che v’er’ anco,
[4] Qual è quella ruina che nel fianco
[7] che da cima del monte, onde si mosse,
[13] che fu concetta ne la falsa vacca;
[17] tu credi che qui sia ’l duca d’Atene,
[18] che sù nel mondo la morte ti porse?
[22] Qual è quel toro che si slaccia in quella
[24] che gir non sa, ma qua e là saltella,
[27] mentre ch’e’ ’nfuria, è buon che tu ti cale».
[29] di quelle pietre, che spesso moviensi
[34] Or vo’ che sappi che l’altra fïata
[38] che venisse colui che la gran preda
[41] tremò sì, ch’i’ pensai che l’universo
[48] qual che per vïolenza in altrui noccia».
[50] che sì ci sproni ne la vita corta,
[53] come quella che tutto ’l piano abbraccia,
[62] venite voi che scendete la costa?
[68] che morì per la bella Deianira,
[72] quell’ altro è Folo, che fu sì pien d’ira.
[75] del sangue più che sua colpa sortille».
[81] che quel di retro move ciò ch’el tocca?
[83] E ’l mio buon duca, che già li er’ al petto,
[89] che mi commise quest’ officio novo:
[94] e che ne mostri là dove si guada,
[95] e che porti costui in su la groppa,
[96] ché non è spirto che per l’aere vada».
[105] che dier nel sangue e ne l’aver di piglio.
[108] che fé Cicilia aver dolorosi anni.
[116] sovr’ una gente che ’nfino a la gola
[117] parea che di quel bulicame uscisse.
[120] lo cor che ’n su Tamisi ancor si cola».
[121] Poi vidi gente che di fuor del rio
[125] quel sangue, sì che cocea pur li piedi;
[128] lo bulicame che sempre si scema»,
[129] disse ’l centauro, «voglio che tu credi
[130] che da quest’ altra a più a più giù prema
[132] ove la tirannia convien che gema.
[134] quell’ Attila che fu flagello in terra,
[136] le lagrime, che col bollor diserra,
[138] che fecero a le strade tanta guerra».

13. Inferno • Canto XIII

[3] che da neun sentiero era segnato.
[8] quelle fiere selvagge che ’n odio hanno
[11] che cacciar de le Strofade i Troiani
[16] E ’l buon maestro «Prima che più entre,
[17] sappi che se’ nel secondo girone»,
[19] che tu verrai ne l’orribil sabbione.
[21] cose che torrien fede al mio sermone».
[23] e non vedea persona che ’l facesse;
[26] che tante voci uscisser, tra quei bronchi,
[27] da gente che per noi si nascondesse.
[34] Da che fatto fu poi di sangue bruno,
[41] da l’un de’ capi, che da l’altro geme
[42] e cigola per vento che va via,
[45] cadere, e stetti come l’uom che teme.
[52] Ma dilli chi tu fosti, sì che ’n vece
[58] Io son colui che tenni ambo le chiavi
[59] del cor di Federigo, e che le volsi,
[61] che dal secreto suo quasi ogn’ uom tolsi;
[64] La meretrice che mai da l’ospizio
[69] che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti.
[74] vi giuro che già mai non ruppi fede
[75] al mio segnor, che fu d’onor sì degno.
[77] conforti la memoria mia, che giace
[78] ancor del colpo che ’nvidia le diede».
[83] di quel che credi ch’a me satisfaccia;
[86] liberamente ciò che ’l tuo dir priega,
[112] similemente a colui che venire
[117] che de la selva rompieno ogne rosta.
[122] E poi che forse li fallia la lena,
[127] In quel che s’appiattò miser li denti,
[131] e menommi al cespuglio che piangea
[134] che t’è giovato di me fare schermo?
[135] che colpa ho io de la tua vita rea?».
[137] disse: «Chi fosti, che per tante punte
[139] Ed elli a noi: «O anime che giunte
[143] I’ fui de la città che nel Batista
[146] e se non fosse che ’n sul passo d’Arno
[148] que’ cittadin che poi la rifondarno
[149] sovra ’l cener che d’Attila rimase,

14. Inferno • Canto XIV

[1] Poi che la carità del natio loco
[8] dico che arrivammo ad una landa
[9] che dal suo letto ogne pianta rimove.
[14] non d’altra foggia fatta che colei
[15] che fu da’ piè di Caton già soppressa.
[17] esser temuta da ciascun che legge
[18] ciò che fu manifesto a li occhi mei!
[20] che piangean tutte assai miseramente,
[25] Quella che giva ’ntorno era più molta,
[26] e quella men che giacëa al tormento,
[35] con le sue schiere, acciò che lo vapore
[43] I’ cominciai: «Maestro, tu che vinci
[44] tutte le cose, fuor che ’ demon duri
[46] chi è quel grande che non par che curi
[48] sì che la pioggia non par che ’l marturi?».
[49] E quel medesmo, che si fu accorto
[63] «O Capaneo, in ciò che non s’ammorza
[65] nullo martiro, fuor che la tua rabbia,
[70] Dio in disdegno, e poco par che ’l pregi;
[73] Or mi vien dietro, e guarda che non metti,
[80] che parton poi tra lor le peccatrici,
[84] per ch’io m’accorsi che ’l passo era lici.
[86] poscia che noi intrammo per la porta
[90] che sovra sé tutte fiammelle ammorta».
[92] per ch’io ’l pregai che mi largisse ’l pasto
[95] diss’ elli allora, «che s’appella Creta,
[97] Una montagna v’è che già fu lieta
[98] d’acqua e di fronde, che si chiamò Ida;
[104] che tien volte le spalle inver’ Dammiata
[110] salvo che ’l destro piede è terra cotta;
[111] e sta ’n su quel, più che ’n su l’altro, eretto.
[112] Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta
[113] d’una fessura che lagrime goccia,
[124] Ed elli a me: «Tu sai che ’l loco è tondo;
[125] e tutto che tu sie venuto molto,
[128] per che, se cosa n’apparisce nova,
[132] e l’altro di’ che si fa d’esta piova».
[135] dovea ben solver l’una che tu faci.
[140] dal bosco; fa che di retro a me vegne:
[141] li margini fan via, che non son arsi,

15. Inferno • Canto XV

[3] sì che dal foco salva l’acqua e li argini.
[5] temendo ’l fiotto che ’nver’ lor s’avventa,
[9] anzi che Carentana il caldo senta:
[11] tutto che né sì alti né sì grossi,
[12] qual che si fosse, lo maestro félli.
[17] che venian lungo l’argine, e ciascuna
[23] fui conosciuto da un, che mi prese
[27] sì che ’l viso abbrusciato non difese
[35] e se volete che con voi m’asseggia,
[36] faròl, se piace a costui che vo seco».
[42] che va piangendo i suoi etterni danni».
[45] tenea com’ uom che reverente vada.
[48] e chi è questi che mostra ’l cammino?».
[51] avanti che l’età mia fosse piena.
[62] che discese di Fiesole ab antico,
[69] dai lor costumi fa che tu ti forbi.
[71] che l’una parte e l’altra avranno fame
[77] di que’ Roman che vi rimaser quando
[87] convien che ne la mia lingua si scerna.
[88] Ciò che narrate di mio corso scrivo,
[90] a donna che saprà, s’a lei arrivo.
[91] Tanto vogl’ io che vi sia manifesto,
[92] pur che mia coscïenza non mi garra,
[106] In somma sappi che tutti fur cherci
[112] colui potei che dal servo de’ servi
[122] che corrono a Verona il drappo verde
[124] quelli che vince, non colui che perde.

16. Inferno • Canto XVI

[2] de l’acqua che cadea ne l’altro giro,
[3] simile a quel che l’arnie fanno rombo,
[5] correndo, d’una torma che passava
[10] Ahimè, che piaghe vidi ne’ lor membri,
[16] E se non fosse il foco che saetta
[18] che meglio stesse a te che a lor la fretta».
[24] prima che sien tra lor battuti e punti,
[26] drizzava a me, sì che ’n contraro il collo
[32] a dirne chi tu se’, che i vivi piedi
[35] tutto che nudo e dipelato vada,
[36] fu di grado maggior che tu non credi:
[43] E io, che posto son con loro in croce,
[48] e credo che ’l dottor l’avria sofferto;
[51] che di loro abbracciar mi facea ghiotto.
[54] tanta che tardi tutta si dispoglia,
[55] tosto che questo mio segnor mi disse
[57] che qual voi siete, tal gente venisse.
[75] Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni».
[77] e i tre, che ciò inteser per risposta,
[85] fa che di noi a la gente favelle».
[92] che ’l suon de l’acqua n’era sì vicino,
[93] che per parlar saremmo a pena uditi.
[97] che si chiama Acquacheta suso, avante
[98] che si divalli giù nel basso letto,
[105] sì che ’n poc’ ora avria l’orecchia offesa.
[115] ‘E’ pur convien che novità risponda’,
[117] che ’l maestro con l’occhio sì seconda’.
[119] presso a color che non veggion pur l’ovra,
[122] ciò ch’io attendo e che il tuo pensier sogna;
[126] però che sanza colpa fa vergogna;
[133] sì come torna colui che va giuso
[135] o scoglio o altro che nel mare è chiuso,
[136] che ’n sù si stende e da piè si rattrappa.

17. Inferno • Canto XVII

[2] che passa i monti e rompe i muri e l’armi!
[3] Ecco colei che tutto ’l mondo appuzza!».
[5] e accennolle che venisse a proda,
[20] che parte sono in acqua e parte in terra,
[28] Lo duca disse: «Or convien che si torca
[30] bestia malvagia che colà si corca».
[37] Quivi ’l maestro «Acciò che tutta piena
[41] mentre che torni, parlerò con questa,
[42] che ne conceda i suoi omeri forti».
[52] Poi che nel viso a certi li occhi porsi,
[55] che dal collo a ciascun pendea una tasca
[57] e quindi par che ’l loro occhio si pasca.
[60] che d’un leone avea faccia e contegno.
[63] mostrando un’oca bianca più che burro.
[64] E un che d’una scrofa azzurra e grossa
[66] mi disse: «Che fai tu in questa fossa?
[68] sappi che ’l mio vicin Vitalïano
[73] che recherà la tasca con tre becchi!”».
[75] la lingua, come bue che ’l naso lecchi.
[77] lui che di poco star m’avea ’mmonito,
[84] sì che la coda non possa far male».
[85] Qual è colui che sì presso ha ’l riprezzo
[90] che innanzi a buon segnor fa servo forte.
[93] com’ io credetti: ‘Fa che tu m’abbracce’.
[99] pensa la nova soma che tu hai».
[106] Maggior paura non credo che fosse
[108] per che ’l ciel, come pare ancor, si cosse;
[112] che fu la mia, quando vidi ch’i’ era
[114] ogne veduta fuor che de la fera.
[117] se non che al viso e di sotto mi venta.
[120] per che con li occhi ’n giù la testa sporgo.
[126] che s’appressavan da diversi canti.
[128] che sanza veder logoro o uccello

18. Inferno • Canto XVIII

[3] come la cerchia che dintorno il volge.
[7] Quel cinghio che rimane adunque è tondo
[17] movien che ricidien li argini e ’ fossi
[18] infino al pozzo che i tronca e raccogli.
[24] di che la prima bolgia era repleta.
[31] che da l’un lato tutti hanno la fronte
[36] che li battien crudelmente di retro.
[48] ch’io dissi: «O tu che l’occhio a terra gette,
[49] se le fazion che porti non son false,
[51] Ma che ti mena a sì pungenti salse?».
[54] che mi fa sovvenir del mondo antico.
[55] I’ fui colui che la Ghisolabella
[57] come che suoni la sconcia novella.
[60] che tante lingue non son ora apprese
[75] lo duca disse: «Attienti, e fa che feggia
[78] però che son con noi insieme andati».
[80] che venìa verso noi da l’altra banda,
[81] e che la ferza similmente scaccia.
[83] mi disse: «Guarda quel grande che vene,
[86] Quelli è Iasón, che per cuore e per senno
[89] poi che l’ardite femmine spietate
[93] che prima avea tutte l’altre ingannate.
[99] sapere e di color che ’n sé assanna».
[103] Quindi sentimmo gente che si nicchia
[104] ne l’altra bolgia e che col muso scuffa,
[107] per l’alito di giù che vi s’appasta,
[108] che con li occhi e col naso facea zuffa.
[109] Lo fondo è cupo sì, che non ci basta
[114] che da li uman privadi parea mosso.
[117] che non parëa s’era laico o cherco.
[119] di riguardar più me che li altri brutti?».
[123] però t’adocchio più che li altri tutti».
[127] Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe»,
[129] sì che la faccia ben con l’occhio attinghe
[131] che là si graffia con l’unghie merdose,
[133] Taïde è, la puttana che rispuose

19. Inferno • Canto XIX

[2] che le cose di Dio, che di bontate
[5] or convien che per voi suoni la tromba,
[6] però che ne la terza bolgia state.
[11] che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,
[17] che que’ che son nel mio bel San Giovanni,
[20] rupp’ io per un che dentro v’annegava:
[26] per che sì forte guizzavan le giunte,
[27] che spezzate averien ritorte e strambe.
[31] «Chi è colui, maestro, che si cruccia
[32] guizzando più che li altri suoi consorti»,
[35] là giù per quella ripa che più giace,
[39] dal tuo volere, e sai quel che si tace».
[45] di quel che si piangeva con la zanca.
[46] «O qual che se’ che ’l di sù tien di sotto,
[49] Io stava come ’l frate che confessa
[50] lo perfido assessin, che, poi ch’è fitto,
[51] richiama lui per che la morte cessa.
[58] Tal mi fec’ io, quai son color che stanno,
[62] “Non son colui, non son colui che credi”»;
[64] Per che lo spirto tutti storse i piedi;
[66] mi disse: «Dunque che a me richiedi?
[68] che tu abbi però la ripa corsa,
[72] che sù l’avere e qui me misi in borsa.
[74] che precedetter me simoneggiando,
[77] verrà colui ch’i’ credea che tu fossi,
[79] Ma più è ’l tempo già che i piè mi cossi
[84] tal che convien che lui e me ricuopra.
[96] al loco che perdé l’anima ria.
[102] che tu tenesti ne la vita lieta,
[107] quando colei che siede sopra l’acque
[109] quella che con le sette teste nacque,
[111] fin che virtute al suo marito piacque.
[113] e che altro è da voi a l’idolatre,
[117] che da te prese il primo ricco patre!».
[119] o ira o coscïenza che ’l mordesse,
[125] e poi che tutto su mi s’ebbe al petto,
[129] che dal quarto al quinto argine è tragetto.
[132] che sarebbe a le capre duro varco.

20. Inferno • Canto XX

[6] che si bagnava d’angoscioso pianto;
[9] che fanno le letane in questo mondo.
[18] ma io nol vidi, né credo che sia.
[23] vidi sì torta, che ’l pianto de li occhi
[26] del duro scoglio, sì che la mia scorta
[29] chi è più scellerato che colui
[30] che al giudicio divin passion comporta?
[36] fino a Minòs che ciascheduno afferra.
[40] Vedi Tiresia, che mutò sembiante
[45] che rïavesse le maschili penne.
[47] che ne’ monti di Luni, dove ronca
[48] lo Carrarese che di sotto alberga,
[52] E quella che ricuopre le mammelle,
[53] che tu non vedi, con le trecce sciolte,
[55] Manto fu, che cercò per terre molte;
[57] onde un poco mi piace che m’ascolte.
[58] Poscia che ’l padre suo di vita uscìo
[62] a piè de l’Alpe che serra Lamagna
[66] de l’acqua che nel detto laco stagna.
[73] Ivi convien che tutto quanto caschi
[74] ciò che ’n grembo a Benaco star non può,
[76] Tosto che l’acqua a correr mette co,
[88] Li uomini poi che ’ntorno erano sparti
[92] e per colei che ’l loco prima elesse,
[95] prima che la mattia da Casalodi
[97] Però t’assenno che, se tu mai odi
[102] che li altri mi sarien carboni spenti.
[103] Ma dimmi, de la gente che procede,
[106] Allor mi disse: «Quel che da la gota
[114] ben lo sai tu che la sai tutta quanta.
[115] Quell’ altro che ne’ fianchi è così poco,
[116] Michele Scotto fu, che veramente
[121] Vedi le triste che lasciaron l’ago,

21. Inferno • Canto XXI

[2] che la mia comedìa cantar non cura,
[12] le coste a quel che più vïaggi fece;
[18] che ’nviscava la ripa d’ogne parte.
[20] mai che le bolle che ’l bollor levava,
[26] di veder quel che li convien fuggire
[28] che, per veder, non indugia ’l partire:
[40] a quella terra, che n’è ben fornita:
[41] ogn’ uom v’è barattier, fuor che Bonturo;
[47] ma i demon che del ponte avean coperchio,
[49] qui si nuota altrimenti che nel Serchio!
[53] disser: «Coverto convien che qui balli,
[54] sì che, se puoi, nascosamente accaffi».
[58] Lo buon maestro «Acciò che non si paia
[59] che tu ci sia», mi disse, «giù t’acquatta
[61] e per nulla offension che mi sia fatta,
[69] che di sùbito chiede ove s’arresta,
[73] Innanzi che l’uncin vostro mi pigli,
[74] traggasi avante l’un di voi che m’oda,
[78] e venne a lui dicendo: «Che li approda?».
[88] E ’l duca mio a me: «O tu che siedi
[100] Ei chinavan li raffi e «Vuo’ che ’l tocchi»,
[102] E rispondien: «Sì, fa che gliel’ accocchi».
[103] Ma quel demonio che tenea sermone
[107] iscoglio non si può, però che giace
[111] presso è un altro scoglio che via face.
[112] Ier, più oltre cinqu’ ore che quest’ otta,
[114] anni compié che qui la via fu rotta.
[117] gite con lor, che non saranno rei».
[126] che tutto intero va sovra le tane».
[127] «Omè, maestro, che è quel ch’i’ veggio?»,
[133] Ed elli a me: «Non vo’ che tu paventi;

22. Inferno • Canto XXII

[21] che s’argomentin di campar lor legno,
[24] e nascondea in men che non balena.
[27] sì che celano i piedi e l’altro grosso,
[34] e Graffiacan, che li era più di contra,
[36] e trassel sù, che mi parve una lontra.
[40] «O Rubicante, fa che tu li metti
[41] li unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!»,
[44] che tu sappi chi è lo sciagurato
[50] che m’avea generato d’un ribaldo,
[65] conosci tu alcun che sia latino
[67] poco è, da un che fu di là vicino.
[72] sì che, stracciando, ne portò un lacerto.
[80] di’ che facesti per venire a proda?».
[84] e fé sì lor, che ciascun se ne loda.
[91] Omè, vedete l’altro che digrigna;
[95] che stralunava li occhi per fedire,
[105] di fare allor che fori alcun si mette».
[118] O tu che leggi, udirai nuovo ludo:
[124] Di che ciascun di colpa fu compunto,
[125] ma quei più che cagion fu del difetto;
[135] che quei campasse per aver la zuffa;

23. Inferno • Canto XXIII

[8] che l’un con l’altro fa, se ben s’accoppia
[12] che la prima paura mi fé doppia.
[15] sì fatta, ch’assai credo che lor nòi.
[18] che ’l cane a quella lievre ch’elli acceffa’.
[24] io li ’magino sì, che già li sento».
[27] più tosto a me, che quella dentro ’mpetro.
[30] sì che d’intrambi un sol consiglio fei.
[31] S’elli è che sì la destra costa giaccia,
[32] che noi possiam ne l’altra bolgia scendere,
[40] che prende il figlio e fugge e non s’arresta,
[41] avendo più di lui che di sé cura,
[42] tanto che solo una camiscia vesta;
[45] che l’un de’ lati a l’altra bolgia tura.
[55] ché l’alta provedenza che lor volle
[59] che giva intorno assai con lenti passi,
[63] che in Clugnì per li monaci fassi.
[66] che Federigo le mettea di paglia.
[71] venìa sì pian, che noi eravam nuovi
[73] Per ch’io al duca mio: «Fa che tu trovi
[76] E un che ’ntese la parola tosca,
[78] voi che correte sì per l’aura fosca!
[79] Forse ch’avrai da me quel che tu chiedi».
[99] e che pena è in voi che sì sfavilla?».
[101] son di piombo sì grosse, che li pesi
[115] mi disse: «Quel confitto che tu miri,
[116] consigliò i Farisei che convenia
[123] che fu per li Giudei mala sementa».
[132] che vegnan d’esto fondo a dipartirci».
[133] Rispuose adunque: «Più che tu non speri
[134] s’appressa un sasso che da la gran cerchia
[136] salvo che ’n questo è rotto e nol coperchia;
[138] che giace in costa e nel fondo soperchia».
[141] colui che i peccator di qua uncina».

