Concordanze nella Divina Commedia di Dante (beta)
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1. Inferno • Canto I
[6]
che nel pensier rinova la paura!
[7]
Tant’ è amara che poco è più morte;
[12]
che la verace via abbandonai.
[15]
che m’avea di paura il cor compunto,
[18]
che mena dritto altrui per ogne calle.
[20]
che nel lago del cor m’era durata
[22]
E come quei che con lena affannata,
[27]
che non lasciò già mai persona viva.
[30]
sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso.
[33]
che di pel macolato era coverta;
[44]
ma non sì che paura non mi desse
[45]
la vista che m’apparve d’un leone.
[46]
Questi parea che contra me venisse
[48]
sì che parea che l’aere ne tremesse.
[49]
Ed una lupa, che di tutte brame
[55]
E qual è quei che volontieri acquista,
[56]
e giugne ’l tempo che perder lo face,
[57]
che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista;
[59]
che, venendomi ’ncontro, a poco a poco
[66]
«qual che tu sii, od ombra od omo certo!».
[70]
Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
[74]
figliuol d’Anchise che venne di Troia,
[75]
poi che ’l superbo Ilïón fu combusto.
[80]
che spandi di parlar sì largo fiume?»,
[84]
che m’ha fatto cercar lo tuo volume.
[87]
lo bello stilo che m’ha fatto onore.
[92]
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
[96]
ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide;
[98]
che mai non empie la bramosa voglia,
[99]
e dopo ’l pasto ha più fame che pria.
[101]
e più saranno ancora, infin che ’l veltro
[102]
verrà, che la farà morir con doglia.
[110]
fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno,
[113]
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
[118]
e vederai color che son contenti
[120]
quando che sia a le beate genti.
[124]
ché quello imperador che là sù regna,
[126]
non vuol che ’n sua città per me si vegna.
[131]
per quello Dio che tu non conoscesti,
[133]
che tu mi meni là dov’ or dicesti,
2. Inferno • Canto II
[2]
toglieva li animai che sono in terra
[6]
che ritrarrà la mente che non erra.
[8]
o mente che scrivesti ciò ch’io vidi,
[10]
Io cominciai: «Poeta che mi guidi,
[13]
Tu dici che di Silvïo il parente,
[26]
intese cose che furon cagione
[34]
Per che, se del venire io m’abbandono,
[35]
temo che la venuta non sia folle.
[37]
E qual è quei che disvuol ciò che volle
[39]
sì che dal cominciar tutto si tolle,
[42]
che fu nel cominciar cotanto tosta.
[47]
sì che d’onrata impresa lo rivolve,
[49]
Da questa tema acciò che tu ti solve,
[51]
nel primo punto che di te mi dolve.
[52]
Io era tra color che son sospesi,
[54]
tal che di comandare io la richiesi.
[55]
Lucevan li occhi suoi più che la stella;
[63]
sì nel cammin, che vòlt’ è per paura;
[64]
e temo che non sia già sì smarrito,
[70]
I’ son Beatrice che ti faccio andare;
[72]
amor mi mosse, che mi fa parlare.
[80]
che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi;
[82]
Ma dimmi la cagion che non ti guardi
[85]
“Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro,
[92]
che la vostra miseria non mi tange,
[94]
Donna è gentil nel ciel che si compiange
[96]
sì che duro giudicio là sù frange.
[102]
che mi sedea con l’antica Rachele.
[104]
ché non soccorri quei che t’amò tanto,
[107]
non vedi tu la morte che ’l combatte
[115]
Poscia che m’ebbe ragionato questo,
[117]
per che mi fece del venir più presto.
[120]
che del bel monte il corto andar ti tolse.
[121]
Dunque: che è? perché, perché restai,
[124]
poscia che tai tre donne benedette
[128]
chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca,
[133]
«Oh pietosa colei che mi soccorse!
[135]
a le vere parole che ti porse!
[141]
Così li dissi; e poi che mosso fue,
3. Inferno • Canto III
[15]
ogne viltà convien che qui sia morta.
[17]
che tu vedrai le genti dolorose
[19]
E poi che la sua mano a la mia puose
[32]
dissi: «Maestro, che è quel ch’i’ odo?
[33]
e che gent’ è che par nel duol sì vinta?».
[36]
che visser sanza ’nfamia e sanza lodo.
[38]
de li angeli che non furon ribelli
[43]
E io: «Maestro, che è tanto greve
[44]
a lor che lamentar li fa sì forte?».
[48]
che ’nvidïosi son d’ogne altra sorte.
[52]
E io, che riguardai, vidi una ’nsegna
[53]
che girando correva tanto ratta,
[54]
che d’ogne posa mi parea indegna;
[57]
che morte tanta n’avesse disfatta.
[60]
che fece per viltade il gran rifiuto.
[62]
che questa era la setta d’i cattivi,
[64]
Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
[68]
che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi
[88]
E tu che se’ costì, anima viva,
[89]
pàrtiti da cotesti che son morti».
[90]
Ma poi che vide ch’io non mi partiva,
[93]
più lieve legno convien che ti porti».
[96]
ciò che si vuole, e più non dimandare».
[99]
che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
[102]
ratto che ’nteser le parole crude.
[108]
ch’attende ciascun uom che Dio non teme.
[113]
l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo
[119]
e avanti che sien di là discese,
[122]
«quelli che muoion ne l’ira di Dio
[126]
sì che la tema si volve in disio.
[129]
ben puoi sapere omai che ’l suo dir suona».
[131]
tremò sì forte, che de lo spavento
[134]
che balenò una luce vermiglia
4. Inferno • Canto IV
[7]
Vero è che ’n su la proda mi trovai
[9]
che ’ntrono accoglie d’infiniti guai.
[11]
tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
[16]
E io, che del color mi fui accorto,
[18]
che suoli al mio dubbiare esser conforto?».
[20]
che son qua giù, nel viso mi dipigne
[21]
quella pietà che tu per tema senti.
[24]
nel primo cerchio che l’abisso cigne.
[25]
Quivi, secondo che per ascoltare,
[26]
non avea pianto mai che di sospiri
[27]
che l’aura etterna facevan tremare;
[32]
che spiriti son questi che tu vedi?
[33]
Or vo’ che sappi, innanzi che più andi,
[36]
ch’è porta de la fede che tu credi;
[42]
che sanza speme vivemo in disio».
[44]
però che gente di molto valore
[45]
conobbi che ’n quel limbo eran sospesi.
[48]
di quella fede che vince ogne errore:
[50]
o per altrui, che poi fosse beato?».
[51]
E quei che ’ntese il mio parlar coverto,
[62]
E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi,
[75]
che dal modo de li altri li diparte?».
[77]
che di lor suona sù ne la tua vita,
[78]
grazïa acquista in ciel che sì li avanza».
[82]
Poi che la voce fu restata e queta,
[87]
che vien dinanzi ai tre sì come sire:
[89]
l’altro è Orazio satiro che vene;
[91]
Però che ciascun meco si convene
[92]
nel nome che sonò la voce sola,
[96]
che sovra li altri com’ aquila vola.
[104]
parlando cose che ’l tacere è bello,
[117]
sì che veder si potien tutti quanti.
[120]
che del vedere in me stesso m’essalto.
[126]
che con Lavina sua figlia sedea.
[127]
Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,
[131]
vidi ’l maestro di color che sanno
[135]
che ’nnanzi a li altri più presso li stanno;
[136]
Democrito che ’l mondo a caso pone,
[144]
Averoìs, che ’l gran comento feo.
[146]
però che sì mi caccia il lungo tema,
[147]
che molte volte al fatto il dir vien meno.
[150]
fuor de la queta, ne l’aura che trema.
[151]
E vegno in parte ove non è che luca.
5. Inferno • Canto V
[2]
giù nel secondo, che men loco cinghia
[3]
e tanto più dolor, che punge a guaio.
[7]
Dico che quando l’anima mal nata
[12]
quantunque gradi vuol che giù sia messa.
[16]
«O tu che vieni al doloroso ospizio»,
[96]
ciò che si vuole, e più non dimandare».
[29]
che mugghia come fa mar per tempesta,
[31]
La bufera infernal, che mai non resta,
[39]
che la ragion sommettono al talento.
[45]
non che di posa, ma di minor pena.
[51]
genti che l’aura nera sì gastiga?».
[56]
che libito fé licito in sua legge,
[57]
per tòrre il biasmo in che era condotta.
[59]
che succedette a Nino e fu sua sposa:
[60]
tenne la terra che ’l Soldan corregge.
[61]
L’altra è colei che s’ancise amorosa,
[66]
che con amore al fine combatteo.
[74]
parlerei a quei due che ’nsieme vanno,
[78]
per quello amor che i mena, ed ei verranno».
[89]
che visitando vai per l’aere perso
[90]
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
[94]
Di quel che udire e che parlar vi piace,
[96]
mentre che ’l vento, come fa, ci tace.
[102]
che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.
[105]
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
[111]
fin che ’l poeta mi disse: «Che pense?».
[119]
a che e come concedette amore
[120]
che conosceste i dubbiosi disiri?».
[122]
che ricordarsi del tempo felice
[126]
dirò come colui che piange e dice.
[132]
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
[135]
questi, che mai da me non fia diviso,
[139]
Mentre che l’uno spirto questo disse,
[140]
l’altro piangëa; sì che di pietade
6. Inferno • Canto VI
[1]
Al tornar de la mente, che si chiuse
[3]
che di trestizia tutto mi confuse,
[6]
e ch’io mi volga, e come che io guati.
[12]
pute la terra che questo riceve.
[15]
sovra la gente che quivi è sommersa.
[24]
non avea membro che tenesse fermo.
[29]
e si racqueta poi che ’l pasto morde,
[32]
de lo demonio Cerbero, che ’ntrona
[34]
Noi passavam su per l’ombre che adona
[36]
sovra lor vanità che par persona.
[40]
«O tu che se’ per questo ’nferno tratto»,
[43]
E io a lui: «L’angoscia che tu hai
[45]
sì che non par ch’i’ ti vedessi mai.
[46]
Ma dimmi chi tu se’ che ’n sì dolente
[48]
che, s’altra è maggio, nulla è sì spiacente».
[50]
d’invidia sì che già trabocca il sacco,
[60]
ma dimmi, se tu sai, a che verranno
[63]
per che l’ha tanta discordia assalita».
[67]
Poi appresso convien che questa caggia
[68]
infra tre soli, e che l’altra sormonti
[69]
con la forza di tal che testé piaggia.
[72]
come che di ciò pianga o che n’aonti.
[77]
E io a lui: «Ancor vo’ che mi ’nsegni
[78]
e che di più parlar mi facci dono.
[79]
Farinata e ’l Tegghiaio, che fuor sì degni,
[107]
che vuol, quanto la cosa è più perfetta,
[109]
Tutto che questa gente maladetta
[111]
di là più che di qua essere aspetta».
7. Inferno • Canto VII
[3]
e quel savio gentil, che tutto seppe,
[14]
caggiono avvolte, poi che l’alber fiacca,
[18]
che ’l mal de l’universo tutto insacca.
[23]
che si frange con quella in cui s’intoppa,
[24]
così convien che qui la gente riddi.
[38]
che gente è questa, e se tutti fuor cherci
[42]
che con misura nullo spendio ferci.
[46]
Questi fuor cherci, che non han coperchio
[51]
che furo immondi di cotesti mali».
[53]
la sconoscente vita che i fé sozzi,
[62]
d’i ben che son commessi a la fortuna,
[63]
per che l’umana gente si rabbuffa;
[65]
e che già fu, di quest’ anime stanche
[68]
questa fortuna di che tu mi tocche,
[69]
che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?».
[71]
quanta ignoranza è quella che v’offende!
[72]
Or vo’ che tu mia sentenza ne ’mbocche.
[79]
che permutasse a tempo li ben vani
[84]
che è occulto come in erba l’angue.
[92]
pur da color che le dovrien dar lode,
[98]
già ogne stella cade che saliva
[101]
sovr’ una fonte che bolle e riversa
[102]
per un fossato che da lei deriva.
[103]
L’acqua era buia assai più che persa;
[109]
E io, che di mirare stava inteso,
[117]
e anche vo’ che tu per certo credi
[118]
che sotto l’acqua è gente che sospira,
[120]
come l’occhio ti dice, u’ che s’aggira.
[122]
ne l’aere dolce che dal sol s’allegra,
8. Inferno • Canto VIII
[2]
che noi fossimo al piè de l’alta torre,
[4]
per due fiammette che i vedemmo porre,
[8]
dissi: «Questo che dice? e che risponde
[9]
quell’ altro foco? e chi son quei che ’l fenno?».
[11]
già scorgere puoi quello che s’aspetta,
[14]
che sì corresse via per l’aere snella,
[18]
che gridava: «Or se’ giunta, anima fella!».
[21]
più non ci avrai che sol passando il loto».
[22]
Qual è colui che grande inganno ascolta
[23]
che li sia fatto, e poi se ne rammarca,
[28]
Tosto che ’l duca e io nel legno fui,
[30]
de l’acqua più che non suol con altrui.
[33]
e disse: «Chi se’ tu che vieni anzi ora?».
[35]
ma tu chi se’, che sì se’ fatto brutto?».
[36]
Rispuose: «Vedi che son un che piango».
[41]
per che ’l maestro accorto lo sospinse,
[45]
benedetta colei che ’n te s’incinse!
[47]
bontà non è che sua memoria fregi:
[50]
che qui staranno come porci in brago,
[54]
prima che noi uscissimo del lago».
[55]
Ed elli a me: «Avante che la proda
[57]
di tal disïo convien che tu goda».
[60]
che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.
[64]
Quivi il lasciammo, che più non ne narro;
[77]
che vallan quella terra sconsolata:
[78]
le mura mi parean che ferro fosse.
[83]
da ciel piovuti, che stizzosamente
[84]
dicean: «Chi è costui che sanza morte
[90]
che sì ardito intrò per questo regno.
[93]
che li ha’ iscorta sì buia contrada».
[97]
«O caro duca mio, che più di sette
[99]
d’alto periglio che ’ncontra mi stette,
[103]
E quel segnor che lì m’avea menato,
[111]
che sì e no nel capo mi tenciona.
[114]
che ciascun dentro a pruova si ricorse.
[116]
nel petto al mio segnor, che fuor rimase
[130]
tal che per lui ne fia la terra aperta».
9. Inferno • Canto IX
[1]
Quel color che viltà di fuor mi pinse
[11]
lo cominciar con l’altro che poi venne,
[12]
che fur parole a le prime diverse;
[15]
forse a peggior sentenzia che non tenne.
[18]
che sol per pena ha la speranza cionca?».
[20]
incontra», mi rispuose, «che di noi
[24]
che richiamava l’ombre a’ corpi sui.
[29]
e ’l più lontan dal ciel che tutto gira:
[31]
Questa palude che ’l gran puzzo spira
[35]
però che l’occhio m’avea tutto tratto
[39]
che membra feminine avieno e atto,
[43]
E quei, che ben conobbe le meschine
[47]
quella che piange dal destro è Aletto;
[60]
che con le sue ancor non mi chiudessi.
[62]
mirate la dottrina che s’asconde
[67]
non altrimenti fatto che d’un vento
[69]
che fier la selva e sanz’ alcun rattento
[90]
l’aperse, che non v’ebbe alcun ritegno.
[96]
e che più volte v’ha cresciuta doglia?
[97]
Che giova ne le fata dar di cozzo?
[103]
che quella di colui che li è davante;
[108]
la condizion che tal fortezza serra,
[117]
salvo che ’l modo v’era più amaro;
[120]
che ferro più non chiede verun’ arte.
[123]
che ben parean di miseri e d’offesi.
[125]
che, seppellite dentro da quell’ arche,
[129]
più che non credi son le tombe carche.
10. Inferno • Canto X
[4]
«O virtù somma, che per li empi giri
[7]
La gente che per li sepolcri giace
[12]
coi corpi che là sù hanno lasciati.
[15]
che l’anima col corpo morta fanno.
[16]
Però a la dimanda che mi faci
[18]
e al disio ancor che tu mi taci».
[22]
«O Tosco che per la città del foco
[31]
Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?
[32]
Vedi là Farinata che s’è dritto:
[48]
sì che per due fïate li dispersi».
[54]
credo che s’era in ginocchie levata.
[57]
e poi che ’l sospecciar fu tutto spento,
[78]
ciò mi tormenta più che questo letto.
[80]
la faccia de la donna che qui regge,
[81]
che tu saprai quanto quell’ arte pesa.
[86]
che fece l’Arbia colorata in rosso,
[93]
colui che la difesi a viso aperto».
[96]
che qui ha ’nviluppata mia sentenza.
[97]
El par che voi veggiate, se ben odo,
[98]
dinanzi quel che ’l tempo seco adduce,
[101]
le cose», disse, «che ne son lontano;
[106]
Però comprender puoi che tutta morta
[108]
che del futuro fia chiusa la porta».
[111]
che ’l suo nato è co’ vivi ancor congiunto;
[113]
fate i saper che ’l fei perché pensava
[114]
già ne l’error che m’avete soluto».
[117]
che mi dicesse chi con lu’ istava.
[123]
a quel parlar che mi parea nemico.
[136]
che ’nfin là sù facea spiacer suo lezzo.
11. Inferno • Canto XI
[2]
che facevan gran pietre rotte in cerchio,
[5]
del puzzo che ’l profondo abisso gitta,
[8]
che dicea: ‘Anastasio papa guardo,
[11]
sì che s’ausi un poco in prima il senso
[14]
dissi lui, «trova che ’l tempo non passi
[18]
di grado in grado, come que’ che lassi.
[37]
onde omicide e ciascun che mal fiere,
[42]
giron convien che sanza pro si penta
[53]
può l’omo usare in colui che ’n lui fida
[54]
e in quel che fidanza non imborsa.
[56]
pur lo vinco d’amor che fa natura;
[62]
che fa natura, e quel ch’è poi aggiunto,
[63]
di che la fede spezïal si cria;
[65]
de l’universo in su che Dite siede,
[71]
che mena il vento, e che batte la pioggia,
[72]
e che s’incontran con sì aspre lingue,
[77]
disse, «lo ’ngegno tuo da quel che sòle?
[81]
le tre disposizion che ’l ciel non vole,
[87]
che sù di fuor sostegnon penitenza,
[91]
«O sol che sani ogne vista turbata,
[93]
che, non men che saver, dubbiar m’aggrata.
[103]
che l’arte vostra quella, quanto pote,
[105]
sì che vostr’ arte a Dio quasi è nepote.
[112]
Ma seguimi oramai che ’l gir mi piace;
12. Inferno • Canto XII
[2]
venimmo, alpestro e, per quel che v’er’ anco,
[4]
Qual è quella ruina che nel fianco
[7]
che da cima del monte, onde si mosse,
[13]
che fu concetta ne la falsa vacca;
[17]
tu credi che qui sia ’l duca d’Atene,
[18]
che sù nel mondo la morte ti porse?
[22]
Qual è quel toro che si slaccia in quella
[24]
che gir non sa, ma qua e là saltella,
[27]
mentre ch’e’ ’nfuria, è buon che tu ti cale».
[29]
di quelle pietre, che spesso moviensi
[34]
Or vo’ che sappi che l’altra fïata
[38]
che venisse colui che la gran preda
[41]
tremò sì, ch’i’ pensai che l’universo
[48]
qual che per vïolenza in altrui noccia».
[50]
che sì ci sproni ne la vita corta,
[53]
come quella che tutto ’l piano abbraccia,
[62]
venite voi che scendete la costa?
[68]
che morì per la bella Deianira,
[72]
quell’ altro è Folo, che fu sì pien d’ira.
[75]
del sangue più che sua colpa sortille».
[81]
che quel di retro move ciò ch’el tocca?
[83]
E ’l mio buon duca, che già li er’ al petto,
[89]
che mi commise quest’ officio novo:
[94]
e che ne mostri là dove si guada,
[95]
e che porti costui in su la groppa,
[96]
ché non è spirto che per l’aere vada».
[105]
che dier nel sangue e ne l’aver di piglio.
[108]
che fé Cicilia aver dolorosi anni.
[116]
sovr’ una gente che ’nfino a la gola
[117]
parea che di quel bulicame uscisse.
[120]
lo cor che ’n su Tamisi ancor si cola».
[121]
Poi vidi gente che di fuor del rio
[125]
quel sangue, sì che cocea pur li piedi;
[128]
lo bulicame che sempre si scema»,
[129]
disse ’l centauro, «voglio che tu credi
[130]
che da quest’ altra a più a più giù prema
[132]
ove la tirannia convien che gema.
[134]
quell’ Attila che fu flagello in terra,
[136]
le lagrime, che col bollor diserra,
[138]
che fecero a le strade tanta guerra».
13. Inferno • Canto XIII
[3]
che da neun sentiero era segnato.
[8]
quelle fiere selvagge che ’n odio hanno
[11]
che cacciar de le Strofade i Troiani
[16]
E ’l buon maestro «Prima che più entre,
[17]
sappi che se’ nel secondo girone»,
[19]
che tu verrai ne l’orribil sabbione.
[21]
cose che torrien fede al mio sermone».
[23]
e non vedea persona che ’l facesse;
[26]
che tante voci uscisser, tra quei bronchi,
[27]
da gente che per noi si nascondesse.
[34]
Da che fatto fu poi di sangue bruno,
[41]
da l’un de’ capi, che da l’altro geme
[42]
e cigola per vento che va via,
[45]
cadere, e stetti come l’uom che teme.
[52]
Ma dilli chi tu fosti, sì che ’n vece
[58]
Io son colui che tenni ambo le chiavi
[59]
del cor di Federigo, e che le volsi,
[61]
che dal secreto suo quasi ogn’ uom tolsi;
[64]
La meretrice che mai da l’ospizio
[69]
che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti.
[74]
vi giuro che già mai non ruppi fede
[75]
al mio segnor, che fu d’onor sì degno.
[77]
conforti la memoria mia, che giace
[78]
ancor del colpo che ’nvidia le diede».
[83]
di quel che credi ch’a me satisfaccia;
[86]
liberamente ciò che ’l tuo dir priega,
[112]
similemente a colui che venire
[117]
che de la selva rompieno ogne rosta.
[122]
E poi che forse li fallia la lena,
[127]
In quel che s’appiattò miser li denti,
[131]
e menommi al cespuglio che piangea
[134]
che t’è giovato di me fare schermo?
[135]
che colpa ho io de la tua vita rea?».
[137]
disse: «Chi fosti, che per tante punte
[139]
Ed elli a noi: «O anime che giunte
[143]
I’ fui de la città che nel Batista
[146]
e se non fosse che ’n sul passo d’Arno
[148]
que’ cittadin che poi la rifondarno
[149]
sovra ’l cener che d’Attila rimase,
14. Inferno • Canto XIV
[1]
Poi che la carità del natio loco
[8]
dico che arrivammo ad una landa
[9]
che dal suo letto ogne pianta rimove.
[14]
non d’altra foggia fatta che colei
[15]
che fu da’ piè di Caton già soppressa.
[17]
esser temuta da ciascun che legge
[18]
ciò che fu manifesto a li occhi mei!
[20]
che piangean tutte assai miseramente,
[25]
Quella che giva ’ntorno era più molta,
[26]
e quella men che giacëa al tormento,
[35]
con le sue schiere, acciò che lo vapore
[43]
I’ cominciai: «Maestro, tu che vinci
[44]
tutte le cose, fuor che ’ demon duri
[46]
chi è quel grande che non par che curi
[48]
sì che la pioggia non par che ’l marturi?».
[49]
E quel medesmo, che si fu accorto
[63]
«O Capaneo, in ciò che non s’ammorza
[65]
nullo martiro, fuor che la tua rabbia,
[70]
Dio in disdegno, e poco par che ’l pregi;
[73]
Or mi vien dietro, e guarda che non metti,
[80]
che parton poi tra lor le peccatrici,
[84]
per ch’io m’accorsi che ’l passo era lici.
[86]
poscia che noi intrammo per la porta
[90]
che sovra sé tutte fiammelle ammorta».
[92]
per ch’io ’l pregai che mi largisse ’l pasto
[95]
diss’ elli allora, «che s’appella Creta,
[97]
Una montagna v’è che già fu lieta
[98]
d’acqua e di fronde, che si chiamò Ida;
[104]
che tien volte le spalle inver’ Dammiata
[110]
salvo che ’l destro piede è terra cotta;
[111]
e sta ’n su quel, più che ’n su l’altro, eretto.
[112]
Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta
[113]
d’una fessura che lagrime goccia,
[124]
Ed elli a me: «Tu sai che ’l loco è tondo;
[125]
e tutto che tu sie venuto molto,
[128]
per che, se cosa n’apparisce nova,
[132]
e l’altro di’ che si fa d’esta piova».
[135]
dovea ben solver l’una che tu faci.
[140]
dal bosco; fa che di retro a me vegne:
[141]
li margini fan via, che non son arsi,
15. Inferno • Canto XV
[3]
sì che dal foco salva l’acqua e li argini.
[5]
temendo ’l fiotto che ’nver’ lor s’avventa,
[9]
anzi che Carentana il caldo senta:
[11]
tutto che né sì alti né sì grossi,
[12]
qual che si fosse, lo maestro félli.
[17]
che venian lungo l’argine, e ciascuna
[23]
fui conosciuto da un, che mi prese
[27]
sì che ’l viso abbrusciato non difese
[35]
e se volete che con voi m’asseggia,
[36]
faròl, se piace a costui che vo seco».
[42]
che va piangendo i suoi etterni danni».
[45]
tenea com’ uom che reverente vada.
[48]
e chi è questi che mostra ’l cammino?».
[51]
avanti che l’età mia fosse piena.
[62]
che discese di Fiesole ab antico,
[69]
dai lor costumi fa che tu ti forbi.
[71]
che l’una parte e l’altra avranno fame
[77]
di que’ Roman che vi rimaser quando
[87]
convien che ne la mia lingua si scerna.
[88]
Ciò che narrate di mio corso scrivo,
[90]
a donna che saprà, s’a lei arrivo.
[91]
Tanto vogl’ io che vi sia manifesto,
[92]
pur che mia coscïenza non mi garra,
[106]
In somma sappi che tutti fur cherci
[112]
colui potei che dal servo de’ servi
[122]
che corrono a Verona il drappo verde
[124]
quelli che vince, non colui che perde.
16. Inferno • Canto XVI
[2]
de l’acqua che cadea ne l’altro giro,
[3]
simile a quel che l’arnie fanno rombo,
[5]
correndo, d’una torma che passava
[10]
Ahimè, che piaghe vidi ne’ lor membri,
[16]
E se non fosse il foco che saetta
[18]
che meglio stesse a te che a lor la fretta».
[24]
prima che sien tra lor battuti e punti,
[26]
drizzava a me, sì che ’n contraro il collo
[32]
a dirne chi tu se’, che i vivi piedi
[35]
tutto che nudo e dipelato vada,
[36]
fu di grado maggior che tu non credi:
[43]
E io, che posto son con loro in croce,
[48]
e credo che ’l dottor l’avria sofferto;
[51]
che di loro abbracciar mi facea ghiotto.
[54]
tanta che tardi tutta si dispoglia,
[55]
tosto che questo mio segnor mi disse
[57]
che qual voi siete, tal gente venisse.
[75]
Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni».
[77]
e i tre, che ciò inteser per risposta,
[85]
fa che di noi a la gente favelle».
[92]
che ’l suon de l’acqua n’era sì vicino,
[93]
che per parlar saremmo a pena uditi.
[97]
che si chiama Acquacheta suso, avante
[98]
che si divalli giù nel basso letto,
[105]
sì che ’n poc’ ora avria l’orecchia offesa.
[115]
‘E’ pur convien che novità risponda’,
[117]
che ’l maestro con l’occhio sì seconda’.
[119]
presso a color che non veggion pur l’ovra,
[122]
ciò ch’io attendo e che il tuo pensier sogna;
[126]
però che sanza colpa fa vergogna;
[133]
sì come torna colui che va giuso
[135]
o scoglio o altro che nel mare è chiuso,
[136]
che ’n sù si stende e da piè si rattrappa.
17. Inferno • Canto XVII
[2]
che passa i monti e rompe i muri e l’armi!
[3]
Ecco colei che tutto ’l mondo appuzza!».
[5]
e accennolle che venisse a proda,
[20]
che parte sono in acqua e parte in terra,
[28]
Lo duca disse: «Or convien che si torca
[30]
bestia malvagia che colà si corca».
[37]
Quivi ’l maestro «Acciò che tutta piena
[41]
mentre che torni, parlerò con questa,
[42]
che ne conceda i suoi omeri forti».
[52]
Poi che nel viso a certi li occhi porsi,
[55]
che dal collo a ciascun pendea una tasca
[57]
e quindi par che ’l loro occhio si pasca.
[60]
che d’un leone avea faccia e contegno.
[63]
mostrando un’oca bianca più che burro.
[64]
E un che d’una scrofa azzurra e grossa
[66]
mi disse: «Che fai tu in questa fossa?
[68]
sappi che ’l mio vicin Vitalïano
[73]
che recherà la tasca con tre becchi!”».
[75]
la lingua, come bue che ’l naso lecchi.
[77]
lui che di poco star m’avea ’mmonito,
[84]
sì che la coda non possa far male».
[85]
Qual è colui che sì presso ha ’l riprezzo
[90]
che innanzi a buon segnor fa servo forte.
[93]
com’ io credetti: ‘Fa che tu m’abbracce’.
[99]
pensa la nova soma che tu hai».
[106]
Maggior paura non credo che fosse
[108]
per che ’l ciel, come pare ancor, si cosse;
[112]
che fu la mia, quando vidi ch’i’ era
[114]
ogne veduta fuor che de la fera.
[117]
se non che al viso e di sotto mi venta.
[120]
per che con li occhi ’n giù la testa sporgo.
[126]
che s’appressavan da diversi canti.
[128]
che sanza veder logoro o uccello
18. Inferno • Canto XVIII
[3]
come la cerchia che dintorno il volge.
[7]
Quel cinghio che rimane adunque è tondo
[17]
movien che ricidien li argini e ’ fossi
[18]
infino al pozzo che i tronca e raccogli.
[24]
di che la prima bolgia era repleta.
[31]
che da l’un lato tutti hanno la fronte
[36]
che li battien crudelmente di retro.
[48]
ch’io dissi: «O tu che l’occhio a terra gette,
[49]
se le fazion che porti non son false,
[51]
Ma che ti mena a sì pungenti salse?».
[54]
che mi fa sovvenir del mondo antico.
[55]
I’ fui colui che la Ghisolabella
[57]
come che suoni la sconcia novella.
[60]
che tante lingue non son ora apprese
[75]
lo duca disse: «Attienti, e fa che feggia
[78]
però che son con noi insieme andati».
[80]
che venìa verso noi da l’altra banda,
[81]
e che la ferza similmente scaccia.
[83]
mi disse: «Guarda quel grande che vene,
[86]
Quelli è Iasón, che per cuore e per senno
[89]
poi che l’ardite femmine spietate
[93]
che prima avea tutte l’altre ingannate.
[99]
sapere e di color che ’n sé assanna».
[103]
Quindi sentimmo gente che si nicchia
[104]
ne l’altra bolgia e che col muso scuffa,
[107]
per l’alito di giù che vi s’appasta,
[108]
che con li occhi e col naso facea zuffa.
[109]
Lo fondo è cupo sì, che non ci basta
[114]
che da li uman privadi parea mosso.
[117]
che non parëa s’era laico o cherco.
[119]
di riguardar più me che li altri brutti?».
[123]
però t’adocchio più che li altri tutti».
[127]
Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe»,
[129]
sì che la faccia ben con l’occhio attinghe
[131]
che là si graffia con l’unghie merdose,
[133]
Taïde è, la puttana che rispuose
19. Inferno • Canto XIX
[2]
che le cose di Dio, che di bontate
[5]
or convien che per voi suoni la tromba,
[6]
però che ne la terza bolgia state.
[11]
che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,
[17]
che que’ che son nel mio bel San Giovanni,
[20]
rupp’ io per un che dentro v’annegava:
[26]
per che sì forte guizzavan le giunte,
[27]
che spezzate averien ritorte e strambe.
[31]
«Chi è colui, maestro, che si cruccia
[32]
guizzando più che li altri suoi consorti»,
[35]
là giù per quella ripa che più giace,
[39]
dal tuo volere, e sai quel che si tace».
[45]
di quel che si piangeva con la zanca.
[46]
«O qual che se’ che ’l di sù tien di sotto,
[49]
Io stava come ’l frate che confessa
[50]
lo perfido assessin, che, poi ch’è fitto,
[51]
richiama lui per che la morte cessa.
[58]
Tal mi fec’ io, quai son color che stanno,
[62]
“Non son colui, non son colui che credi”»;
[64]
Per che lo spirto tutti storse i piedi;
[66]
mi disse: «Dunque che a me richiedi?
[68]
che tu abbi però la ripa corsa,
[72]
che sù l’avere e qui me misi in borsa.
[74]
che precedetter me simoneggiando,
[77]
verrà colui ch’i’ credea che tu fossi,
[79]
Ma più è ’l tempo già che i piè mi cossi
[84]
tal che convien che lui e me ricuopra.
[96]
al loco che perdé l’anima ria.
[102]
che tu tenesti ne la vita lieta,
[107]
quando colei che siede sopra l’acque
[109]
quella che con le sette teste nacque,
[111]
fin che virtute al suo marito piacque.
[113]
e che altro è da voi a l’idolatre,
[117]
che da te prese il primo ricco patre!».
[119]
o ira o coscïenza che ’l mordesse,
[125]
e poi che tutto su mi s’ebbe al petto,
[129]
che dal quarto al quinto argine è tragetto.
[132]
che sarebbe a le capre duro varco.
20. Inferno • Canto XX
[6]
che si bagnava d’angoscioso pianto;
[9]
che fanno le letane in questo mondo.
[18]
ma io nol vidi, né credo che sia.
[23]
vidi sì torta, che ’l pianto de li occhi
[26]
del duro scoglio, sì che la mia scorta
[29]
chi è più scellerato che colui
[30]
che al giudicio divin passion comporta?
[36]
fino a Minòs che ciascheduno afferra.
[40]
Vedi Tiresia, che mutò sembiante
[45]
che rïavesse le maschili penne.
[47]
che ne’ monti di Luni, dove ronca
[48]
lo Carrarese che di sotto alberga,
[52]
E quella che ricuopre le mammelle,
[53]
che tu non vedi, con le trecce sciolte,
[55]
Manto fu, che cercò per terre molte;
[57]
onde un poco mi piace che m’ascolte.
[58]
Poscia che ’l padre suo di vita uscìo
[62]
a piè de l’Alpe che serra Lamagna
[66]
de l’acqua che nel detto laco stagna.
[73]
Ivi convien che tutto quanto caschi
[74]
ciò che ’n grembo a Benaco star non può,
[76]
Tosto che l’acqua a correr mette co,
[88]
Li uomini poi che ’ntorno erano sparti
[92]
e per colei che ’l loco prima elesse,
[95]
prima che la mattia da Casalodi
[97]
Però t’assenno che, se tu mai odi
[102]
che li altri mi sarien carboni spenti.
[103]
Ma dimmi, de la gente che procede,
[106]
Allor mi disse: «Quel che da la gota
[114]
ben lo sai tu che la sai tutta quanta.
[115]
Quell’ altro che ne’ fianchi è così poco,
[116]
Michele Scotto fu, che veramente
[121]
Vedi le triste che lasciaron l’ago,
21. Inferno • Canto XXI
[2]
che la mia comedìa cantar non cura,
[12]
le coste a quel che più vïaggi fece;
[18]
che ’nviscava la ripa d’ogne parte.
[20]
mai che le bolle che ’l bollor levava,
[26]
di veder quel che li convien fuggire
[28]
che, per veder, non indugia ’l partire:
[40]
a quella terra, che n’è ben fornita:
[41]
ogn’ uom v’è barattier, fuor che Bonturo;
[47]
ma i demon che del ponte avean coperchio,
[49]
qui si nuota altrimenti che nel Serchio!
[53]
disser: «Coverto convien che qui balli,
[54]
sì che, se puoi, nascosamente accaffi».
[58]
Lo buon maestro «Acciò che non si paia
[59]
che tu ci sia», mi disse, «giù t’acquatta
[61]
e per nulla offension che mi sia fatta,
[69]
che di sùbito chiede ove s’arresta,
[73]
Innanzi che l’uncin vostro mi pigli,
[74]
traggasi avante l’un di voi che m’oda,
[78]
e venne a lui dicendo: «Che li approda?».
[88]
E ’l duca mio a me: «O tu che siedi
[100]
Ei chinavan li raffi e «Vuo’ che ’l tocchi»,
[102]
E rispondien: «Sì, fa che gliel’ accocchi».
[103]
Ma quel demonio che tenea sermone
[107]
iscoglio non si può, però che giace
[111]
presso è un altro scoglio che via face.
[112]
Ier, più oltre cinqu’ ore che quest’ otta,
[114]
anni compié che qui la via fu rotta.
[117]
gite con lor, che non saranno rei».
[126]
che tutto intero va sovra le tane».
[127]
«Omè, maestro, che è quel ch’i’ veggio?»,
[133]
Ed elli a me: «Non vo’ che tu paventi;
22. Inferno • Canto XXII
[21]
che s’argomentin di campar lor legno,
[24]
e nascondea in men che non balena.
[27]
sì che celano i piedi e l’altro grosso,
[34]
e Graffiacan, che li era più di contra,
[36]
e trassel sù, che mi parve una lontra.
[40]
«O Rubicante, fa che tu li metti
[41]
li unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!»,
[44]
che tu sappi chi è lo sciagurato
[50]
che m’avea generato d’un ribaldo,
[65]
conosci tu alcun che sia latino
[67]
poco è, da un che fu di là vicino.
[72]
sì che, stracciando, ne portò un lacerto.
[80]
di’ che facesti per venire a proda?».
[84]
e fé sì lor, che ciascun se ne loda.
[91]
Omè, vedete l’altro che digrigna;
[95]
che stralunava li occhi per fedire,
[105]
di fare allor che fori alcun si mette».
[118]
O tu che leggi, udirai nuovo ludo:
[124]
Di che ciascun di colpa fu compunto,
[125]
ma quei più che cagion fu del difetto;
[135]
che quei campasse per aver la zuffa;
23. Inferno • Canto XXIII
[8]
che l’un con l’altro fa, se ben s’accoppia
[12]
che la prima paura mi fé doppia.
[15]
sì fatta, ch’assai credo che lor nòi.
[18]
che ’l cane a quella lievre ch’elli acceffa’.
[24]
io li ’magino sì, che già li sento».
[27]
più tosto a me, che quella dentro ’mpetro.
[30]
sì che d’intrambi un sol consiglio fei.
[31]
S’elli è che sì la destra costa giaccia,
[32]
che noi possiam ne l’altra bolgia scendere,
[40]
che prende il figlio e fugge e non s’arresta,
[41]
avendo più di lui che di sé cura,
[42]
tanto che solo una camiscia vesta;
[45]
che l’un de’ lati a l’altra bolgia tura.
[55]
ché l’alta provedenza che lor volle
[59]
che giva intorno assai con lenti passi,
[63]
che in Clugnì per li monaci fassi.
[66]
che Federigo le mettea di paglia.
[71]
venìa sì pian, che noi eravam nuovi
[73]
Per ch’io al duca mio: «Fa che tu trovi
[76]
E un che ’ntese la parola tosca,
[78]
voi che correte sì per l’aura fosca!
[79]
Forse ch’avrai da me quel che tu chiedi».
[99]
e che pena è in voi che sì sfavilla?».
[101]
son di piombo sì grosse, che li pesi
[115]
mi disse: «Quel confitto che tu miri,
[116]
consigliò i Farisei che convenia
[123]
che fu per li Giudei mala sementa».
[132]
che vegnan d’esto fondo a dipartirci».
[133]
Rispuose adunque: «Più che tu non speri
[134]
s’appressa un sasso che da la gran cerchia
[136]
salvo che ’n questo è rotto e nol coperchia;
[138]
che giace in costa e nel fondo soperchia».
[141]
colui che i peccator di qua uncina».
24. Inferno • Canto XXIV
[2]
che ’l sole i crin sotto l’Aquario tempra
[11]
come ’l tapin che non sa che si faccia;
[26]
che sempre par che ’nnanzi si proveggia,
[34]
E se non fosse che da quel precinto
[35]
più che da l’altro era la costa corta,
[40]
che l’una costa surge e l’altra scende;
[46]
«Omai convien che tu così ti spoltre»,
[53]
con l’animo che vince ogne battaglia,
[55]
Più lunga scala convien che si saglia;
[57]
Se tu mi ’ntendi, or fa sì che ti vaglia».
[63]
ed erto più assai che quel di pria.
[67]
Non so che disse, ancor che sovra ’l dosso
[68]
fossi de l’arco già che varca quivi;
[72]
per ch’io: «Maestro, fa che tu arrivi
[84]
che la memoria il sangue ancor mi scipa.
[90]
né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe.
[98]
s’avventò un serpente che ’l trafisse
[102]
convenne che cascando divenisse;
[103]
e poi che fu a terra sì distrutto,
[107]
che la fenice more e poi rinasce,
[112]
E qual è quel che cade, e non sa como,
[114]
o d’altra oppilazion che lega l’omo,
[115]
quando si leva, che ’ntorno si mira
[120]
che cotai colpi per vendetta croscia!
[127]
E ïo al duca: «Dilli che non mucci,
[128]
e domanda che colpa qua giù ’l pinse;
[130]
E ’l peccator, che ’ntese, non s’infinse,
[133]
poi disse: «Più mi duol che tu m’hai colto
[135]
che quando fui de l’altra vita tolto.
[136]
Io non posso negar quel che tu chiedi;
25. Inferno • Canto XXV
[6]
come dicesse ‘Non vo’ che più diche’;
[9]
che non potea con esse dare un crollo.
[11]
d’incenerarti sì che più non duri,
[12]
poi che ’n mal fare il seme tuo avanzi?
[15]
non quel che cadde a Tebe giù da’ muri.
[16]
El si fuggì che non parlò più verbo;
[19]
Maremma non cred’ io che tante n’abbia,
[26]
che, sotto ’l sasso di monte Aventino,
[29]
per lo furto che frodolente fece
[32]
sotto la mazza d’Ercule, che forse
[34]
Mentre che sì parlava, ed el trascorse,
[38]
per che nostra novella si ristette,
[42]
che l’un nomar un altro convenette,
[44]
per ch’io, acciò che ’l duca stesse attento,
[48]
ché io che ’l vidi, a pena il mi consento.
[66]
che non è nero ancora e ’l bianco more.
[69]
Vedi che già non se’ né due né uno».
[75]
divenner membra che non fuor mai viste.
[104]
che ’l serpente la coda in forca fesse,
[107]
s’appiccar sì, che ’n poco la giuntura
[108]
non facea segno alcun che si paresse.
[110]
che si perdeva là, e la sua pelle
[116]
diventaron lo membro che l’uom cela,
[118]
Mentre che ’l fummo l’uno e l’altro vela
[127]
ciò che non corse in dietro e si ritenne
[130]
Quel che giacëa, il muso innanzi caccia,
[140]
e disse a l’altro: «I’ vo’ che Buoso corra,
[145]
E avvegna che li occhi miei confusi
[149]
ed era quel che sol, di tre compagni
[150]
che venner prima, non era mutato;
[151]
l’altr’ era quel che tu, Gaville, piagni.
26. Inferno • Canto XXVI
[1]
Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande
[2]
che per mare e per terra batti l’ali,
[9]
di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna.
[11]
Così foss’ ei, da che pur esser dee!
[14]
che n’avea fatto iborni a scender pria,
[22]
perché non corra che virtù nol guidi;
[23]
sì che, se stella bona o miglior cosa
[26]
nel tempo che colui che ’l mondo schiara
[33]
tosto che fui là ’ve ’l fondo parea.
[34]
E qual colui che si vengiò con li orsi
[37]
che nol potea sì con li occhi seguire,
[38]
ch’el vedesse altro che la fiamma sola,
[44]
sì che s’io non avessi un ronchion preso,
[46]
E ’l duca che mi vide tanto atteso,
[51]
che così fosse, e già voleva dirti:
[52]
chi è ’n quel foco che vien sì diviso
[53]
di sopra, che par surger de la pira
[59]
l’agguato del caval che fé la porta
[61]
Piangevisi entro l’arte per che, morta,
[66]
e ripriego, che ’l priego vaglia mille,
[67]
che non mi facci de l’attender niego
[68]
fin che la fiamma cornuta qua vegna;
[69]
vedi che del disio ver’ lei mi piego!».
[72]
ma fa che la tua lingua si sostegna.
[74]
ciò che tu vuoi; ch’ei sarebbero schivi,
[76]
Poi che la fiamma fu venuta quivi
[79]
«O voi che siete due dentro ad un foco,
[89]
come fosse la lingua che parlasse,
[91]
mi diparti’ da Circe, che sottrasse
[93]
prima che sì Enëa la nomasse,
[105]
e l’altre che quel mare intorno bagna.
[109]
acciò che l’uom più oltre non si metta;
[112]
“O frati”, dissi “che per cento milia
[123]
che a pena poscia li avrei ritenuti;
[129]
che non surgëa fuor del marin suolo.
[132]
poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo,
[142]
infin che ’l mar fu sovra noi richiuso».
27. Inferno • Canto XXVII
[4]
quand’ un’altra, che dietro a lei venìa,
[6]
per un confuso suon che fuor n’uscia.
[7]
Come ’l bue cicilian che mugghiò prima
[9]
che l’avea temperato con sua lima,
[11]
sì che, con tutto che fosse di rame,
[18]
che dato avea la lingua in lor passaggio,
[20]
la voce e che parlavi mo lombardo,
[24]
vedi che non incresce a me, e ardo!
[30]
e ’l giogo di che Tever si diserra».
[36]
«O anima che se’ là giù nascosta,
[42]
sì che Cervia ricuopre co’ suoi vanni.
[43]
La terra che fé già la lunga prova
[47]
che fecer di Montagna il mal governo,
[51]
che muta parte da la state al verno.
[55]
Ora chi se’, ti priego che ne conte;
[58]
Poscia che ’l foco alquanto ebbe rugghiato
[61]
«S’i’ credesse che mia risposta fosse
[62]
a persona che mai tornasse al mondo,
[64]
ma però che già mai di questo fondo
[71]
che mi rimise ne le prime colpe;
[72]
e come e quare, voglio che m’intenda.
[74]
che la madre mi diè, l’opere mie
[82]
ciò che pria mi piacëa, allor m’increbbe,
[93]
che solea fare i suoi cinti più macri.