24. Inferno • Canto XXIV

[2] che ’l sole i crin sotto l’Aquario tempra
[11] come ’l tapin che non sa che si faccia;
[26] che sempre par che ’nnanzi si proveggia,
[34] E se non fosse che da quel precinto
[35] più che da l’altro era la costa corta,
[40] che l’una costa surge e l’altra scende;
[46] «Omai convien che tu così ti spoltre»,
[53] con l’animo che vince ogne battaglia,
[55] Più lunga scala convien che si saglia;
[57] Se tu mi ’ntendi, or fa sì che ti vaglia».
[63] ed erto più assai che quel di pria.
[67] Non so che disse, ancor che sovra ’l dosso
[68] fossi de l’arco già che varca quivi;
[72] per ch’io: «Maestro, fa che tu arrivi
[84] che la memoria il sangue ancor mi scipa.
[90] né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe.
[98] s’avventò un serpente che ’l trafisse
[102] convenne che cascando divenisse;
[103] e poi che fu a terra sì distrutto,
[107] che la fenice more e poi rinasce,
[112] E qual è quel che cade, e non sa como,
[114] o d’altra oppilazion che lega l’omo,
[115] quando si leva, che ’ntorno si mira
[120] che cotai colpi per vendetta croscia!
[127] E ïo al duca: «Dilli che non mucci,
[128] e domanda che colpa qua giù ’l pinse;
[130] E ’l peccator, che ’ntese, non s’infinse,
[133] poi disse: «Più mi duol che tu m’hai colto
[135] che quando fui de l’altra vita tolto.
[136] Io non posso negar quel che tu chiedi;

25. Inferno • Canto XXV

[6] come dicesse ‘Non vo’ che più diche’;
[9] che non potea con esse dare un crollo.
[11] d’incenerarti sì che più non duri,
[12] poi che ’n mal fare il seme tuo avanzi?
[15] non quel che cadde a Tebe giù da’ muri.
[16] El si fuggì che non parlò più verbo;
[19] Maremma non cred’ io che tante n’abbia,
[26] che, sotto ’l sasso di monte Aventino,
[29] per lo furto che frodolente fece
[32] sotto la mazza d’Ercule, che forse
[34] Mentre che sì parlava, ed el trascorse,
[38] per che nostra novella si ristette,
[42] che l’un nomar un altro convenette,
[44] per ch’io, acciò che ’l duca stesse attento,
[48] ché io che ’l vidi, a pena il mi consento.
[66] che non è nero ancora e ’l bianco more.
[69] Vedi che già non se’ né due né uno».
[75] divenner membra che non fuor mai viste.
[104] che ’l serpente la coda in forca fesse,
[107] s’appiccar sì, che ’n poco la giuntura
[108] non facea segno alcun che si paresse.
[110] che si perdeva là, e la sua pelle
[116] diventaron lo membro che l’uom cela,
[118] Mentre che ’l fummo l’uno e l’altro vela
[127] ciò che non corse in dietro e si ritenne
[130] Quel che giacëa, il muso innanzi caccia,
[140] e disse a l’altro: «I’ vo’ che Buoso corra,
[145] E avvegna che li occhi miei confusi
[149] ed era quel che sol, di tre compagni
[150] che venner prima, non era mutato;
[151] l’altr’ era quel che tu, Gaville, piagni.

26. Inferno • Canto XXVI

[1] Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande
[2] che per mare e per terra batti l’ali,
[9] di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna.
[11] Così foss’ ei, da che pur esser dee!
[14] che n’avea fatto iborni a scender pria,
[22] perché non corra che virtù nol guidi;
[23] sì che, se stella bona o miglior cosa
[26] nel tempo che colui che ’l mondo schiara
[33] tosto che fui là ’ve ’l fondo parea.
[34] E qual colui che si vengiò con li orsi
[37] che nol potea sì con li occhi seguire,
[38] ch’el vedesse altro che la fiamma sola,
[44] sì che s’io non avessi un ronchion preso,
[46] E ’l duca che mi vide tanto atteso,
[51] che così fosse, e già voleva dirti:
[52] chi è ’n quel foco che vien sì diviso
[53] di sopra, che par surger de la pira
[59] l’agguato del caval che fé la porta
[61] Piangevisi entro l’arte per che, morta,
[66] e ripriego, che ’l priego vaglia mille,
[67] che non mi facci de l’attender niego
[68] fin che la fiamma cornuta qua vegna;
[69] vedi che del disio ver’ lei mi piego!».
[72] ma fa che la tua lingua si sostegna.
[74] ciò che tu vuoi; ch’ei sarebbero schivi,
[76] Poi che la fiamma fu venuta quivi
[79] «O voi che siete due dentro ad un foco,
[89] come fosse la lingua che parlasse,
[91] mi diparti’ da Circe, che sottrasse
[93] prima che sì Enëa la nomasse,
[105] e l’altre che quel mare intorno bagna.
[109] acciò che l’uom più oltre non si metta;
[112] “O frati”, dissi “che per cento milia
[123] che a pena poscia li avrei ritenuti;
[129] che non surgëa fuor del marin suolo.
[132] poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo,
[142] infin che ’l mar fu sovra noi richiuso».

27. Inferno • Canto XXVII

[4] quand’ un’altra, che dietro a lei venìa,
[6] per un confuso suon che fuor n’uscia.
[7] Come ’l bue cicilian che mugghiò prima
[9] che l’avea temperato con sua lima,
[11] sì che, con tutto che fosse di rame,
[18] che dato avea la lingua in lor passaggio,
[20] la voce e che parlavi mo lombardo,
[24] vedi che non incresce a me, e ardo!
[30] e ’l giogo di che Tever si diserra».
[36] «O anima che se’ là giù nascosta,
[42] sì che Cervia ricuopre co’ suoi vanni.
[43] La terra che fé già la lunga prova
[47] che fecer di Montagna il mal governo,
[51] che muta parte da la state al verno.
[55] Ora chi se’, ti priego che ne conte;
[58] Poscia che ’l foco alquanto ebbe rugghiato
[61] «S’i’ credesse che mia risposta fosse
[62] a persona che mai tornasse al mondo,
[64] ma però che già mai di questo fondo
[71] che mi rimise ne le prime colpe;
[72] e come e quare, voglio che m’intenda.
[74] che la madre mi diè, l’opere mie
[82] ciò che pria mi piacëa, allor m’increbbe,
[93] che solea fare i suoi cinti più macri.
[105] che ’l mio antecessor non ebbe care”.
[108] e dissi: “Padre, da che tu mi lavi
[120] per la contradizion che nol consente”.
[126] e poi che per gran rabbia la si morse,
[135] che cuopre ’l fosso in che si paga il fio
[136] a quei che scommettendo acquistan carco.

28. Inferno • Canto XXVIII

[8] che già, in su la fortunata terra
[11] che de l’anella fé sì alte spoglie,
[12] come Livïo scrive, che non erra,
[13] con quella che sentio di colpi doglie
[27] che merda fa di quel che si trangugia.
[28] Mentre che tutto in lui veder m’attacco,
[34] E tutti li altri che tu vedi qui,
[37] Un diavolo è qua dietro che n’accisma
[41] però che le ferite son richiuse
[43] Ma tu chi se’ che ’n su lo scoglio muse,
[49] a me, che morto son, convien menarlo
[52] Più fuor di cento che, quando l’udiro,
[55] «Or dì a fra Dolcin dunque che s’armi,
[56] tu che forse vedra’ il sole in breve,
[58] sì di vivanda, che stretta di neve
[61] Poi che l’un piè per girsene sospese,
[64] Un altro, che forata avea la gola
[75] che da Vercelli a Marcabò dichina.
[78] che, se l’antiveder qui non è vano,
[85] Quel traditor che vede pur con l’uno,
[86] e tien la terra che tale qui meco
[98] in Cesare, affermando che ’l fornito
[105] sì che ’l sangue facea la faccia sozza,
[107] che disse, lasso!, “Capo ha cosa fatta”,
[108] che fu mal seme per la gente tosca».
[115] se non che coscïenza m’assicura,
[116] la buona compagnia che l’uom francheggia
[126] com’ esser può, quei sa che sì governa.
[130] che fuoro: «Or vedi la pena molesta,
[131] tu che, spirando, vai veggendo i morti:
[135] che diedi al re giovane i ma’ conforti.

29. Inferno • Canto XXIX

[3] che de lo stare a piangere eran vaghe.
[4] Ma Virgilio mi disse: «Che pur guate?
[9] che miglia ventidue la valle volge.
[11] lo tempo è poco omai che n’è concesso,
[12] e altro è da veder che tu non vedi».
[21] la colpa che là giù cotanto costa».
[29] sovra colui che già tenne Altaforte,
[30] che non guardasti in là, sì fu partito».
[32] che non li è vendicata ancor», diss’ io,
[33] «per alcun che de l’onta sia consorte,
[38] che de lo scoglio l’altra valle mostra,
[41] di Malebolge, sì che i suoi conversi
[44] che di pietà ferrati avean li strali;
[57] punisce i falsador che qui registra.
[61] che li animali, infino al picciol vermo,
[63] secondo che i poeti hanno per fermo,
[72] che non potean levar le lor persone.
[78] né a colui che mal volontier vegghia,
[81] del pizzicor, che non ha più soccorso;
[84] o d’altro pesce che più larghe l’abbia.
[85] «O tu che con le dita ti dismaglie»,
[87] «e che fai d’esse talvolta tanaglie,
[89] che son quinc’ entro, se l’unghia ti basti
[91] «Latin siam noi, che tu vedi sì guasti
[93] «ma tu chi se’ che di noi dimandasti?».
[94] E ’l duca disse: «I’ son un che discendo
[99] con altri che l’udiron di rimbalzo.
[101] dicendo: «Dì a lor ciò che tu vuoli»;
[106] ditemi chi voi siete e di che genti;
[117] ardere a tal che l’avea per figliuolo.
[119] me per l’alchìmia che nel mondo usai
[124] Onde l’altro lebbroso, che m’intese,
[126] che seppe far le temperate spese,
[127] e Niccolò che la costuma ricca
[130] e tra’ne la brigata in che disperse
[135] sì che la faccia mia ben ti risponda:
[137] che falsai li metalli con l’alchìmia;

30. Inferno • Canto XXX

[1] Nel tempo che Iunone era crucciata
[5] che veggendo la moglie con due figli
[14] l’altezza de’ Troian che tutto ardiva,
[15] sì che ’nsieme col regno il re fu casso,
[17] poscia che vide Polissena morta,
[26] che mordendo correvan di quel modo
[27] che ’l porco quando del porcil si schiude.
[29] del collo l’assannò, sì che, tirando,
[31] E l’Aretin che rimase, tremando
[36] a dir chi è, pria che di qui si spicchi».
[38] di Mirra scellerata, che divenne
[42] come l’altro che là sen va, sostenne,
[46] E poi che i due rabbiosi fuor passati
[51] tronca da l’altro che l’uomo ha forcuto.
[52] La grave idropesì, che sì dispaia
[53] le membra con l’omor che mal converte,
[54] che ’l viso non risponde a la ventraia,
[56] come l’etico fa, che per la sete
[58] «O voi che sanz’ alcuna pena siete,
[64] Li ruscelletti che d’i verdi colli
[69] che ’l male ond’ io nel volto mi discarno.
[70] La rigida giustizia che mi fruga
[80] ombre che vanno intorno dicon vero;
[81] ma che mi val, c’ho le membra legate?
[92] che fumman come man bagnate ’l verno,
[96] e non credo che dieno in sempiterno.
[100] E l’un di lor, che si recò a noia
[105] col braccio suo, che non parve men duro,
[106] dicendo a lui: «Ancor che mi sia tolto
[107] lo muover per le membra che son gravi,
[120] «e sieti reo che tutto il mondo sallo!».
[123] che ’l ventre innanzi a li occhi sì t’assiepa!».
[127] tu hai l’arsura e ’l capo che ti duole,
[132] che per poco che teco non mi risso!».
[136] Qual è colui che suo dannaggio sogna,
[137] che sognando desidera sognare,
[138] sì che quel ch’è, come non fosse, agogna,
[140] che disïava scusarmi, e scusava
[143] disse ’l maestro, «che ’l tuo non è stato;
[146] se più avvien che fortuna t’accoglia

31. Inferno • Canto XXXI

[2] sì che mi tinse l’una e l’altra guancia,
[4] così od’ io che solea far la lancia
[8] su per la ripa che ’l cinge dintorno,
[10] Quiv’ era men che notte e men che giorno,
[11] sì che ’l viso m’andava innanzi poco;
[14] che, contra sé la sua via seguitando,
[20] che me parve veder molte alte torri;
[21] ond’ io: «Maestro, dì, che terra è questa?».
[22] Ed elli a me: «Però che tu trascorri
[24] avvien che poi nel maginare abborri.
[29] e disse: «Pria che noi siam più avanti,
[30] acciò che ’l fatto men ti paia strano,
[31] sappi che non son torri, ma giganti,
[36] ciò che cela ’l vapor che l’aere stipa,
[40] però che, come su la cerchia tonda
[42] così la proda che ’l pozzo circonda
[61] sì che la ripa, ch’era perizoma
[63] di sovra, che di giugnere a la chioma
[74] che ’l tien legato, o anima confusa,
[75] e vedi lui che ’l gran petto ti doga».
[85] A cigner lui qual che fosse ’l maestro,
[88] d’una catena che ’l tenea avvinto
[89] dal collo in giù, sì che ’n su lo scoperto
[98] che de lo smisurato Brïareo
[101] presso di qui che parla ed è disciolto,
[102] che ne porrà nel fondo d’ogne reo.
[103] Quel che tu vuo’ veder, più là è molto
[105] salvo che più feroce par nel volto».
[107] che scotesse una torre così forte,
[109] Allor temett’ io più che mai la morte,
[110] e non v’era mestier più che la dotta,
[113] e venimmo ad Anteo, che ben cinque alle,
[115] «O tu che ne la fortunata valle
[116] che fece Scipïon di gloria reda,
[119] e che, se fossi stato a l’alta guerra
[120] de’ tuoi fratelli, ancor par che si creda
[125] questi può dar di quel che qui si brama;
[139] tal parve Antëo a me che stava a bada
[142] Ma lievemente al fondo che divora

32. Inferno • Canto XXXII

[9] né da lingua che chiami mamma o babbo.
[12] sì che dal fatto il dir non sia diverso.
[14] che stai nel loco onde parlare è duro,
[20] va sì, che tu non calchi con le piante
[23] e sotto i piedi un lago che per gelo
[28] com’ era quivi; che se Tambernicchi
[42] che ’l pel del capo avieno insieme misto.
[43] «Ditemi, voi che sì strignete i petti»,
[63] non Focaccia; non questi che m’ingombra
[69] e aspetto Carlin che mi scagioni».
[86] che bestemmiava duramente ancora:
[87] «Qual se’ tu che così rampogni altrui?».
[88] «Or tu chi se’ che vai per l’Antenora,
[90] sì che, se fossi vivo, troppo fora?».
[98] e dissi: «El converrà che tu ti nomi,
[99] o che capel qui sù non ti rimagna».
[106] quando un altro gridò: «Che hai tu, Bocca?
[109] «Omai», diss’ io, «non vo’ che più favelle,
[112] «Va via», rispuose, «e ciò che tu vuoi conta;
[121] Gianni de’ Soldanier credo che sia
[126] sì che l’un capo a l’altro era cappello;
[132] che quei faceva il teschio e l’altre cose.
[133] «O tu che mostri per sì bestial segno
[134] odio sovra colui che tu ti mangi,
[136] che se tu a ragion di lui ti piangi,

33. Inferno • Canto XXXIII

[5] disperato dolor che ’l cor mi preme
[8] che frutti infamia al traditor ch’i’ rodo,
[10] Io non so chi tu se’ né per che modo
[16] Che per l’effetto de’ suo’ mai pensieri,
[19] però quel che non puoi avere inteso,
[24] e che conviene ancor ch’altrui si chiuda,
[27] che del futuro mi squarciò ’l velame.
[30] per che i Pisan veder Lucca non ponno.
[41] pensando ciò che ’l mio cor s’annunziava;
[42] e se non piangi, di che pianger suoli?
[44] che ’l cibo ne solëa essere addotto,
[51] disse: “Tu guardi sì, padre! che hai?”.
[54] infin che l’altro sol nel mondo uscìo.
[67] Poscia che fummo al quarto dì venuti,
[74] e due dì li chiamai, poi che fur morti.
[75] Poscia, più che ’l dolor, poté ’l digiuno».
[78] che furo a l’osso, come d’un can, forti.
[81] poi che i vicini a te punir son lenti,
[85] Che se ’l conte Ugolino aveva voce
[90] e li altri due che ’l canto suso appella.
[95] e ’l duol che truova in su li occhi rintoppo,
[100] E avvegna che, sì come d’un callo,
[108] veggendo la cagion che ’l fiato piove».
[111] tanto che data v’è l’ultima posta,
[113] sì ch’ïo sfoghi ’l duol che ’l cor m’impregna,
[114] un poco, pria che ’l pianto si raggeli».
[120] che qui riprendo dattero per figo».
[125] che spesse volte l’anima ci cade
[129] sappie che, tosto che l’anima trade
[131] da un demonio, che poscia il governa
[132] mentre che ’l tempo suo tutto sia vòlto.
[135] de l’ombra che di qua dietro mi verna.
[139] «Io credo», diss’ io lui, «che tu m’inganni;
[145] che questi lasciò il diavolo in sua vece
[147] che ’l tradimento insieme con lui fece.
[155] trovai di voi un tal, che per sua opra

34. Inferno • Canto XXXIV

[6] par di lungi un molin che ’l vento gira,
[21] ove convien che di fortezza t’armi».
[31] che i giganti non fan con le sue braccia:
[40] l’altr’ eran due, che s’aggiugnieno a questa
[51] sì che tre venti si movean da ello:
[57] sì che tre ne facea così dolenti.
[59] verso ’l graffiar, che talvolta la schiena
[63] che ’l capo ha dentro e fuor le gambe mena.
[65] quel che pende dal nero ceffo è Bruto:
[67] e l’altro è Cassio, che par sì membruto.
[80] e aggrappossi al pel com’ om che sale,
[81] sì che ’n inferno i’ credea tornar anche.
[92] la gente grossa il pensi, che non vede
[108] al pel del vermo reo che ’l mondo fóra.
[113] ch’è contraposto a quel che la gran secca
[115] fu l’uom che nacque e visse sanza pecca;
[117] che l’altra faccia fa de la Giudecca.
[119] e questi, che ne fé scala col pelo,
[122] e la terra, che pria di qua si sporse,
[129] che non per vista, ma per suono è noto
[130] d’un ruscelletto che quivi discende
[138] che porta ’l ciel, per un pertugio tondo.