[105]
che ’l mio antecessor non ebbe care”.
[108]
e dissi: “Padre, da che tu mi lavi
[120]
per la contradizion che nol consente”.
[126]
e poi che per gran rabbia la si morse,
[135]
che cuopre ’l fosso in che si paga il fio
[136]
a quei che scommettendo acquistan carco.
28. Inferno • Canto XXVIII
[8]
che già, in su la fortunata terra
[11]
che de l’anella fé sì alte spoglie,
[12]
come Livïo scrive, che non erra,
[13]
con quella che sentio di colpi doglie
[27]
che merda fa di quel che si trangugia.
[28]
Mentre che tutto in lui veder m’attacco,
[34]
E tutti li altri che tu vedi qui,
[37]
Un diavolo è qua dietro che n’accisma
[41]
però che le ferite son richiuse
[43]
Ma tu chi se’ che ’n su lo scoglio muse,
[49]
a me, che morto son, convien menarlo
[52]
Più fuor di cento che, quando l’udiro,
[55]
«Or dì a fra Dolcin dunque che s’armi,
[56]
tu che forse vedra’ il sole in breve,
[58]
sì di vivanda, che stretta di neve
[61]
Poi che l’un piè per girsene sospese,
[64]
Un altro, che forata avea la gola
[75]
che da Vercelli a Marcabò dichina.
[78]
che, se l’antiveder qui non è vano,
[85]
Quel traditor che vede pur con l’uno,
[86]
e tien la terra che tale qui meco
[98]
in Cesare, affermando che ’l fornito
[105]
sì che ’l sangue facea la faccia sozza,
[107]
che disse, lasso!, “Capo ha cosa fatta”,
[108]
che fu mal seme per la gente tosca».
[115]
se non che coscïenza m’assicura,
[116]
la buona compagnia che l’uom francheggia
[126]
com’ esser può, quei sa che sì governa.
[130]
che fuoro: «Or vedi la pena molesta,
[131]
tu che, spirando, vai veggendo i morti:
[135]
che diedi al re giovane i ma’ conforti.
29. Inferno • Canto XXIX
[3]
che de lo stare a piangere eran vaghe.
[4]
Ma Virgilio mi disse: «Che pur guate?
[9]
che miglia ventidue la valle volge.
[11]
lo tempo è poco omai che n’è concesso,
[12]
e altro è da veder che tu non vedi».
[21]
la colpa che là giù cotanto costa».
[29]
sovra colui che già tenne Altaforte,
[30]
che non guardasti in là, sì fu partito».
[32]
che non li è vendicata ancor», diss’ io,
[33]
«per alcun che de l’onta sia consorte,
[38]
che de lo scoglio l’altra valle mostra,
[41]
di Malebolge, sì che i suoi conversi
[44]
che di pietà ferrati avean li strali;
[57]
punisce i falsador che qui registra.
[61]
che li animali, infino al picciol vermo,
[63]
secondo che i poeti hanno per fermo,
[72]
che non potean levar le lor persone.
[78]
né a colui che mal volontier vegghia,
[81]
del pizzicor, che non ha più soccorso;
[84]
o d’altro pesce che più larghe l’abbia.
[85]
«O tu che con le dita ti dismaglie»,
[87]
«e che fai d’esse talvolta tanaglie,
[89]
che son quinc’ entro, se l’unghia ti basti
[91]
«Latin siam noi, che tu vedi sì guasti
[93]
«ma tu chi se’ che di noi dimandasti?».
[94]
E ’l duca disse: «I’ son un che discendo
[99]
con altri che l’udiron di rimbalzo.
[101]
dicendo: «Dì a lor ciò che tu vuoli»;
[106]
ditemi chi voi siete e di che genti;
[117]
ardere a tal che l’avea per figliuolo.
[119]
me per l’alchìmia che nel mondo usai
[124]
Onde l’altro lebbroso, che m’intese,
[126]
che seppe far le temperate spese,
[127]
e Niccolò che la costuma ricca
[130]
e tra’ne la brigata in che disperse
[135]
sì che la faccia mia ben ti risponda:
[137]
che falsai li metalli con l’alchìmia;
30. Inferno • Canto XXX
[1]
Nel tempo che Iunone era crucciata
[5]
che veggendo la moglie con due figli
[14]
l’altezza de’ Troian che tutto ardiva,
[15]
sì che ’nsieme col regno il re fu casso,
[17]
poscia che vide Polissena morta,
[26]
che mordendo correvan di quel modo
[27]
che ’l porco quando del porcil si schiude.
[29]
del collo l’assannò, sì che, tirando,
[31]
E l’Aretin che rimase, tremando
[36]
a dir chi è, pria che di qui si spicchi».
[38]
di Mirra scellerata, che divenne
[42]
come l’altro che là sen va, sostenne,
[46]
E poi che i due rabbiosi fuor passati
[51]
tronca da l’altro che l’uomo ha forcuto.
[52]
La grave idropesì, che sì dispaia
[53]
le membra con l’omor che mal converte,
[54]
che ’l viso non risponde a la ventraia,
[56]
come l’etico fa, che per la sete
[58]
«O voi che sanz’ alcuna pena siete,
[64]
Li ruscelletti che d’i verdi colli
[69]
che ’l male ond’ io nel volto mi discarno.
[70]
La rigida giustizia che mi fruga
[80]
ombre che vanno intorno dicon vero;
[81]
ma che mi val, c’ho le membra legate?
[92]
che fumman come man bagnate ’l verno,
[96]
e non credo che dieno in sempiterno.
[100]
E l’un di lor, che si recò a noia
[105]
col braccio suo, che non parve men duro,
[106]
dicendo a lui: «Ancor che mi sia tolto
[107]
lo muover per le membra che son gravi,
[120]
«e sieti reo che tutto il mondo sallo!».
[123]
che ’l ventre innanzi a li occhi sì t’assiepa!».
[127]
tu hai l’arsura e ’l capo che ti duole,
[132]
che per poco che teco non mi risso!».
[136]
Qual è colui che suo dannaggio sogna,
[137]
che sognando desidera sognare,
[138]
sì che quel ch’è, come non fosse, agogna,
[140]
che disïava scusarmi, e scusava
[143]
disse ’l maestro, «che ’l tuo non è stato;
[146]
se più avvien che fortuna t’accoglia
31. Inferno • Canto XXXI
[2]
sì che mi tinse l’una e l’altra guancia,
[4]
così od’ io che solea far la lancia
[8]
su per la ripa che ’l cinge dintorno,
[10]
Quiv’ era men che notte e men che giorno,
[11]
sì che ’l viso m’andava innanzi poco;
[14]
che, contra sé la sua via seguitando,
[20]
che me parve veder molte alte torri;
[21]
ond’ io: «Maestro, dì, che terra è questa?».
[22]
Ed elli a me: «Però che tu trascorri
[24]
avvien che poi nel maginare abborri.
[29]
e disse: «Pria che noi siam più avanti,
[30]
acciò che ’l fatto men ti paia strano,
[31]
sappi che non son torri, ma giganti,
[36]
ciò che cela ’l vapor che l’aere stipa,
[40]
però che, come su la cerchia tonda
[42]
così la proda che ’l pozzo circonda
[61]
sì che la ripa, ch’era perizoma
[63]
di sovra, che di giugnere a la chioma
[74]
che ’l tien legato, o anima confusa,
[75]
e vedi lui che ’l gran petto ti doga».
[85]
A cigner lui qual che fosse ’l maestro,
[88]
d’una catena che ’l tenea avvinto
[89]
dal collo in giù, sì che ’n su lo scoperto
[98]
che de lo smisurato Brïareo
[101]
presso di qui che parla ed è disciolto,
[102]
che ne porrà nel fondo d’ogne reo.
[103]
Quel che tu vuo’ veder, più là è molto
[105]
salvo che più feroce par nel volto».
[107]
che scotesse una torre così forte,
[109]
Allor temett’ io più che mai la morte,
[110]
e non v’era mestier più che la dotta,
[113]
e venimmo ad Anteo, che ben cinque alle,
[115]
«O tu che ne la fortunata valle
[116]
che fece Scipïon di gloria reda,
[119]
e che, se fossi stato a l’alta guerra
[120]
de’ tuoi fratelli, ancor par che si creda
[125]
questi può dar di quel che qui si brama;
[139]
tal parve Antëo a me che stava a bada
[142]
Ma lievemente al fondo che divora
32. Inferno • Canto XXXII
[9]
né da lingua che chiami mamma o babbo.
[12]
sì che dal fatto il dir non sia diverso.
[14]
che stai nel loco onde parlare è duro,
[20]
va sì, che tu non calchi con le piante
[23]
e sotto i piedi un lago che per gelo
[28]
com’ era quivi; che se Tambernicchi
[42]
che ’l pel del capo avieno insieme misto.
[43]
«Ditemi, voi che sì strignete i petti»,
[63]
non Focaccia; non questi che m’ingombra
[69]
e aspetto Carlin che mi scagioni».
[86]
che bestemmiava duramente ancora:
[87]
«Qual se’ tu che così rampogni altrui?».
[88]
«Or tu chi se’ che vai per l’Antenora,
[90]
sì che, se fossi vivo, troppo fora?».
[98]
e dissi: «El converrà che tu ti nomi,
[99]
o che capel qui sù non ti rimagna».
[106]
quando un altro gridò: «Che hai tu, Bocca?
[109]
«Omai», diss’ io, «non vo’ che più favelle,
[112]
«Va via», rispuose, «e ciò che tu vuoi conta;
[121]
Gianni de’ Soldanier credo che sia
[126]
sì che l’un capo a l’altro era cappello;
[132]
che quei faceva il teschio e l’altre cose.
[133]
«O tu che mostri per sì bestial segno
[134]
odio sovra colui che tu ti mangi,
[136]
che se tu a ragion di lui ti piangi,
33. Inferno • Canto XXXIII
[5]
disperato dolor che ’l cor mi preme
[8]
che frutti infamia al traditor ch’i’ rodo,
[10]
Io non so chi tu se’ né per che modo
[16]
Che per l’effetto de’ suo’ mai pensieri,
[19]
però quel che non puoi avere inteso,
[24]
e che conviene ancor ch’altrui si chiuda,
[27]
che del futuro mi squarciò ’l velame.
[30]
per che i Pisan veder Lucca non ponno.
[41]
pensando ciò che ’l mio cor s’annunziava;
[42]
e se non piangi, di che pianger suoli?
[44]
che ’l cibo ne solëa essere addotto,
[51]
disse: “Tu guardi sì, padre! che hai?”.
[54]
infin che l’altro sol nel mondo uscìo.
[67]
Poscia che fummo al quarto dì venuti,
[74]
e due dì li chiamai, poi che fur morti.
[75]
Poscia, più che ’l dolor, poté ’l digiuno».
[78]
che furo a l’osso, come d’un can, forti.
[81]
poi che i vicini a te punir son lenti,
[85]
Che se ’l conte Ugolino aveva voce
[90]
e li altri due che ’l canto suso appella.
[95]
e ’l duol che truova in su li occhi rintoppo,
[100]
E avvegna che, sì come d’un callo,
[108]
veggendo la cagion che ’l fiato piove».
[111]
tanto che data v’è l’ultima posta,
[113]
sì ch’ïo sfoghi ’l duol che ’l cor m’impregna,
[114]
un poco, pria che ’l pianto si raggeli».
[120]
che qui riprendo dattero per figo».
[125]
che spesse volte l’anima ci cade
[129]
sappie che, tosto che l’anima trade
[131]
da un demonio, che poscia il governa
[132]
mentre che ’l tempo suo tutto sia vòlto.
[135]
de l’ombra che di qua dietro mi verna.
[139]
«Io credo», diss’ io lui, «che tu m’inganni;
[145]
che questi lasciò il diavolo in sua vece
[147]
che ’l tradimento insieme con lui fece.
[155]
trovai di voi un tal, che per sua opra
34. Inferno • Canto XXXIV
[6]
par di lungi un molin che ’l vento gira,
[21]
ove convien che di fortezza t’armi».
[31]
che i giganti non fan con le sue braccia:
[40]
l’altr’ eran due, che s’aggiugnieno a questa
[51]
sì che tre venti si movean da ello:
[57]
sì che tre ne facea così dolenti.
[59]
verso ’l graffiar, che talvolta la schiena
[63]
che ’l capo ha dentro e fuor le gambe mena.
[65]
quel che pende dal nero ceffo è Bruto:
[67]
e l’altro è Cassio, che par sì membruto.
[80]
e aggrappossi al pel com’ om che sale,
[81]
sì che ’n inferno i’ credea tornar anche.
[92]
la gente grossa il pensi, che non vede
[108]
al pel del vermo reo che ’l mondo fóra.
[113]
ch’è contraposto a quel che la gran secca
[115]
fu l’uom che nacque e visse sanza pecca;
[117]
che l’altra faccia fa de la Giudecca.
[119]
e questi, che ne fé scala col pelo,
[122]
e la terra, che pria di qua si sporse,
[129]
che non per vista, ma per suono è noto
[130]
d’un ruscelletto che quivi discende
[138]
che porta ’l ciel, per un pertugio tondo.
35. Purgatorio • Canto I
[3]
che lascia dietro a sé mar sì crudele;
[8]
o sante Muse, poi che vostro sono;
[12]
lo colpo tal, che disperar perdono.
[14]
che s’accoglieva nel sereno aspetto
[18]
che m’avea contristati li occhi e ’l petto.
[19]
Lo bel pianeto che d’amar conforta
[27]
poi che privato se’ di mirar quelle!
[33]
che più non dee a padre alcun figliuolo.
[40]
«Chi siete voi che contro al cieco fiume
[43]
«Chi v’ha guidati, o che vi fu lucerna,
[45]
che sempre nera fa la valle inferna?
[48]
che, dannati, venite a le mie grotte?».
[55]
Ma da ch’è tuo voler che più si spieghi
[57]
esser non puote il mio che a te si nieghi.
[60]
che molto poco tempo a volger era.
[63]
che questa per la quale i’ mi son messo.
[66]
che purgan sé sotto la tua balìa.
[68]
de l’alto scende virtù che m’aiuta
[79]
di Marzia tua, che ’n vista ancor ti priega,
[80]
o santo petto, che per tua la tegni:
[87]
«che quante grazie volse da me, fei.
[88]
Or che di là dal mal fiume dimora,
[90]
che fatta fu quando me n’usci’ fora.
[93]
bastisi ben che per lei mi richegge.
[94]
Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
[95]
d’un giunco schietto e che li lavi ’l viso,
[103]
null’ altra pianta che facesse fronda
[107]
lo sol vi mosterrà, che surge omai,
[116]
che fuggia innanzi, sì che di lontano
[119]
com’ om che torna a la perduta strada,
[120]
che ’nfino ad essa li pare ire in vano.
[126]
ond’ io, che fui accorto di sua arte,
[129]
quel color che l’inferno mi nascose.
[131]
che mai non vide navicar sue acque
[132]
omo, che di tornar sia poscia esperto.
36. Purgatorio • Canto II
[4]
e la notte, che opposita a lui cerchia,
[6]
che le caggion di man quando soverchia;
[7]
sì che le bianche e le vermiglie guance,
[11]
come gente che pensa a suo cammino,
[12]
che va col cuore e col corpo dimora.
[18]
che ’l muover suo nessun volar pareggia.
[23]
un non sapeva che bianco, e di sotto
[26]
mentre che i primi bianchi apparver ali;
[27]
allor che ben conobbe il galeotto,
[28]
gridò: «Fa, fa che le ginocchia cali.
[31]
Vedi che sdegna li argomenti umani,
[32]
sì che remo non vuol, né altro velo
[33]
che l’ali sue, tra liti sì lontani.
[36]
che non si mutan come mortal pelo».
[39]
per che l’occhio da presso nol sostenne,
[42]
tanto che l’acqua nulla ne ’nghiottiva.
[44]
tal che faria beato pur descripto;
[52]
La turba che rimase lì, selvaggia
[54]
come colui che nove cose assaggia.
[62]
forse che siamo esperti d’esto loco;
[65]
per altra via, che fu sì aspra e forte,
[66]
che lo salire omai ne parrà gioco».
[67]
L’anime, che si fuor di me accorte,
[70]
E come a messagger che porta ulivo
[78]
che mosse me a far lo somigliante.
[79]
Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto!
[83]
per che l’ombra sorrise e si ritrasse,
[87]
che, per parlarmi, un poco s’arrestasse.
[95]
se quei che leva quando e cui li piace,
[104]
però che sempre quivi si ricoglie
[108]
che mi solea quetar tutte mie doglie,
[110]
l’anima mia, che, con la sua persona
[112]
‘Amor che ne la mente mi ragiona’
[114]
che la dolcezza ancor dentro mi suona.
[120]
gridando: «Che è ciò, spiriti lenti?
[132]
com’ om che va, né sa dove rïesca;
37. Purgatorio • Canto III
[1]
Avvegna che la subitana fuga
[11]
che l’onestade ad ogn’ atto dismaga,
[12]
la mente mia, che prima era ristretta,
[15]
che ’nverso ’l ciel più alto si dislaga.
[16]
Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,
[29]
non ti maravigliar più che d’i cieli
[30]
che l’uno a l’altro raggio non ingombra.
[33]
che, come fa, non vuol ch’a noi si sveli.
[34]
Matto è chi spera che nostra ragione
[36]
che tiene una sustanza in tre persone.
[41]
tai che sarebbe lor disio quetato,
[48]
che ’ndarno vi sarien le gambe pronte.
[54]
«sì che possa salir chi va sanz’ ala?».
[59]
d’anime, che movieno i piè ver’ noi,
[75]
ch’i’ credo che per voi tutti s’aspetti,
[77]
sì che possibil sia l’andare in suso;
[82]
e ciò che fa la prima, e l’altre fanno,
[90]
sì che l’ombra era da me a la grotta,
[92]
e tutti li altri che venieno appresso,
[95]
che questo è corpo uman che voi vedete;
[96]
per che ’l lume del sole in terra è fesso.
[98]
che non sanza virtù che da ciel vegna
[114]
ond’ io ti priego che, quando tu riedi,
[120]
piangendo, a quei che volontier perdona.
[123]
che prende ciò che si rivolge a lei.
[124]
Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia
[134]
che non possa tornar, l’etterno amore,
[135]
mentre che la speranza ha fior del verde.
[136]
Vero è che quale in contumacia more
38. Purgatorio • Canto IV
[2]
che alcuna virtù nostra comprenda,
[5]
e questo è contra quello error che crede
[8]
che tegna forte a sé l’anima volta,
[10]
ch’altra potenza è quella che l’ascolta,
[22]
che non era la calla onde salìne
[30]
che speranza mi dava e facea lume.
[34]
Poi che noi fummo in su l’orlo suppremo
[36]
«Maestro mio», diss’ io, «che via faremo?».
[39]
fin che n’appaia alcuna scorta saggia».
[40]
Lo sommo er’ alto che vincea la vista,
[42]
che da mezzo quadrante a centro lista.
[48]
che da quel lato il poggio tutto gira.
[51]
tanto che ’l cinghio sotto i piè mi fue.
[54]
che suole a riguardar giovare altrui.
[57]
che da sinistra n’eravam feriti.
[63]
che sù e giù del suo lume conduce,
[72]
che mal non seppe carreggiar Fetòn,
[73]
vedrai come a costui convien che vada
[79]
che ’l mezzo cerchio del moto superno,
[80]
che si chiama Equatore in alcun’ arte,
[81]
e che sempre riman tra ’l sole e ’l verno,
[82]
per la ragion che di’, quinci si parte
[87]
più che salir non posson li occhi miei».
[89]
che sempre al cominciar di sotto è grave;
[92]
tanto, che sù andar ti fia leggero
[99]
che di sedere in pria avrai distretta!».
[104]
che si stavano a l’ombra dietro al sasso
[106]
E un di lor, che mi sembiava lasso,
[110]
colui che mostra sé più negligente
[111]
che se pigrizia fosse sua serocchia».
[114]
e disse: «Or va tu sù, che se’ valente!».
[116]
che m’avacciava un poco ancor la lena,
[127]
Ed elli: «O frate, andar in sù che porta?
[129]
l’angel di Dio che siede in su la porta.
[130]
Prima convien che tanto il ciel m’aggiri
[134]
che surga sù di cuor che in grazia viva;
[135]
l’altra che val, che ’n ciel non è udita?».
39. Purgatorio • Canto V
[4]
una gridò: «Ve’ che non par che luca
[6]
e come vivo par che si conduca!».
[11]
disse ’l maestro, «che l’andare allenti?
[12]
che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
[14]
sta come torre ferma, che non crolla
[19]
Che potea io ridir, se non «Io vegno»?
[21]
che fa l’uom di perdon talvolta degno.
[32]
e ritrarre a color che vi mandaro
[33]
che ’l corpo di costui è vera carne.
[40]
che color non tornasser suso in meno;
[42]
come schiera che scorre sanza freno.
[43]
«Questa gente che preme a noi è molta,
[46]
«O anima che vai per esser lieta
[50]
sì che di lui di là novella porti:
[55]
sì che, pentendo e perdonando, fora
[57]
che del disio di sé veder n’accora».
[62]
che, dietro a’ piedi di sì fatta guida,
[66]
pur che ’l voler nonpossa non ricida.
[67]
Ond’ io, che solo innanzi a li altri parlo,
[69]
che siede tra Romagna e quel di Carlo,
[70]
che tu mi sie di tuoi prieghi cortese
[71]
in Fano, sì che ben per me s’adori
[77]
quel da Esti il fé far, che m’avea in ira
[78]
assai più là che dritto non volea.
[86]
si compia che ti tragge a l’alto monte,
[93]
che non si seppe mai tua sepultura?».
[96]
che sovra l’Ermo nasce in Apennino.
[107]
per una lagrimetta che ’l mi toglie;
[110]
quell’ umido vapor che in acqua riede,
[111]
tosto che sale dove ’l freddo il coglie.
[112]
Giunse quel mal voler che pur mal chiede
[114]
per la virtù che sua natura diede.
[118]
sì che ’l pregno aere in acqua si converse;
[120]
di lei ciò che la terra non sofferse;
[123]
si ruinò, che nulla la ritenne.
[133]
«ricorditi di me, che son la Pia;
[135]
salsi colui che ’nnanellata pria
40. Purgatorio • Canto VI
[2]
colui che perde si riman dolente,
[13]
Quiv’ era l’Aretin che da le braccia
[18]
che fé parer lo buon Marzucco forte.
[24]
sì che però non sia di peggior greggia.
[26]
quell’ ombre che pregar pur ch’altri prieghi,
[27]
sì che s’avacci lor divenir sante,
[28]
io cominciai: «El par che tu mi nieghi,
[30]
che decreto del cielo orazion pieghi;
[39]
ciò che de’ sodisfar chi qui s’astalla;
[45]
che lume fia tra ’l vero e lo ’ntelletto.
[51]
e vedi omai che ’l poggio l’ombra getta».
[54]
ma ’l fatto è d’altra forma che non stanzi.
[55]
Prima che sie là sù, tornar vedrai
[56]
colui che già si cuopre de la costa,
[57]
sì che ’ suoi raggi tu romper non fai.
[58]
Ma vedi là un’anima che, posta
[68]
che ne mostrasse la miglior salita;
[88]
Che val perché ti racconciasse il freno
[91]
Ahi gente che dovresti esser devota,
[93]
se bene intendi ciò che Dio ti nota,
[96]
poi che ponesti mano a la predella.
[102]
tal che ’l tuo successor temenza n’aggia!
[105]
che ’l giardin de lo ’mperio sia diserto.
[112]
Vieni a veder la tua Roma che piagne
[119]
che fosti in terra per noi crucifisso,
[121]
O è preparazion che ne l’abisso
[126]
ogne villan che parteggiando viene.
[128]
di questa digression che non ti tocca,
[129]
mercé del popol tuo che si argomenta.
[139]
Atene e Lacedemona, che fenno
[142]
verso di te, che fai tanto sottili
[144]
non giugne quel che tu d’ottobre fili.
[145]
Quante volte, del tempo che rimembre,
[150]
che non può trovar posa in su le piume,
41. Purgatorio • Canto VII
[1]
Poscia che l’accoglienze oneste e liete
[4]
«Anzi che a questo monte fosser volte
[8]
lo ciel perdei che per non aver fé».
[10]
Qual è colui che cosa innanzi sé
[12]
che crede e non, dicendo «Ella è . . . non è . . . »,
[17]
mostrò ciò che potea la lingua nostra,
[26]
a veder l’alto Sol che tu disiri
[27]
e che fu tardi per me conosciuto.
[33]
che fosser da l’umana colpa essenti;
[34]
quivi sto io con quei che le tre sante
[38]
dà noi per che venir possiam più tosto
[56]
che la notturna tenebra, ad ir suso;
[60]
mentre che l’orizzonte il dì tien chiuso».
[65]
quand’ io m’accorsi che ’l monte era scemo,
[66]
a guisa che i vallon li sceman quici.
[71]
che ne condusse in fianco de la lacca,
[75]
fresco smeraldo in l’ora che si fiacca,
[84]
che per la valle non parean di fuori.
[85]
«Prima che ’l poco sole omai s’annidi»,
[86]
cominciò ’l Mantoan che ci avea vòlti,
[90]
che ne la lama giù tra essi accolti.
[91]
Colui che più siede alto e fa sembianti
[92]
d’aver negletto ciò che far dovea,
[93]
e che non move bocca a li altrui canti,
[94]
Rodolfo imperador fu, che potea
[96]
sì che tardi per altri si ricrea.
[97]
L’altro che ne la vista lui conforta,
[99]
che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta:
[101]
fu meglio assai che Vincislao suo figlio
[103]
E quel nasetto che stretto a consiglio
[111]
e quindi viene il duol che sì li lancia.
[112]
Quel che par sì membruto e che s’accorda,
[116]
lo giovanetto che retro a lui siede,
[118]
che non si puote dir de l’altre rede;
[123]
quei che la dà, perché da lui si chiami.
[125]
non men ch’a l’altro, Pier, che con lui canta,
[128]
quanto, più che Beatrice e Margherita,
[133]
Quel che più basso tra costor s’atterra,
42. Purgatorio • Canto VIII
[1]
Era già l’ora che volge il disio
[4]
e che lo novo peregrin d’amore
[6]
che paia il giorno pianger che si more;
[9]
surta, che l’ascoltar chiedea con mano.
[15]
che fece me a me uscir di mente;
[21]
certo che ’l trapassar dentro è leggero.
[29]
erano in veste, che da verdi penne
[33]
sì che la gente in mezzo si contenne.
[39]
per lo serpente che verrà vie via».
[40]
Ond’ io, che non sapeva per qual calle,
[47]
e fui di sotto, e vidi un che mirava
[49]
Temp’ era già che l’aere s’annerava,
[50]
ma non sì che tra li occhi suoi e ’ miei
[51]
non dichiarisse ciò che pria serrava.
[56]
poi dimandò: «Quant’ è che tu venisti
[60]
ancor che l’altra, sì andando, acquisti».
[65]
che sedea lì, gridando: «Sù, Currado!
[66]
vieni a veder che Dio per grazia volse».
[68]
che tu dei a colui che sì nasconde
[69]
lo suo primo perché, che non lì è guado,
[71]
dì a Giovanna mia che per me chiami
[73]
Non credo che la sua madre più m’ami,
[74]
poscia che trasmutò le bianche bende,
[75]
le quai convien che, misera!, ancor brami.
[80]
la vipera che Melanesi accampa,
[84]
che misuratamente in core avvampa.
[88]
E ’l duca mio: «Figliuol, che là sù guarde?».
[90]
di che ’l polo di qua tutto quanto arde».
[92]
che vedevi staman, son di là basse,
[102]
leccando come bestia che si liscia.
[109]
L’ombra che s’era al giudice raccolta
[112]
«Se la lucerna che ti mena in alto
[117]
sai, dillo a me, che già grande là era.
[120]
a’ miei portai l’amor che qui raffina».
[124]
La fama che la vostra casa onora,
[126]
sì che ne sa chi non vi fu ancora;
[128]
che vostra gente onrata non si sfregia
[131]
che, perché il capo reo il mondo torca,
[133]
Ed elli: «Or va; che ’l sol non si ricorca
[134]
sette volte nel letto che ’l Montone
[136]
che cotesta cortese oppinïone
[138]
con maggior chiovi che d’altrui sermone,
43. Purgatorio • Canto IX
[6]
che con la coda percuote la gente;
[7]
e la notte, de’ passi con che sale,
[10]
quand’ io, che meco avea di quel d’Adamo,
[13]
Ne l’ora che comincia i tristi lai
[16]
e che la mente nostra, peregrina
[28]
Poi mi parea che, poi rotata un poco,
[31]
Ivi parea che ella e io ardesse;
[33]
che convenne che ’l sonno si rompesse.
[40]
che mi scoss’ io, sì come da la faccia
[42]
come fa l’uom che, spaventato, agghiaccia.
[44]
e ’l sole er’ alto già più che due ore,
[50]
vedi là il balzo che ’l chiude dintorno;
[52]
Dianzi, ne l’alba che procede al giorno,
[56]
lasciatemi pigliar costui che dorme;
[64]
A guisa d’uom che ’n dubbio si raccerta
[65]
e che muta in conforto sua paura,
[66]
poi che la verità li è discoperta,
[74]
che là dove pareami prima rotto,
[75]
pur come un fesso che muro diparte,
[83]
che reflettëa i raggi sì ver’ noi,
[85]
«Dite costinci: che volete voi?»,
[87]
Guardate che ’l venir sù non vi nòi».
[97]
Era il secondo tinto più che perso,
[100]
Lo terzo, che di sopra s’ammassiccia,
[102]
come sangue che fuor di vena spiccia.
[105]
che mi sembiava pietra di diamante.
[108]
umilemente che ’l serrame scioglia».
[113]
col punton de la spada, e «Fa che lavi,
[115]
Cenere, o terra che secca si cavi,
[122]
che non si volga dritta per la toppa»,
[125]
d’arte e d’ingegno avanti che diserri,
[126]
perch’ ella è quella che ’l nodo digroppa.
[129]
pur che la gente a’ piedi mi s’atterri».
[132]
che di fuor torna chi ’n dietro si guata».
[135]
che di metallo son sonanti e forti,
[138]
Metello, per che poi rimase macra.
44. Purgatorio • Canto X
[2]
che ’l mal amor de l’anime disusa,
[8]
che si moveva e d’una e d’altra parte,
[9]
sì come l’onda che fugge e s’appressa.
[12]
or quinci, or quindi al lato che si parte».
[14]
tanto che pria lo scemo de la luna
[16]
che noi fossimo fuor di quella cruna;
[21]
solingo più che strade per diserti.
[23]
al piè de l’alta ripa che pur sale,
[30]
che dritto di salita aveva manco,
[32]
d’intagli sì, che non pur Policleto,
[34]
L’angel che venne in terra col decreto
[39]
che non sembiava imagine che tace.
[47]
disse ’l dolce maestro, che m’avea
[51]
onde m’era colui che mi movea,
[54]
acciò che fosse a li occhi miei disposta.
[57]
per che si teme officio non commesso.
[62]
che v’era imaginato, li occhi e ’l naso
[66]
e più e men che re era in quel caso.
[72]
che di dietro a Micòl mi biancheggiava.
[90]
a te che fia, se ’l tuo metti in oblio?»;
[94]
Colui che mai non vide cosa nova
[106]
Non vo’ però, lettor, che tu ti smaghi
[108]
come Dio vuol che ’l debito si paghi.
[114]
e non so che, sì nel veder vaneggio».
[117]
sì che ’ miei occhi pria n’ebber tencione.
[119]
col viso quel che vien sotto a quei sassi:
[122]
che, de la vista de la mente infermi,
[124]
non v’accorgete voi che noi siam vermi
[126]
che vola a la giustizia sanza schermi?
[127]
Di che l’animo vostro in alto galla,
[136]
Vero è che più e meno eran contratti
45. Purgatorio • Canto XI
[1]
«O Padre nostro, che ne’ cieli stai,
[19]
Nostra virtù che di legger s’adona,
[21]
ma libera da lui che sì la sprona.
[24]
ma per color che dietro a noi restaro».
[27]
simile a quel che talvolta si sogna,
[32]
di qua che dire e far per lor si puote
[35]
che portar quinci, sì che, mondi e lievi,
[38]
tosto, sì che possiate muover l’ala,
[39]
che secondo il disio vostro vi lievi,
[42]
quel ne ’nsegnate che men erto cala;
[43]
ché questi che vien meco, per lo ’ncarco
[46]
Le lor parole, che rendero a queste
[47]
che dette avea colui cu’ io seguiva,
[53]
che la cervice mia superba doma,
[63]
che, non pensando a la comune madre,
[71]
per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia,
[74]
e un di lor, non questi che parlava,
[75]
si torse sotto il peso che li ’mpaccia,
[78]
a me che tutto chin con loro andava.
[83]
che pennelleggia Franco Bolognese;
[90]
che, possendo peccar, mi volsi a Dio.
[96]
sì che la fama di colui è scura.
[103]
Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
[104]
da te la carne, che se fossi morto
[105]
anzi che tu lasciassi il ‘pappo’ e ’l ‘dindi’,
[106]
pria che passin mill’ anni? ch’è più corto
[108]
al cerchio che più tardi in cielo è torto.
[109]
Colui che del cammin sì poco piglia
[113]
la rabbia fiorentina, che superba
[116]
che viene e va, e quei la discolora
[125]
poi che morì; cotal moneta rende
[128]
pria che si penta, l’orlo de la vita,
[131]
prima che passi tempo quanto visse,
[139]
Più non dirò, e scuro so che parlo;
[140]
ma poco tempo andrà, che ’ tuoi vicini
[141]
faranno sì che tu potrai chiosarlo.
46. Purgatorio • Canto XII
[1]
Di pari, come buoi che vanno a giogo,
[3]
fin che ’l sofferse il dolce pedagogo.
[8]
con la persona, avvegna che i pensieri
[21]
che solo a’ pïi dà de le calcagne;
[25]
Vedea colui che fu nobil creato
[36]
che ’n Sennaàr con lui superbi fuoro.
[37]
O Nïobè, con che occhi dolenti
[42]
che poi non sentì pioggia né rugiada!
[45]
de l’opera che mal per te si fé.
[46]
O Roboàm, già non par che minacci
[56]
che fé Tamiri, quando disse a Ciro:
[59]
li Assiri, poi che fu morto Oloferne,
[63]
mostrava il segno che lì si discerne!
[65]
che ritraesse l’ombre e ’ tratti ch’ivi
[69]
quant’ io calcai, fin che chinato givi.
[72]
sì che veggiate il vostro mal sentero!
[75]
che non stimava l’animo non sciolto,
[76]
quando colui che sempre innanzi atteso
[79]
Vedi colà un angel che s’appresta
[80]
per venir verso noi; vedi che torna
[83]
sì che i diletti lo ’nvïarci in suso;
[84]
pensa che questo dì mai non raggiorna!».
[86]
pur di non perder tempo, sì che ’n quella
[101]
dove siede la chiesa che soggioga
[104]
per le scalee che si fero ad etade
[106]
così s’allenta la ripa che cade
[111]
cantaron sì, che nol diria sermone.
[117]
che per lo pian non mi parea davanti.
[119]
levata s’è da me, che nulla quasi
[121]
Rispuose: «Quando i P che son rimasi
[122]
ancor nel volto tuo presso che stinti,
[125]
che non pur non fatica sentiranno,
[127]
Allor fec’ io come color che vanno
[129]
se non che ’ cenni altrui sospecciar fanno;
[130]
per che la mano ad accertar s’aiuta,
[132]
che non si può fornir per la veduta;
[134]
trovai pur sei le lettere che ’ncise
[136]
a che guardando, il mio duca sorrise.
47. Purgatorio • Canto XIII
[3]
lo monte che salendo altrui dismala.
[6]
se non che l’arco suo più tosto piega.
[7]
Ombra non lì è né segno che si paia:
[12]
che troppo avrà d’indugio nostra eletta».
[28]
La prima voce che passò volando
[31]
E prima che del tutto non si udisse
[34]
«Oh!», diss’ io, «padre, che voci son queste?».
[41]
credo che l’udirai, per mio avviso,
[42]
prima che giunghi al passo del perdono.
[46]
Allora più che prima li occhi apersi;
[49]
E poi che fummo un poco più avanti,
[52]
Non credo che per terra vada ancoi
[53]
omo sì duro, che non fosse punto
[56]
che li atti loro a me venivan certi,
[66]
ma per la vista che non meno agogna.
[72]
si fa però che queto non dimora.
[76]
Ben sapev’ ei che volea dir lo muto;
[83]
ombre, che per l’orribile costura
[84]
premevan sì, che bagnavan le gote.
[87]
che ’l disio vostro solo ha in sua cura,
[89]
di vostra coscïenza sì che chiaro
[92]
s’anima è qui tra voi che sia latina;
[96]
che vivesse in Italia peregrina».
[98]
più innanzi alquanto che là dov’ io stava,
[103]
«Spirto», diss’ io, «che per salir ti dome,
[104]
se tu se’ quelli che mi rispondesti,
[108]
lagrimando a colui che sé ne presti.
[109]
Savia non fui, avvegna che Sapìa
[111]
più lieta assai che di ventura mia.
[130]
Ma tu chi se’, che nostre condizioni
[138]
che già lo ’ncarco di là giù mi pesa».
[146]
rispuose, «che gran segno è che Dio t’ami;
[148]
E cheggioti, per quel che tu più brami,
[150]
che a’ miei propinqui tu ben mi rinfami.
[152]
che spera in Talamone, e perderagli
48. Purgatorio • Canto XIV
[1]
«Chi è costui che ’l nostro monte cerchia
[2]
prima che morte li abbia dato il volo,
[5]
domandal tu che più li t’avvicini,
[6]
e dolcemente, sì che parli, acco’lo».
[10]
e disse l’uno: «O anima che fitta
[15]
quanto vuol cosa che non fu più mai».
[17]
un fiumicel che nasce in Falterona,
[24]
quei che diceva pria, «tu parli d’Arno».
[28]
E l’ombra che di ciò domandata era,
[30]
ben è che ’l nome di tal valle pèra;
[33]
che ’n pochi luoghi passa oltra quel segno,
[35]
di quel che ’l ciel de la marina asciuga,
[36]
ond’ hanno i fiumi ciò che va con loro,
[39]
del luogo, o per mal uso che li fruga:
[42]
che par che Circe li avesse in pastura.
[44]
che d’altro cibo fatto in uman uso,
[47]
ringhiosi più che non chiede lor possa,
[54]
che non temono ingegno che le occùpi.
[57]
di ciò che vero spirto mi disnoda.
[58]
Io veggio tuo nepote che diventa
[65]
lasciala tal, che di qui a mille anni
[69]
da qual che parte il periglio l’assanni,
[70]
così vid’ io l’altr’ anima, che volta
[76]
per che lo spirto che di pria parlòmi
[78]
nel fare a te ciò che tu far non vuo’mi.
[79]
Ma da che Dio in te vuol che traluca
[83]
che se veduto avesse uom farsi lieto,
[95]
di venenosi sterpi, sì che tardi
[105]
Ugolin d’Azzo che vivette nosco,
[110]
che ne ’nvogliava amore e cortesia
[113]
poi che gita se n’è la tua famiglia
[115]
Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;
[117]
che di figliar tai conti più s’impiglia.
[118]
Ben faranno i Pagan, da che ’l demonio
[119]
lor sen girà; ma non però che puro
[122]
è ’l nome tuo, da che più non s’aspetta
[125]
troppo di pianger più che di parlare,
[127]
Noi sapavam che quell’ anime care
[132]
voce che giunse di contra dicendo:
[134]
e fuggì come tuon che si dilegua,
[138]
che somigliò tonar che tosto segua:
[139]
«Io sono Aglauro che divenni sasso»;
[144]
che dovria l’uom tener dentro a sua meta.
[145]
Ma voi prendete l’esca, sì che l’amo
49. Purgatorio • Canto XV
[3]
che sempre a guisa di fanciullo scherza,
[9]
che già dritti andavamo inver’ l’occaso,
[11]
a lo splendore assai più che di prima,
[15]
che del soverchio visibile lima.
[19]
a quel che scende, e tanto si diparte
[24]
per che a fuggir la mia vista fu ratta.
[25]
«Che è quel, dolce padre, a che non posso
[26]
schermar lo viso tanto che mi vaglia»,
[30]
«messo è che viene ad invitar ch’om saglia.
[36]
ad un scaleo vie men che li altri eretto».
[39]
cantato retro, e ‘Godi tu che vinci!’.
[44]
«Che volse dir lo spirto di Romagna,
[59]
diss’ io, «che se mi fosse pria taciuto,
[63]
di sé che se da pochi è posseduto?».
[64]
Ed elli a me: «Però che tu rificchi
[68]
che là sù è, così corre ad amore
[71]
sì che, quantunque carità si stende,
[79]
Procaccia pur che tosto sieno spente,
[81]
che si richiudon per esser dolente».
[84]
sì che tacer mi fer le luci vaghe.
[93]
ciò che pareva prima, dispario.
[95]
giù per le gote che ’l dolor distilla
[104]
«Che farem noi a chi mal ne disira,
[105]
se quei che ci ama è per noi condannato?»,
[110]
che l’aggravava già, inver’ la terra,
[113]
che perdonasse a’ suoi persecutori,
[114]
con quello aspetto che pietà diserra.
[116]
a le cose che son fuor di lei vere,
[118]
Lo duca mio, che mi potea vedere
[119]
far sì com’ om che dal sonno si slega,
[120]
disse: «Che hai che non ti puoi tenere,
[121]
ma se’ venuto più che mezza lega
[125]
io ti dirò», diss’ io, «ciò che m’apparve
[130]
Ciò che vedesti fu perché non scuse
[132]
che da l’etterno fonte son diffuse.
[133]
Non dimandai “Che hai?” per quel che face
[134]
chi guarda pur con l’occhio che non vede,
50. Purgatorio • Canto XVI
[7]
che l’occhio stare aperto non sofferse;
[12]
in cosa che ’l molesti, o forse ancida,
[14]
ascoltando il mio duca che diceva
[15]
pur: «Guarda che da me tu non sia mozzo».
[18]
l’Agnel di Dio che le peccata leva.
[21]
sì che parea tra esse ogne concordia.
[25]
«Or tu chi se’ che ’l nostro fummo fendi,
[31]
E io: «O creatura che ti mondi
[32]
per tornar bella a colui che ti fece,
[38]
che la morte dissolve men vo suso,
[41]
tanto che vuol ch’i’ veggia la sua corte
[51]
che per me prieghi quando sù sarai».
[53]
di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio
[56]
ne la sentenza tua, che mi fa certo
[61]
ma priego che m’addite la cagione,
[64]
Alto sospir, che duolo strinse in «uhi!»,
[67]
Voi che vivete ogne cagion recate
[76]
e libero voler; che, se fatica
[81]
la mente in voi, che ’l ciel non ha in sua cura.
[85]
Esce di mano a lui che la vagheggia
[86]
prima che sia, a guisa di fanciulla
[87]
che piangendo e ridendo pargoleggia,
[88]
l’anima semplicetta che sa nulla,
[89]
salvo che, mossa da lieto fattore,
[90]
volontier torna a ciò che la trastulla.
[95]
convenne rege aver, che discernesse
[98]
Nullo, però che ’l pastor che procede,
[100]
per che la gente, che sua guida vede
[103]
Ben puoi veder che la mala condotta
[104]
è la cagion che ’l mondo ha fatto reo,
[105]
e non natura che ’n voi sia corrotta.
[106]
Soleva Roma, che ’l buon mondo feo,
[107]
due soli aver, che l’una e l’altra strada
[111]
per viva forza mal convien che vada;
[112]
però che, giunti, l’un l’altro non teme:
[117]
prima che Federigo avesse briga;
[123]
che Dio a miglior vita li ripogna:
[125]
e Guido da Castel, che mei si noma,
[127]
Dì oggimai che la Chiesa di Roma,
[133]
Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio
[138]
par che del buon Gherardo nulla senta.
[142]
Vedi l’albor che per lo fummo raia
51. Purgatorio • Canto XVII
[3]
non altrimenti che per pelle talpe,
[9]
lo sole in pria, che già nel corcar era.
[13]
O imaginativa che ne rube
[17]
Moveti lume che nel ciel s’informa,
[18]
per sé o per voler che giù lo scorge.
[19]
De l’empiezza di lei che mutò forma
[23]
dentro da sé, che di fuor non venìa
[24]
cosa che fosse allor da lei ricetta.
[30]
che fu al dire e al far così intero.
[38]
or m’hai perduta! Io son essa che lutto,
[42]
che fratto guizza pria che muoia tutto;
[44]
tosto che lume il volto mi percosse,
[45]
maggior assai che quel ch’è in nostro uso.
[48]
che da ogne altro intento mi rimosse;
[50]
di riguardar chi era che parlava,
[51]
che mai non posa, se non si raffronta.
[52]
Ma come al sol che nostra vista grava
[55]
«Questo è divino spirito, che ne la
[62]
procacciam di salir pria che s’abbui,
[69]
pacifici, che son sanz’ ira mala!’.
[71]
li ultimi raggi che la notte segue,
[72]
che le stelle apparivan da più lati.
[101]
o con men che non dee corre nel bene,
[105]
e d’ogne operazion che merta pene.
[113]
che ’l mal che s’ama è del prossimo; ed esso
[120]
onde s’attrista sì che ’l contrario ama;
[122]
sì che si fa de la vendetta ghiotto,
[123]
e tal convien che ’l male altrui impronti.
[125]
si piange: or vo’ che tu de l’altro intende,
[126]
che corre al ben con ordine corrotto.
[129]
per che di giugner lui ciascun contende.
[133]
Altro ben è che non fa l’uom felice;
[139]
tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi».
52. Purgatorio • Canto XVIII
[7]
Ma quel padre verace, che s’accorse
[8]
del timido voler che non s’apriva,
[14]
che mi dimostri amore, a cui reduci
[18]
l’error de’ ciechi che si fanno duci.
[20]
ad ogne cosa è mobile che piace,
[21]
tosto che dal piacere in atto è desto.
[24]
sì che l’animo ad essa volger face;
[27]
che per piacer di novo in voi si lega.
[33]
fin che la cosa amata il fa gioire.
[37]
però che forse appar la sua matera
[39]
è buono, ancor che buona sia la cera».
[49]
Ogne forma sustanzïal, che setta
[53]
né si dimostra mai che per effetto,
[58]
che sono in voi sì come studio in ape
[62]
innata v’è la virtù che consiglia,
[66]
che buoni e rei amori accoglie e viglia.