35. Purgatorio • Canto I

[3] che lascia dietro a sé mar sì crudele;
[8] o sante Muse, poi che vostro sono;
[12] lo colpo tal, che disperar perdono.
[14] che s’accoglieva nel sereno aspetto
[18] che m’avea contristati li occhi e ’l petto.
[19] Lo bel pianeto che d’amar conforta
[27] poi che privato se’ di mirar quelle!
[33] che più non dee a padre alcun figliuolo.
[40] «Chi siete voi che contro al cieco fiume
[43] «Chi v’ha guidati, o che vi fu lucerna,
[45] che sempre nera fa la valle inferna?
[48] che, dannati, venite a le mie grotte?».
[55] Ma da ch’è tuo voler che più si spieghi
[57] esser non puote il mio che a te si nieghi.
[60] che molto poco tempo a volger era.
[63] che questa per la quale i’ mi son messo.
[66] che purgan sé sotto la tua balìa.
[68] de l’alto scende virtù che m’aiuta
[79] di Marzia tua, che ’n vista ancor ti priega,
[80] o santo petto, che per tua la tegni:
[87] «che quante grazie volse da me, fei.
[88] Or che di là dal mal fiume dimora,
[90] che fatta fu quando me n’usci’ fora.
[93] bastisi ben che per lei mi richegge.
[94] Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
[95] d’un giunco schietto e che li lavi ’l viso,
[103] null’ altra pianta che facesse fronda
[107] lo sol vi mosterrà, che surge omai,
[116] che fuggia innanzi, sì che di lontano
[119] com’ om che torna a la perduta strada,
[120] che ’nfino ad essa li pare ire in vano.
[126] ond’ io, che fui accorto di sua arte,
[129] quel color che l’inferno mi nascose.
[131] che mai non vide navicar sue acque
[132] omo, che di tornar sia poscia esperto.

36. Purgatorio • Canto II

[4] e la notte, che opposita a lui cerchia,
[6] che le caggion di man quando soverchia;
[7] sì che le bianche e le vermiglie guance,
[11] come gente che pensa a suo cammino,
[12] che va col cuore e col corpo dimora.
[18] che ’l muover suo nessun volar pareggia.
[23] un non sapeva che bianco, e di sotto
[26] mentre che i primi bianchi apparver ali;
[27] allor che ben conobbe il galeotto,
[28] gridò: «Fa, fa che le ginocchia cali.
[31] Vedi che sdegna li argomenti umani,
[32] sì che remo non vuol, né altro velo
[33] che l’ali sue, tra liti sì lontani.
[36] che non si mutan come mortal pelo».
[39] per che l’occhio da presso nol sostenne,
[42] tanto che l’acqua nulla ne ’nghiottiva.
[44] tal che faria beato pur descripto;
[52] La turba che rimase lì, selvaggia
[54] come colui che nove cose assaggia.
[62] forse che siamo esperti d’esto loco;
[65] per altra via, che fu sì aspra e forte,
[66] che lo salire omai ne parrà gioco».
[67] L’anime, che si fuor di me accorte,
[70] E come a messagger che porta ulivo
[78] che mosse me a far lo somigliante.
[79] Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto!
[83] per che l’ombra sorrise e si ritrasse,
[87] che, per parlarmi, un poco s’arrestasse.
[95] se quei che leva quando e cui li piace,
[104] però che sempre quivi si ricoglie
[108] che mi solea quetar tutte mie doglie,
[110] l’anima mia, che, con la sua persona
[112] ‘Amor che ne la mente mi ragiona’
[114] che la dolcezza ancor dentro mi suona.
[120] gridando: «Che è ciò, spiriti lenti?
[132] com’ om che va, né sa dove rïesca;

37. Purgatorio • Canto III

[1] Avvegna che la subitana fuga
[11] che l’onestade ad ogn’ atto dismaga,
[12] la mente mia, che prima era ristretta,
[15] che ’nverso ’l ciel più alto si dislaga.
[16] Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,
[29] non ti maravigliar più che d’i cieli
[30] che l’uno a l’altro raggio non ingombra.
[33] che, come fa, non vuol ch’a noi si sveli.
[34] Matto è chi spera che nostra ragione
[36] che tiene una sustanza in tre persone.
[41] tai che sarebbe lor disio quetato,
[48] che ’ndarno vi sarien le gambe pronte.
[54] «sì che possa salir chi va sanz’ ala?».
[59] d’anime, che movieno i piè ver’ noi,
[75] ch’i’ credo che per voi tutti s’aspetti,
[77] sì che possibil sia l’andare in suso;
[82] e ciò che fa la prima, e l’altre fanno,
[90] sì che l’ombra era da me a la grotta,
[92] e tutti li altri che venieno appresso,
[95] che questo è corpo uman che voi vedete;
[96] per che ’l lume del sole in terra è fesso.
[98] che non sanza virtù che da ciel vegna
[114] ond’ io ti priego che, quando tu riedi,
[120] piangendo, a quei che volontier perdona.
[123] che prende ciò che si rivolge a lei.
[124] Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia
[134] che non possa tornar, l’etterno amore,
[135] mentre che la speranza ha fior del verde.
[136] Vero è che quale in contumacia more

38. Purgatorio • Canto IV

[2] che alcuna virtù nostra comprenda,
[5] e questo è contra quello error che crede
[8] che tegna forte a sé l’anima volta,
[10] ch’altra potenza è quella che l’ascolta,
[22] che non era la calla onde salìne
[30] che speranza mi dava e facea lume.
[34] Poi che noi fummo in su l’orlo suppremo
[36] «Maestro mio», diss’ io, «che via faremo?».
[39] fin che n’appaia alcuna scorta saggia».
[40] Lo sommo er’ alto che vincea la vista,
[42] che da mezzo quadrante a centro lista.
[48] che da quel lato il poggio tutto gira.
[51] tanto che ’l cinghio sotto i piè mi fue.
[54] che suole a riguardar giovare altrui.
[57] che da sinistra n’eravam feriti.
[63] che sù e giù del suo lume conduce,
[72] che mal non seppe carreggiar Fetòn,
[73] vedrai come a costui convien che vada
[79] che ’l mezzo cerchio del moto superno,
[80] che si chiama Equatore in alcun’ arte,
[81] e che sempre riman tra ’l sole e ’l verno,
[82] per la ragion che di’, quinci si parte
[87] più che salir non posson li occhi miei».
[89] che sempre al cominciar di sotto è grave;
[92] tanto, che sù andar ti fia leggero
[99] che di sedere in pria avrai distretta!».
[104] che si stavano a l’ombra dietro al sasso
[106] E un di lor, che mi sembiava lasso,
[110] colui che mostra sé più negligente
[111] che se pigrizia fosse sua serocchia».
[114] e disse: «Or va tu sù, che se’ valente!».
[116] che m’avacciava un poco ancor la lena,
[127] Ed elli: «O frate, andar in sù che porta?
[129] l’angel di Dio che siede in su la porta.
[130] Prima convien che tanto il ciel m’aggiri
[134] che surga sù di cuor che in grazia viva;
[135] l’altra che val, che ’n ciel non è udita?».

39. Purgatorio • Canto V

[4] una gridò: «Ve’ che non par che luca
[6] e come vivo par che si conduca!».
[11] disse ’l maestro, «che l’andare allenti?
[12] che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
[14] sta come torre ferma, che non crolla
[19] Che potea io ridir, se non «Io vegno»?
[21] che fa l’uom di perdon talvolta degno.
[32] e ritrarre a color che vi mandaro
[33] che ’l corpo di costui è vera carne.
[40] che color non tornasser suso in meno;
[42] come schiera che scorre sanza freno.
[43] «Questa gente che preme a noi è molta,
[46] «O anima che vai per esser lieta
[50] sì che di lui di là novella porti:
[55] sì che, pentendo e perdonando, fora
[57] che del disio di sé veder n’accora».
[62] che, dietro a’ piedi di sì fatta guida,
[66] pur che ’l voler nonpossa non ricida.
[67] Ond’ io, che solo innanzi a li altri parlo,
[69] che siede tra Romagna e quel di Carlo,
[70] che tu mi sie di tuoi prieghi cortese
[71] in Fano, sì che ben per me s’adori
[77] quel da Esti il fé far, che m’avea in ira
[78] assai più là che dritto non volea.
[86] si compia che ti tragge a l’alto monte,
[93] che non si seppe mai tua sepultura?».
[96] che sovra l’Ermo nasce in Apennino.
[107] per una lagrimetta che ’l mi toglie;
[110] quell’ umido vapor che in acqua riede,
[111] tosto che sale dove ’l freddo il coglie.
[112] Giunse quel mal voler che pur mal chiede
[114] per la virtù che sua natura diede.
[118] sì che ’l pregno aere in acqua si converse;
[120] di lei ciò che la terra non sofferse;
[123] si ruinò, che nulla la ritenne.
[133] «ricorditi di me, che son la Pia;
[135] salsi colui che ’nnanellata pria

40. Purgatorio • Canto VI

[2] colui che perde si riman dolente,
[13] Quiv’ era l’Aretin che da le braccia
[18] che fé parer lo buon Marzucco forte.
[24] sì che però non sia di peggior greggia.
[26] quell’ ombre che pregar pur ch’altri prieghi,
[27] sì che s’avacci lor divenir sante,
[28] io cominciai: «El par che tu mi nieghi,
[30] che decreto del cielo orazion pieghi;
[39] ciò che de’ sodisfar chi qui s’astalla;
[45] che lume fia tra ’l vero e lo ’ntelletto.
[51] e vedi omai che ’l poggio l’ombra getta».
[54] ma ’l fatto è d’altra forma che non stanzi.
[55] Prima che sie là sù, tornar vedrai
[56] colui che già si cuopre de la costa,
[57] sì che ’ suoi raggi tu romper non fai.
[58] Ma vedi là un’anima che, posta
[68] che ne mostrasse la miglior salita;
[88] Che val perché ti racconciasse il freno
[91] Ahi gente che dovresti esser devota,
[93] se bene intendi ciò che Dio ti nota,
[96] poi che ponesti mano a la predella.
[102] tal che ’l tuo successor temenza n’aggia!
[105] che ’l giardin de lo ’mperio sia diserto.
[112] Vieni a veder la tua Roma che piagne
[119] che fosti in terra per noi crucifisso,
[121] O è preparazion che ne l’abisso
[126] ogne villan che parteggiando viene.
[128] di questa digression che non ti tocca,
[129] mercé del popol tuo che si argomenta.
[139] Atene e Lacedemona, che fenno
[142] verso di te, che fai tanto sottili
[144] non giugne quel che tu d’ottobre fili.
[145] Quante volte, del tempo che rimembre,
[150] che non può trovar posa in su le piume,

41. Purgatorio • Canto VII

[1] Poscia che l’accoglienze oneste e liete
[4] «Anzi che a questo monte fosser volte
[8] lo ciel perdei che per non aver fé».
[10] Qual è colui che cosa innanzi sé
[12] che crede e non, dicendo «Ella è . . . non è . . . »,
[17] mostrò ciò che potea la lingua nostra,
[26] a veder l’alto Sol che tu disiri
[27] e che fu tardi per me conosciuto.
[33] che fosser da l’umana colpa essenti;
[34] quivi sto io con quei che le tre sante
[38] dà noi per che venir possiam più tosto
[56] che la notturna tenebra, ad ir suso;
[60] mentre che l’orizzonte il dì tien chiuso».
[65] quand’ io m’accorsi che ’l monte era scemo,
[66] a guisa che i vallon li sceman quici.
[71] che ne condusse in fianco de la lacca,
[75] fresco smeraldo in l’ora che si fiacca,
[84] che per la valle non parean di fuori.
[85] «Prima che ’l poco sole omai s’annidi»,
[86] cominciò ’l Mantoan che ci avea vòlti,
[90] che ne la lama giù tra essi accolti.
[91] Colui che più siede alto e fa sembianti
[92] d’aver negletto ciò che far dovea,
[93] e che non move bocca a li altrui canti,
[94] Rodolfo imperador fu, che potea
[96] sì che tardi per altri si ricrea.
[97] L’altro che ne la vista lui conforta,
[99] che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta:
[101] fu meglio assai che Vincislao suo figlio
[103] E quel nasetto che stretto a consiglio
[111] e quindi viene il duol che sì li lancia.
[112] Quel che par sì membruto e che s’accorda,
[116] lo giovanetto che retro a lui siede,
[118] che non si puote dir de l’altre rede;
[123] quei che la dà, perché da lui si chiami.
[125] non men ch’a l’altro, Pier, che con lui canta,
[128] quanto, più che Beatrice e Margherita,
[133] Quel che più basso tra costor s’atterra,

42. Purgatorio • Canto VIII

[1] Era già l’ora che volge il disio
[4] e che lo novo peregrin d’amore
[6] che paia il giorno pianger che si more;
[9] surta, che l’ascoltar chiedea con mano.
[15] che fece me a me uscir di mente;
[21] certo che ’l trapassar dentro è leggero.
[29] erano in veste, che da verdi penne
[33] sì che la gente in mezzo si contenne.
[39] per lo serpente che verrà vie via».
[40] Ond’ io, che non sapeva per qual calle,
[47] e fui di sotto, e vidi un che mirava
[49] Temp’ era già che l’aere s’annerava,
[50] ma non sì che tra li occhi suoi e ’ miei
[51] non dichiarisse ciò che pria serrava.
[56] poi dimandò: «Quant’ è che tu venisti
[60] ancor che l’altra, sì andando, acquisti».
[65] che sedea lì, gridando: «Sù, Currado!
[66] vieni a veder che Dio per grazia volse».
[68] che tu dei a colui che sì nasconde
[69] lo suo primo perché, che non lì è guado,
[71] dì a Giovanna mia che per me chiami
[73] Non credo che la sua madre più m’ami,
[74] poscia che trasmutò le bianche bende,
[75] le quai convien che, misera!, ancor brami.
[80] la vipera che Melanesi accampa,
[84] che misuratamente in core avvampa.
[88] E ’l duca mio: «Figliuol, che là sù guarde?».
[90] di che ’l polo di qua tutto quanto arde».
[92] che vedevi staman, son di là basse,
[102] leccando come bestia che si liscia.
[109] L’ombra che s’era al giudice raccolta
[112] «Se la lucerna che ti mena in alto
[117] sai, dillo a me, che già grande là era.
[120] a’ miei portai l’amor che qui raffina».
[124] La fama che la vostra casa onora,
[126] sì che ne sa chi non vi fu ancora;
[128] che vostra gente onrata non si sfregia
[131] che, perché il capo reo il mondo torca,
[133] Ed elli: «Or va; che ’l sol non si ricorca
[134] sette volte nel letto che ’l Montone
[136] che cotesta cortese oppinïone
[138] con maggior chiovi che d’altrui sermone,

43. Purgatorio • Canto IX

[6] che con la coda percuote la gente;
[7] e la notte, de’ passi con che sale,
[10] quand’ io, che meco avea di quel d’Adamo,
[13] Ne l’ora che comincia i tristi lai
[16] e che la mente nostra, peregrina
[28] Poi mi parea che, poi rotata un poco,
[31] Ivi parea che ella e io ardesse;
[33] che convenne che ’l sonno si rompesse.
[40] che mi scoss’ io, sì come da la faccia
[42] come fa l’uom che, spaventato, agghiaccia.
[44] e ’l sole er’ alto già più che due ore,
[50] vedi là il balzo che ’l chiude dintorno;
[52] Dianzi, ne l’alba che procede al giorno,
[56] lasciatemi pigliar costui che dorme;
[64] A guisa d’uom che ’n dubbio si raccerta
[65] e che muta in conforto sua paura,
[66] poi che la verità li è discoperta,
[74] che là dove pareami prima rotto,
[75] pur come un fesso che muro diparte,
[83] che reflettëa i raggi sì ver’ noi,
[85] «Dite costinci: che volete voi?»,
[87] Guardate che ’l venir sù non vi nòi».
[97] Era il secondo tinto più che perso,
[100] Lo terzo, che di sopra s’ammassiccia,
[102] come sangue che fuor di vena spiccia.
[105] che mi sembiava pietra di diamante.
[108] umilemente che ’l serrame scioglia».
[113] col punton de la spada, e «Fa che lavi,
[115] Cenere, o terra che secca si cavi,
[122] che non si volga dritta per la toppa»,
[125] d’arte e d’ingegno avanti che diserri,
[126] perch’ ella è quella che ’l nodo digroppa.
[129] pur che la gente a’ piedi mi s’atterri».
[132] che di fuor torna chi ’n dietro si guata».
[135] che di metallo son sonanti e forti,
[138] Metello, per che poi rimase macra.

44. Purgatorio • Canto X

[2] che ’l mal amor de l’anime disusa,
[8] che si moveva e d’una e d’altra parte,
[9] sì come l’onda che fugge e s’appressa.
[12] or quinci, or quindi al lato che si parte».
[14] tanto che pria lo scemo de la luna
[16] che noi fossimo fuor di quella cruna;
[21] solingo più che strade per diserti.
[23] al piè de l’alta ripa che pur sale,
[30] che dritto di salita aveva manco,
[32] d’intagli sì, che non pur Policleto,
[34] L’angel che venne in terra col decreto
[39] che non sembiava imagine che tace.
[47] disse ’l dolce maestro, che m’avea
[51] onde m’era colui che mi movea,
[54] acciò che fosse a li occhi miei disposta.
[57] per che si teme officio non commesso.
[62] che v’era imaginato, li occhi e ’l naso
[66] e più e men che re era in quel caso.
[72] che di dietro a Micòl mi biancheggiava.
[90] a te che fia, se ’l tuo metti in oblio?»;
[94] Colui che mai non vide cosa nova
[106] Non vo’ però, lettor, che tu ti smaghi
[108] come Dio vuol che ’l debito si paghi.
[114] e non so che, sì nel veder vaneggio».
[117] sì che ’ miei occhi pria n’ebber tencione.
[119] col viso quel che vien sotto a quei sassi:
[122] che, de la vista de la mente infermi,
[124] non v’accorgete voi che noi siam vermi
[126] che vola a la giustizia sanza schermi?
[127] Di che l’animo vostro in alto galla,
[136] Vero è che più e meno eran contratti

45. Purgatorio • Canto XI

[1] «O Padre nostro, che ne’ cieli stai,
[19] Nostra virtù che di legger s’adona,
[21] ma libera da lui che sì la sprona.
[24] ma per color che dietro a noi restaro».
[27] simile a quel che talvolta si sogna,
[32] di qua che dire e far per lor si puote
[35] che portar quinci, sì che, mondi e lievi,
[38] tosto, sì che possiate muover l’ala,
[39] che secondo il disio vostro vi lievi,
[42] quel ne ’nsegnate che men erto cala;
[43] ché questi che vien meco, per lo ’ncarco
[46] Le lor parole, che rendero a queste
[47] che dette avea colui cu’ io seguiva,
[53] che la cervice mia superba doma,
[63] che, non pensando a la comune madre,
[71] per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia,
[74] e un di lor, non questi che parlava,
[75] si torse sotto il peso che li ’mpaccia,
[78] a me che tutto chin con loro andava.
[83] che pennelleggia Franco Bolognese;
[90] che, possendo peccar, mi volsi a Dio.
[96] sì che la fama di colui è scura.
[103] Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
[104] da te la carne, che se fossi morto
[105] anzi che tu lasciassi il ‘pappo’ e ’l ‘dindi’,
[106] pria che passin mill’ anni? ch’è più corto
[108] al cerchio che più tardi in cielo è torto.
[109] Colui che del cammin sì poco piglia
[113] la rabbia fiorentina, che superba
[116] che viene e va, e quei la discolora
[125] poi che morì; cotal moneta rende
[128] pria che si penta, l’orlo de la vita,
[131] prima che passi tempo quanto visse,
[139] Più non dirò, e scuro so che parlo;
[140] ma poco tempo andrà, che ’ tuoi vicini
[141] faranno sì che tu potrai chiosarlo.

46. Purgatorio • Canto XII

[1] Di pari, come buoi che vanno a giogo,
[3] fin che ’l sofferse il dolce pedagogo.
[8] con la persona, avvegna che i pensieri
[21] che solo a’ pïi dà de le calcagne;
[25] Vedea colui che fu nobil creato
[36] che ’n Sennaàr con lui superbi fuoro.
[37] O Nïobè, con che occhi dolenti
[42] che poi non sentì pioggia né rugiada!
[45] de l’opera che mal per te si fé.
[46] O Roboàm, già non par che minacci
[56] che fé Tamiri, quando disse a Ciro:
[59] li Assiri, poi che fu morto Oloferne,
[63] mostrava il segno che lì si discerne!
[65] che ritraesse l’ombre e ’ tratti ch’ivi
[69] quant’ io calcai, fin che chinato givi.
[72] sì che veggiate il vostro mal sentero!
[75] che non stimava l’animo non sciolto,
[76] quando colui che sempre innanzi atteso
[79] Vedi colà un angel che s’appresta
[80] per venir verso noi; vedi che torna
[83] sì che i diletti lo ’nvïarci in suso;
[84] pensa che questo dì mai non raggiorna!».
[86] pur di non perder tempo, sì che ’n quella
[101] dove siede la chiesa che soggioga
[104] per le scalee che si fero ad etade
[106] così s’allenta la ripa che cade
[111] cantaron sì, che nol diria sermone.
[117] che per lo pian non mi parea davanti.
[119] levata s’è da me, che nulla quasi
[121] Rispuose: «Quando i P che son rimasi
[122] ancor nel volto tuo presso che stinti,
[125] che non pur non fatica sentiranno,
[127] Allor fec’ io come color che vanno
[129] se non che ’ cenni altrui sospecciar fanno;
[130] per che la mano ad accertar s’aiuta,
[132] che non si può fornir per la veduta;
[134] trovai pur sei le lettere che ’ncise
[136] a che guardando, il mio duca sorrise.