[67]
Color che ragionando andaro al fondo,
[70]
Onde, poniam che di necessitate
[71]
surga ogne amor che dentro a voi s’accende,
[75]
che l’abbi a mente, s’a parlar ten prende».
[78]
fatta com’ un secchion che tuttor arda;
[80]
che ’l sole infiamma allor che quel da Roma
[83]
Pietola più che villa mantoana,
[85]
per ch’io, che la ragione aperta e piana
[87]
stava com’ om che sonnolento vana.
[89]
subitamente da gente che dopo
[93]
pur che i Teban di Bacco avesser uopo,
[103]
«Ratto, ratto, che ’l tempo non si perda
[105]
«che studio di ben far grazia rinverda».
[109]
questi che vive, e certo i’ non vi bugio,
[110]
vuole andar sù, pur che ’l sol ne riluca;
[116]
che restar non potem; però perdona,
[122]
che tosto piangerà quel monastero,
[125]
e de la mente peggio, e che mal nacque,
[130]
E quei che m’era ad ogne uopo soccorso
[135]
che vedesse Iordan le rede sue.
[136]
E quella che l’affanno non sofferse
[140]
quell’ ombre, che veder più non potiersi,
[144]
che li occhi per vaghezza ricopersi,
53. Purgatorio • Canto XIX
[1]
Ne l’ora che non può ’l calor dïurno
[6]
surger per via che poco le sta bruna—,
[11]
le fredde membra che la notte aggrava,
[17]
cominciava a cantar sì, che con pena
[20]
che ’ marinari in mezzo mar dismago;
[33]
quel mi svegliò col puzzo che n’uscia.
[41]
come colui che l’ha di pensier carca,
[42]
che fa di sé un mezzo arco di ponte;
[46]
Con l’ali aperte, che parean di cigno,
[47]
volseci in sù colui che sì parlonne
[52]
«Che hai che pur inver’ la terra guati?»,
[59]
che sola sovr’ a noi omai si piagne;
[62]
li occhi rivolgi al logoro che gira
[64]
Quale ’l falcon, che prima a’ pié si mira,
[66]
per lo disio del pasto che là il tira,
[71]
vidi gente per esso che piangea,
[75]
che la parola a pena s’intendea.
[87]
ciò che chiedea la vista del disio.
[105]
che piuma sembran tutte l’altre some.
[109]
Vidi che lì non s’acquetava il core,
[111]
per che di questa in me s’accese amore.
[137]
che dice ‘Neque nubent’ intendesti,
[139]
Vattene omai: non vo’ che più t’arresti;
[141]
col qual maturo ciò che tu dicesti.
[143]
buona da sé, pur che la nostra casa
54. Purgatorio • Canto XX
[7]
ché la gente che fonde a goccia a goccia
[8]
per li occhi il mal che tutto ’l mondo occupa,
[11]
che più che tutte l’altre bestie hai preda
[13]
O ciel, nel cui girar par che si creda
[21]
come fa donna che in parturir sia;
[27]
che gran ricchezza posseder con vizio».
[32]
che fece Niccolò a le pulcelle,
[34]
«O anima che tanto ben favelle,
[42]
grazia in te luce prima che sie morto.
[44]
che la terra cristiana tutta aduggia,
[45]
sì che buon frutto rado se ne schianta.
[48]
e io la cheggio a lui che tutto giuggia.
[61]
Mentre che la gran dota provenzale
[71]
che tragge un altro Carlo fuor di Francia,
[79]
L’altro, che già uscì preso di nave,
[82]
O avarizia, che puoi tu più farne,
[84]
che non si cura de la propria carne?
[92]
che ciò nol sazia, ma sanza decreto
[95]
a veder la vendetta che, nascosa,
[98]
de lo Spirito Santo e che ti fece
[107]
che seguì a la sua dimanda gorda,
[108]
per la qual sempre convien che si rida.
[110]
come furò le spoglie, sì che l’ira
[117]
dilci, che ’l sai: di che sapore è l’oro?”.
[121]
però al ben che ’l dì ci si ragiona,
[127]
quand’ io senti’, come cosa che cada,
[131]
pria che Latona in lei facesse ’l nido
[134]
tal, che ’l maestro inverso me si feo,
[140]
come i pastor che prima udir quel canto,
[141]
fin che ’l tremar cessò ed el compiési.
[143]
guardando l’ombre che giacean per terra,
55. Purgatorio • Canto XXI
[1]
La sete natural che mai non sazia
[8]
che Cristo apparve a’ due ch’erano in via,
[11]
dal piè guardando la turba che giace;
[18]
che me rilega ne l’etterno essilio».
[20]
«se voi siete ombre che Dio sù non degni,
[23]
che questi porta e che l’angel profila,
[24]
ben vedrai che coi buon convien ch’e’ regni.
[25]
Ma perché lei che dì e notte fila
[27]
che Cloto impone a ciascuno e compila,
[38]
del mio disio, che pur con la speranza
[40]
Quei cominciò: «Cosa non è che sanza
[42]
de la montagna, o che sia fuor d’usanza.
[44]
di quel che ’l ciel da sé in sé riceve
[46]
Per che non pioggia, non grando, non neve,
[48]
che la scaletta di tre gradi breve;
[51]
che di là cangia sovente contrade;
[56]
ma per vento che ’n terra si nasconda,
[59]
sentesi, sì che surga o che si mova
[62]
che, tutto libero a mutar convento,
[65]
che divina giustizia, contra voglia,
[67]
E io, che son giaciuto a questa doglia
[72]
a quel Segnor, che tosto sù li ’nvii».
[77]
che qui vi ’mpiglia e come si scalappia,
[78]
perché ci trema e di che congaudete.
[82]
«Nel tempo che ’l buon Tito, con l’aiuto
[85]
col nome che più dura e più onora
[89]
che, tolosano, a sé mi trasse Roma,
[95]
che mi scaldar, de la divina fiamma
[102]
più che non deggio al mio uscir di bando».
[104]
con viso che, tacendo, disse ‘Taci’;
[105]
ma non può tutto la virtù che vuole;
[107]
a la passion di che ciascun si spicca,
[108]
che men seguon voler ne’ più veraci.
[110]
per che l’ombra si tacque, e riguardommi
[121]
Ond’ io: «Forse che tu ti maravigli,
[123]
ma più d’ammirazion vo’ che ti pigli.
[124]
Questi che guida in alto li occhi miei,
[129]
quelle parole che di lui dicesti».
56. Purgatorio • Canto XXII
[2]
l’angel che n’avea vòlti al sesto giro,
[7]
E io più lieve che per l’altre foci
[8]
m’andava, sì che sanz’ alcun labore
[12]
pur che la fiamma sua paresse fore;
[13]
onde da l’ora che tra noi discese
[15]
che la tua affezion mi fé palese,
[29]
che danno a dubitar falsa matera
[30]
per le vere ragion che son nascose.
[40]
‘Per che non reggi tu, o sacra fame
[43]
Allor m’accorsi che troppo aprir l’ali
[47]
per ignoranza, che di questa pecca
[49]
E sappie che la colpa che rimbecca
[53]
che piange l’avarizia, per purgarmi,
[58]
«per quello che Clïò teco lì tasta,
[59]
non par che ti facesse ancor fedele
[62]
ti stenebraron sì, che tu drizzasti
[67]
Facesti come quei che va di notte,
[68]
che porta il lume dietro e sé non giova,
[83]
che, quando Domizian li perseguette,
[85]
e mentre che di là per me si stette,
[93]
cerchiar mi fé più che ’l quarto centesmo.
[94]
Tu dunque, che levato hai il coperchio
[95]
che m’ascondeva quanto bene io dico,
[96]
mentre che del salire avem soverchio,
[102]
che le Muse lattar più ch’altri mai,
[105]
che sempre ha le nutrice nostre seco.
[108]
Greci che già di lauro ornar la fronte.
[112]
Védeisi quella che mostrò Langia;
[131]
un alber che trovammo in mezza strada,
[152]
che nodriro il Batista nel diserto;
57. Purgatorio • Canto XXIII
[1]
Mentre che li occhi per la fronda verde
[4]
lo più che padre mi dicea: «Figliuole,
[5]
vienne oramai, ché ’l tempo che n’è imposto
[8]
appresso i savi, che parlavan sìe,
[9]
che l’andar mi facean di nullo costo.
[12]
tal, che diletto e doglia parturìe.
[13]
«O dolce padre, che è quel ch’i’ odo?»,
[14]
comincia’ io; ed elli: «Ombre che vanno
[18]
che si volgono ad essa e non restanno,
[24]
che da l’ossa la pelle s’informava.
[25]
Non credo che così a buccia strema
[29]
la gente che perdé Ierusalemme,
[34]
Chi crederebbe che l’odor d’un pomo
[37]
Già era in ammirar che sì li affama,
[45]
ciò che l’aspetto in sé avea conquiso.
[50]
che mi scolora», pregava, «la pelle,
[53]
due anime che là ti fanno scorta;
[54]
non rimaner che tu non mi favelle!».
[58]
Però mi dì, per Dio, che sì vi sfoglia;
[64]
Tutta esta gente che piangendo canta
[69]
che si distende su per sua verdura.
[74]
che menò Cristo lieto a dire ‘Elì’,
[80]
di peccar più, che sovvenisse l’ora
[92]
la vedovella mia, che molto amai,
[96]
che la Barbagia dov’ io la lasciai.
[97]
O dolce frate, che vuo’ tu ch’io dica?
[107]
di quel che ’l ciel veloce loro ammanna,
[110]
prima fien triste che le guance impeli
[111]
colui che mo si consola con nanna.
[112]
Deh, frate, or fa che più non mi ti celi!
[113]
vedi che non pur io, ma questa gente
[119]
che mi va innanzi, l’altr’ ier, quando tonda
[123]
con questa vera carne che ’l seconda.
[126]
che drizza voi che ’l mondo fece torti.
[128]
che io sarò là dove fia Beatrice;
[129]
quivi convien che sanza lui rimagna.
[130]
Virgilio è questi che così mi dice»,
[133]
lo vostro regno, che da sé lo sgombra».
58. Purgatorio • Canto XXIV
[4]
e l’ombre, che parean cose rimorte,
[9]
che non farebbe, per altrui cagione.
[12]
tra questa gente che sì mi riguarda».
[13]
«La mia sorella, che tra bella e buona
[21]
di là da lui più che l’altre trapunta
[30]
che pasturò col rocco molte genti.
[33]
e sì fu tal, che non si sentì sazio.
[35]
più d’un che d’altro, fei a quel da Lucca,
[36]
che più parea di me aver contezza.
[37]
El mormorava; e non so che «Gentucca»
[39]
de la giustizia che sì li pilucca.
[40]
«O anima», diss’ io, «che par sì vaga
[44]
cominciò el, «che ti farà piacere
[49]
Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore
[52]
E io a lui: «I’ mi son un che, quando
[56]
che ’l Notaro e Guittone e me ritenne
[60]
che de le nostre certo non avvenne;
[64]
Come li augei che vernan lungo ’l Nilo,
[67]
così tutta la gente che lì era,
[70]
E come l’uom che di trottare è lasso,
[72]
fin che si sfoghi l’affollar del casso,
[79]
però che ’l loco u’ fui a viver posto,
[82]
«Or va», diss’ el; «che quei che più n’ha colpa,
[89]
e drizzò li occhi al ciel, «che ti fia chiaro
[90]
ciò che ’l mio dir più dichiarar non puote.
[95]
lo cavalier di schiera che cavalchi,
[99]
che fuor del mondo sì gran marescalchi.
[101]
che li occhi miei si fero a lui seguaci,
[107]
e gridar non so che verso le fronde,
[109]
che pregano, e ’l pregato non risponde,
[114]
che tanti prieghi e lagrime rifiuta.
[116]
legno è più sù che fu morso da Eva,
[119]
per che Virgilio e Stazio e io, ristretti,
[120]
oltre andavam dal lato che si leva.
[122]
nei nuvoli formati, che, satolli,
[125]
per che no i volle Gedeon compagni,
[133]
«Che andate pensando sì voi sol tre?».
[139]
com’ io vidi un che dicea: «S’a voi piace
[144]
com’ om che va secondo ch’elli ascolta.
[150]
che fé sentir d’ambrosïa l’orezza.
[152]
tanto di grazia, che l’amor del gusto
59. Purgatorio • Canto XXV
[4]
per che, come fa l’uom che non s’affigge
[5]
ma vassi a la via sua, che che li appaia,
[9]
che per artezza i salitor dispaia.
[10]
E quale il cicognin che leva l’ala
[15]
che fa colui ch’a dicer s’argomenta.
[16]
Non lasciò, per l’andar che fosse ratto,
[18]
l’arco del dir, che ’nfino al ferro hai tratto».
[27]
ciò che par duro ti parrebbe vizzo.
[30]
che sia or sanator de le tue piage».
[36]
lume ti fiero al come che tu die.
[37]
Sangue perfetto, che poi non si beve
[39]
quasi alimento che di mensa leve,
[44]
tacer che dire; e quindi poscia geme
[51]
ciò che per sua matera fé constare.
[54]
che questa è in via e quella è già a riva,
[55]
tanto ovra poi, che già si move e sente,
[63]
che più savio di te fé già errante,
[64]
sì che per sua dottrina fé disgiunto
[67]
Apri a la verità che viene il petto;
[68]
e sappi che, sì tosto come al feto
[73]
che ciò che trova attivo quivi, tira
[75]
che vive e sente e sé in sé rigira.
[77]
guarda il calor del sole che si fa vino,
[78]
giunto a l’omor che de la vite cola.
[84]
in atto molto più che prima agute.
[88]
Tosto che loco lì la circunscrive,
[92]
per l’altrui raggio che ’n sé si reflette,
[96]
virtüalmente l’alma che ristette;
[98]
che segue il foco là ’vunque si muta,
[100]
Però che quindi ha poscia sua paruta,
[105]
che per lo monte aver sentiti puoi.
[106]
Secondo che ci affliggono i disiri
[108]
e quest’ è la cagion di che tu miri».
[114]
che la reflette e via da lei sequestra;
[123]
che di volger mi fé caler non meno;
[132]
che di Venere avea sentito il tòsco».
[134]
gridavano e mariti che fuor casti
[136]
E questo modo credo che lor basti
[137]
per tutto il tempo che ’l foco li abbruscia:
[139]
che la piaga da sezzo si ricuscia.
60. Purgatorio • Canto XXVI
[1]
Mentre che sì per l’orlo, uno innanzi altro,
[5]
che già, raggiando, tutto l’occidente
[10]
Questa fu la cagion che diede inizio
[16]
«O tu che vai, non per esser più tardo,
[18]
rispondi a me che ’n sete e ’n foco ardo.
[21]
che d’acqua fredda Indo o Etïopo.
[22]
Dinne com’ è che fai di te parete
[37]
Tosto che parton l’accoglienza amica,
[38]
prima che ’l primo passo lì trascorra,
[48]
e al gridar che più lor si convene;
[50]
essi medesmi che m’avean pregato,
[52]
Io, che due volte avea visto lor grato,
[54]
d’aver, quando che sia, di pace stato,
[59]
donna è di sopra che m’acquista grazia,
[60]
per che ’l mortal per vostro mondo reco.
[62]
tosto divegna, sì che ’l ciel v’alberghi
[66]
che se ne va di retro a’ vostri terghi».
[70]
che ciascun’ ombra fece in sua paruta;
[71]
ma poi che furon di stupore scarche,
[73]
«Beato te, che de le nostre marche»,
[74]
ricominciò colei che pria m’inchiese,
[76]
La gente che non vien con noi, offese
[77]
di ciò per che già Cesar, trïunfando,
[87]
che s’imbestiò ne le ’mbestiate schegge.
[88]
Or sai nostri atti e di che fummo rei:
[98]
mio e de li altri miei miglior che mai
[103]
Poi che di riguardar pasciuto fui,
[105]
con l’affermar che fa credere altrui.
[108]
che Letè nol può tòrre né far bigio.
[110]
dimmi che è cagion per che dimostri
[113]
che, quanto durerà l’uso moderno,
[120]
che quel di Lemosì credon ch’avanzi.
[126]
fin che l’ha vinto il ver con più persone.
[128]
che licito ti sia l’andare al chiostro
[134]
che presso avea, disparve per lo foco,
[148]
Poi s’ascose nel foco che li affina.
61. Purgatorio • Canto XXVII
[9]
in voce assai più che la nostra viva.
[15]
qual è colui che ne la fossa è messo.
[24]
che farò ora presso più a Dio?
[25]
Credi per certo che se dentro a l’alvo
[39]
allor che ’l gelso diventò vermiglio;
[42]
che ne la mente sempre mi rampolla.
[47]
pregando Stazio che venisse retro,
[48]
che pria per lunga strada ci divise.
[55]
Guidavaci una voce che cantava
[59]
sonò dentro a un lume che lì era,
[60]
tal che mi vinse e guardar nol potei.
[63]
mentre che l’occidente non si annera».
[68]
che ’l sol corcar, per l’ombra che si spense,
[70]
E pria che ’n tutte le sue parti immense
[78]
sovra le cime avante che sien pranse,
[79]
tacite a l’ombra, mentre che ’l sol ferve,
[80]
guardate dal pastor, che ’n su la verga
[82]
e quale il mandrïan che fori alberga,
[92]
mi prese il sonno; il sonno che sovente,
[93]
anzi che ’l fatto sia, sa le novelle.
[94]
Ne l’ora, credo, che de l’orïente
[96]
che di foco d’amor par sempre ardente,
[110]
che tanto a’ pellegrin surgon più grati,
[115]
«Quel dolce pome che per tanti rami
[120]
che fosser di piacere a queste iguali.
[133]
Vedi lo sol che ’n fronte ti riluce;
[135]
che qui la terra sol da sé produce.
[136]
Mentre che vegnan lieti li occhi belli
[137]
che, lagrimando, a te venir mi fenno,
62. Purgatorio • Canto XXVIII
[6]
su per lo suol che d’ogne parte auliva.
[9]
non di più colpo che soave vento;
[14]
tanto, che li augelletti per le cime
[18]
che tenevan bordone a le sue rime,
[26]
che ’nver’ sinistra con sue picciole onde
[27]
piegava l’erba che ’n sua ripa uscìo.
[28]
Tutte l’acque che son di qua più monde,
[30]
verso di quella, che nulla nasconde,
[31]
avvegna che si mova bruna bruna
[32]
sotto l’ombra perpetüa, che mai
[38]
subitamente cosa che disvia
[40]
una donna soletta che si gia
[43]
«Deh, bella donna, che a’ raggi d’amore
[45]
che soglion esser testimon del core,
[48]
tanto ch’io possa intender che tu canti.
[50]
Proserpina nel tempo che perdette
[53]
a terra e intra sé, donna che balli,
[57]
che vergine che li occhi onesti avvalli;
[59]
sì appressando sé, che ’l dolce suono
[61]
Tosto che fu là dove l’erbe sono
[64]
Non credo che splendesse tanto lume
[69]
che l’alta terra sanza seme gitta.
[75]
che quel da me perch’ allor non s’aperse.
[81]
che puote disnebbiar vostro intelletto.
[82]
E tu che se’ dinanzi e mi pregasti,
[84]
ad ogne tua question tanto che basti».
[90]
e purgherò la nebbia che ti fiede.
[91]
Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace,
[97]
Perché ’l turbar che sotto da sé fanno
[99]
che quanto posson dietro al calor vanno,
[110]
che de la sua virtute l’aura impregna
[118]
E saper dei che la campagna santa
[120]
e frutto ha in sé che di là non si schianta.
[121]
L’acqua che vedi non surge di vena
[122]
che ristori vapor che gel converta,
[125]
che tanto dal voler di Dio riprende,
[128]
che toglie altrui memoria del peccato;
[137]
né credo che ’l mio dir ti sia men caro,
[144]
nettare è questo di che ciascun dice».
[146]
a’ miei poeti, e vidi che con riso
63. Purgatorio • Canto XXIX
[4]
E come ninfe che si givan sole
[18]
tal che di balenar mi mise in forse.
[21]
nel mio pensier dicea: ‘Che cosa è questa?’.
[25]
che là dove ubidia la terra e ’l cielo,
[40]
Or convien che Elicona per me versi,
[47]
che l’obietto comun, che ’l senso inganna,
[53]
più chiaro assai che luna per sereno
[59]
che si movieno incontr’ a noi sì tardi,
[60]
che foran vinte da novelle spose.
[63]
e ciò che vien di retro a lor non guardi?».
[71]
che solo il fiume mi facea distante,
[76]
sì che lì sopra rimanea distinto
[80]
che la mia vista; e, quanto a mio avviso,
[88]
Poscia che i fiori e l’altre fresche erbette
[100]
ma leggi Ezechïel, che li dipigne
[112]
Tanto salivan che non eran viste;
[115]
Non che Roma di carro così bello
[118]
quel del Sol che, svïando, fu combusto
[137]
di quel sommo Ipocràte che natura
[141]
tal che di qua dal rio mi fé paura.
[150]
che tutti ardesser di sopra da’ cigli.
64. Purgatorio • Canto XXX
[2]
che né occaso mai seppe né orto
[3]
né d’altra nebbia che di colpa velo,
[4]
e che faceva lì ciascun accorto
[26]
sì che per temperanza di vapori
[29]
che da le mani angeliche saliva
[34]
E lo spirito mio, che già cotanto
[38]
per occulta virtù che da lei mosse,
[40]
Tosto che ne la vista mi percosse
[41]
l’alta virtù che già m’avea trafitto
[46]
per dicere a Virgilio: ‘Men che dramma
[47]
di sangue m’è rimaso che non tremi:
[54]
che, lagrimando, non tornasser atre.
[58]
Quasi ammiraglio che in poppa e in prora
[59]
viene a veder la gente che ministra
[63]
che di necessità qui si registra,
[64]
vidi la donna che pria m’appario
[67]
Tutto che ’l vel che le scendea di testa,
[71]
continüò come colui che dice
[75]
non sapei tu che qui è l’uom felice?».
[89]
pur che la terra che perde ombra spiri,
[90]
sì che par foco fonder la candela;
[92]
anzi ’l cantar di quei che notan sempre
[94]
ma poi che ’ntesi ne le dolci tempre
[95]
lor compatire a me, par che se detto
[97]
lo gel che m’era intorno al cor ristretto,
[104]
sì che notte né sonno a voi non fura
[105]
passo che faccia il secol per sue vie;
[107]
che m’intenda colui che di là piagne,
[110]
che drizzan ciascun seme ad alcun fine
[111]
secondo che le stelle son compagne,
[113]
che sì alti vapori hanno a lor piova,
[114]
che nostre viste là non van vicine,
[132]
che nulla promession rendono intera.
[136]
Tanto giù cadde, che tutti argomenti
[138]
fuor che mostrarli le perdute genti.
[140]
e a colui che l’ha qua sù condotto,
[145]
di pentimento che lagrime spanda».
65. Purgatorio • Canto XXXI
[1]
«O tu che se’ di là dal fiume sacro»,
[3]
che pur per taglio m’era paruto acro,
[8]
che la voce si mosse, e pria si spense
[9]
che da li organi suoi fosse dischiusa.
[10]
Poco sofferse; poi disse: «Che pense?
[23]
che ti menavano ad amar lo bene
[24]
di là dal qual non è a che s’aspiri,
[26]
trovasti, per che del passare innanzi
[30]
per che dovessi lor passeggiare anzi?».
[32]
a pena ebbi la voce che rispuose,
[36]
tosto che ’l vostro viso si nascose».