47. Purgatorio • Canto XIII

[3] lo monte che salendo altrui dismala.
[6] se non che l’arco suo più tosto piega.
[7] Ombra non lì è né segno che si paia:
[12] che troppo avrà d’indugio nostra eletta».
[28] La prima voce che passò volando
[31] E prima che del tutto non si udisse
[34] «Oh!», diss’ io, «padre, che voci son queste?».
[41] credo che l’udirai, per mio avviso,
[42] prima che giunghi al passo del perdono.
[46] Allora più che prima li occhi apersi;
[49] E poi che fummo un poco più avanti,
[52] Non credo che per terra vada ancoi
[53] omo sì duro, che non fosse punto
[56] che li atti loro a me venivan certi,
[66] ma per la vista che non meno agogna.
[72] si fa però che queto non dimora.
[76] Ben sapev’ ei che volea dir lo muto;
[83] ombre, che per l’orribile costura
[84] premevan sì, che bagnavan le gote.
[87] che ’l disio vostro solo ha in sua cura,
[89] di vostra coscïenza sì che chiaro
[92] s’anima è qui tra voi che sia latina;
[96] che vivesse in Italia peregrina».
[98] più innanzi alquanto che là dov’ io stava,
[103] «Spirto», diss’ io, «che per salir ti dome,
[104] se tu se’ quelli che mi rispondesti,
[108] lagrimando a colui che sé ne presti.
[109] Savia non fui, avvegna che Sapìa
[111] più lieta assai che di ventura mia.
[130] Ma tu chi se’, che nostre condizioni
[138] che già lo ’ncarco di là giù mi pesa».
[146] rispuose, «che gran segno è che Dio t’ami;
[148] E cheggioti, per quel che tu più brami,
[150] che a’ miei propinqui tu ben mi rinfami.
[152] che spera in Talamone, e perderagli

48. Purgatorio • Canto XIV

[1] «Chi è costui che ’l nostro monte cerchia
[2] prima che morte li abbia dato il volo,
[5] domandal tu che più li t’avvicini,
[6] e dolcemente, sì che parli, acco’lo».
[10] e disse l’uno: «O anima che fitta
[15] quanto vuol cosa che non fu più mai».
[17] un fiumicel che nasce in Falterona,
[24] quei che diceva pria, «tu parli d’Arno».
[28] E l’ombra che di ciò domandata era,
[30] ben è che ’l nome di tal valle pèra;
[33] che ’n pochi luoghi passa oltra quel segno,
[35] di quel che ’l ciel de la marina asciuga,
[36] ond’ hanno i fiumi ciò che va con loro,
[39] del luogo, o per mal uso che li fruga:
[42] che par che Circe li avesse in pastura.
[44] che d’altro cibo fatto in uman uso,
[47] ringhiosi più che non chiede lor possa,
[54] che non temono ingegno che le occùpi.
[57] di ciò che vero spirto mi disnoda.
[58] Io veggio tuo nepote che diventa
[65] lasciala tal, che di qui a mille anni
[69] da qual che parte il periglio l’assanni,
[70] così vid’ io l’altr’ anima, che volta
[76] per che lo spirto che di pria parlòmi
[78] nel fare a te ciò che tu far non vuo’mi.
[79] Ma da che Dio in te vuol che traluca
[83] che se veduto avesse uom farsi lieto,
[95] di venenosi sterpi, sì che tardi
[105] Ugolin d’Azzo che vivette nosco,
[110] che ne ’nvogliava amore e cortesia
[113] poi che gita se n’è la tua famiglia
[115] Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;
[117] che di figliar tai conti più s’impiglia.
[118] Ben faranno i Pagan, da che ’l demonio
[119] lor sen girà; ma non però che puro
[122] è ’l nome tuo, da che più non s’aspetta
[125] troppo di pianger più che di parlare,
[127] Noi sapavam che quell’ anime care
[132] voce che giunse di contra dicendo:
[134] e fuggì come tuon che si dilegua,
[138] che somigliò tonar che tosto segua:
[139] «Io sono Aglauro che divenni sasso»;
[144] che dovria l’uom tener dentro a sua meta.
[145] Ma voi prendete l’esca, sì che l’amo

49. Purgatorio • Canto XV

[3] che sempre a guisa di fanciullo scherza,
[9] che già dritti andavamo inver’ l’occaso,
[11] a lo splendore assai più che di prima,
[15] che del soverchio visibile lima.
[19] a quel che scende, e tanto si diparte
[24] per che a fuggir la mia vista fu ratta.
[25] «Che è quel, dolce padre, a che non posso
[26] schermar lo viso tanto che mi vaglia»,
[30] «messo è che viene ad invitar ch’om saglia.
[36] ad un scaleo vie men che li altri eretto».
[39] cantato retro, e ‘Godi tu che vinci!’.
[44] «Che volse dir lo spirto di Romagna,
[59] diss’ io, «che se mi fosse pria taciuto,
[63] di sé che se da pochi è posseduto?».
[64] Ed elli a me: «Però che tu rificchi
[68] che là sù è, così corre ad amore
[71] sì che, quantunque carità si stende,
[79] Procaccia pur che tosto sieno spente,
[81] che si richiudon per esser dolente».
[84] sì che tacer mi fer le luci vaghe.
[93] ciò che pareva prima, dispario.
[95] giù per le gote che ’l dolor distilla
[104] «Che farem noi a chi mal ne disira,
[105] se quei che ci ama è per noi condannato?»,
[110] che l’aggravava già, inver’ la terra,
[113] che perdonasse a’ suoi persecutori,
[114] con quello aspetto che pietà diserra.
[116] a le cose che son fuor di lei vere,
[118] Lo duca mio, che mi potea vedere
[119] far sì com’ om che dal sonno si slega,
[120] disse: «Che hai che non ti puoi tenere,
[121] ma se’ venuto più che mezza lega
[125] io ti dirò», diss’ io, «ciò che m’apparve
[130] Ciò che vedesti fu perché non scuse
[132] che da l’etterno fonte son diffuse.
[133] Non dimandai “Che hai?” per quel che face
[134] chi guarda pur con l’occhio che non vede,

50. Purgatorio • Canto XVI

[7] che l’occhio stare aperto non sofferse;
[12] in cosa che ’l molesti, o forse ancida,
[14] ascoltando il mio duca che diceva
[15] pur: «Guarda che da me tu non sia mozzo».
[18] l’Agnel di Dio che le peccata leva.
[21] sì che parea tra esse ogne concordia.
[25] «Or tu chi se’ che ’l nostro fummo fendi,
[31] E io: «O creatura che ti mondi
[32] per tornar bella a colui che ti fece,
[38] che la morte dissolve men vo suso,
[41] tanto che vuol ch’i’ veggia la sua corte
[51] che per me prieghi quando sù sarai».
[53] di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio
[56] ne la sentenza tua, che mi fa certo
[61] ma priego che m’addite la cagione,
[64] Alto sospir, che duolo strinse in «uhi!»,
[67] Voi che vivete ogne cagion recate
[76] e libero voler; che, se fatica
[81] la mente in voi, che ’l ciel non ha in sua cura.
[85] Esce di mano a lui che la vagheggia
[86] prima che sia, a guisa di fanciulla
[87] che piangendo e ridendo pargoleggia,
[88] l’anima semplicetta che sa nulla,
[89] salvo che, mossa da lieto fattore,
[90] volontier torna a ciò che la trastulla.
[95] convenne rege aver, che discernesse
[98] Nullo, però che ’l pastor che procede,
[100] per che la gente, che sua guida vede
[103] Ben puoi veder che la mala condotta
[104] è la cagion che ’l mondo ha fatto reo,
[105] e non natura che ’n voi sia corrotta.
[106] Soleva Roma, che ’l buon mondo feo,
[107] due soli aver, che l’una e l’altra strada
[111] per viva forza mal convien che vada;
[112] però che, giunti, l’un l’altro non teme:
[117] prima che Federigo avesse briga;
[123] che Dio a miglior vita li ripogna:
[125] e Guido da Castel, che mei si noma,
[127] Dì oggimai che la Chiesa di Roma,
[133] Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio
[138] par che del buon Gherardo nulla senta.
[142] Vedi l’albor che per lo fummo raia

51. Purgatorio • Canto XVII

[3] non altrimenti che per pelle talpe,
[9] lo sole in pria, che già nel corcar era.
[13] O imaginativa che ne rube
[17] Moveti lume che nel ciel s’informa,
[18] per sé o per voler che giù lo scorge.
[19] De l’empiezza di lei che mutò forma
[23] dentro da sé, che di fuor non venìa
[24] cosa che fosse allor da lei ricetta.
[30] che fu al dire e al far così intero.
[38] or m’hai perduta! Io son essa che lutto,
[42] che fratto guizza pria che muoia tutto;
[44] tosto che lume il volto mi percosse,
[45] maggior assai che quel ch’è in nostro uso.
[48] che da ogne altro intento mi rimosse;
[50] di riguardar chi era che parlava,
[51] che mai non posa, se non si raffronta.
[52] Ma come al sol che nostra vista grava
[55] «Questo è divino spirito, che ne la
[62] procacciam di salir pria che s’abbui,
[69] pacifici, che son sanz’ ira mala!’.
[71] li ultimi raggi che la notte segue,
[72] che le stelle apparivan da più lati.
[101] o con men che non dee corre nel bene,
[105] e d’ogne operazion che merta pene.
[113] che ’l mal che s’ama è del prossimo; ed esso
[120] onde s’attrista sì che ’l contrario ama;
[122] sì che si fa de la vendetta ghiotto,
[123] e tal convien che ’l male altrui impronti.
[125] si piange: or vo’ che tu de l’altro intende,
[126] che corre al ben con ordine corrotto.
[129] per che di giugner lui ciascun contende.
[133] Altro ben è che non fa l’uom felice;
[139] tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi».

52. Purgatorio • Canto XVIII

[7] Ma quel padre verace, che s’accorse
[8] del timido voler che non s’apriva,
[14] che mi dimostri amore, a cui reduci
[18] l’error de’ ciechi che si fanno duci.
[20] ad ogne cosa è mobile che piace,
[21] tosto che dal piacere in atto è desto.
[24] sì che l’animo ad essa volger face;
[27] che per piacer di novo in voi si lega.
[33] fin che la cosa amata il fa gioire.
[37] però che forse appar la sua matera
[39] è buono, ancor che buona sia la cera».
[49] Ogne forma sustanzïal, che setta
[53] né si dimostra mai che per effetto,
[58] che sono in voi sì come studio in ape
[62] innata v’è la virtù che consiglia,
[66] che buoni e rei amori accoglie e viglia.
[67] Color che ragionando andaro al fondo,
[70] Onde, poniam che di necessitate
[71] surga ogne amor che dentro a voi s’accende,
[75] che l’abbi a mente, s’a parlar ten prende».
[78] fatta com’ un secchion che tuttor arda;
[80] che ’l sole infiamma allor che quel da Roma
[83] Pietola più che villa mantoana,
[85] per ch’io, che la ragione aperta e piana
[87] stava com’ om che sonnolento vana.
[89] subitamente da gente che dopo
[93] pur che i Teban di Bacco avesser uopo,
[103] «Ratto, ratto, che ’l tempo non si perda
[105] «che studio di ben far grazia rinverda».
[109] questi che vive, e certo i’ non vi bugio,
[110] vuole andar sù, pur che ’l sol ne riluca;
[116] che restar non potem; però perdona,
[122] che tosto piangerà quel monastero,
[125] e de la mente peggio, e che mal nacque,
[130] E quei che m’era ad ogne uopo soccorso
[135] che vedesse Iordan le rede sue.
[136] E quella che l’affanno non sofferse
[140] quell’ ombre, che veder più non potiersi,
[144] che li occhi per vaghezza ricopersi,

53. Purgatorio • Canto XIX

[1] Ne l’ora che non può ’l calor dïurno
[6] surger per via che poco le sta bruna—,
[11] le fredde membra che la notte aggrava,
[17] cominciava a cantar sì, che con pena
[20] che ’ marinari in mezzo mar dismago;
[33] quel mi svegliò col puzzo che n’uscia.
[41] come colui che l’ha di pensier carca,
[42] che fa di sé un mezzo arco di ponte;
[46] Con l’ali aperte, che parean di cigno,
[47] volseci in sù colui che sì parlonne
[52] «Che hai che pur inver’ la terra guati?»,
[59] che sola sovr’ a noi omai si piagne;
[62] li occhi rivolgi al logoro che gira
[64] Quale ’l falcon, che prima a’ pié si mira,
[66] per lo disio del pasto che là il tira,
[71] vidi gente per esso che piangea,
[75] che la parola a pena s’intendea.
[87] ciò che chiedea la vista del disio.
[105] che piuma sembran tutte l’altre some.
[109] Vidi che lì non s’acquetava il core,
[111] per che di questa in me s’accese amore.
[137] che dice ‘Neque nubent’ intendesti,
[139] Vattene omai: non vo’ che più t’arresti;
[141] col qual maturo ciò che tu dicesti.
[143] buona da sé, pur che la nostra casa

54. Purgatorio • Canto XX

[7] ché la gente che fonde a goccia a goccia
[8] per li occhi il mal che tutto ’l mondo occupa,
[11] che più che tutte l’altre bestie hai preda
[13] O ciel, nel cui girar par che si creda
[21] come fa donna che in parturir sia;
[27] che gran ricchezza posseder con vizio».
[32] che fece Niccolò a le pulcelle,
[34] «O anima che tanto ben favelle,
[42] grazia in te luce prima che sie morto.
[44] che la terra cristiana tutta aduggia,
[45] sì che buon frutto rado se ne schianta.
[48] e io la cheggio a lui che tutto giuggia.
[61] Mentre che la gran dota provenzale
[71] che tragge un altro Carlo fuor di Francia,
[79] L’altro, che già uscì preso di nave,
[82] O avarizia, che puoi tu più farne,
[84] che non si cura de la propria carne?
[92] che ciò nol sazia, ma sanza decreto
[95] a veder la vendetta che, nascosa,
[98] de lo Spirito Santo e che ti fece
[107] che seguì a la sua dimanda gorda,
[108] per la qual sempre convien che si rida.
[110] come furò le spoglie, sì che l’ira
[117] dilci, che ’l sai: di che sapore è l’oro?”.
[121] però al ben che ’l dì ci si ragiona,
[127] quand’ io senti’, come cosa che cada,
[131] pria che Latona in lei facesse ’l nido
[134] tal, che ’l maestro inverso me si feo,
[140] come i pastor che prima udir quel canto,
[141] fin che ’l tremar cessò ed el compiési.
[143] guardando l’ombre che giacean per terra,

55. Purgatorio • Canto XXI

[1] La sete natural che mai non sazia
[8] che Cristo apparve a’ due ch’erano in via,
[11] dal piè guardando la turba che giace;
[18] che me rilega ne l’etterno essilio».
[20] «se voi siete ombre che Dio sù non degni,
[23] che questi porta e che l’angel profila,
[24] ben vedrai che coi buon convien ch’e’ regni.
[25] Ma perché lei che dì e notte fila
[27] che Cloto impone a ciascuno e compila,
[38] del mio disio, che pur con la speranza
[40] Quei cominciò: «Cosa non è che sanza
[42] de la montagna, o che sia fuor d’usanza.
[44] di quel che ’l ciel da sé in sé riceve
[46] Per che non pioggia, non grando, non neve,
[48] che la scaletta di tre gradi breve;
[51] che di là cangia sovente contrade;
[56] ma per vento che ’n terra si nasconda,
[59] sentesi, sì che surga o che si mova
[62] che, tutto libero a mutar convento,
[65] che divina giustizia, contra voglia,
[67] E io, che son giaciuto a questa doglia
[72] a quel Segnor, che tosto sù li ’nvii».
[77] che qui vi ’mpiglia e come si scalappia,
[78] perché ci trema e di che congaudete.
[82] «Nel tempo che ’l buon Tito, con l’aiuto
[85] col nome che più dura e più onora
[89] che, tolosano, a sé mi trasse Roma,
[95] che mi scaldar, de la divina fiamma
[102] più che non deggio al mio uscir di bando».
[104] con viso che, tacendo, disse ‘Taci’;
[105] ma non può tutto la virtù che vuole;
[107] a la passion di che ciascun si spicca,
[108] che men seguon voler ne’ più veraci.
[110] per che l’ombra si tacque, e riguardommi
[121] Ond’ io: «Forse che tu ti maravigli,
[123] ma più d’ammirazion vo’ che ti pigli.
[124] Questi che guida in alto li occhi miei,
[129] quelle parole che di lui dicesti».

56. Purgatorio • Canto XXII

[2] l’angel che n’avea vòlti al sesto giro,
[7] E io più lieve che per l’altre foci
[8] m’andava, sì che sanz’ alcun labore
[12] pur che la fiamma sua paresse fore;
[13] onde da l’ora che tra noi discese
[15] che la tua affezion mi fé palese,
[29] che danno a dubitar falsa matera
[30] per le vere ragion che son nascose.
[40] ‘Per che non reggi tu, o sacra fame
[43] Allor m’accorsi che troppo aprir l’ali
[47] per ignoranza, che di questa pecca
[49] E sappie che la colpa che rimbecca
[53] che piange l’avarizia, per purgarmi,
[58] «per quello che Clïò teco lì tasta,
[59] non par che ti facesse ancor fedele
[62] ti stenebraron sì, che tu drizzasti
[67] Facesti come quei che va di notte,
[68] che porta il lume dietro e sé non giova,
[83] che, quando Domizian li perseguette,
[85] e mentre che di là per me si stette,
[93] cerchiar mi fé più che ’l quarto centesmo.
[94] Tu dunque, che levato hai il coperchio
[95] che m’ascondeva quanto bene io dico,
[96] mentre che del salire avem soverchio,
[102] che le Muse lattar più ch’altri mai,
[105] che sempre ha le nutrice nostre seco.
[108] Greci che già di lauro ornar la fronte.
[112] Védeisi quella che mostrò Langia;
[131] un alber che trovammo in mezza strada,
[152] che nodriro il Batista nel diserto;

57. Purgatorio • Canto XXIII

[1] Mentre che li occhi per la fronda verde
[4] lo più che padre mi dicea: «Figliuole,
[5] vienne oramai, ché ’l tempo che n’è imposto
[8] appresso i savi, che parlavan sìe,
[9] che l’andar mi facean di nullo costo.
[12] tal, che diletto e doglia parturìe.
[13] «O dolce padre, che è quel ch’i’ odo?»,
[14] comincia’ io; ed elli: «Ombre che vanno
[18] che si volgono ad essa e non restanno,
[24] che da l’ossa la pelle s’informava.
[25] Non credo che così a buccia strema
[29] la gente che perdé Ierusalemme,
[34] Chi crederebbe che l’odor d’un pomo
[37] Già era in ammirar che sì li affama,
[45] ciò che l’aspetto in sé avea conquiso.
[50] che mi scolora», pregava, «la pelle,
[53] due anime che là ti fanno scorta;
[54] non rimaner che tu non mi favelle!».
[58] Però mi dì, per Dio, che sì vi sfoglia;
[64] Tutta esta gente che piangendo canta
[69] che si distende su per sua verdura.
[74] che menò Cristo lieto a dire ‘Elì’,
[80] di peccar più, che sovvenisse l’ora
[92] la vedovella mia, che molto amai,
[96] che la Barbagia dov’ io la lasciai.
[97] O dolce frate, che vuo’ tu ch’io dica?
[107] di quel che ’l ciel veloce loro ammanna,
[110] prima fien triste che le guance impeli
[111] colui che mo si consola con nanna.
[112] Deh, frate, or fa che più non mi ti celi!
[113] vedi che non pur io, ma questa gente
[119] che mi va innanzi, l’altr’ ier, quando tonda
[123] con questa vera carne che ’l seconda.
[126] che drizza voi che ’l mondo fece torti.
[128] che io sarò là dove fia Beatrice;
[129] quivi convien che sanza lui rimagna.
[130] Virgilio è questi che così mi dice»,
[133] lo vostro regno, che da sé lo sgombra».