[38]
ciò che confessi, non fora men nota
[51]
rinchiusa fui, e che so’ ’n terra sparte;
[57]
di retro a me che non era più tale.
[84]
vincer che l’altre qui, quand’ ella c’era.
[86]
che di tutte altre cose qual mi torse
[90]
salsi colei che la cagion mi porse.
[99]
che nol so rimembrar, non ch’io lo scriva.
[107]
pria che Beatrice discendesse al mondo,
[111]
le tre di là, che miran più profondo».
[115]
Disser: «Fa che le viste non risparmi;
[118]
Mille disiri più che fiamma caldi
[120]
che pur sopra ’l grifone stavan saldi.
[127]
Mentre che piena di stupore e lieta
[129]
che, saziando di sé, di sé asseta,
[135]
che, per vederti, ha mossi passi tanti!
[136]
Per grazia fa noi grazia che disvele
[137]
a lui la bocca tua, sì che discerna
[138]
la seconda bellezza che tu cele».
[142]
che non paresse aver la mente ingombra,
66. Purgatorio • Canto XXXII
[3]
che li altri sensi m’eran tutti spenti.
[21]
prima che possa tutta in sé mutarsi;
[23]
che procedeva, tutta trapassonne
[24]
pria che piegasse il carro il primo legno.
[27]
sì, che però nulla penna crollonne.
[28]
La bella donna che mi trasse al varco
[30]
che fé l’orbita sua con minore arco.
[40]
La coma sua, che tanto si dilata
[43]
«Beato se’, grifon, che non discindi
[45]
poscia che mal si torce il ventre quindi».
[54]
che raggia dietro a la celeste lasca,
[56]
di suo color ciascuna, pria che ’l sole
[58]
men che di rose e più che di vïole
[60]
che prima avea le ramora sì sole.
[62]
l’inno che quella gente allor cantaro,
[67]
come pintor che con essempro pinga,
[69]
ma qual vuol sia che l’assonnar ben finga.
[72]
del sonno, e un chiamar: «Surgi: che fai?».
[74]
che del suo pome li angeli fa ghiotti
[83]
sovra me starsi che conducitrice
[88]
Vedi la compagnia che la circonda:
[92]
non so, però che già ne li occhi m’era
[96]
che legar vidi a la biforme fera.
[99]
che son sicuri d’Aquilone e d’Austro.
[103]
Però, in pro del mondo che mal vive,
[104]
al carro tieni or li occhi, e quel che vedi,
[105]
ritornato di là, fa che tu scrive».
[106]
Così Beatrice; e io, che tutto ai piedi
[111]
da quel confine che più va remoto,
[114]
non che d’i fiori e de le foglie nove;
[120]
che d’ogne pasto buon parea digiuna;
[127]
e qual esce di cuor che si rammarca,
[130]
Poi parve a me che la terra s’aprisse
[132]
che per lo carro sù la coda fisse;
[133]
e come vespa che ritragge l’ago,
[136]
Quel che rimase, come da gramigna
[141]
che più tiene un sospir la bocca aperta.
[159]
tanto che sol di lei mi fece scudo
67. Purgatorio • Canto XXXIII
[5]
quelle ascoltava sì fatta, che poco
[7]
Ma poi che l’altre vergini dier loco
[15]
me e la donna e ’l savio che ristette.
[16]
Così sen giva; e non credo che fosse
[20]
mi disse, «tanto che, s’io parlo teco,
[25]
Come a color che troppo reverenti
[27]
che non traggon la voce viva ai denti,
[28]
avvenne a me, che sanza intero suono
[32]
voglio che tu omai ti disviluppe,
[33]
sì che non parli più com’ om che sogna.
[34]
Sappi che ’l vaso che ’l serpente ruppe,
[36]
che vendetta di Dio non teme suppe.
[38]
l’aguglia che lasciò le penne al carro,
[39]
per che divenne mostro e poscia preda;
[45]
con quel gigante che con lei delinque.
[46]
E forse che la mia narrazion buia,
[50]
che solveranno questo enigma forte
[60]
che solo a l’uso suo la creò santa.
[63]
bramò colui che ’l morso in sé punio.
[75]
sì che t’abbaglia il lume del mio detto,
[77]
che ’l te ne porti dentro a te per quello
[78]
che si reca il bordon di palma cinto».
[80]
che la figura impressa non trasmuta,
[84]
che più la perde quanto più s’aiuta?».
[90]
da terra il ciel che più alto festina».
[93]
né honne coscïenza che rimorda».
[105]
che qua e là, come li aspetti, fassi,
[116]
che acqua è questa che qui si dispiega
[119]
Matelda che ’l ti dica». E qui rispuose,
[123]
che l’acqua di Letè non gliel nascose».
[125]
che spesse volte la memoria priva,
[127]
Ma vedi Eünoè che là diriva:
[130]
Come anima gentil, che non fa scusa,
[132]
tosto che è per segno fuor dischiusa;
[133]
così, poi che da essa preso fui,
[138]
lo dolce ber che mai non m’avria sazio;
68. Paradiso • Canto I
[1]
La gloria di colui che tutto move
[4]
Nel ciel che più de la sua luce prende
[5]
fu’ io, e vidi cose che ridire
[9]
che dietro la memoria non può ire.
[23]
tanto che l’ombra del beato regno
[27]
che la materia e tu mi farai degno.
[31]
che parturir letizia in su la lieta
[39]
che quattro cerchi giugne con tre croci,
[51]
pur come pelegrin che tornar vuole,
[55]
Molto è licito là, che qui non lece
[60]
com’ ferro che bogliente esce del foco;
[62]
essere aggiunto, come quei che puote
[69]
che ’l fé consorto in mar de li altri dèi.
[73]
S’i’ era sol di me quel che creasti
[74]
novellamente, amor che ’l ciel governi,
[75]
tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti.
[76]
Quando la rota che tu sempiterni
[78]
con l’armonia che temperi e discerni,
[80]
de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
[85]
Ond’ ella, che vedea me sì com’ io,
[89]
col falso imaginar, sì che non vedi
[90]
ciò che vedresti se l’avessi scosso.
[102]
che madre fa sovra figlio deliro,
[105]
che l’universo a Dio fa simigliante.
[114]
con istinto a lei dato che la porti.
[118]
né pur le creature che son fore
[121]
La provedenza, che cotanto assetta,
[126]
che ciò che scocca drizza in segno lieto.
[127]
Vero è che, come forma non s’accorda
69. Paradiso • Canto II
[1]
O voi che siete in piccioletta barca,
[3]
dietro al mio legno che cantando varca,
[10]
Voialtri pochi che drizzaste il collo
[15]
dinanzi a l’acqua che ritorna equale.
[16]
Que’ glorïosi che passaro al Colco
[30]
«che n’ha congiunti con la prima stella».
[31]
Parev’ a me che nube ne coprisse
[33]
quasi adamante che lo sol ferisse.
[41]
di veder quella essenza in che si vede
[43]
Lì si vedrà ciò che tenem per fede,
[45]
a guisa del ver primo che l’uom crede.
[49]
Ma ditemi: che son li segni bui
[50]
di questo corpo, che là giuso in terra
[57]
vedi che la ragione ha corte l’ali.
[58]
Ma dimmi quel che tu da te ne pensi».
[59]
E io: «Ciò che n’appar qua sù diverso
[60]
credo che fanno i corpi rari e densi».
[74]
cagion che tu dimandi, o d’oltre in parte
[85]
S’elli è che questo raro non trapassi,
[92]
ivi lo raggio più che in altre parti,
[100]
Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso
[101]
ti stea un lume che i tre specchi accenda
[103]
Ben che nel quanto tanto non si stenda
[111]
che ti tremolerà nel suo aspetto.
[119]
le distinzion che dentro da sé hanno
[123]
che di sù prendono e di sotto fanno.
[125]
per questo loco al vero che disiri,
[126]
sì che poi sappi sol tener lo guado.
[129]
da’ beati motor convien che spiri;
[131]
de la mente profonda che lui volve
[145]
Da essa vien ciò che da luce a luce
[147]
essa è formal principio che produce,
70. Paradiso • Canto III
[1]
Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto,
[7]
ma visïone apparve che ritenne
[9]
che di mia confession non mi sovvenne.
[12]
non sì profonde che i fondi sien persi,
[14]
debili sì, che perla in bianca fronte
[24]
che, sorridendo, ardea ne li occhi santi.
[29]
vere sustanze son ciò che tu vedi,
[32]
ché la verace luce che le appaga
[34]
E io a l’ombra che parea più vaga
[37]
«O ben creato spirito, che a’ rai
[39]
che, non gustata, non s’intende mai,
[45]
che vuol simile a sé tutta sua corte.
[50]
che, posta qui con questi altri beati,
[52]
Li nostri affetti, che solo infiammati
[55]
E questa sorte che par giù cotanto,
[59]
vostri risplende non so che divino
[60]
che vi trasmuta da’ primi concetti:
[62]
ma or m’aiuta ciò che tu mi dici,
[63]
sì che raffigurar m’è più latino.
[64]
Ma dimmi: voi che siete qui felici,
[71]
virtù di carità, che fa volerne
[75]
dal voler di colui che qui ne cerne;
[76]
che vedrai non capere in questi giri,
[82]
sì che, come noi sem di soglia in soglia
[84]
com’ a lo re che ’n suo voler ne ’nvoglia.
[87]
ciò ch’ella crïa o che natura face».
[93]
che quel si chere e di quel si ringrazia,
[102]
che caritate a suo piacer conforma.
[109]
E quest’ altro splendor che ti si mostra
[110]
da la mia destra parte e che s’accende
[115]
Ma poi che pur al mondo fu rivolta
[119]
che del secondo vento di Soave
[124]
La vista mia, che tanto lei seguio
[125]
quanto possibil fu, poi che la perse,
[129]
sì che da prima il viso non sofferse;
71. Paradiso • Canto IV
[3]
che liber’ omo l’un recasse ai denti;
[7]
per che, s’i’ mi tacea, me non riprendo,
[12]
più caldo assai che per parlar distinto.
[15]
che l’avea fatto ingiustamente fello;
[17]
uno e altro disio, sì che tua cura
[18]
sé stessa lega sì che fuor non spira.
[25]
Queste son le question che nel tuo velle
[27]
tratterò quella che più ha di felle.
[28]
D’i Serafin colui che più s’india,
[30]
che prender vuoli, io dico, non Maria,
[32]
che questi spirti che mo t’appariro,
[41]
però che solo da sensato apprende
[42]
ciò che fa poscia d’intelletto degno.
[48]
e l’altro che Tobia rifece sano.
[49]
Quel che Timeo de l’anime argomenta
[50]
non è simile a ciò che qui si vede,
[51]
però che, come dice, par che senta.
[52]
Dice che l’alma a la sua stella riede,
[56]
che la voce non suona, ed esser puote
[62]
già tutto il mondo quasi, sì che Giove,
[64]
L’altra dubitazion che ti commove
[65]
ha men velen, però che sua malizia
[73]
Se vïolenza è quando quel che pate
[74]
nïente conferisce a quel che sforza,
[79]
Per che, s’ella si piega assai o poco,
[90]
che t’avria fatto noia ancor più volte.
[92]
dinanzi a li occhi, tal che per te stesso
[98]
che l’affezion del vel Costanza tenne;
[101]
che, per fuggir periglio, contra grato
[102]
si fé di quel che far non si convenne;
[103]
come Almeone, che, di ciò pregato
[106]
A questo punto voglio che tu pense
[107]
che la forza al voler si mischia, e fanno
[108]
sì che scusar non si posson l’offense.
[114]
de l’altra; sì che ver diciamo insieme».
[120]
e scalda sì, che più e più m’avviva,
[122]
che basti a render voi grazia per grazia;
[123]
ma quei che vede e puote a ciò risponda.
[124]
Io veggio ben che già mai non si sazia
[128]
tosto che giunto l’ha; e giugner puollo:
[135]
d’un’altra verità che m’è oscura.
[141]
che, vinta, mia virtute diè le reni,
72. Paradiso • Canto V
[2]
di là dal modo che ’n terra si vede,
[3]
sì che del viso tuo vinco il valore,
[5]
da perfetto veder, che, come apprende,
[9]
che, vista, sola e sempre amore accende;
[12]
mal conosciuto, che quivi traluce.
[15]
che l’anima sicuri di letigio».
[17]
e sì com’ uom che suo parlar non spezza,
[19]
«Lo maggior don che Dio per sua larghezza
[23]
di che le creature intelligenti,
[27]
che Dio consenta quando tu consenti;
[31]
Dunque che render puossi per ristoro?
[36]
che par contra lo ver ch’i’ t’ho scoverto,
[38]
però che ’l cibo rigido c’hai preso,
[45]
di che si fa; l’altr’ è la convenenza.
[52]
L’altra, che per materia t’è aperta,
[53]
puote ben esser tal, che non si falla
[62]
per suo valor che tragga ogne bilancia,
[68]
che, servando, far peggio; e così stolto
[77]
e ’l pastor de la Chiesa che vi guida;
[81]
sì che ’l Giudeo di voi tra voi non rida!
[82]
Non fate com’ agnel che lascia il latte
[90]
che già nuove questioni avea davante;
[91]
e sì come saetta che nel segno
[92]
percuote pria che sia la corda queta,
[96]
che più lucente se ne fé ’l pianeta.
[98]
qual mi fec’ io che pur da mia natura
[101]
traggonsi i pesci a ciò che vien di fori
[102]
per modo che lo stimin lor pastura,
[108]
nel folgór chiaro che di lei uscia.
[109]
Pensa, lettor, se quel che qui s’inizia
[117]
prima che la milizia s’abbandoni,
[118]
del lume che per tutto il ciel si spazia
[125]
nel proprio lume, e che de li occhi il traggi,
[129]
che si vela a’ mortai con altrui raggi».
[131]
che pria m’avea parlato; ond’ ella fessi
[133]
Sì come il sol che si cela elli stessi
[139]
nel modo che ’l seguente canto canta.
73. Paradiso • Canto VI
[1]
«Poscia che Costantin l’aquila volse
[3]
dietro a l’antico che Lavina tolse,
[11]
che, per voler del primo amor ch’i’ sento,
[16]
ma ’l benedetto Agapito, che fue
[19]
Io li credetti; e ciò che ’n sua fede era,
[22]
Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,
[27]
che segno fu ch’i’ dovessi posarmi.
[36]
che Pallante morì per darli regno.
[39]
che i tre a’ tre pugnar per lui ancora.
[46]
onde Torquato e Quinzio, che dal cirro
[48]
ebber la fama che volontier mirro.
[50]
che di retro ad Anibale passaro
[51]
l’alpestre rocce, Po, di che tu labi.
[55]
Poi, presso al tempo che tutto ’l ciel volle
[58]
E quel che fé da Varo infino a Reno,
[61]
Quel che fé poi ch’elli uscì di Ravenna
[63]
che nol seguiteria lingua né penna.
[73]
Di quel che fé col baiulo seguente,
[77]
che, fuggendoli innanzi, dal colubro
[81]
che fu serrato a Giano il suo delubro.
[82]
Ma ciò che ’l segno che parlar mi face
[88]
ché la viva giustizia che mi spira,
[99]
che son cagion di tutti vostri mali.
[111]
che Dio trasmuti l’armi per suoi gigli!
[113]
d’i buoni spirti che son stati attivi
[116]
sì disvïando, pur convien che i raggi
[122]
in noi l’affetto sì, che non si puote
[130]
Ma i Provenzai che fecer contra lui
[138]
che li assegnò sette e cinque per diece,
74. Paradiso • Canto VII
[12]
che mi diseta con le dolci stille’.
[13]
Ma quella reverenza che s’indonna
[18]
tal, che nel foco faria l’uom felice:
[25]
Per non soffrire a la virtù che vole
[26]
freno a suo prode, quell’ uom che non nacque,
[31]
u’ la natura, che dal suo fattore
[38]
di paradiso, però che si torse
[40]
La pena dunque che la croce porse
[44]
guardando a la persona che sofferse,
[45]
in che era contratta tal natura.
[50]
quando si dice che giusta vendetta
[64]
La divina bontà, che da sé sperne
[66]
sì che dispiega le bellezze etterne.
[67]
Ciò che da lei sanza mezzo distilla
[70]
Ciò che da essa sanza mezzo piove
[78]
di sua nobilità convien che caggia.
[79]
Solo il peccato è quel che la disfranca
[81]
per che del lume suo poco s’imbianca;
[91]
o che Dio solo per sua cortesia
[92]
dimesso avesse, o che l’uom per sé isso
[101]
e questa è la cagion per che l’uom fue
[109]
la divina bontà che ’l mondo imprenta,
[117]
che s’elli avesse sol da sé dimesso;
[128]
per che, se ciò ch’è detto è stato vero,
[133]
ma li alimenti che tu hai nomati
[134]
e quelle cose che di lor si fanno
[138]
in queste stelle che ’ntorno a lor vanno.
[144]
di sé sì che poi sempre la disira.
[148]
che li primi parenti intrambo fensi».
75. Paradiso • Canto VIII
[2]
che la bella Ciprigna il folle amore
[4]
per che non pur a lei faceano onore
[12]
che ’l sol vagheggia or da coppa or da ciglio.
[24]
che non paressero impediti e lenti
[28]
e dentro a quei che più innanzi appariro
[29]
sonava ‘Osanna’ sì, che unque poi
[37]
‘Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete’;
[38]
e sem sì pien d’amor, che, per piacerti,
[40]
Poscia che li occhi miei si fuoro offerti
[43]
rivolsersi a la luce che promessa
[47]
per allegrezza nova che s’accrebbe,
[51]
molto sarà di mal, che non sarebbe.
[53]
che mi raggia dintorno e mi nasconde
[56]
che s’io fossi giù stato, io ti mostrava
[57]
di mio amor più oltre che le fronde.
[58]
Quella sinistra riva che si lava
[61]
e quel corno d’Ausonia che s’imborga
[65]
di quella terra che ’l Danubio riga
[66]
poi che le ripe tedesche abbandona.
[67]
E la bella Trinacria, che caliga
[69]
che riceve da Euro maggior briga,
[73]
se mala segnoria, che sempre accora
[82]
La sua natura, che di larga parca
[84]
che non curasse di mettere in arca».
[85]
«Però ch’i’ credo che l’alta letizia
[86]
che ’l tuo parlar m’infonde, segnor mio,
[92]
poi che, parlando, a dubitar m’hai mosso
[95]
mostrarti un vero, a quel che tu dimandi
[97]
Lo ben che tutto il regno che tu scandi
[103]
per che quantunque quest’ arco saetta
[106]
Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine
[108]
che non sarebbero arti, ma ruine;
[110]
che muovon queste stelle non son manchi,
[111]
e manco il primo, che non li ha perfetti.
[112]
Vuo’ tu che questo ver più ti s’imbianchi?».
[114]
che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi».
[126]
che, volando per l’aere, il figlio perse.
[132]
da sì vil padre, che si rende a Marte.
[136]
Or quel che t’era dietro t’è davanti:
[137]
ma perché sappi che di te mi giova,
[138]
un corollario voglio che t’ammanti.
[143]
al fondamento che natura pone,
[146]
tal che fia nato a cignersi la spada,
76. Paradiso • Canto IX
[1]
Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza,
[3]
che ricever dovea la sua semenza;
[5]
sì ch’io non posso dir se non che pianto
[8]
rivolta s’era al Sol che la rïempie
[11]
che da sì fatto ben torcete i cuori,
[22]
Onde la luce che m’era ancor nova,
[26]
italica che siede tra Rïalto
[30]
che fece a la contrada un grande assalto.
[36]
che parria forse forte al vostro vulgo.
[38]
del nostro cielo che più m’è propinqua,
[39]
grande fama rimase; e pria che moia,
[44]
che Tagliamento e Adice richiude,
[46]
ma tosto fia che Padova al palude
[47]
cangerà l’acqua che Vincenza bagna,
[51]
che già per lui carpir si fa la ragna.
[53]
de l’empio suo pastor, che sarà sconcia
[54]
sì, che per simil non s’entrò in malta.
[56]
che ricevesse il sangue ferrarese,
[58]
che donerà questo prete cortese
[63]
sì che questi parlar ne paion buoni».
[65]
che fosse ad altro volta, per la rota
[66]
in che si mise com’ era davante.
[67]
L’altra letizia, che m’era già nota
[69]
qual fin balasso in che lo sol percuota.
[74]
diss’ io, «beato spirto, sì che nulla
[76]
Dunque la voce tua, che ’l ciel trastulla
[78]
che di sei ali facen la coculla,
[82]
«La maggior valle in che l’acqua si spanda»,
[84]
«fuor di quel mar che la terra inghirlanda,
[86]
tanto sen va, che fa meridïano
[89]
tra Ebro e Macra, che per cammin corto
[93]
che fé del sangue suo già caldo il porto.
[99]
di me, infin che si convenne al pelo;
[100]
né quella Rodopëa che delusa
[108]
per che ’l mondo di sù quel di giù torna.
[110]
ten porti che son nate in questa spera,
[113]
che qui appresso me così scintilla
[115]
Or sappi che là entro si tranquilla
[119]
che ’l vostro mondo face, pria ch’altr’ alma
[123]
che s’acquistò con l’una e l’altra palma,
[126]
che poco tocca al papa la memoria.
[127]
La tua città, che di colui è pianta
[128]
che pria volse le spalle al suo fattore
[132]
però che fatto ha lupo del pastore.
[135]
si studia, sì che pare a’ lor vivagni.
[140]
di Roma che son state cimitero
[141]
a la milizia che Pietro seguette,
77. Paradiso • Canto X
[2]
che l’uno e l’altro etternalmente spira,
[11]
di quel maestro che dentro a sé l’ama,
[12]
tanto che mai da lei l’occhio non parte.
[14]
l’oblico cerchio che i pianeti porta,
[15]
per sodisfare al mondo che li chiama.
[16]
Che se la strada lor non fosse torta,
[23]
dietro pensando a ciò che si preliba,
[24]
s’esser vuoi lieto assai prima che stanco.
[29]
che del valor del ciel lo mondo imprenta
[31]
con quella parte che sù si rammenta
[33]
in che più tosto ognora s’appresenta;
[37]
È Bëatrice quella che sì scorge
[39]
che l’atto suo per tempo non si sporge.
[44]
sì nol direi che mai s’imaginasse;
[50]
de l’alto Padre, che sempre la sazia,
[60]
che Bëatrice eclissò ne l’oblio.
[62]
che lo splendor de li occhi suoi ridenti
[66]
più dolci in voce che in vista lucenti:
[69]
sì che ritenga il fil che fa la zona.
[72]
tanto che non si posson trar del regno;
[74]
chi non s’impenna sì che là sù voli,
[80]
ma che s’arrestin tacite, ascoltando
[81]
fin che le nove note hanno ricolte.
[84]
verace amore e che poi cresce amando,
[86]
che ti conduce su per quella scala
[92]
questa ghirlanda che ’ntorno vagheggia
[95]
che Domenico mena per cammino
[97]
Questi che m’è a destra più vicino,
[104]
di Grazïan, che l’uno e l’altro foro
[105]
aiutò sì che piace in paradiso.
[107]
quel Pietro fu che con la poverella
[110]
spira di tale amor, che tutto ’l mondo
[113]
saver fu messo, che, se ’l vero è vero,
[116]
che giù in carne più a dentro vide
[125]
l’anima santa che ’l mondo fallace
[132]
che a considerar fu più che viro.