58. Purgatorio • Canto XXIV

[4] e l’ombre, che parean cose rimorte,
[9] che non farebbe, per altrui cagione.
[12] tra questa gente che sì mi riguarda».
[13] «La mia sorella, che tra bella e buona
[21] di là da lui più che l’altre trapunta
[30] che pasturò col rocco molte genti.
[33] e sì fu tal, che non si sentì sazio.
[35] più d’un che d’altro, fei a quel da Lucca,
[36] che più parea di me aver contezza.
[37] El mormorava; e non so che «Gentucca»
[39] de la giustizia che sì li pilucca.
[40] «O anima», diss’ io, «che par sì vaga
[44] cominciò el, «che ti farà piacere
[49] Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore
[52] E io a lui: «I’ mi son un che, quando
[56] che ’l Notaro e Guittone e me ritenne
[60] che de le nostre certo non avvenne;
[64] Come li augei che vernan lungo ’l Nilo,
[67] così tutta la gente che lì era,
[70] E come l’uom che di trottare è lasso,
[72] fin che si sfoghi l’affollar del casso,
[79] però che ’l loco u’ fui a viver posto,
[82] «Or va», diss’ el; «che quei che più n’ha colpa,
[89] e drizzò li occhi al ciel, «che ti fia chiaro
[90] ciò che ’l mio dir più dichiarar non puote.
[95] lo cavalier di schiera che cavalchi,
[99] che fuor del mondo sì gran marescalchi.
[101] che li occhi miei si fero a lui seguaci,
[107] e gridar non so che verso le fronde,
[109] che pregano, e ’l pregato non risponde,
[114] che tanti prieghi e lagrime rifiuta.
[116] legno è più sù che fu morso da Eva,
[119] per che Virgilio e Stazio e io, ristretti,
[120] oltre andavam dal lato che si leva.
[122] nei nuvoli formati, che, satolli,
[125] per che no i volle Gedeon compagni,
[133] «Che andate pensando sì voi sol tre?».
[139] com’ io vidi un che dicea: «S’a voi piace
[144] com’ om che va secondo ch’elli ascolta.
[150] che fé sentir d’ambrosïa l’orezza.
[152] tanto di grazia, che l’amor del gusto

59. Purgatorio • Canto XXV

[4] per che, come fa l’uom che non s’affigge
[5] ma vassi a la via sua, che che li appaia,
[9] che per artezza i salitor dispaia.
[10] E quale il cicognin che leva l’ala
[15] che fa colui ch’a dicer s’argomenta.
[16] Non lasciò, per l’andar che fosse ratto,
[18] l’arco del dir, che ’nfino al ferro hai tratto».
[27] ciò che par duro ti parrebbe vizzo.
[30] che sia or sanator de le tue piage».
[36] lume ti fiero al come che tu die.
[37] Sangue perfetto, che poi non si beve
[39] quasi alimento che di mensa leve,
[44] tacer che dire; e quindi poscia geme
[51] ciò che per sua matera fé constare.
[54] che questa è in via e quella è già a riva,
[55] tanto ovra poi, che già si move e sente,
[63] che più savio di te fé già errante,
[64] sì che per sua dottrina fé disgiunto
[67] Apri a la verità che viene il petto;
[68] e sappi che, sì tosto come al feto
[73] che ciò che trova attivo quivi, tira
[75] che vive e sente e sé in sé rigira.
[77] guarda il calor del sole che si fa vino,
[78] giunto a l’omor che de la vite cola.
[84] in atto molto più che prima agute.
[88] Tosto che loco lì la circunscrive,
[92] per l’altrui raggio che ’n sé si reflette,
[96] virtüalmente l’alma che ristette;
[98] che segue il foco là ’vunque si muta,
[100] Però che quindi ha poscia sua paruta,
[105] che per lo monte aver sentiti puoi.
[106] Secondo che ci affliggono i disiri
[108] e quest’ è la cagion di che tu miri».
[114] che la reflette e via da lei sequestra;
[123] che di volger mi fé caler non meno;
[132] che di Venere avea sentito il tòsco».
[134] gridavano e mariti che fuor casti
[136] E questo modo credo che lor basti
[137] per tutto il tempo che ’l foco li abbruscia:
[139] che la piaga da sezzo si ricuscia.

60. Purgatorio • Canto XXVI

[1] Mentre che sì per l’orlo, uno innanzi altro,
[5] che già, raggiando, tutto l’occidente
[10] Questa fu la cagion che diede inizio
[16] «O tu che vai, non per esser più tardo,
[18] rispondi a me che ’n sete e ’n foco ardo.
[21] che d’acqua fredda Indo o Etïopo.
[22] Dinne com’ è che fai di te parete
[37] Tosto che parton l’accoglienza amica,
[38] prima che ’l primo passo lì trascorra,
[48] e al gridar che più lor si convene;
[50] essi medesmi che m’avean pregato,
[52] Io, che due volte avea visto lor grato,
[54] d’aver, quando che sia, di pace stato,
[59] donna è di sopra che m’acquista grazia,
[60] per che ’l mortal per vostro mondo reco.
[62] tosto divegna, sì che ’l ciel v’alberghi
[66] che se ne va di retro a’ vostri terghi».
[70] che ciascun’ ombra fece in sua paruta;
[71] ma poi che furon di stupore scarche,
[73] «Beato te, che de le nostre marche»,
[74] ricominciò colei che pria m’inchiese,
[76] La gente che non vien con noi, offese
[77] di ciò per che già Cesar, trïunfando,
[87] che s’imbestiò ne le ’mbestiate schegge.
[88] Or sai nostri atti e di che fummo rei:
[98] mio e de li altri miei miglior che mai
[103] Poi che di riguardar pasciuto fui,
[105] con l’affermar che fa credere altrui.
[108] che Letè nol può tòrre né far bigio.
[110] dimmi che è cagion per che dimostri
[113] che, quanto durerà l’uso moderno,
[120] che quel di Lemosì credon ch’avanzi.
[126] fin che l’ha vinto il ver con più persone.
[128] che licito ti sia l’andare al chiostro
[134] che presso avea, disparve per lo foco,
[148] Poi s’ascose nel foco che li affina.

61. Purgatorio • Canto XXVII

[9] in voce assai più che la nostra viva.
[15] qual è colui che ne la fossa è messo.
[24] che farò ora presso più a Dio?
[25] Credi per certo che se dentro a l’alvo
[39] allor che ’l gelso diventò vermiglio;
[42] che ne la mente sempre mi rampolla.
[47] pregando Stazio che venisse retro,
[48] che pria per lunga strada ci divise.
[55] Guidavaci una voce che cantava
[59] sonò dentro a un lume che lì era,
[60] tal che mi vinse e guardar nol potei.
[63] mentre che l’occidente non si annera».
[68] che ’l sol corcar, per l’ombra che si spense,
[70] E pria che ’n tutte le sue parti immense
[78] sovra le cime avante che sien pranse,
[79] tacite a l’ombra, mentre che ’l sol ferve,
[80] guardate dal pastor, che ’n su la verga
[82] e quale il mandrïan che fori alberga,
[92] mi prese il sonno; il sonno che sovente,
[93] anzi che ’l fatto sia, sa le novelle.
[94] Ne l’ora, credo, che de l’orïente
[96] che di foco d’amor par sempre ardente,
[110] che tanto a’ pellegrin surgon più grati,
[115] «Quel dolce pome che per tanti rami
[120] che fosser di piacere a queste iguali.
[133] Vedi lo sol che ’n fronte ti riluce;
[135] che qui la terra sol da sé produce.
[136] Mentre che vegnan lieti li occhi belli
[137] che, lagrimando, a te venir mi fenno,

62. Purgatorio • Canto XXVIII

[6] su per lo suol che d’ogne parte auliva.
[9] non di più colpo che soave vento;
[14] tanto, che li augelletti per le cime
[18] che tenevan bordone a le sue rime,
[26] che ’nver’ sinistra con sue picciole onde
[27] piegava l’erba che ’n sua ripa uscìo.
[28] Tutte l’acque che son di qua più monde,
[30] verso di quella, che nulla nasconde,
[31] avvegna che si mova bruna bruna
[32] sotto l’ombra perpetüa, che mai
[38] subitamente cosa che disvia
[40] una donna soletta che si gia
[43] «Deh, bella donna, che a’ raggi d’amore
[45] che soglion esser testimon del core,
[48] tanto ch’io possa intender che tu canti.
[50] Proserpina nel tempo che perdette
[53] a terra e intra sé, donna che balli,
[57] che vergine che li occhi onesti avvalli;
[59] sì appressando sé, che ’l dolce suono
[61] Tosto che fu là dove l’erbe sono
[64] Non credo che splendesse tanto lume
[69] che l’alta terra sanza seme gitta.
[75] che quel da me perch’ allor non s’aperse.
[81] che puote disnebbiar vostro intelletto.
[82] E tu che se’ dinanzi e mi pregasti,
[84] ad ogne tua question tanto che basti».
[90] e purgherò la nebbia che ti fiede.
[91] Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace,
[97] Perché ’l turbar che sotto da sé fanno
[99] che quanto posson dietro al calor vanno,
[110] che de la sua virtute l’aura impregna
[118] E saper dei che la campagna santa
[120] e frutto ha in sé che di là non si schianta.
[121] L’acqua che vedi non surge di vena
[122] che ristori vapor che gel converta,
[125] che tanto dal voler di Dio riprende,
[128] che toglie altrui memoria del peccato;
[137] né credo che ’l mio dir ti sia men caro,
[144] nettare è questo di che ciascun dice».
[146] a’ miei poeti, e vidi che con riso

63. Purgatorio • Canto XXIX

[4] E come ninfe che si givan sole
[18] tal che di balenar mi mise in forse.
[21] nel mio pensier dicea: ‘Che cosa è questa?’.
[25] che là dove ubidia la terra e ’l cielo,
[40] Or convien che Elicona per me versi,
[47] che l’obietto comun, che ’l senso inganna,
[53] più chiaro assai che luna per sereno
[59] che si movieno incontr’ a noi sì tardi,
[60] che foran vinte da novelle spose.
[63] e ciò che vien di retro a lor non guardi?».
[71] che solo il fiume mi facea distante,
[76] sì che lì sopra rimanea distinto
[80] che la mia vista; e, quanto a mio avviso,
[88] Poscia che i fiori e l’altre fresche erbette
[100] ma leggi Ezechïel, che li dipigne
[112] Tanto salivan che non eran viste;
[115] Non che Roma di carro così bello
[118] quel del Sol che, svïando, fu combusto
[137] di quel sommo Ipocràte che natura
[141] tal che di qua dal rio mi fé paura.
[150] che tutti ardesser di sopra da’ cigli.

64. Purgatorio • Canto XXX

[2] che né occaso mai seppe né orto
[3] né d’altra nebbia che di colpa velo,
[4] e che faceva lì ciascun accorto
[26] sì che per temperanza di vapori
[29] che da le mani angeliche saliva
[34] E lo spirito mio, che già cotanto
[38] per occulta virtù che da lei mosse,
[40] Tosto che ne la vista mi percosse
[41] l’alta virtù che già m’avea trafitto
[46] per dicere a Virgilio: ‘Men che dramma
[47] di sangue m’è rimaso che non tremi:
[54] che, lagrimando, non tornasser atre.
[58] Quasi ammiraglio che in poppa e in prora
[59] viene a veder la gente che ministra
[63] che di necessità qui si registra,
[64] vidi la donna che pria m’appario
[67] Tutto che ’l vel che le scendea di testa,
[71] continüò come colui che dice
[75] non sapei tu che qui è l’uom felice?».
[89] pur che la terra che perde ombra spiri,
[90] sì che par foco fonder la candela;
[92] anzi ’l cantar di quei che notan sempre
[94] ma poi che ’ntesi ne le dolci tempre
[95] lor compatire a me, par che se detto
[97] lo gel che m’era intorno al cor ristretto,
[104] sì che notte né sonno a voi non fura
[105] passo che faccia il secol per sue vie;
[107] che m’intenda colui che di là piagne,
[110] che drizzan ciascun seme ad alcun fine
[111] secondo che le stelle son compagne,
[113] che sì alti vapori hanno a lor piova,
[114] che nostre viste là non van vicine,
[132] che nulla promession rendono intera.
[136] Tanto giù cadde, che tutti argomenti
[138] fuor che mostrarli le perdute genti.
[140] e a colui che l’ha qua sù condotto,
[145] di pentimento che lagrime spanda».

65. Purgatorio • Canto XXXI

[1] «O tu che se’ di là dal fiume sacro»,
[3] che pur per taglio m’era paruto acro,
[8] che la voce si mosse, e pria si spense
[9] che da li organi suoi fosse dischiusa.
[10] Poco sofferse; poi disse: «Che pense?
[23] che ti menavano ad amar lo bene
[24] di là dal qual non è a che s’aspiri,
[26] trovasti, per che del passare innanzi
[30] per che dovessi lor passeggiare anzi?».
[32] a pena ebbi la voce che rispuose,
[36] tosto che ’l vostro viso si nascose».
[38] ciò che confessi, non fora men nota
[51] rinchiusa fui, e che so’ ’n terra sparte;
[57] di retro a me che non era più tale.
[84] vincer che l’altre qui, quand’ ella c’era.
[86] che di tutte altre cose qual mi torse
[90] salsi colei che la cagion mi porse.
[99] che nol so rimembrar, non ch’io lo scriva.
[107] pria che Beatrice discendesse al mondo,
[111] le tre di là, che miran più profondo».
[115] Disser: «Fa che le viste non risparmi;
[118] Mille disiri più che fiamma caldi
[120] che pur sopra ’l grifone stavan saldi.
[127] Mentre che piena di stupore e lieta
[129] che, saziando di sé, di sé asseta,
[135] che, per vederti, ha mossi passi tanti!
[136] Per grazia fa noi grazia che disvele
[137] a lui la bocca tua, sì che discerna
[138] la seconda bellezza che tu cele».
[142] che non paresse aver la mente ingombra,

66. Purgatorio • Canto XXXII

[3] che li altri sensi m’eran tutti spenti.
[21] prima che possa tutta in sé mutarsi;
[23] che procedeva, tutta trapassonne
[24] pria che piegasse il carro il primo legno.
[27] sì, che però nulla penna crollonne.
[28] La bella donna che mi trasse al varco
[30] che fé l’orbita sua con minore arco.
[40] La coma sua, che tanto si dilata
[43] «Beato se’, grifon, che non discindi
[45] poscia che mal si torce il ventre quindi».
[54] che raggia dietro a la celeste lasca,
[56] di suo color ciascuna, pria che ’l sole
[58] men che di rose e più che di vïole
[60] che prima avea le ramora sì sole.
[62] l’inno che quella gente allor cantaro,
[67] come pintor che con essempro pinga,
[69] ma qual vuol sia che l’assonnar ben finga.
[72] del sonno, e un chiamar: «Surgi: che fai?».
[74] che del suo pome li angeli fa ghiotti
[83] sovra me starsi che conducitrice
[88] Vedi la compagnia che la circonda:
[92] non so, però che già ne li occhi m’era
[96] che legar vidi a la biforme fera.
[99] che son sicuri d’Aquilone e d’Austro.
[103] Però, in pro del mondo che mal vive,
[104] al carro tieni or li occhi, e quel che vedi,
[105] ritornato di là, fa che tu scrive».
[106] Così Beatrice; e io, che tutto ai piedi
[111] da quel confine che più va remoto,
[114] non che d’i fiori e de le foglie nove;
[120] che d’ogne pasto buon parea digiuna;
[127] e qual esce di cuor che si rammarca,
[130] Poi parve a me che la terra s’aprisse
[132] che per lo carro sù la coda fisse;
[133] e come vespa che ritragge l’ago,
[136] Quel che rimase, come da gramigna
[141] che più tiene un sospir la bocca aperta.
[159] tanto che sol di lei mi fece scudo

67. Purgatorio • Canto XXXIII

[5] quelle ascoltava sì fatta, che poco
[7] Ma poi che l’altre vergini dier loco
[15] me e la donna e ’l savio che ristette.
[16] Così sen giva; e non credo che fosse
[20] mi disse, «tanto che, s’io parlo teco,
[25] Come a color che troppo reverenti
[27] che non traggon la voce viva ai denti,
[28] avvenne a me, che sanza intero suono
[32] voglio che tu omai ti disviluppe,
[33] sì che non parli più com’ om che sogna.
[34] Sappi che ’l vaso che ’l serpente ruppe,
[36] che vendetta di Dio non teme suppe.
[38] l’aguglia che lasciò le penne al carro,
[39] per che divenne mostro e poscia preda;
[45] con quel gigante che con lei delinque.
[46] E forse che la mia narrazion buia,
[50] che solveranno questo enigma forte
[60] che solo a l’uso suo la creò santa.
[63] bramò colui che ’l morso in sé punio.
[75] sì che t’abbaglia il lume del mio detto,
[77] che ’l te ne porti dentro a te per quello
[78] che si reca il bordon di palma cinto».
[80] che la figura impressa non trasmuta,
[84] che più la perde quanto più s’aiuta?».
[90] da terra il ciel che più alto festina».
[93] né honne coscïenza che rimorda».
[105] che qua e là, come li aspetti, fassi,
[116] che acqua è questa che qui si dispiega
[119] Matelda che ’l ti dica». E qui rispuose,
[123] che l’acqua di Letè non gliel nascose».
[125] che spesse volte la memoria priva,
[127] Ma vedi Eünoè che là diriva:
[130] Come anima gentil, che non fa scusa,
[132] tosto che è per segno fuor dischiusa;
[133] così, poi che da essa preso fui,
[138] lo dolce ber che mai non m’avria sazio;

68. Paradiso • Canto I

[1] La gloria di colui che tutto move
[4] Nel ciel che più de la sua luce prende
[5] fu’ io, e vidi cose che ridire
[9] che dietro la memoria non può ire.
[23] tanto che l’ombra del beato regno
[27] che la materia e tu mi farai degno.
[31] che parturir letizia in su la lieta
[39] che quattro cerchi giugne con tre croci,
[51] pur come pelegrin che tornar vuole,
[55] Molto è licito là, che qui non lece
[60] com’ ferro che bogliente esce del foco;
[62] essere aggiunto, come quei che puote
[69] che ’l fé consorto in mar de li altri dèi.
[73] S’i’ era sol di me quel che creasti
[74] novellamente, amor che ’l ciel governi,
[75] tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti.
[76] Quando la rota che tu sempiterni
[78] con l’armonia che temperi e discerni,
[80] de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
[85] Ond’ ella, che vedea me sì com’ io,
[89] col falso imaginar, sì che non vedi
[90] ciò che vedresti se l’avessi scosso.
[102] che madre fa sovra figlio deliro,
[105] che l’universo a Dio fa simigliante.
[114] con istinto a lei dato che la porti.
[118] né pur le creature che son fore
[121] La provedenza, che cotanto assetta,
[126] che ciò che scocca drizza in segno lieto.
[127] Vero è che, come forma non s’accorda