[134]
è ’l lume d’uno spirto che ’n pensieri
[137]
che, leggendo nel Vico de li Strami,
[139]
Indi, come orologio che ne chiami
[140]
ne l’ora che la sposa di Dio surge
[142]
che l’una parte e l’altra tira e urge,
[144]
che ’l ben disposto spirto d’amor turge;
78. Paradiso • Canto XI
[3]
quei che ti fanno in basso batter l’ali!
[13]
Poi che ciascuno fu tornato ne lo
[14]
punto del cerchio in che avanti s’era,
[17]
che pria m’avea parlato, sorridendo
[22]
Tu dubbi, e hai voler che si ricerna
[27]
e qui è uopo che ben si distingua.
[28]
La provedenza, che governa il mondo
[30]
creato è vinto pria che vada al fondo,
[31]
però che andasse ver’ lo suo diletto
[36]
che quinci e quindi le fosser per guida.
[40]
De l’un dirò, però che d’amendue
[43]
Intra Tupino e l’acqua che discende
[67]
né valse udir che la trovò sicura
[71]
sì che, dove Maria rimase giuso,
[79]
tanto che ’l venerabile Bernardo
[87]
che già legava l’umile capestro.
[94]
Poi che la gente poverella crebbe
[100]
E poi che, per la sete del martiro,
[102]
predicò Cristo e li altri che ’l seguiro,
[108]
che le sue membra due anni portarno.
[114]
e comandò che l’amassero a fede;
[118]
Pensa oramai qual fu colui che degno
[122]
per che qual segue lui, com’ el comanda,
[123]
discerner puoi che buone merce carca.
[126]
che per diversi salti non si spanda;
[130]
Ben son di quelle che temono ’l danno
[132]
che le cappe fornisce poco panno.
[138]
e vedra’ il corrègger che argomenta
79. Paradiso • Canto XII
[7]
canto che tanto vince nostre muse,
[17]
per lo patto che Dio con Noè puose,
[18]
del mondo che già mai più non s’allaga:
[22]
Poi che ’l tripudio e l’altra festa grande,
[26]
pur come li occhi ch’al piacer che i move
[29]
si mosse voce, che l’ago a la stella
[31]
e cominciò: «L’amor che mi fa bella
[34]
Degno è che, dov’ è l’un, l’altro s’induca:
[35]
sì che, com’ elli ad una militaro,
[37]
L’essercito di Cristo, che sì caro
[40]
quando lo ’mperador che sempre regna
[48]
di che si vede Europa rivestire,
[54]
in che soggiace il leone e soggioga:
[60]
che, ne la madre, lei fece profeta.
[61]
Poi che le sponsalizie fuor compiute
[64]
la donna che per lui l’assenso diede,
[71]
sì come de l’agricola che Cristo
[74]
che ’l primo amor che ’n lui fu manifesto,
[75]
fu al primo consiglio che diè Cristo.
[86]
tal che si mise a circüir la vigna
[87]
che tosto imbianca, se ’l vignaio è reo.
[88]
E a la sedia che fu già benigna
[90]
ma per colui che siede, che traligna,
[105]
sì che i suoi arbuscelli stan più vivi.
[107]
in che la Santa Chiesa si difese
[112]
Ma l’orbita che fé la parte somma
[115]
La sua famiglia, che si mosse dritta
[117]
che quel dinanzi a quel di retro gitta;
[120]
si lagnerà che l’arca li sia tolta.
[128]
da Bagnoregio, che ne’ grandi offici
[131]
che fuor de’ primi scalzi poverelli
[132]
che nel capestro a Dio si fero amici.
80. Paradiso • Canto XIII
[4]
quindici stelle che ’n diverse plage
[6]
che soperchia de l’aere ogne compage;
[11]
che si comincia in punta de lo stelo
[15]
allora che sentì di morte il gelo;
[18]
che l’uno andasse al primo e l’altro al poi;
[21]
che circulava il punto dov’ io era:
[24]
si move il ciel che tutti li altri avanza.
[32]
poscia la luce in che mirabil vita
[37]
Tu credi che nel petto onde la costa
[40]
e in quel che, forato da la lancia,
[42]
che d’ogne colpa vince la bilancia,
[45]
da quel valor che l’uno e l’altro fece;
[47]
quando narrai che non ebbe ’l secondo
[48]
lo ben che ne la quinta luce è chiuso.
[52]
Ciò che non more e ciò che può morire
[54]
che partorisce, amando, il nostro Sire;
[55]
ché quella viva luce che sì mea
[56]
dal suo lucente, che non si disuna
[63]
che più non fa che brevi contingenze;
[65]
le cose generate, che produce
[78]
ch’a l’abito de l’arte ha man che trema.
[86]
che l’umana natura mai non fue
[91]
Ma perché paia ben ciò che non pare,
[92]
pensa chi era, e la cagion che ’l mosse,
[94]
Non ho parlato sì, che tu non posse
[95]
ben veder ch’el fu re, che chiese senno
[96]
acciò che re sufficïente fosse;
[97]
non per sapere il numero in che enno
[105]
in che lo stral di mia intenzion percuote;
[108]
ai regi, che son molti, e ’ buon son rari.
[110]
e così puote star con quel che credi
[114]
e al sì e al no che tu non vedi:
[116]
che sanza distinzione afferma e nega
[118]
perch’ elli ’ncontra che più volte piega
[121]
Vie più che ’ndarno da riva si parte,
[128]
che furon come spade a le Scritture
[131]
a giudicar, sì come quei che stima
[132]
le biade in campo pria che sien mature;
81. Paradiso • Canto XIV
[7]
per la similitudine che nacque
[17]
che sarete visibili rifatti,
[20]
a la fïata quei che vanno a rota
[28]
Quell’ uno e due e tre che sempre vive
[46]
per che s’accrescerà ciò che ne dona
[50]
crescer l’ardor che di quella s’accende,
[51]
crescer lo raggio che da esso vene.
[52]
Ma sì come carbon che fiamma rende,
[54]
sì che la sua parvenza si difende;
[55]
così questo folgór che già ne cerchia
[57]
che tutto dì la terra ricoperchia;
[60]
a tutto ciò che potrà dilettarne».
[63]
che ben mostrar disio d’i corpi morti:
[65]
per li padri e per li altri che fuor cari
[66]
anzi che fosser sempiterne fiamme.
[68]
nascere un lustro sopra quel che v’era,
[69]
per guisa d’orizzonte che rischiari.
[72]
sì che la vista pare e non par vera,
[78]
a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!
[80]
mi si mostrò, che tra quelle vedute
[81]
si vuol lasciar che non seguir la mente.
[87]
che mi parea più roggio che l’usato.
[96]
ch’io dissi: «O Elïòs che sì li addobbi!».
[99]
Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;
[102]
che fan giunture di quadranti in tondo.
[116]
talvolta l’ombra che, per sua difesa,
[121]
così da’ lumi che lì m’apparinno
[123]
che mi rapiva, sanza intender l’inno.
[126]
come a colui che non intende e ode.
[128]
che ’nfino a lì non fu alcuna cosa
[129]
che mi legasse con sì dolci vinci.
[133]
ma chi s’avvede che i vivi suggelli
82. Paradiso • Canto XV
[1]
Benigna volontade in che si liqua
[2]
sempre l’amor che drittamente spira,
[6]
che la destra del cielo allenta e tira.
[8]
quelle sustanze che, per darmi voglia
[10]
Bene è che sanza termine si doglia
[11]
chi, per amor di cosa che non duri
[15]
movendo li occhi che stavan sicuri,
[16]
e pare stella che tramuti loco,
[17]
se non che da la parte ond’ e’ s’accende
[19]
tale dal corno che ’n destro si stende
[21]
de la costellazion che lì resplende;
[24]
che parve foco dietro ad alabastro.
[44]
fu sì sfogato, che ’l parlar discese
[46]
la prima cosa che per me s’intese,
[48]
che nel mio seme se’ tanto cortese!».
[55]
Tu credi che a me tuo pensier mei
[60]
che alcun altro in questa turba gaia.
[63]
in che, prima che pensi, il pensier pandi;
[64]
ma perché ’l sacro amore in che io veglio
[65]
con perpetüa vista e che m’asseta
[69]
a che la mia risposta è già decreta!».
[72]
che fece crescer l’ali al voler mio.
[76]
però che ’l sol che v’allumò e arse,
[78]
che tutte simiglianze sono scarse.
[82]
ond’ io, che son mortal, mi sento in questa
[86]
che questa gioia prezïosa ingemmi,
[88]
«O fronda mia in che io compiacemmi
[92]
tua cognazione e che cent’ anni e piùe
[95]
ben si convien che la lunga fatica
[102]
che fosse a veder più che la persona.
[104]
la figlia al padre, che ’l tempo e la dote
[108]
a mostrar ciò che ’n camera si puote.
[110]
dal vostro Uccellatoio, che, com’ è vinto
[123]
che prima i padri e le madri trastulla;
83. Paradiso • Canto XVI
[7]
Ben se’ tu manto che tosto raccorce:
[8]
sì che, se non s’appon di dì in die,
[10]
Dal ‘voi’ che prima a Roma s’offerie,
[11]
in che la sua famiglia men persevra,
[14]
ridendo, parve quella che tossio
[20]
la mente mia, che di sé fa letizia
[21]
perché può sostener che non si spezza.
[24]
che si segnaro in vostra püerizia;
[34]
dissemi: «Da quel dì che fu detto ‘Ave’
[35]
al parto in che mia madre, ch’è or santa,
[42]
da quei che corre il vostro annüal gioco.
[45]
più è tacer che ragionare onesto.
[55]
che averle dentro e sostener lo puzzo
[57]
che già per barattare ha l’occhio aguzzo!
[62]
che si sarebbe vòlto a Simifonti,
[69]
come del vostro il cibo che s’appone;
[71]
che cieco agnello; e molte volte taglia
[72]
più e meglio una che le cinque spade.
[78]
poscia che le cittadi termine hanno.
[81]
che dura molto, e le vite son corte.
[85]
per che non dee parer mirabil cosa
[96]
che tosto fia iattura de la barca,
[106]
Lo ceppo di che nacquero i Calfucci
[109]
Oh quali io vidi quei che son disfatti
[113]
che, sempre che la vostra chiesa vaca,
[115]
L’oltracotata schiatta che s’indraca
[119]
sì che non piacque ad Ubertin Donato
[120]
che poï il suocero il fé lor parente.
[126]
che si nomava da quei de la Pera.
[127]
Ciascun che de la bella insegna porta
[131]
avvegna che con popol si rauni
[132]
oggi colui che la fascia col fregio.
[136]
La casa di che nacque il vostro fleto,
[137]
per lo giusto disdegno che v’ha morti
[142]
Molti sarebber lieti, che son tristi,
[146]
che guarda ’l ponte, che Fiorenza fesse
[150]
che non avea cagione onde piangesse.
[152]
e giusto il popol suo, tanto che ’l giglio
84. Paradiso • Canto XVII
[6]
che pria per me avea mutato sito.
[7]
Per che mia donna «Manda fuor la vampa
[12]
a dir la sete, sì che l’uom ti mesca».
[13]
«O cara piota mia che sì t’insusi,
[14]
che, come veggion le terrene menti
[17]
anzi che sieno in sé, mirando il punto
[20]
su per lo monte che l’anime cura
[25]
per che la voglia mia saria contenta
[29]
che pria m’avea parlato; e come volle
[31]
Né per ambage, in che la gente folle
[32]
già s’inviscava pria che fosse anciso
[33]
l’Agnel di Dio che le peccata tolle,
[37]
«La contingenza, che fuor del quaderno
[41]
se non come dal viso in che si specchia
[42]
nave che per torrente giù discende.
[45]
a vista il tempo che ti s’apparecchia.
[54]
fia testimonio al ver che la dispensa.
[57]
che l’arco de lo essilio pria saetta.
[61]
E quel che più ti graverà le spalle,
[64]
che tutta ingrata, tutta matta ed empia
[72]
che ’n su la scala porta il santo uccello;
[74]
che del fare e del chieder, tra voi due,
[75]
fia primo quel che tra li altri è più tardo.
[76]
Con lui vedrai colui che ’mpresso fue,
[78]
che notabili fier l’opere sue.
[82]
ma pria che ’l Guasco l’alto Arrigo inganni,
[86]
saranno ancora, sì che ’ suoi nemici
[93]
incredibili a quei che fier presente.
[95]
di quel che ti fu detto; ecco le ’nsidie
[96]
che dietro a pochi giri son nascose.
[98]
poscia che s’infutura la tua vita
[99]
vie più là che ’l punir di lor perfidie».
[100]
Poi che, tacendo, si mostrò spedita
[103]
io cominciai, come colui che brama,
[105]
che vede e vuol dirittamente e ama:
[109]
per che di provedenza è buon ch’io m’armi,
[110]
sì che, se loco m’è tolto più caro,
[116]
ho io appreso quel che s’io ridico,
[120]
che questo tempo chiameranno antico».
[121]
La luce in che rideva il mio tesoro
[134]
che le più alte cime più percuote;
[138]
pur l’anime che son di fama note,
[139]
che l’animo di quel ch’ode, non posa
[142]
né per altro argomento che non paia».
85. Paradiso • Canto XVIII
[11]
ma per la mente che non può redire
[14]
che, rimirando lei, lo mio affetto
[16]
fin che ’l piacere etterno, che diretto
[24]
che da lui sia tutta l’anima tolta,
[29]
de l’albero che vive de la cima
[31]
spiriti son beati, che giù, prima
[32]
che venissero al ciel, fuor di gran voce,
[36]
che fa in nube il suo foco veloce».
[39]
né mi fu noto il dir prima che ’l fatto.
[50]
mostrommi l’alma che m’avea parlato
[56]
tanto gioconde, che la sua sembianza
[60]
s’accorge che la sua virtute avanza,
[61]
sì m’accors’ io che ’l mio girare intorno
[69]
sesta, che dentro a sé m’avea ricolto.
[71]
lo sfavillar de l’amor che lì era
[82]
O diva Pegasëa che li ’ngegni
[95]
rimasero ordinate; sì che Giove
[105]
sì come ’l sol che l’accende sortille;
[109]
Quei che dipinge lì, non ha chi ’l guidi;
[112]
L’altra bëatitudo, che contenta
[116]
mi dimostraro che nostra giustizia
[117]
effetto sia del ciel che tu ingemme!
[118]
Per ch’io prego la mente in che s’inizia
[119]
tuo moto e tua virtute, che rimiri
[120]
ond’ esce il fummo che ’l tuo raggio vizia;
[123]
che si murò di segni e di martìri.
[125]
adora per color che sono in terra
[129]
lo pan che ’l pïo Padre a nessun serra.
[130]
Ma tu che sol per cancellare scrivi,
[131]
pensa che Pietro e Paulo, che moriro
[132]
per la vigna che guasti, ancor son vivi.
[134]
sì a colui che volle viver solo
[135]
e che per salti fu tratto al martiro,
86. Paradiso • Canto XIX
[2]
la bella image che nel dolce frui
[6]
che ne’ miei occhi rifrangesse lui.
[7]
E quel che mi convien ritrar testeso,
[15]
che non si lascia vincere a disio;
[17]
sì fatta, che le genti lì malvage
[23]
de l’etterna letizia, che pur uno
[26]
che lungamente m’ha tenuto in fame,
[28]
Ben so io che, se ’n cielo altro reame
[30]
che ’l vostro non l’apprende con velame.
[33]
dubbio che m’è digiun cotanto vecchio».
[37]
vid’ io farsi quel segno, che di laude
[40]
Poi cominciò: «Colui che volse il sesto
[44]
in tutto l’universo, che ’l suo verbo
[46]
E ciò fa certo che ’l primo superbo,
[47]
che fu la somma d’ogne creatura,
[51]
che non ha fine e sé con sé misura.
[52]
Dunque vostra veduta, che convene
[54]
di che tutte le cose son ripiene,
[56]
tanto, che suo principio discerna
[57]
molto di là da quel che l’è parvente.
[59]
la vista che riceve il vostro mondo,
[61]
che, ben che da la proda veggia il fondo,
[65]
che non si turba mai; anzi è tenèbra
[68]
che t’ascondeva la giustizia viva,
[69]
di che facei question cotanto crebra;
[77]
ov’ è questa giustizia che ’l condanna?
[79]
Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna,
[82]
Certo a colui che meco s’assottiglia,
[95]
la benedetta imagine, che l’ali
[98]
son le mie note a te, che non le ’ntendi,
[102]
che fé i Romani al mondo reverendi,
[107]
che saranno in giudicio assai men prope
[108]
a lui, che tal che non conosce Cristo;
[112]
Che poran dir li Perse a’ vostri regi,
[116]
quella che tosto moverà la penna,
[117]
per che ’l regno di Praga fia diserto.
[118]
Lì si vedrà il duol che sovra Senna
[120]
quel che morrà di colpo di cotenna.
[122]
che fa lo Scotto e l’Inghilese folle,
[123]
sì che non può soffrir dentro a sua meta.
[126]
che mai valor non conobbe né volle.
[131]
di quei che guarda l’isola del foco,
[135]
che noteranno molto in parvo loco.
[137]
del barba e del fratel, che tanto egregia
[141]
che male ha visto il conio di Vinegia.
[144]
se s’armasse del monte che la fascia!
[145]
E creder de’ ciascun che già, per arra
[148]
che dal fianco de l’altre non si scosta».
87. Paradiso • Canto XX
[1]
Quando colui che tutto ’l mondo alluma
[3]
che ’l giorno d’ogne parte si consuma,
[4]
lo ciel, che sol di lui prima s’accende,
[6]
per molte luci, in che una risplende;
[10]
però che tutte quelle vive luci,
[13]
O dolce amor che di riso t’ammanti,
[16]
Poscia che i cari e lucidi lapilli
[20]
che scende chiaro giù di pietra in pietra,
[24]
de la sampogna vento che penètra,
[31]
«La parte in me che vede e pate il sole
[37]
Colui che luce in mezzo per pupilla,
[39]
che l’arca traslatò di villa in villa:
[43]
Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio,
[44]
colui che più al becco mi s’accosta,
[49]
E quel che segue in la circunferenza
[50]
di che ragiono, per l’arco superno,
[52]
ora conosce che ’l giudicio etterno
[55]
L’altro che segue, con le leggi e meco,
[56]
sotto buona intenzion che fé mal frutto,
[60]
avvegna che sia ’l mondo indi distrutto.
[61]
E quel che vedi ne l’arco declivo,
[63]
che piagne Carlo e Federigo vivo:
[68]
che Rifëo Troiano in questo tondo
[70]
Ora conosce assai di quel che ’l mondo
[72]
ben che sua vista non discerna il fondo».
[73]
Quale allodetta che ’n aere si spazia
[75]
de l’ultima dolcezza che la sazia,
[82]
ma de la bocca, «Che cose son queste?»,
[88]
«Io veggio che tu credi queste cose
[90]
sì che, se son credute, sono ascose.
[91]
Fai come quei che la cosa per nome
[96]
che vince la divina volontate:
[97]
non a guisa che l’omo a l’om sobranza,
[109]
di viva spene, che mise la possa
[111]
sì che potesse sua voglia esser mossa.
[113]
tornata ne la carne, in che fu poco,
[114]
credette in lui che potëa aiutarla;
[118]
L’altra, per grazia che da sì profonda
[119]
fontana stilla, che mai creatura
[122]
per che, di grazia in grazia, Dio li aperse
[128]
che tu vedesti da la destra rota,
[132]
che la prima cagion non veggion tota!
[134]
a giudicar: ché noi, che Dio vedemo,
[138]
che quel che vole Iddio, e noi volemo».
[144]
in che più di piacer lo canto acquista,
88. Paradiso • Canto XXI
[7]
ché la bellezza mia, che per le scale
[11]
che ’l tuo mortal podere, al suo fulgore,
[12]
sarebbe fronda che trono scoscende.
[14]
che sotto ’l petto del Leone ardente
[18]
che ’n questo specchio ti sarà parvente».
[25]
Dentro al cristallo che ’l vocabol porta,
[28]
di color d’oro in che raggio traluce
[30]
tanto, che nol seguiva la mia luce.
[33]
che par nel ciel, quindi fosse diffuso.
[40]
tal modo parve me che quivi fosse
[41]
in quello sfavillar che ’nsieme venne,
[43]
E quel che presso più ci si ritenne,
[45]
‘Io veggio ben l’amor che tu m’accenne.
[49]
Per ch’ella, che vedëa il tacer mio
[50]
nel veder di colui che tutto vede,
[54]
ma per colei che ’l chieder mi concede,
[55]
vita beata che ti stai nascosta
[57]
la cagion che sì presso mi t’ha posta;
[60]
che giù per l’altre suona sì divota».
[63]
per quel che Bëatrice non ha riso.
[66]
col dire e con la luce che mi ammanta;
[70]
Ma l’alta carità, che ci fa serve
[71]
pronte al consiglio che ’l mondo governa,
[80]
che del suo mezzo fece il lume centro,
[82]
poi rispuose l’amor che v’era dentro:
[91]
Ma quell’ alma nel ciel che più si schiara,
[92]
quel serafin che ’n Dio più l’occhio ha fisso,
[94]
però che sì s’innoltra ne lo abisso
[95]
de l’etterno statuto quel che chiedi,
[96]
che da ogne creata vista è scisso.
[98]
questo rapporta, sì che non presumma
[100]
La mente, che qui luce, in terra fumma;
[102]
quel che non pote perché ’l ciel l’assumma».
[108]
tanto che ’ troni assai suonan più bassi,
[109]
e fanno un gibbo che si chiama Catria,
[111]
che suole esser disposto a sola latria».
[115]
che pur con cibi di liquor d’ulivi
[120]
sì che tosto convien che si riveli.
[126]
che pur di male in peggio si travasa.
[134]
sì che due bestie van sott’ una pelle:
[135]
oh pazïenza che tanto sostieni!».
[141]
che non potrebbe qui assomigliarsi;
89. Paradiso • Canto XXII
[2]
mi volsi, come parvol che ricorre
[4]
e quella, come madre che soccorre
[6]
con la sua voce, che ’l suol ben disporre,
[7]
mi disse: «Non sai tu che tu se’ in cielo?
[8]
e non sai tu che ’l cielo è tutto santo,
[9]
e ciò che ci si fa vien da buon zelo?
[12]
poscia che ’l grido t’ha mosso cotanto;
[15]
che tu vedrai innanzi che tu muoi.
[18]
che disïando o temendo l’aspetta.
[23]
e vidi cento sperule che ’nsieme
[25]
Io stava come quei che ’n sé repreme
[32]
com’ io la carità che tra noi arde,
[36]
pur al pensier, da che sì ti riguarde.
[40]
e quel son io che sù vi portai prima
[41]
lo nome di colui che ’n terra addusse
[42]
la verità che tanto ci soblima;
[45]
da l’empio cólto che ’l mondo sedusse.
[48]
che fa nascere i fiori e ’ frutti santi.
[50]
qui son li frati miei che dentro ai chiostri
[52]
E io a lui: «L’affetto che dimostri
[76]
Le mura che solieno esser badia
[81]
che fa il cor de’ monaci sì folle;
[83]
è de la gente che per Dio dimanda;
[86]
che giù non basta buon cominciamento
[96]
mirabile a veder che qui ’l soccorso».
[111]
che segue il Tauro e fui dentro da esso.
[114]
tutto, qual che si sia, il mio ingegno,
[119]
d’entrar ne l’alta rota che vi gira,
[123]
al passo forte che a sé la tira.