69. Paradiso • Canto II

[1] O voi che siete in piccioletta barca,
[3] dietro al mio legno che cantando varca,
[10] Voialtri pochi che drizzaste il collo
[15] dinanzi a l’acqua che ritorna equale.
[16] Que’ glorïosi che passaro al Colco
[30] «che n’ha congiunti con la prima stella».
[31] Parev’ a me che nube ne coprisse
[33] quasi adamante che lo sol ferisse.
[41] di veder quella essenza in che si vede
[43] Lì si vedrà ciò che tenem per fede,
[45] a guisa del ver primo che l’uom crede.
[49] Ma ditemi: che son li segni bui
[50] di questo corpo, che là giuso in terra
[57] vedi che la ragione ha corte l’ali.
[58] Ma dimmi quel che tu da te ne pensi».
[59] E io: «Ciò che n’appar qua sù diverso
[60] credo che fanno i corpi rari e densi».
[74] cagion che tu dimandi, o d’oltre in parte
[85] S’elli è che questo raro non trapassi,
[92] ivi lo raggio più che in altre parti,
[100] Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso
[101] ti stea un lume che i tre specchi accenda
[103] Ben che nel quanto tanto non si stenda
[111] che ti tremolerà nel suo aspetto.
[119] le distinzion che dentro da sé hanno
[123] che di sù prendono e di sotto fanno.
[125] per questo loco al vero che disiri,
[126] sì che poi sappi sol tener lo guado.
[129] da’ beati motor convien che spiri;
[131] de la mente profonda che lui volve
[145] Da essa vien ciò che da luce a luce
[147] essa è formal principio che produce,

70. Paradiso • Canto III

[1] Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto,
[7] ma visïone apparve che ritenne
[9] che di mia confession non mi sovvenne.
[12] non sì profonde che i fondi sien persi,
[14] debili sì, che perla in bianca fronte
[24] che, sorridendo, ardea ne li occhi santi.
[29] vere sustanze son ciò che tu vedi,
[32] ché la verace luce che le appaga
[34] E io a l’ombra che parea più vaga
[37] «O ben creato spirito, che a’ rai
[39] che, non gustata, non s’intende mai,
[45] che vuol simile a sé tutta sua corte.
[50] che, posta qui con questi altri beati,
[52] Li nostri affetti, che solo infiammati
[55] E questa sorte che par giù cotanto,
[59] vostri risplende non so che divino
[60] che vi trasmuta da’ primi concetti:
[62] ma or m’aiuta ciò che tu mi dici,
[63] sì che raffigurar m’è più latino.
[64] Ma dimmi: voi che siete qui felici,
[71] virtù di carità, che fa volerne
[75] dal voler di colui che qui ne cerne;
[76] che vedrai non capere in questi giri,
[82] sì che, come noi sem di soglia in soglia
[84] com’ a lo re che ’n suo voler ne ’nvoglia.
[87] ciò ch’ella crïa o che natura face».
[93] che quel si chere e di quel si ringrazia,
[102] che caritate a suo piacer conforma.
[109] E quest’ altro splendor che ti si mostra
[110] da la mia destra parte e che s’accende
[115] Ma poi che pur al mondo fu rivolta
[119] che del secondo vento di Soave
[124] La vista mia, che tanto lei seguio
[125] quanto possibil fu, poi che la perse,
[129] sì che da prima il viso non sofferse;

71. Paradiso • Canto IV

[3] che liber’ omo l’un recasse ai denti;
[7] per che, s’i’ mi tacea, me non riprendo,
[12] più caldo assai che per parlar distinto.
[15] che l’avea fatto ingiustamente fello;
[17] uno e altro disio, sì che tua cura
[18] sé stessa lega sì che fuor non spira.
[25] Queste son le question che nel tuo velle
[27] tratterò quella che più ha di felle.
[28] D’i Serafin colui che più s’india,
[30] che prender vuoli, io dico, non Maria,
[32] che questi spirti che mo t’appariro,
[41] però che solo da sensato apprende
[42] ciò che fa poscia d’intelletto degno.
[48] e l’altro che Tobia rifece sano.
[49] Quel che Timeo de l’anime argomenta
[50] non è simile a ciò che qui si vede,
[51] però che, come dice, par che senta.
[52] Dice che l’alma a la sua stella riede,
[56] che la voce non suona, ed esser puote
[62] già tutto il mondo quasi, sì che Giove,
[64] L’altra dubitazion che ti commove
[65] ha men velen, però che sua malizia
[73] Se vïolenza è quando quel che pate
[74] nïente conferisce a quel che sforza,
[79] Per che, s’ella si piega assai o poco,
[90] che t’avria fatto noia ancor più volte.
[92] dinanzi a li occhi, tal che per te stesso
[98] che l’affezion del vel Costanza tenne;
[101] che, per fuggir periglio, contra grato
[102] si fé di quel che far non si convenne;
[103] come Almeone, che, di ciò pregato
[106] A questo punto voglio che tu pense
[107] che la forza al voler si mischia, e fanno
[108] sì che scusar non si posson l’offense.
[114] de l’altra; sì che ver diciamo insieme».
[120] e scalda sì, che più e più m’avviva,
[122] che basti a render voi grazia per grazia;
[123] ma quei che vede e puote a ciò risponda.
[124] Io veggio ben che già mai non si sazia
[128] tosto che giunto l’ha; e giugner puollo:
[135] d’un’altra verità che m’è oscura.
[141] che, vinta, mia virtute diè le reni,

72. Paradiso • Canto V

[2] di là dal modo che ’n terra si vede,
[3] sì che del viso tuo vinco il valore,
[5] da perfetto veder, che, come apprende,
[9] che, vista, sola e sempre amore accende;
[12] mal conosciuto, che quivi traluce.
[15] che l’anima sicuri di letigio».
[17] e sì com’ uom che suo parlar non spezza,
[19] «Lo maggior don che Dio per sua larghezza
[23] di che le creature intelligenti,
[27] che Dio consenta quando tu consenti;
[31] Dunque che render puossi per ristoro?
[36] che par contra lo ver ch’i’ t’ho scoverto,
[38] però che ’l cibo rigido c’hai preso,
[45] di che si fa; l’altr’ è la convenenza.
[52] L’altra, che per materia t’è aperta,
[53] puote ben esser tal, che non si falla
[62] per suo valor che tragga ogne bilancia,
[68] che, servando, far peggio; e così stolto
[77] e ’l pastor de la Chiesa che vi guida;
[81] sì che ’l Giudeo di voi tra voi non rida!
[82] Non fate com’ agnel che lascia il latte
[90] che già nuove questioni avea davante;
[91] e sì come saetta che nel segno
[92] percuote pria che sia la corda queta,
[96] che più lucente se ne fé ’l pianeta.
[98] qual mi fec’ io che pur da mia natura
[101] traggonsi i pesci a ciò che vien di fori
[102] per modo che lo stimin lor pastura,
[108] nel folgór chiaro che di lei uscia.
[109] Pensa, lettor, se quel che qui s’inizia
[117] prima che la milizia s’abbandoni,
[118] del lume che per tutto il ciel si spazia
[125] nel proprio lume, e che de li occhi il traggi,
[129] che si vela a’ mortai con altrui raggi».
[131] che pria m’avea parlato; ond’ ella fessi
[133] Sì come il sol che si cela elli stessi
[139] nel modo che ’l seguente canto canta.

73. Paradiso • Canto VI

[1] «Poscia che Costantin l’aquila volse
[3] dietro a l’antico che Lavina tolse,
[11] che, per voler del primo amor ch’i’ sento,
[16] ma ’l benedetto Agapito, che fue
[19] Io li credetti; e ciò che ’n sua fede era,
[22] Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,
[27] che segno fu ch’i’ dovessi posarmi.
[36] che Pallante morì per darli regno.
[39] che i tre a’ tre pugnar per lui ancora.
[46] onde Torquato e Quinzio, che dal cirro
[48] ebber la fama che volontier mirro.
[50] che di retro ad Anibale passaro
[51] l’alpestre rocce, Po, di che tu labi.
[55] Poi, presso al tempo che tutto ’l ciel volle
[58] E quel che fé da Varo infino a Reno,
[61] Quel che fé poi ch’elli uscì di Ravenna
[63] che nol seguiteria lingua né penna.
[73] Di quel che fé col baiulo seguente,
[77] che, fuggendoli innanzi, dal colubro
[81] che fu serrato a Giano il suo delubro.
[82] Ma ciò che ’l segno che parlar mi face
[88] ché la viva giustizia che mi spira,
[99] che son cagion di tutti vostri mali.
[111] che Dio trasmuti l’armi per suoi gigli!
[113] d’i buoni spirti che son stati attivi
[116] sì disvïando, pur convien che i raggi
[122] in noi l’affetto sì, che non si puote
[130] Ma i Provenzai che fecer contra lui
[138] che li assegnò sette e cinque per diece,

74. Paradiso • Canto VII

[12] che mi diseta con le dolci stille’.
[13] Ma quella reverenza che s’indonna
[18] tal, che nel foco faria l’uom felice:
[25] Per non soffrire a la virtù che vole
[26] freno a suo prode, quell’ uom che non nacque,
[31] u’ la natura, che dal suo fattore
[38] di paradiso, però che si torse
[40] La pena dunque che la croce porse
[44] guardando a la persona che sofferse,
[45] in che era contratta tal natura.
[50] quando si dice che giusta vendetta
[64] La divina bontà, che da sé sperne
[66] sì che dispiega le bellezze etterne.
[67] Ciò che da lei sanza mezzo distilla
[70] Ciò che da essa sanza mezzo piove
[78] di sua nobilità convien che caggia.
[79] Solo il peccato è quel che la disfranca
[81] per che del lume suo poco s’imbianca;
[91] o che Dio solo per sua cortesia
[92] dimesso avesse, o che l’uom per sé isso
[101] e questa è la cagion per che l’uom fue
[109] la divina bontà che ’l mondo imprenta,
[117] che s’elli avesse sol da sé dimesso;
[128] per che, se ciò ch’è detto è stato vero,
[133] ma li alimenti che tu hai nomati
[134] e quelle cose che di lor si fanno
[138] in queste stelle che ’ntorno a lor vanno.
[144] di sé sì che poi sempre la disira.
[148] che li primi parenti intrambo fensi».

75. Paradiso • Canto VIII

[2] che la bella Ciprigna il folle amore
[4] per che non pur a lei faceano onore
[12] che ’l sol vagheggia or da coppa or da ciglio.
[24] che non paressero impediti e lenti
[28] e dentro a quei che più innanzi appariro
[29] sonava ‘Osanna’ sì, che unque poi
[37] ‘Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete’;
[38] e sem sì pien d’amor, che, per piacerti,
[40] Poscia che li occhi miei si fuoro offerti
[43] rivolsersi a la luce che promessa
[47] per allegrezza nova che s’accrebbe,
[51] molto sarà di mal, che non sarebbe.
[53] che mi raggia dintorno e mi nasconde
[56] che s’io fossi giù stato, io ti mostrava
[57] di mio amor più oltre che le fronde.
[58] Quella sinistra riva che si lava
[61] e quel corno d’Ausonia che s’imborga
[65] di quella terra che ’l Danubio riga
[66] poi che le ripe tedesche abbandona.
[67] E la bella Trinacria, che caliga
[69] che riceve da Euro maggior briga,
[73] se mala segnoria, che sempre accora
[82] La sua natura, che di larga parca
[84] che non curasse di mettere in arca».
[85] «Però ch’i’ credo che l’alta letizia
[86] che ’l tuo parlar m’infonde, segnor mio,
[92] poi che, parlando, a dubitar m’hai mosso
[95] mostrarti un vero, a quel che tu dimandi
[97] Lo ben che tutto il regno che tu scandi
[103] per che quantunque quest’ arco saetta
[106] Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine
[108] che non sarebbero arti, ma ruine;
[110] che muovon queste stelle non son manchi,
[111] e manco il primo, che non li ha perfetti.
[112] Vuo’ tu che questo ver più ti s’imbianchi?».
[114] che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi».
[126] che, volando per l’aere, il figlio perse.
[132] da sì vil padre, che si rende a Marte.
[136] Or quel che t’era dietro t’è davanti:
[137] ma perché sappi che di te mi giova,
[138] un corollario voglio che t’ammanti.
[143] al fondamento che natura pone,
[146] tal che fia nato a cignersi la spada,

76. Paradiso • Canto IX

[1] Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza,
[3] che ricever dovea la sua semenza;
[5] sì ch’io non posso dir se non che pianto
[8] rivolta s’era al Sol che la rïempie
[11] che da sì fatto ben torcete i cuori,
[22] Onde la luce che m’era ancor nova,
[26] italica che siede tra Rïalto
[30] che fece a la contrada un grande assalto.
[36] che parria forse forte al vostro vulgo.
[38] del nostro cielo che più m’è propinqua,
[39] grande fama rimase; e pria che moia,
[44] che Tagliamento e Adice richiude,
[46] ma tosto fia che Padova al palude
[47] cangerà l’acqua che Vincenza bagna,
[51] che già per lui carpir si fa la ragna.
[53] de l’empio suo pastor, che sarà sconcia
[54] sì, che per simil non s’entrò in malta.
[56] che ricevesse il sangue ferrarese,
[58] che donerà questo prete cortese
[63] sì che questi parlar ne paion buoni».
[65] che fosse ad altro volta, per la rota
[66] in che si mise com’ era davante.
[67] L’altra letizia, che m’era già nota
[69] qual fin balasso in che lo sol percuota.
[74] diss’ io, «beato spirto, sì che nulla
[76] Dunque la voce tua, che ’l ciel trastulla
[78] che di sei ali facen la coculla,
[82] «La maggior valle in che l’acqua si spanda»,
[84] «fuor di quel mar che la terra inghirlanda,
[86] tanto sen va, che fa meridïano
[89] tra Ebro e Macra, che per cammin corto
[93] che fé del sangue suo già caldo il porto.
[99] di me, infin che si convenne al pelo;
[100] né quella Rodopëa che delusa
[108] per che ’l mondo di sù quel di giù torna.
[110] ten porti che son nate in questa spera,
[113] che qui appresso me così scintilla
[115] Or sappi che là entro si tranquilla
[119] che ’l vostro mondo face, pria ch’altr’ alma
[123] che s’acquistò con l’una e l’altra palma,
[126] che poco tocca al papa la memoria.
[127] La tua città, che di colui è pianta
[128] che pria volse le spalle al suo fattore
[132] però che fatto ha lupo del pastore.
[135] si studia, sì che pare a’ lor vivagni.
[140] di Roma che son state cimitero
[141] a la milizia che Pietro seguette,

77. Paradiso • Canto X

[2] che l’uno e l’altro etternalmente spira,
[11] di quel maestro che dentro a sé l’ama,
[12] tanto che mai da lei l’occhio non parte.
[14] l’oblico cerchio che i pianeti porta,
[15] per sodisfare al mondo che li chiama.
[16] Che se la strada lor non fosse torta,
[23] dietro pensando a ciò che si preliba,
[24] s’esser vuoi lieto assai prima che stanco.
[29] che del valor del ciel lo mondo imprenta
[31] con quella parte che sù si rammenta
[33] in che più tosto ognora s’appresenta;
[37] È Bëatrice quella che sì scorge
[39] che l’atto suo per tempo non si sporge.
[44] sì nol direi che mai s’imaginasse;
[50] de l’alto Padre, che sempre la sazia,
[60] che Bëatrice eclissò ne l’oblio.
[62] che lo splendor de li occhi suoi ridenti
[66] più dolci in voce che in vista lucenti:
[69] sì che ritenga il fil che fa la zona.
[72] tanto che non si posson trar del regno;
[74] chi non s’impenna sì che là sù voli,
[80] ma che s’arrestin tacite, ascoltando
[81] fin che le nove note hanno ricolte.
[84] verace amore e che poi cresce amando,
[86] che ti conduce su per quella scala
[92] questa ghirlanda che ’ntorno vagheggia
[95] che Domenico mena per cammino
[97] Questi che m’è a destra più vicino,
[104] di Grazïan, che l’uno e l’altro foro
[105] aiutò sì che piace in paradiso.
[107] quel Pietro fu che con la poverella
[110] spira di tale amor, che tutto ’l mondo
[113] saver fu messo, che, se ’l vero è vero,
[116] che giù in carne più a dentro vide
[125] l’anima santa che ’l mondo fallace
[132] che a considerar fu più che viro.
[134] è ’l lume d’uno spirto che ’n pensieri
[137] che, leggendo nel Vico de li Strami,
[139] Indi, come orologio che ne chiami
[140] ne l’ora che la sposa di Dio surge
[142] che l’una parte e l’altra tira e urge,
[144] che ’l ben disposto spirto d’amor turge;

78. Paradiso • Canto XI

[3] quei che ti fanno in basso batter l’ali!
[13] Poi che ciascuno fu tornato ne lo
[14] punto del cerchio in che avanti s’era,
[17] che pria m’avea parlato, sorridendo
[22] Tu dubbi, e hai voler che si ricerna
[27] e qui è uopo che ben si distingua.
[28] La provedenza, che governa il mondo
[30] creato è vinto pria che vada al fondo,
[31] però che andasse ver’ lo suo diletto
[36] che quinci e quindi le fosser per guida.
[40] De l’un dirò, però che d’amendue
[43] Intra Tupino e l’acqua che discende
[67] né valse udir che la trovò sicura
[71] sì che, dove Maria rimase giuso,
[79] tanto che ’l venerabile Bernardo
[87] che già legava l’umile capestro.
[94] Poi che la gente poverella crebbe
[100] E poi che, per la sete del martiro,
[102] predicò Cristo e li altri che ’l seguiro,
[108] che le sue membra due anni portarno.
[114] e comandò che l’amassero a fede;
[118] Pensa oramai qual fu colui che degno
[122] per che qual segue lui, com’ el comanda,
[123] discerner puoi che buone merce carca.
[126] che per diversi salti non si spanda;
[130] Ben son di quelle che temono ’l danno
[132] che le cappe fornisce poco panno.
[138] e vedra’ il corrègger che argomenta

79. Paradiso • Canto XII

[7] canto che tanto vince nostre muse,
[17] per lo patto che Dio con Noè puose,
[18] del mondo che già mai più non s’allaga:
[22] Poi che ’l tripudio e l’altra festa grande,
[26] pur come li occhi ch’al piacer che i move
[29] si mosse voce, che l’ago a la stella
[31] e cominciò: «L’amor che mi fa bella
[34] Degno è che, dov’ è l’un, l’altro s’induca:
[35] sì che, com’ elli ad una militaro,
[37] L’essercito di Cristo, che sì caro
[40] quando lo ’mperador che sempre regna
[48] di che si vede Europa rivestire,
[54] in che soggiace il leone e soggioga:
[60] che, ne la madre, lei fece profeta.
[61] Poi che le sponsalizie fuor compiute
[64] la donna che per lui l’assenso diede,
[71] sì come de l’agricola che Cristo
[74] che ’l primo amor che ’n lui fu manifesto,
[75] fu al primo consiglio che diè Cristo.
[86] tal che si mise a circüir la vigna
[87] che tosto imbianca, se ’l vignaio è reo.
[88] E a la sedia che fu già benigna
[90] ma per colui che siede, che traligna,
[105] sì che i suoi arbuscelli stan più vivi.
[107] in che la Santa Chiesa si difese
[112] Ma l’orbita che fé la parte somma
[115] La sua famiglia, che si mosse dritta
[117] che quel dinanzi a quel di retro gitta;
[120] si lagnerà che l’arca li sia tolta.
[128] da Bagnoregio, che ne’ grandi offici
[131] che fuor de’ primi scalzi poverelli
[132] che nel capestro a Dio si fero amici.

80. Paradiso • Canto XIII

[4] quindici stelle che ’n diverse plage
[6] che soperchia de l’aere ogne compage;
[11] che si comincia in punta de lo stelo
[15] allora che sentì di morte il gelo;
[18] che l’uno andasse al primo e l’altro al poi;
[21] che circulava il punto dov’ io era:
[24] si move il ciel che tutti li altri avanza.
[32] poscia la luce in che mirabil vita
[37] Tu credi che nel petto onde la costa
[40] e in quel che, forato da la lancia,
[42] che d’ogne colpa vince la bilancia,
[45] da quel valor che l’uno e l’altro fece;
[47] quando narrai che non ebbe ’l secondo
[48] lo ben che ne la quinta luce è chiuso.
[52] Ciò che non more e ciò che può morire
[54] che partorisce, amando, il nostro Sire;
[55] ché quella viva luce che sì mea
[56] dal suo lucente, che non si disuna
[63] che più non fa che brevi contingenze;
[65] le cose generate, che produce
[78] ch’a l’abito de l’arte ha man che trema.
[86] che l’umana natura mai non fue
[91] Ma perché paia ben ciò che non pare,
[92] pensa chi era, e la cagion che ’l mosse,
[94] Non ho parlato sì, che tu non posse
[95] ben veder ch’el fu re, che chiese senno
[96] acciò che re sufficïente fosse;
[97] non per sapere il numero in che enno
[105] in che lo stral di mia intenzion percuote;
[108] ai regi, che son molti, e ’ buon son rari.
[110] e così puote star con quel che credi
[114] e al sì e al no che tu non vedi:
[116] che sanza distinzione afferma e nega
[118] perch’ elli ’ncontra che più volte piega
[121] Vie più che ’ndarno da riva si parte,
[128] che furon come spade a le Scritture
[131] a giudicar, sì come quei che stima
[132] le biade in campo pria che sien mature;

81. Paradiso • Canto XIV

[7] per la similitudine che nacque
[17] che sarete visibili rifatti,
[20] a la fïata quei che vanno a rota
[28] Quell’ uno e due e tre che sempre vive
[46] per che s’accrescerà ciò che ne dona
[50] crescer l’ardor che di quella s’accende,
[51] crescer lo raggio che da esso vene.
[52] Ma sì come carbon che fiamma rende,
[54] sì che la sua parvenza si difende;
[55] così questo folgór che già ne cerchia
[57] che tutto dì la terra ricoperchia;
[60] a tutto ciò che potrà dilettarne».
[63] che ben mostrar disio d’i corpi morti:
[65] per li padri e per li altri che fuor cari
[66] anzi che fosser sempiterne fiamme.
[68] nascere un lustro sopra quel che v’era,
[69] per guisa d’orizzonte che rischiari.
[72] sì che la vista pare e non par vera,
[78] a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!
[80] mi si mostrò, che tra quelle vedute
[81] si vuol lasciar che non seguir la mente.
[87] che mi parea più roggio che l’usato.
[96] ch’io dissi: «O Elïòs che sì li addobbi!».
[99] Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;
[102] che fan giunture di quadranti in tondo.
[116] talvolta l’ombra che, per sua difesa,
[121] così da’ lumi che lì m’apparinno
[123] che mi rapiva, sanza intender l’inno.
[126] come a colui che non intende e ode.
[128] che ’nfino a lì non fu alcuna cosa
[129] che mi legasse con sì dolci vinci.
[133] ma chi s’avvede che i vivi suggelli

82. Paradiso • Canto XV

[1] Benigna volontade in che si liqua
[2] sempre l’amor che drittamente spira,
[6] che la destra del cielo allenta e tira.
[8] quelle sustanze che, per darmi voglia
[10] Bene è che sanza termine si doglia
[11] chi, per amor di cosa che non duri
[15] movendo li occhi che stavan sicuri,
[16] e pare stella che tramuti loco,
[17] se non che da la parte ond’ e’ s’accende
[19] tale dal corno che ’n destro si stende
[21] de la costellazion che lì resplende;
[24] che parve foco dietro ad alabastro.
[44] fu sì sfogato, che ’l parlar discese
[46] la prima cosa che per me s’intese,
[48] che nel mio seme se’ tanto cortese!».
[55] Tu credi che a me tuo pensier mei
[60] che alcun altro in questa turba gaia.
[63] in che, prima che pensi, il pensier pandi;
[64] ma perché ’l sacro amore in che io veglio
[65] con perpetüa vista e che m’asseta
[69] a che la mia risposta è già decreta!».
[72] che fece crescer l’ali al voler mio.
[76] però che ’l sol che v’allumò e arse,
[78] che tutte simiglianze sono scarse.
[82] ond’ io, che son mortal, mi sento in questa
[86] che questa gioia prezïosa ingemmi,
[88] «O fronda mia in che io compiacemmi
[92] tua cognazione e che cent’ anni e piùe
[95] ben si convien che la lunga fatica
[102] che fosse a veder più che la persona.
[104] la figlia al padre, che ’l tempo e la dote
[108] a mostrar ciò che ’n camera si puote.
[110] dal vostro Uccellatoio, che, com’ è vinto
[123] che prima i padri e le madri trastulla;

83. Paradiso • Canto XVI

[7] Ben se’ tu manto che tosto raccorce:
[8] sì che, se non s’appon di dì in die,
[10] Dal ‘voi’ che prima a Roma s’offerie,
[11] in che la sua famiglia men persevra,
[14] ridendo, parve quella che tossio
[20] la mente mia, che di sé fa letizia
[21] perché può sostener che non si spezza.
[24] che si segnaro in vostra püerizia;
[34] dissemi: «Da quel dì che fu detto ‘Ave’
[35] al parto in che mia madre, ch’è or santa,
[42] da quei che corre il vostro annüal gioco.
[45] più è tacer che ragionare onesto.
[55] che averle dentro e sostener lo puzzo
[57] che già per barattare ha l’occhio aguzzo!
[62] che si sarebbe vòlto a Simifonti,
[69] come del vostro il cibo che s’appone;
[71] che cieco agnello; e molte volte taglia
[72] più e meglio una che le cinque spade.
[78] poscia che le cittadi termine hanno.
[81] che dura molto, e le vite son corte.
[85] per che non dee parer mirabil cosa
[96] che tosto fia iattura de la barca,
[106] Lo ceppo di che nacquero i Calfucci
[109] Oh quali io vidi quei che son disfatti
[113] che, sempre che la vostra chiesa vaca,
[115] L’oltracotata schiatta che s’indraca
[119] sì che non piacque ad Ubertin Donato
[120] che poï il suocero il fé lor parente.
[126] che si nomava da quei de la Pera.
[127] Ciascun che de la bella insegna porta
[131] avvegna che con popol si rauni
[132] oggi colui che la fascia col fregio.
[136] La casa di che nacque il vostro fleto,
[137] per lo giusto disdegno che v’ha morti
[142] Molti sarebber lieti, che son tristi,
[146] che guarda ’l ponte, che Fiorenza fesse
[150] che non avea cagione onde piangesse.
[152] e giusto il popol suo, tanto che ’l giglio

84. Paradiso • Canto XVII

[6] che pria per me avea mutato sito.
[7] Per che mia donna «Manda fuor la vampa
[12] a dir la sete, sì che l’uom ti mesca».
[13] «O cara piota mia che sì t’insusi,
[14] che, come veggion le terrene menti
[17] anzi che sieno in sé, mirando il punto
[20] su per lo monte che l’anime cura
[25] per che la voglia mia saria contenta
[29] che pria m’avea parlato; e come volle
[31] Né per ambage, in che la gente folle
[32] già s’inviscava pria che fosse anciso
[33] l’Agnel di Dio che le peccata tolle,
[37] «La contingenza, che fuor del quaderno
[41] se non come dal viso in che si specchia
[42] nave che per torrente giù discende.
[45] a vista il tempo che ti s’apparecchia.
[54] fia testimonio al ver che la dispensa.
[57] che l’arco de lo essilio pria saetta.
[61] E quel che più ti graverà le spalle,
[64] che tutta ingrata, tutta matta ed empia
[72] che ’n su la scala porta il santo uccello;
[74] che del fare e del chieder, tra voi due,
[75] fia primo quel che tra li altri è più tardo.
[76] Con lui vedrai colui che ’mpresso fue,
[78] che notabili fier l’opere sue.
[82] ma pria che ’l Guasco l’alto Arrigo inganni,
[86] saranno ancora, sì che ’ suoi nemici
[93] incredibili a quei che fier presente.
[95] di quel che ti fu detto; ecco le ’nsidie
[96] che dietro a pochi giri son nascose.
[98] poscia che s’infutura la tua vita
[99] vie più là che ’l punir di lor perfidie».
[100] Poi che, tacendo, si mostrò spedita
[103] io cominciai, come colui che brama,
[105] che vede e vuol dirittamente e ama:
[109] per che di provedenza è buon ch’io m’armi,
[110] sì che, se loco m’è tolto più caro,
[116] ho io appreso quel che s’io ridico,
[120] che questo tempo chiameranno antico».
[121] La luce in che rideva il mio tesoro
[134] che le più alte cime più percuote;
[138] pur l’anime che son di fama note,
[139] che l’animo di quel ch’ode, non posa
[142] né per altro argomento che non paia».

85. Paradiso • Canto XVIII

[11] ma per la mente che non può redire
[14] che, rimirando lei, lo mio affetto
[16] fin che ’l piacere etterno, che diretto
[24] che da lui sia tutta l’anima tolta,
[29] de l’albero che vive de la cima
[31] spiriti son beati, che giù, prima
[32] che venissero al ciel, fuor di gran voce,
[36] che fa in nube il suo foco veloce».
[39] né mi fu noto il dir prima che ’l fatto.
[50] mostrommi l’alma che m’avea parlato
[56] tanto gioconde, che la sua sembianza
[60] s’accorge che la sua virtute avanza,
[61] sì m’accors’ io che ’l mio girare intorno
[69] sesta, che dentro a sé m’avea ricolto.
[71] lo sfavillar de l’amor che lì era
[82] O diva Pegasëa che li ’ngegni
[95] rimasero ordinate; sì che Giove
[105] sì come ’l sol che l’accende sortille;
[109] Quei che dipinge lì, non ha chi ’l guidi;
[112] L’altra bëatitudo, che contenta
[116] mi dimostraro che nostra giustizia
[117] effetto sia del ciel che tu ingemme!
[118] Per ch’io prego la mente in che s’inizia
[119] tuo moto e tua virtute, che rimiri
[120] ond’ esce il fummo che ’l tuo raggio vizia;
[123] che si murò di segni e di martìri.
[125] adora per color che sono in terra
[129] lo pan che ’l pïo Padre a nessun serra.
[130] Ma tu che sol per cancellare scrivi,
[131] pensa che Pietro e Paulo, che moriro
[132] per la vigna che guasti, ancor son vivi.
[134] sì a colui che volle viver solo
[135] e che per salti fu tratto al martiro,

86. Paradiso • Canto XIX

[2] la bella image che nel dolce frui
[6] che ne’ miei occhi rifrangesse lui.
[7] E quel che mi convien ritrar testeso,
[15] che non si lascia vincere a disio;
[17] sì fatta, che le genti lì malvage
[23] de l’etterna letizia, che pur uno
[26] che lungamente m’ha tenuto in fame,
[28] Ben so io che, se ’n cielo altro reame
[30] che ’l vostro non l’apprende con velame.
[33] dubbio che m’è digiun cotanto vecchio».
[37] vid’ io farsi quel segno, che di laude
[40] Poi cominciò: «Colui che volse il sesto
[44] in tutto l’universo, che ’l suo verbo
[46] E ciò fa certo che ’l primo superbo,
[47] che fu la somma d’ogne creatura,
[51] che non ha fine e sé con sé misura.
[52] Dunque vostra veduta, che convene
[54] di che tutte le cose son ripiene,
[56] tanto, che suo principio discerna
[57] molto di là da quel che l’è parvente.
[59] la vista che riceve il vostro mondo,
[61] che, ben che da la proda veggia il fondo,
[65] che non si turba mai; anzi è tenèbra
[68] che t’ascondeva la giustizia viva,
[69] di che facei question cotanto crebra;
[77] ov’ è questa giustizia che ’l condanna?
[79] Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna,
[82] Certo a colui che meco s’assottiglia,
[95] la benedetta imagine, che l’ali
[98] son le mie note a te, che non le ’ntendi,
[102] che fé i Romani al mondo reverendi,
[107] che saranno in giudicio assai men prope
[108] a lui, che tal che non conosce Cristo;
[112] Che poran dir li Perse a’ vostri regi,
[116] quella che tosto moverà la penna,
[117] per che ’l regno di Praga fia diserto.
[118] Lì si vedrà il duol che sovra Senna
[120] quel che morrà di colpo di cotenna.
[122] che fa lo Scotto e l’Inghilese folle,
[123] sì che non può soffrir dentro a sua meta.
[126] che mai valor non conobbe né volle.
[131] di quei che guarda l’isola del foco,
[135] che noteranno molto in parvo loco.
[137] del barba e del fratel, che tanto egregia
[141] che male ha visto il conio di Vinegia.
[144] se s’armasse del monte che la fascia!
[145] E creder de’ ciascun che già, per arra
[148] che dal fianco de l’altre non si scosta».

87. Paradiso • Canto XX

[1] Quando colui che tutto ’l mondo alluma
[3] che ’l giorno d’ogne parte si consuma,
[4] lo ciel, che sol di lui prima s’accende,
[6] per molte luci, in che una risplende;
[10] però che tutte quelle vive luci,
[13] O dolce amor che di riso t’ammanti,
[16] Poscia che i cari e lucidi lapilli
[20] che scende chiaro giù di pietra in pietra,
[24] de la sampogna vento che penètra,
[31] «La parte in me che vede e pate il sole
[37] Colui che luce in mezzo per pupilla,
[39] che l’arca traslatò di villa in villa:
[43] Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio,
[44] colui che più al becco mi s’accosta,
[49] E quel che segue in la circunferenza
[50] di che ragiono, per l’arco superno,
[52] ora conosce che ’l giudicio etterno
[55] L’altro che segue, con le leggi e meco,
[56] sotto buona intenzion che fé mal frutto,
[60] avvegna che sia ’l mondo indi distrutto.
[61] E quel che vedi ne l’arco declivo,
[63] che piagne Carlo e Federigo vivo:
[68] che Rifëo Troiano in questo tondo
[70] Ora conosce assai di quel che ’l mondo
[72] ben che sua vista non discerna il fondo».
[73] Quale allodetta che ’n aere si spazia
[75] de l’ultima dolcezza che la sazia,
[82] ma de la bocca, «Che cose son queste?»,
[88] «Io veggio che tu credi queste cose
[90] sì che, se son credute, sono ascose.
[91] Fai come quei che la cosa per nome
[96] che vince la divina volontate:
[97] non a guisa che l’omo a l’om sobranza,
[109] di viva spene, che mise la possa
[111] sì che potesse sua voglia esser mossa.
[113] tornata ne la carne, in che fu poco,
[114] credette in lui che potëa aiutarla;
[118] L’altra, per grazia che da sì profonda
[119] fontana stilla, che mai creatura
[122] per che, di grazia in grazia, Dio li aperse
[128] che tu vedesti da la destra rota,
[132] che la prima cagion non veggion tota!
[134] a giudicar: ché noi, che Dio vedemo,
[138] che quel che vole Iddio, e noi volemo».
[144] in che più di piacer lo canto acquista,

88. Paradiso • Canto XXI

[7] ché la bellezza mia, che per le scale
[11] che ’l tuo mortal podere, al suo fulgore,
[12] sarebbe fronda che trono scoscende.
[14] che sotto ’l petto del Leone ardente
[18] che ’n questo specchio ti sarà parvente».
[25] Dentro al cristallo che ’l vocabol porta,
[28] di color d’oro in che raggio traluce
[30] tanto, che nol seguiva la mia luce.
[33] che par nel ciel, quindi fosse diffuso.
[40] tal modo parve me che quivi fosse
[41] in quello sfavillar che ’nsieme venne,
[43] E quel che presso più ci si ritenne,
[45] ‘Io veggio ben l’amor che tu m’accenne.
[49] Per ch’ella, che vedëa il tacer mio
[50] nel veder di colui che tutto vede,
[54] ma per colei che ’l chieder mi concede,
[55] vita beata che ti stai nascosta
[57] la cagion che sì presso mi t’ha posta;
[60] che giù per l’altre suona sì divota».
[63] per quel che Bëatrice non ha riso.
[66] col dire e con la luce che mi ammanta;
[70] Ma l’alta carità, che ci fa serve
[71] pronte al consiglio che ’l mondo governa,
[80] che del suo mezzo fece il lume centro,
[82] poi rispuose l’amor che v’era dentro:
[91] Ma quell’ alma nel ciel che più si schiara,
[92] quel serafin che ’n Dio più l’occhio ha fisso,
[94] però che sì s’innoltra ne lo abisso
[95] de l’etterno statuto quel che chiedi,
[96] che da ogne creata vista è scisso.
[98] questo rapporta, sì che non presumma
[100] La mente, che qui luce, in terra fumma;
[102] quel che non pote perché ’l ciel l’assumma».
[108] tanto che ’ troni assai suonan più bassi,
[109] e fanno un gibbo che si chiama Catria,
[111] che suole esser disposto a sola latria».
[115] che pur con cibi di liquor d’ulivi
[120] sì che tosto convien che si riveli.
[126] che pur di male in peggio si travasa.
[134] sì che due bestie van sott’ una pelle:
[135] oh pazïenza che tanto sostieni!».
[141] che non potrebbe qui assomigliarsi;

89. Paradiso • Canto XXII

[2] mi volsi, come parvol che ricorre
[4] e quella, come madre che soccorre
[6] con la sua voce, che ’l suol ben disporre,
[7] mi disse: «Non sai tu che tu se’ in cielo?
[8] e non sai tu che ’l cielo è tutto santo,
[9] e ciò che ci si fa vien da buon zelo?
[12] poscia che ’l grido t’ha mosso cotanto;
[15] che tu vedrai innanzi che tu muoi.
[18] che disïando o temendo l’aspetta.
[23] e vidi cento sperule che ’nsieme
[25] Io stava come quei che ’n sé repreme
[32] com’ io la carità che tra noi arde,
[36] pur al pensier, da che sì ti riguarde.
[40] e quel son io che sù vi portai prima
[41] lo nome di colui che ’n terra addusse
[42] la verità che tanto ci soblima;
[45] da l’empio cólto che ’l mondo sedusse.
[48] che fa nascere i fiori e ’ frutti santi.
[50] qui son li frati miei che dentro ai chiostri
[52] E io a lui: «L’affetto che dimostri
[76] Le mura che solieno esser badia
[81] che fa il cor de’ monaci sì folle;
[83] è de la gente che per Dio dimanda;
[86] che giù non basta buon cominciamento
[96] mirabile a veder che qui ’l soccorso».
[111] che segue il Tauro e fui dentro da esso.
[114] tutto, qual che si sia, il mio ingegno,
[119] d’entrar ne l’alta rota che vi gira,
[123] al passo forte che a sé la tira.
[125] cominciò Bëatrice, «che tu dei
[127] e però, prima che tu più t’inlei,
[130] sì che ’l tuo cor, quantunque può, giocondo
[132] che lieta vien per questo etera tondo».
[137] che l’ha per meno; e chi ad altro pensa
[140] sanza quell’ ombra che mi fu cagione
[141] per che già la credetti rara e densa.
[147] il varïar che fanno di lor dove;
[151] L’aiuola che ci fa tanto feroci,

90. Paradiso • Canto XXIII

[3] la notte che le cose ci nasconde,
[4] che, per veder li aspetti disïati
[6] in che gravi labor li sono aggrati,
[9] fiso guardando pur che l’alba nasca;
[13] sì che, veggendola io sospesa e vaga,
[14] fecimi qual è quei che disïando
[22] Pariemi che ’l suo viso ardesse tutto,
[24] che passarmen convien sanza costrutto.
[27] che dipingon lo ciel per tutti i seni,
[29] un sol che tutte quante l’accendea,
[33] nel viso mio, che non la sostenea.
[35] Ella mi disse: «Quel che ti sobranza
[41] per dilatarsi sì che non vi cape,
[45] e che si fesse rimembrar non sape.
[47] tu hai vedute cose, che possente
[49] Io era come quei che si risente
[50] di visïone oblita e che s’ingegna
[53] di tanto grato, che mai non si stingue
[54] del libro che ’l preterito rassegna.
[56] che Polimnïa con le suore fero
[65] e l’omero mortal che se ne carca,
[68] quel che fendendo va l’ardita prora,
[71] che tu non ti rivolgi al bel giardino
[72] che sotto i raggi di Cristo s’infiora?
[73] Quivi è la rosa in che ’l verbo divino
[76] Così Beatrice; e io, che a’ suoi consigli
[79] Come a raggio di sol, che puro mei
[85] O benigna vertù che sì li ’mprenti,
[87] a li occhi lì che non t’eran possenti.
[93] che là sù vince come qua giù vinse,
[99] parrebbe nube che squarciata tona,
[103] «Io sono amore angelico, che giro
[104] l’alta letizia che spira del ventre
[105] che fu albergo del nostro disiro;
[107] che seguirai tuo figlio, e farai dia
[113] del mondo, che più ferve e più s’avviva
[116] tanto distante, che la sua parvenza,
[120] che si levò appresso sua semenza.
[121] E come fantolin che ’nver’ la mamma
[122] tende le braccia, poi che ’l latte prese,
[123] per l’animo che ’nfin di fuor s’infiamma;
[125] con la sua cima, sì che l’alto affetto
[129] che mai da me non si partì ’l diletto.
[130] Oh quanta è l’ubertà che si soffolce
[131] in quelle arche ricchissime che fuoro
[134] che s’acquistò piangendo ne lo essilio
[139] colui che tien le chiavi di tal gloria.