[125]
cominciò Bëatrice, «che tu dei
[127]
e però, prima che tu più t’inlei,
[130]
sì che ’l tuo cor, quantunque può, giocondo
[132]
che lieta vien per questo etera tondo».
[137]
che l’ha per meno; e chi ad altro pensa
[140]
sanza quell’ ombra che mi fu cagione
[141]
per che già la credetti rara e densa.
[147]
il varïar che fanno di lor dove;
[151]
L’aiuola che ci fa tanto feroci,
90. Paradiso • Canto XXIII
[3]
la notte che le cose ci nasconde,
[4]
che, per veder li aspetti disïati
[6]
in che gravi labor li sono aggrati,
[9]
fiso guardando pur che l’alba nasca;
[13]
sì che, veggendola io sospesa e vaga,
[14]
fecimi qual è quei che disïando
[22]
Pariemi che ’l suo viso ardesse tutto,
[24]
che passarmen convien sanza costrutto.
[27]
che dipingon lo ciel per tutti i seni,
[29]
un sol che tutte quante l’accendea,
[33]
nel viso mio, che non la sostenea.
[35]
Ella mi disse: «Quel che ti sobranza
[41]
per dilatarsi sì che non vi cape,
[45]
e che si fesse rimembrar non sape.
[47]
tu hai vedute cose, che possente
[49]
Io era come quei che si risente
[50]
di visïone oblita e che s’ingegna
[53]
di tanto grato, che mai non si stingue
[54]
del libro che ’l preterito rassegna.
[56]
che Polimnïa con le suore fero
[65]
e l’omero mortal che se ne carca,
[68]
quel che fendendo va l’ardita prora,
[71]
che tu non ti rivolgi al bel giardino
[72]
che sotto i raggi di Cristo s’infiora?
[73]
Quivi è la rosa in che ’l verbo divino
[76]
Così Beatrice; e io, che a’ suoi consigli
[79]
Come a raggio di sol, che puro mei
[85]
O benigna vertù che sì li ’mprenti,
[87]
a li occhi lì che non t’eran possenti.
[93]
che là sù vince come qua giù vinse,
[99]
parrebbe nube che squarciata tona,
[103]
«Io sono amore angelico, che giro
[104]
l’alta letizia che spira del ventre
[105]
che fu albergo del nostro disiro;
[107]
che seguirai tuo figlio, e farai dia
[113]
del mondo, che più ferve e più s’avviva
[116]
tanto distante, che la sua parvenza,
[120]
che si levò appresso sua semenza.
[121]
E come fantolin che ’nver’ la mamma
[122]
tende le braccia, poi che ’l latte prese,
[123]
per l’animo che ’nfin di fuor s’infiamma;
[125]
con la sua cima, sì che l’alto affetto
[129]
che mai da me non si partì ’l diletto.
[130]
Oh quanta è l’ubertà che si soffolce
[131]
in quelle arche ricchissime che fuoro
[134]
che s’acquistò piangendo ne lo essilio
[139]
colui che tien le chiavi di tal gloria.
91. Paradiso • Canto XXIV
[3]
sì, che la vostra voglia è sempre piena,
[5]
di quel che cade de la vostra mensa,
[6]
prima che morte tempo li prescriba,
[14]
si giran sì, che ’l primo a chi pon mente
[15]
quïeto pare, e l’ultimo che voli;
[21]
che nullo vi lasciò di più chiarezza;
[24]
che la mia fantasia nol mi ridice.
[27]
non che ’l parlare, è troppo color vivo.
[28]
«O santa suora mia che sì ne prieghe
[33]
che favellò così com’ i’ ho detto.
[47]
fin che ’l maestro la question propone,
[53]
fede che è?». Ond’ io levai la fronte
[58]
«La Grazia che mi dà ch’io mi confessi»,
[63]
che mise teco Roma nel buon filo,
[71]
che mi largiscon qui la lor parvenza,
[73]
che l’esser loro v’è in sola credenza,
[87]
che nel suo conio nulla mi s’inforsa».
[89]
che lì splendeva: «Questa cara gioia
[94]
è silogismo che la m’ha conchiusa
[95]
acutamente sì, che ’nverso d’ella
[98]
proposizion che così ti conchiude,
[100]
E io: «La prova che ’l ver mi dischiude,
[101]
son l’opere seguite, a che natura
[104]
che quell’ opere fosser? Quel medesmo
[105]
che vuol provarsi, non altri, il ti giura».
[108]
è tal, che li altri non sono il centesmo:
[111]
che fu già vite e ora è fatta pruno».
[114]
ne la melode che là sù si canta.
[115]
E quel baron che sì di ramo in ramo,
[117]
che a l’ultime fronde appressavamo,
[118]
ricominciò: «La Grazia, che donnea
[121]
sì ch’io approvo ciò che fuori emerse;
[122]
ma or convien espremer quel che credi,
[124]
«O santo padre, e spirito che vedi
[125]
ciò che credesti sì, che tu vincesti
[131]
solo ed etterno, che tutto ’l ciel move,
[135]
anche la verità che quinci piove
[137]
per l’Evangelio e per voi che scriveste
[138]
poi che l’ardente Spirto vi fé almi;
[141]
che soffera congiunto ‘sono’ ed ‘este’.
[146]
che si dilata in fiamma poi vivace,
[148]
Come ’l segnor ch’ascolta quel che i piace,
92. Paradiso • Canto XXV
[1]
Se mai continga che ’l poema sacro
[3]
sì che m’ha fatto per molti anni macro,
[4]
vinca la crudeltà che fuor mi serra
[6]
nimico ai lupi che li danno guerra;
[10]
però che ne la fede, che fa conte
[15]
che lasciò Cristo d’i vicari suoi;
[24]
laudando il cibo che là sù li prande.
[25]
Ma poi che ’l gratular si fu assolto,
[27]
ignito sì che vincëa ’l mio volto.
[32]
tu sai, che tante fiate la figuri,
[34]
«Leva la testa e fa che t’assicuri:
[35]
che ciò che vien qua sù del mortal mondo,
[39]
che li ’ncurvaron pria col troppo pondo.
[40]
«Poi che per grazia vuol che tu t’affronti
[43]
sì che, veduto il ver di questa corte,
[44]
la spene, che là giù bene innamora,
[49]
E quella pïa che guidò le penne
[54]
nel Sol che raggia tutto nostro stuolo:
[55]
però li è conceduto che d’Egitto
[57]
anzi che ’l militar li sia prescritto.
[58]
Li altri due punti, che non per sapere
[72]
che fu sommo cantor del sommo duce.
[74]
dice, ‘color che sanno il nome tuo’:
[83]
ancor ver’ la virtù che mi seguette
[85]
vuol ch’io respiri a te che ti dilette
[86]
di lei; ed emmi a grato che tu diche
[87]
quello che la speranza ti ’mpromette».
[90]
de l’anime che Dio s’ha fatte amiche.
[91]
Dice Isaia che ciascuna vestita
[99]
a che rispuoser tutte le carole.
[101]
sì che, se ’l Cancro avesse un tal cristallo,
[107]
venire a’ due che si volgieno a nota
[112]
«Questi è colui che giacque sopra ’l petto
[117]
poscia che prima le parole sue.
[120]
che, per veder, non vedente diventa;
[122]
mentre che detto fu: «Perché t’abbagli
[123]
per veder cosa che qui non ha loco?
[125]
tanto con li altri, che ’l numero nostro
[128]
son le due luci sole che saliro;
[132]
che si facea nel suon del trino spiro,
93. Paradiso • Canto XXVI
[2]
de la fulgida fiamma che lo spense
[3]
uscì un spiro che mi fece attento,
[4]
dicendo: «Intanto che tu ti risense
[5]
de la vista che haï in me consunta,
[6]
ben è che ragionando la compense.
[8]
l’anima tua, e fa ragion che sia
[10]
perché la donna che per questa dia
[14]
vegna remedio a li occhi, che fuor porte
[16]
Lo ben che fa contenta questa corte,
[19]
Quella medesma voce che paura
[26]
e per autorità che quinci scende
[27]
cotale amor convien che in me si ’mprenti:
[32]
che ciascun ben che fuor di lei si trova
[34]
più che in altra convien che si mova
[35]
la mente, amando, di ciascun che cerne
[36]
il vero in che si fonda questa prova.
[38]
colui che mi dimostra il primo amore
[41]
che dice a Moïsè, di sé parlando:
[44]
l’alto preconio che grida l’arcano
[50]
tirarti verso lui, sì che tu suone
[56]
che posson far lo cor volgere a Dio,
[60]
e quel che spera ogne fedel com’ io,
[71]
per lo spirto visivo che ricorre
[72]
a lo splendor che va di gonna in gonna,
[73]
e lo svegliato ciò che vede aborre,
[75]
fin che la stimativa non soccorre;
[78]
che rifulgea da più di mille milia:
[79]
onde mei che dinanzi vidi poi;
[84]
che la prima virtù creasse mai».
[85]
Come la fronda che flette la cima
[87]
per la propria virtù che la soblima,
[91]
E cominciai: «O pomo che maturo
[98]
sì che l’affetto convien che si paia
[99]
per lo seguir che face a lui la ’nvoglia;
[105]
che tu qualunque cosa t’è più certa;
[107]
che fa di sé pareglio a l’altre cose,
[109]
Tu vuogli udir quant’ è che Dio mi puose
[114]
e l’idïoma ch’usai e che fei.
[125]
innanzi che a l’ovra inconsummabile
[128]
per lo piacere uman che rinovella
[132]
poi fare a voi secondo che v’abbella.
[135]
onde vien la letizia che mi fascia;
[138]
in ramo, che sen va e altra vene.
[139]
Nel monte che si leva più da l’onda,
[141]
da la prim’ ora a quella che seconda,
94. Paradiso • Canto XXVII
[3]
sì che m’inebrïava il dolce canto.
[5]
de l’universo; per che mia ebbrezza
[11]
stavano accese, e quella che pria venne
[16]
La provedenza, che quivi comparte
[23]
il luogo mio, il luogo mio, che vaca
[27]
che cadde di qua sù, là giù si placa».
[28]
Di quel color che per lo sole avverso
[31]
E come donna onesta che permane
[35]
e tale eclissi credo che ’n ciel fue
[39]
che la sembianza non si mutò piùe:
[49]
né che le chiavi che mi fuor concesse,
[51]
che contra battezzati combattesse;
[60]
a che vil fine convien che tu caschi!
[61]
Ma l’alta provedenza, che con Scipio
[64]
e tu, figliuol, che per lo mortal pondo
[72]
che fatto avien con noi quivi soggiorno.
[74]
e seguì fin che ’l mezzo, per lo molto,
[76]
Onde la donna, che mi vide assolto
[81]
che fa dal mezzo al fine il primo clima;
[88]
La mente innamorata, che donnea
[90]
ad essa li occhi più che mai ardea;
[95]
ver’ lo piacer divin che mi refulse,
[97]
E la virtù che lo sguardo m’indulse,
[103]
Ma ella, che vedëa ’l mio disire,
[105]
che Dio parea nel suo volto gioire:
[106]
«La natura del mondo, che quïeta
[110]
che la mente divina, in che s’accende
[111]
l’amor che ’l volge e la virtù ch’ei piove.
[114]
colui che ’l cinge solamente intende.
[121]
Oh cupidigia che i mortali affonde
[122]
sì sotto te, che nessuno ha podere
[129]
pria fugge che le guance sian coperte.
[131]
che poi divora, con la lingua sciolta,
[134]
la madre sua, che, con loquela intera,
[140]
pensa che ’n terra non è chi governi;
[142]
Ma prima che gennaio tutto si sverni
[145]
che la fortuna che tanto s’aspetta,
[147]
sì che la classe correrà diretta;
95. Paradiso • Canto XXVIII
[1]
Poscia che ’ncontro a la vita presente
[3]
quella che ’mparadisa la mia mente,
[5]
vede colui che se n’alluma retro,
[6]
prima che l’abbia in vista o in pensiero,
[14]
li miei da ciò che pare in quel volume,
[16]
un punto vidi che raggiava lume
[17]
acuto sì, che ’l viso ch’elli affoca
[23]
alo cigner la luce che ’l dipigne
[24]
quando ’l vapor che ’l porta più è spesso,
[27]
quel moto che più tosto il mondo cigne;
[32]
già di larghezza, che ’l messo di Iuno
[39]
credo, però che più di lei s’invera.
[40]
La donna mia, che mi vedëa in cura
[43]
Mira quel cerchio che più li è congiunto;
[44]
e sappi che ’l suo muovere è sì tosto
[48]
sazio m’avrebbe ciò che m’è proposto;
[54]
che solo amore e luce ha per confine,
[66]
che si distende per tutte lor parti.
[70]
Dunque costui che tutto quanto rape
[72]
al cerchio che più ama e che più sape:
[73]
per che, se tu a la virtù circonde
[75]
de le sustanze che t’appaion tonde,
[82]
per che si purga e risolve la roffia
[83]
che pria turbava, sì che ’l ciel ne ride
[85]
così fec’ïo, poi che mi provide
[88]
E poi che le parole sue restaro,
[90]
che bolle, come i cerchi sfavillaro.
[92]
ed eran tante, che ’l numero loro
[93]
più che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla.
[95]
al punto fisso che li tiene a li ubi,
[97]
E quella che vedëa i pensier dubi
[103]
Quelli altri amori che ’ntorno li vonno,
[105]
per che ’l primo ternaro terminonno;
[106]
e dei saper che tutti hanno diletto
[108]
nel vero in che si queta ogne intelletto.
[110]
l’esser beato ne l’atto che vede,
[111]
non in quel ch’ama, che poscia seconda;
[113]
che grazia partorisce e buona voglia:
[115]
L’altro ternaro, che così germoglia
[117]
che notturno Arïete non dispoglia,
[119]
con tre melode, che suonano in tree
[128]
e di giù vincon sì, che verso Dio
[132]
che li nomò e distinse com’ io.
96. Paradiso • Canto XXIX
[4]
quant’ è dal punto che ’l cenìt inlibra
[5]
infin che l’uno e l’altro da quel cinto,
[9]
fiso nel punto che m’avëa vinto.
[11]
quel che tu vuoli udir, perch’ io l’ho visto
[23]
usciro ad esser che non avia fallo,
[26]
raggio resplende sì, che dal venire
[33]
nel mondo in che puro atto fu produtto;
[36]
tal vime, che già mai non si divima.
[39]
anzi che l’altro mondo fosse fatto;
[44]
che non concederebbe che ’ motori
[47]
furon creati e come: sì che spenti
[53]
che tu discerni, con tanto diletto,
[54]
che mai da circüir non si diparte.
[56]
superbir di colui che tu vedesti
[58]
Quelli che vedi qui furon modesti
[60]
che li avea fatti a tanto intender presti:
[61]
per che le viste lor furo essaltate
[64]
e non voglio che dubbi, ma sia certo,
[65]
che ricever la grazia è meritorio
[66]
secondo che l’affetto l’è aperto.
[71]
si legge che l’angelica natura
[72]
è tal, che ’ntende e si ricorda e vole,
[74]
la verità che là giù si confonde,
[76]
Queste sustanze, poi che fur gioconde
[82]
sì che là giù, non dormendo, si sogna,
[89]
con men disdegno che quando è posposta
[97]
Un dice che la luna si ritorse
[99]
per che ’l lume del sol giù non si porse;
[106]
sì che le pecorelle, che non sanno,
[116]
a predicare, e pur che ben si rida,
[119]
che se ’l vulgo il vedesse, vederebbe
[122]
che, sanza prova d’alcun testimonio,
[125]
e altri assai che sono ancor più porci,
[129]
sì che la via col tempo si raccorci.
[131]
in numero, che mai non fu loquela
[132]
né concetto mortal che tanto vada;
[133]
e se tu guardi quel che si revela
[134]
per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia
[136]
La prima luce, che tutta la raia,
[139]
Onde, però che a l’atto che concepe
[143]
de l’etterno valor, poscia che tanti
[144]
speculi fatti s’ha in che si spezza,
97. Paradiso • Canto XXX
[10]
Non altrimenti il trïunfo che lude
[11]
sempre dintorno al punto che mi vinse,
[14]
per che tornar con li occhi a Bëatrice
[21]
che solo il suo fattor tutta la goda.
[23]
più che già mai da punto di suo tema
[25]
ché, come sole in viso che più trema,
[31]
ma or convien che mio seguir desista
[35]
che quel de la mia tuba, che deduce
[42]
letizia che trascende ogne dolzore.
[45]
che tu vedrai a l’ultima giustizia».
[46]
Come sùbito lampo che discetti
[47]
li spiriti visivi, sì che priva
[51]
del suo fulgor, che nulla m’appariva.
[52]
«Sempre l’amor che queta questo cielo
[59]
tale, che nulla luce è tanto mera,
[60]
che li occhi miei non si fosser difesi;
[66]
quasi rubin che oro circunscrive;
[70]
«L’alto disio che mo t’infiamma e urge,
[71]
d’aver notizia di ciò che tu vei,
[73]
ma di quest’ acqua convien che tu bei
[74]
prima che tanta sete in te si sazi»:
[79]
Non che da sé sian queste cose acerbe;
[81]
che non hai viste ancor tanto superbe».
[82]
Non è fantin che sì sùbito rua
[87]
che si deriva perché vi s’immegli;
[92]
che pare altro che prima, se si sveste
[93]
la sembianza non süa in che disparve,
[100]
Lume è là sù che visibile face
[102]
che solo in lui vedere ha la sua pace.
[104]
in tanto che la sua circunferenza
[108]
che prende quindi vivere e potenza.
[125]
che si digrada e dilata e redole
[126]
odor di lode al sol che sempre verna,
[127]
qual è colui che tace e dicer vole,
[132]
che poca gente più ci si disira.
[133]
E ’n quel gran seggio a che tu li occhi tieni
[134]
per la corona che già v’è sù posta,
[135]
prima che tu a queste nozze ceni,
[136]
sederà l’alma, che fia giù agosta,
[139]
La cieca cupidigia che v’ammalia
[141]
che muor per fame e caccia via la balia.
[143]
allora tal, che palese e coverto
98. Paradiso • Canto XXXI
[3]
che nel suo sangue Cristo fece sposa;
[4]
ma l’altra, che volando vede e canta
[5]
la gloria di colui che la ’nnamora
[6]
e la bontà che la fece cotanta,
[7]
sì come schiera d’ape che s’infiora
[10]
nel gran fior discendeva che s’addorna
[15]
che nulla neve a quel termine arriva.
[24]
sì che nulla le puote essere ostante.
[28]
O trina luce che ’n unica stella
[32]
che ciascun giorno d’Elice si cuopra,
[37]
ïo, che al divino da l’umano,
[40]
di che stupor dovea esser compiuto!
[43]
E quasi peregrin che si ricrea
[57]
di che la mente mia era sospesa.
[69]
nel trono che suoi merti le sortiro».
[71]
e vidi lei che si facea corona
[73]
Da quella regïon che più sù tona
[80]
e che soffristi per la mia salute
[87]
che di ciò fare avei la potestate.
[89]
sì che l’anima mia, che fatt’ hai sana,
[94]
E ’l santo sene: «Acciò che tu assommi
[96]
a che priego e amor santo mandommi,
[103]
Qual è colui che forse di Croazia
[105]
che per l’antica fame non sen sazia,
[106]
ma dice nel pensier, fin che si mostra:
[110]
carità di colui che ’n questo mondo,
[116]
tanto che veggi seder la regina
[125]
che mal guidò Fetonte, più s’infiamma,
[134]
ridere una bellezza, che letizia
[142]
che ’ miei di rimirar fé più ardenti.
99. Paradiso • Canto XXXII
[4]
«La piaga che Maria richiuse e unse,
[6]
è colei che l’aperse e che la punse.
[7]
Ne l’ordine che fanno i terzi sedi,
[11]
che fu bisava al cantor che per doglia
[19]
perché, secondo lo sguardo che fée
[21]
a che si parton le sacre scalee.
[24]
quei che credettero in Cristo venturo;
[32]
che sempre santo ’l diserto e ’l martiro
[40]
E sappi che dal grado in giù che fiede
[51]
in che ti stringon li pensier sottili.
[56]
quantunque vedi, sì che giustamente
[63]
che nulla volontà è di più ausa,
[69]
che ne la madre ebber l’ira commota.
[72]
degnamente convien che s’incappelli.
[79]
poi che le prime etadi fuor compiute,
[82]
ma poi che ’l tempo de la grazia venne,
[85]
Riguarda omai ne la faccia che a Cristo
[91]
che quantunque io avea visto davante,
[94]
e quello amor che primo lì discese,
[100]
«O santo padre, che per me comporte
[103]
qual è quell’ angel che con tanto gioco
[105]
innamorato sì che par di foco?».
[111]
tutta è in lui; e sì volem che sia,
[112]
perch’ elli è quelli che portò la palma
[118]
Quei due che seggon là sù più felici
[121]
colui che da sinistra le s’aggiusta
[127]
E quei che vide tutti i tempi gravi,
[128]
pria che morisse, de la bella sposa
[129]
che s’acquistò con la lancia e coi clavi,
[135]
che non move occhio per cantare osanna;
[137]
siede Lucia, che mosse la tua donna
[139]
Ma perché ’l tempo fugge che t’assonna,
[141]
che com’ elli ha del panno fa la gonna;
[143]
sì che, guardando verso lui, penètri
[147]
orando grazia conven che s’impetri
[148]
grazia da quella che puote aiutarti;
[150]
sì che dal dicer mio lo cor non parti».
100. Paradiso • Canto XXXIII
[2]
umile e alta più che creatura,
[4]
tu se’ colei che l’umana natura
[5]
nobilitasti sì, che ’l suo fattore
[14]
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
[22]
Or questi, che da l’infima lacuna
[26]
tanto, che possa con li occhi levarsi
[28]
E io, che mai per mio veder non arsi
[30]
ti porgo, e priego che non sieno scarsi,
[33]
sì che ’l sommo piacer li si dispieghi.
[34]
Ancor ti priego, regina, che puoi
[35]
ciò che tu vuoli, che conservi sani,
[44]
nel qual non si dee creder che s’invii
[54]
de l’alta luce che da sé è vera.
[56]
che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede,
[58]
Qual è colüi che sognando vede,
[59]
che dopo ’l sogno la passione impressa
[63]
nel core il dolce che nacque da essa.
[67]
O somma luce che tanto ti levi
[69]
ripresta un poco di quel che parevi,
[84]
tanto che la veduta vi consunsi!
[85]
Nel suo profondo vidi che s’interna,
[87]
ciò che per l’universo si squaderna:
[90]
che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.
[95]
che venticinque secoli a la ’mpresa
[96]
che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo.
[101]
che volgersi da lei per altro aspetto
[102]
è impossibil che mai si consenta;
[103]
però che ’l ben, ch’è del volere obietto,
[107]
pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante
[108]
che bagni ancor la lingua a la mammella.
[111]
che tal è sempre qual s’era davante;
[112]
ma per la vista che s’avvalorava
[120]
che quinci e quindi igualmente si spiri.
[123]
è tanto, che non basta a dicer ‘poco’.
[124]
O luce etterna che sola in te sidi,
[127]
Quella circulazion che sì concetta
[132]
per che ’l mio viso in lei tutto era messo.
[133]
Qual è ’l geomètra che tutto s’affige
[140]
se non che la mia mente fu percossa
[141]
da un fulgore in che sua voglia venne.
[145]
l’amor che move il sole e l’altre stelle.