91. Paradiso • Canto XXIV

[3] sì, che la vostra voglia è sempre piena,
[5] di quel che cade de la vostra mensa,
[6] prima che morte tempo li prescriba,
[14] si giran sì, che ’l primo a chi pon mente
[15] quïeto pare, e l’ultimo che voli;
[21] che nullo vi lasciò di più chiarezza;
[24] che la mia fantasia nol mi ridice.
[27] non che ’l parlare, è troppo color vivo.
[28] «O santa suora mia che sì ne prieghe
[33] che favellò così com’ i’ ho detto.
[47] fin che ’l maestro la question propone,
[53] fede che è?». Ond’ io levai la fronte
[58] «La Grazia che mi dà ch’io mi confessi»,
[63] che mise teco Roma nel buon filo,
[71] che mi largiscon qui la lor parvenza,
[73] che l’esser loro v’è in sola credenza,
[87] che nel suo conio nulla mi s’inforsa».
[89] che lì splendeva: «Questa cara gioia
[94] è silogismo che la m’ha conchiusa
[95] acutamente sì, che ’nverso d’ella
[98] proposizion che così ti conchiude,
[100] E io: «La prova che ’l ver mi dischiude,
[101] son l’opere seguite, a che natura
[104] che quell’ opere fosser? Quel medesmo
[105] che vuol provarsi, non altri, il ti giura».
[108] è tal, che li altri non sono il centesmo:
[111] che fu già vite e ora è fatta pruno».
[114] ne la melode che là sù si canta.
[115] E quel baron che sì di ramo in ramo,
[117] che a l’ultime fronde appressavamo,
[118] ricominciò: «La Grazia, che donnea
[121] sì ch’io approvo ciò che fuori emerse;
[122] ma or convien espremer quel che credi,
[124] «O santo padre, e spirito che vedi
[125] ciò che credesti sì, che tu vincesti
[131] solo ed etterno, che tutto ’l ciel move,
[135] anche la verità che quinci piove
[137] per l’Evangelio e per voi che scriveste
[138] poi che l’ardente Spirto vi fé almi;
[141] che soffera congiunto ‘sono’ ed ‘este’.
[146] che si dilata in fiamma poi vivace,
[148] Come ’l segnor ch’ascolta quel che i piace,

92. Paradiso • Canto XXV

[1] Se mai continga che ’l poema sacro
[3] sì che m’ha fatto per molti anni macro,
[4] vinca la crudeltà che fuor mi serra
[6] nimico ai lupi che li danno guerra;
[10] però che ne la fede, che fa conte
[15] che lasciò Cristo d’i vicari suoi;
[24] laudando il cibo che là sù li prande.
[25] Ma poi che ’l gratular si fu assolto,
[27] ignito sì che vincëa ’l mio volto.
[32] tu sai, che tante fiate la figuri,
[34] «Leva la testa e fa che t’assicuri:
[35] che ciò che vien qua sù del mortal mondo,
[39] che li ’ncurvaron pria col troppo pondo.
[40] «Poi che per grazia vuol che tu t’affronti
[43] sì che, veduto il ver di questa corte,
[44] la spene, che là giù bene innamora,
[49] E quella pïa che guidò le penne
[54] nel Sol che raggia tutto nostro stuolo:
[55] però li è conceduto che d’Egitto
[57] anzi che ’l militar li sia prescritto.
[58] Li altri due punti, che non per sapere
[72] che fu sommo cantor del sommo duce.
[74] dice, ‘color che sanno il nome tuo’:
[83] ancor ver’ la virtù che mi seguette
[85] vuol ch’io respiri a te che ti dilette
[86] di lei; ed emmi a grato che tu diche
[87] quello che la speranza ti ’mpromette».
[90] de l’anime che Dio s’ha fatte amiche.
[91] Dice Isaia che ciascuna vestita
[99] a che rispuoser tutte le carole.
[101] sì che, se ’l Cancro avesse un tal cristallo,
[107] venire a’ due che si volgieno a nota
[112] «Questi è colui che giacque sopra ’l petto
[117] poscia che prima le parole sue.
[120] che, per veder, non vedente diventa;
[122] mentre che detto fu: «Perché t’abbagli
[123] per veder cosa che qui non ha loco?
[125] tanto con li altri, che ’l numero nostro
[128] son le due luci sole che saliro;
[132] che si facea nel suon del trino spiro,

93. Paradiso • Canto XXVI

[2] de la fulgida fiamma che lo spense
[3] uscì un spiro che mi fece attento,
[4] dicendo: «Intanto che tu ti risense
[5] de la vista che haï in me consunta,
[6] ben è che ragionando la compense.
[8] l’anima tua, e fa ragion che sia
[10] perché la donna che per questa dia
[14] vegna remedio a li occhi, che fuor porte
[16] Lo ben che fa contenta questa corte,
[19] Quella medesma voce che paura
[26] e per autorità che quinci scende
[27] cotale amor convien che in me si ’mprenti:
[32] che ciascun ben che fuor di lei si trova
[34] più che in altra convien che si mova
[35] la mente, amando, di ciascun che cerne
[36] il vero in che si fonda questa prova.
[38] colui che mi dimostra il primo amore
[41] che dice a Moïsè, di sé parlando:
[44] l’alto preconio che grida l’arcano
[50] tirarti verso lui, sì che tu suone
[56] che posson far lo cor volgere a Dio,
[60] e quel che spera ogne fedel com’ io,
[71] per lo spirto visivo che ricorre
[72] a lo splendor che va di gonna in gonna,
[73] e lo svegliato ciò che vede aborre,
[75] fin che la stimativa non soccorre;
[78] che rifulgea da più di mille milia:
[79] onde mei che dinanzi vidi poi;
[84] che la prima virtù creasse mai».
[85] Come la fronda che flette la cima
[87] per la propria virtù che la soblima,
[91] E cominciai: «O pomo che maturo
[98] sì che l’affetto convien che si paia
[99] per lo seguir che face a lui la ’nvoglia;
[105] che tu qualunque cosa t’è più certa;
[107] che fa di sé pareglio a l’altre cose,
[109] Tu vuogli udir quant’ è che Dio mi puose
[114] e l’idïoma ch’usai e che fei.
[125] innanzi che a l’ovra inconsummabile
[128] per lo piacere uman che rinovella
[132] poi fare a voi secondo che v’abbella.
[135] onde vien la letizia che mi fascia;
[138] in ramo, che sen va e altra vene.
[139] Nel monte che si leva più da l’onda,
[141] da la prim’ ora a quella che seconda,

94. Paradiso • Canto XXVII

[3] sì che m’inebrïava il dolce canto.
[5] de l’universo; per che mia ebbrezza
[11] stavano accese, e quella che pria venne
[16] La provedenza, che quivi comparte
[23] il luogo mio, il luogo mio, che vaca
[27] che cadde di qua sù, là giù si placa».
[28] Di quel color che per lo sole avverso
[31] E come donna onesta che permane
[35] e tale eclissi credo che ’n ciel fue
[39] che la sembianza non si mutò piùe:
[49] né che le chiavi che mi fuor concesse,
[51] che contra battezzati combattesse;
[60] a che vil fine convien che tu caschi!
[61] Ma l’alta provedenza, che con Scipio
[64] e tu, figliuol, che per lo mortal pondo
[72] che fatto avien con noi quivi soggiorno.
[74] e seguì fin che ’l mezzo, per lo molto,
[76] Onde la donna, che mi vide assolto
[81] che fa dal mezzo al fine il primo clima;
[88] La mente innamorata, che donnea
[90] ad essa li occhi più che mai ardea;
[95] ver’ lo piacer divin che mi refulse,
[97] E la virtù che lo sguardo m’indulse,
[103] Ma ella, che vedëa ’l mio disire,
[105] che Dio parea nel suo volto gioire:
[106] «La natura del mondo, che quïeta
[110] che la mente divina, in che s’accende
[111] l’amor che ’l volge e la virtù ch’ei piove.
[114] colui che ’l cinge solamente intende.
[121] Oh cupidigia che i mortali affonde
[122] sì sotto te, che nessuno ha podere
[129] pria fugge che le guance sian coperte.
[131] che poi divora, con la lingua sciolta,
[134] la madre sua, che, con loquela intera,
[140] pensa che ’n terra non è chi governi;
[142] Ma prima che gennaio tutto si sverni
[145] che la fortuna che tanto s’aspetta,
[147] sì che la classe correrà diretta;

95. Paradiso • Canto XXVIII

[1] Poscia che ’ncontro a la vita presente
[3] quella che ’mparadisa la mia mente,
[5] vede colui che se n’alluma retro,
[6] prima che l’abbia in vista o in pensiero,
[14] li miei da ciò che pare in quel volume,
[16] un punto vidi che raggiava lume
[17] acuto sì, che ’l viso ch’elli affoca
[23] alo cigner la luce che ’l dipigne
[24] quando ’l vapor che ’l porta più è spesso,
[27] quel moto che più tosto il mondo cigne;
[32] già di larghezza, che ’l messo di Iuno
[39] credo, però che più di lei s’invera.
[40] La donna mia, che mi vedëa in cura
[43] Mira quel cerchio che più li è congiunto;
[44] e sappi che ’l suo muovere è sì tosto
[48] sazio m’avrebbe ciò che m’è proposto;
[54] che solo amore e luce ha per confine,
[66] che si distende per tutte lor parti.
[70] Dunque costui che tutto quanto rape
[72] al cerchio che più ama e che più sape:
[73] per che, se tu a la virtù circonde
[75] de le sustanze che t’appaion tonde,
[82] per che si purga e risolve la roffia
[83] che pria turbava, sì che ’l ciel ne ride
[85] così fec’ïo, poi che mi provide
[88] E poi che le parole sue restaro,
[90] che bolle, come i cerchi sfavillaro.
[92] ed eran tante, che ’l numero loro
[93] più che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla.
[95] al punto fisso che li tiene a li ubi,
[97] E quella che vedëa i pensier dubi
[103] Quelli altri amori che ’ntorno li vonno,
[105] per che ’l primo ternaro terminonno;
[106] e dei saper che tutti hanno diletto
[108] nel vero in che si queta ogne intelletto.
[110] l’esser beato ne l’atto che vede,
[111] non in quel ch’ama, che poscia seconda;
[113] che grazia partorisce e buona voglia:
[115] L’altro ternaro, che così germoglia
[117] che notturno Arïete non dispoglia,
[119] con tre melode, che suonano in tree
[128] e di giù vincon sì, che verso Dio
[132] che li nomò e distinse com’ io.

96. Paradiso • Canto XXIX

[4] quant’ è dal punto che ’l cenìt inlibra
[5] infin che l’uno e l’altro da quel cinto,
[9] fiso nel punto che m’avëa vinto.
[11] quel che tu vuoli udir, perch’ io l’ho visto
[23] usciro ad esser che non avia fallo,
[26] raggio resplende sì, che dal venire
[33] nel mondo in che puro atto fu produtto;
[36] tal vime, che già mai non si divima.
[39] anzi che l’altro mondo fosse fatto;
[44] che non concederebbe che ’ motori
[47] furon creati e come: sì che spenti
[53] che tu discerni, con tanto diletto,
[54] che mai da circüir non si diparte.
[56] superbir di colui che tu vedesti
[58] Quelli che vedi qui furon modesti
[60] che li avea fatti a tanto intender presti:
[61] per che le viste lor furo essaltate
[64] e non voglio che dubbi, ma sia certo,
[65] che ricever la grazia è meritorio
[66] secondo che l’affetto l’è aperto.
[71] si legge che l’angelica natura
[72] è tal, che ’ntende e si ricorda e vole,
[74] la verità che là giù si confonde,
[76] Queste sustanze, poi che fur gioconde
[82] sì che là giù, non dormendo, si sogna,
[89] con men disdegno che quando è posposta
[97] Un dice che la luna si ritorse
[99] per che ’l lume del sol giù non si porse;
[106] sì che le pecorelle, che non sanno,
[116] a predicare, e pur che ben si rida,
[119] che se ’l vulgo il vedesse, vederebbe
[122] che, sanza prova d’alcun testimonio,
[125] e altri assai che sono ancor più porci,
[129] sì che la via col tempo si raccorci.
[131] in numero, che mai non fu loquela
[132] né concetto mortal che tanto vada;
[133] e se tu guardi quel che si revela
[134] per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia
[136] La prima luce, che tutta la raia,
[139] Onde, però che a l’atto che concepe
[143] de l’etterno valor, poscia che tanti
[144] speculi fatti s’ha in che si spezza,

97. Paradiso • Canto XXX

[10] Non altrimenti il trïunfo che lude
[11] sempre dintorno al punto che mi vinse,
[14] per che tornar con li occhi a Bëatrice
[21] che solo il suo fattor tutta la goda.
[23] più che già mai da punto di suo tema
[25] ché, come sole in viso che più trema,
[31] ma or convien che mio seguir desista
[35] che quel de la mia tuba, che deduce
[42] letizia che trascende ogne dolzore.
[45] che tu vedrai a l’ultima giustizia».
[46] Come sùbito lampo che discetti
[47] li spiriti visivi, sì che priva
[51] del suo fulgor, che nulla m’appariva.
[52] «Sempre l’amor che queta questo cielo
[59] tale, che nulla luce è tanto mera,
[60] che li occhi miei non si fosser difesi;
[66] quasi rubin che oro circunscrive;
[70] «L’alto disio che mo t’infiamma e urge,
[71] d’aver notizia di ciò che tu vei,
[73] ma di quest’ acqua convien che tu bei
[74] prima che tanta sete in te si sazi»:
[79] Non che da sé sian queste cose acerbe;
[81] che non hai viste ancor tanto superbe».
[82] Non è fantin che sì sùbito rua
[87] che si deriva perché vi s’immegli;
[92] che pare altro che prima, se si sveste
[93] la sembianza non süa in che disparve,
[100] Lume è là sù che visibile face
[102] che solo in lui vedere ha la sua pace.
[104] in tanto che la sua circunferenza
[108] che prende quindi vivere e potenza.
[125] che si digrada e dilata e redole
[126] odor di lode al sol che sempre verna,
[127] qual è colui che tace e dicer vole,
[132] che poca gente più ci si disira.
[133] E ’n quel gran seggio a che tu li occhi tieni
[134] per la corona che già v’è sù posta,
[135] prima che tu a queste nozze ceni,
[136] sederà l’alma, che fia giù agosta,
[139] La cieca cupidigia che v’ammalia
[141] che muor per fame e caccia via la balia.
[143] allora tal, che palese e coverto

98. Paradiso • Canto XXXI

[3] che nel suo sangue Cristo fece sposa;
[4] ma l’altra, che volando vede e canta
[5] la gloria di colui che la ’nnamora
[6] e la bontà che la fece cotanta,
[7] sì come schiera d’ape che s’infiora
[10] nel gran fior discendeva che s’addorna
[15] che nulla neve a quel termine arriva.
[24] sì che nulla le puote essere ostante.
[28] O trina luce che ’n unica stella
[32] che ciascun giorno d’Elice si cuopra,
[37] ïo, che al divino da l’umano,
[40] di che stupor dovea esser compiuto!
[43] E quasi peregrin che si ricrea
[57] di che la mente mia era sospesa.
[69] nel trono che suoi merti le sortiro».
[71] e vidi lei che si facea corona
[73] Da quella regïon che più sù tona
[80] e che soffristi per la mia salute
[87] che di ciò fare avei la potestate.
[89] sì che l’anima mia, che fatt’ hai sana,
[94] E ’l santo sene: «Acciò che tu assommi
[96] a che priego e amor santo mandommi,
[103] Qual è colui che forse di Croazia
[105] che per l’antica fame non sen sazia,
[106] ma dice nel pensier, fin che si mostra:
[110] carità di colui che ’n questo mondo,
[116] tanto che veggi seder la regina
[125] che mal guidò Fetonte, più s’infiamma,
[134] ridere una bellezza, che letizia
[142] che ’ miei di rimirar fé più ardenti.

99. Paradiso • Canto XXXII

[4] «La piaga che Maria richiuse e unse,
[6] è colei che l’aperse e che la punse.
[7] Ne l’ordine che fanno i terzi sedi,
[11] che fu bisava al cantor che per doglia
[19] perché, secondo lo sguardo che fée
[21] a che si parton le sacre scalee.
[24] quei che credettero in Cristo venturo;
[32] che sempre santo ’l diserto e ’l martiro
[40] E sappi che dal grado in giù che fiede
[51] in che ti stringon li pensier sottili.
[56] quantunque vedi, sì che giustamente
[63] che nulla volontà è di più ausa,
[69] che ne la madre ebber l’ira commota.
[72] degnamente convien che s’incappelli.
[79] poi che le prime etadi fuor compiute,
[82] ma poi che ’l tempo de la grazia venne,
[85] Riguarda omai ne la faccia che a Cristo
[91] che quantunque io avea visto davante,
[94] e quello amor che primo lì discese,
[100] «O santo padre, che per me comporte
[103] qual è quell’ angel che con tanto gioco
[105] innamorato sì che par di foco?».
[111] tutta è in lui; e sì volem che sia,
[112] perch’ elli è quelli che portò la palma
[118] Quei due che seggon là sù più felici
[121] colui che da sinistra le s’aggiusta
[127] E quei che vide tutti i tempi gravi,
[128] pria che morisse, de la bella sposa
[129] che s’acquistò con la lancia e coi clavi,
[135] che non move occhio per cantare osanna;
[137] siede Lucia, che mosse la tua donna
[139] Ma perché ’l tempo fugge che t’assonna,
[141] che com’ elli ha del panno fa la gonna;
[143] sì che, guardando verso lui, penètri
[147] orando grazia conven che s’impetri
[148] grazia da quella che puote aiutarti;
[150] sì che dal dicer mio lo cor non parti».

100. Paradiso • Canto XXXIII

[2] umile e alta più che creatura,
[4] tu se’ colei che l’umana natura
[5] nobilitasti sì, che ’l suo fattore
[14] che qual vuol grazia e a te non ricorre,
[22] Or questi, che da l’infima lacuna
[26] tanto, che possa con li occhi levarsi
[28] E io, che mai per mio veder non arsi
[30] ti porgo, e priego che non sieno scarsi,
[33] sì che ’l sommo piacer li si dispieghi.
[34] Ancor ti priego, regina, che puoi
[35] ciò che tu vuoli, che conservi sani,
[44] nel qual non si dee creder che s’invii
[54] de l’alta luce che da sé è vera.
[56] che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede,
[58] Qual è colüi che sognando vede,
[59] che dopo ’l sogno la passione impressa
[63] nel core il dolce che nacque da essa.
[67] O somma luce che tanto ti levi
[69] ripresta un poco di quel che parevi,
[84] tanto che la veduta vi consunsi!
[85] Nel suo profondo vidi che s’interna,
[87] ciò che per l’universo si squaderna:
[90] che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.
[95] che venticinque secoli a la ’mpresa
[96] che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo.
[101] che volgersi da lei per altro aspetto
[102] è impossibil che mai si consenta;
[103] però che ’l ben, ch’è del volere obietto,
[107] pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante
[108] che bagni ancor la lingua a la mammella.
[111] che tal è sempre qual s’era davante;
[112] ma per la vista che s’avvalorava
[120] che quinci e quindi igualmente si spiri.
[123] è tanto, che non basta a dicer ‘poco’.
[124] O luce etterna che sola in te sidi,
[127] Quella circulazion che sì concetta
[132] per che ’l mio viso in lei tutto era messo.
[133] Qual è ’l geomètra che tutto s’affige
[140] se non che la mia mente fu percossa
[141] da un fulgore in che sua voglia venne.
[145] l’amor che move il sole e l’altre stelle.