Concordanze nella Divina Commedia di Dante (beta)

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1. Inferno • Canto I

[-21] Project Gutenberg's La Divina Commedia di Dante, by Dante Alighieri
[-14] Title: La Divina Commedia di Dante
[-6] *** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LA DIVINA COMMEDIA DI DANTE ***
[-2] di Dante Alighieri
[1] Nel mezzo del cammin di nostra vita
[11] tant’ era pien di sonno a quel punto
[15] che m’avea di paura il cor compunto,
[33] che di pel macolato era coverta;
[40] mosse di prima quelle cose belle;
[42] di quella fiera a la gaetta pelle
[49] Ed una lupa, che di tutte brame
[52] questa mi porse tanto di gravezza
[53] con la paura ch’uscia di sua vista,
[65] «Miserere di me», gridai a lui,
[73] Poeta fui, e cantai di quel giusto
[74] figliuol d’Anchise che venne di Troia,
[78] ch’è principio e cagion di tutta gioia?».
[80] che spandi di parlar sì largo fiume?»,
[106] Di quella umile Italia fia salute
[108] Eurialo e Turno e Niso di ferute.
[114] e trarrotti di qui per loco etterno;
[119] nel foco, perché speran di venire
[122] anima fia a ciò più di me degna:
[134] sì ch’io veggia la porta di san Pietro

2. Inferno • Canto II

[13] Tu dici che di Silvïo il parente,
[18] ch’uscir dovea di lui, e ’l chi e ’l quale
[20] ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero
[27] di sua vittoria e del papale ammanto.
[30] ch’è principio a la via di salvazione.
[51] nel primo punto che di te mi dolve.
[54] tal che di comandare io la richiesi.
[59] di cui la fama ancor nel mondo dura,
[66] per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito.
[74] di te mi loderò sovente a lui”.
[76] “O donna di virtù sola per cui
[78] di quel ciel c’ha minor li cerchi sui,
[87] “perch’ i’ non temo di venir qua entro.
[88] Temer si dee di sole quelle cose
[89] c’hanno potenza di fare altrui male;
[95] di questo ’mpedimento ov’ io ti mando,
[99] di te, e io a te lo raccomando—.
[100] Lucia, nimica di ciascun crudele,
[103] Disse:—Beatrice, loda di Dio vera,
[125] curan di te ne la corte del cielo,
[130] tal mi fec’ io di mia virtude stanca,

3. Inferno • Canto III

[10] Queste parole di colore oscuro
[26] parole di dolore, accenti d’ira,
[27] voci alte e fioche, e suon di man con elle
[35] tegnon l’anime triste di coloro
[46] Questi non hanno speranza di morte,
[49] Fama di loro il mondo esser non lassa;
[51] non ragioniam di lor, ma guarda e passa».
[56] di gente, ch’i’ non averei creduto
[59] vidi e conobbi l’ombra di colui
[67] Elle rigavan lor di sangue il volto,
[68] che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi
[74] le fa di trapassar parer sì pronte,
[99] che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
[105] di lor semenza e di lor nascimenti.
[109] Caron dimonio, con occhi di bragia
[116] gittansi di quel lito ad una ad una,
[119] e avanti che sien di là discese,
[120] anche di qua nuova schiera s’auna.
[122] «quelli che muoion ne l’ira di Dio
[128] e però, se Caron di te si lagna,
[132] la mente di sudore ancor mi bagna.

4. Inferno • Canto IV

[26] non avea pianto mai che di sospiri
[28] ciò avvenia di duol sanza martìri,
[30] d’infanti e di femmine e di viri.
[39] e di questi cotai son io medesmo.
[41] semo perduti, e sol di tanto offesi
[44] però che gente di molto valore
[48] di quella fede che vince ogne errore:
[54] con segno di vittoria coronato.
[56] d’Abèl suo figlio e quella di Noè,
[57] di Moïsè legista e ubidente;
[66] la selva, dico, di spiriti spessi.
[68] di qua dal sonno, quand’ io vidi un foco
[69] ch’emisperio di tenebre vincia.
[70] Di lungi n’eravamo ancora un poco,
[77] che di lor suona sù ne la tua vita,
[93] fannomi onore, e di ciò fanno bene».
[95] di quel segnor de l’altissimo canto
[99] e ’l mio maestro sorrise di tanto;
[111] giugnemmo in prato di fresca verdura.
[113] di grande autorità ne’ lor sembianti:
[131] vidi ’l maestro di color che sanno
[145] Io non posso ritrar di tutti a pieno,

5. Inferno • Canto V

[18] lasciando l’atto di cotanto offizio,
[19] «guarda com’ entri e di cui tu ti fide;
[43] di qua, di là, di giù, di sù li mena;
[45] non che di posa, ma di minor pena.
[47] faccendo in aere di sé lunga riga,
[52] «La prima di color di cui novelle
[54] «fu imperadrice di molte favelle.
[55] A vizio di lussuria fu sì rotta,
[58] Ell’ è Semiramìs, di cui si legge
[62] e ruppe fede al cener di Sicheo;
[67] Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
[69] ch’amor di nostra vita dipartille.
[90] noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
[94] Di quel che udire e che parlar vi piace,
[128] di Lancialotto come amor lo strinse;
[140] l’altro piangëa; sì che di pietade

6. Inferno • Canto VI

[3] che di trestizia tutto mi confuse,
[69] con la forza di tal che testé piaggia.
[72] come che di ciò pianga o che n’aonti.
[78] e che di più parlar mi facci dono.
[83] ché gran disio mi stringe di savere
[95] di qua dal suon de l’angelica tromba,
[111] di là più che di qua essere aspetta».

7. Inferno • Canto VII

[19] Ahi giustizia di Dio! tante chi stipa
[27] voltando pesi per forza di poppa.
[51] che furo immondi di cotesti mali».
[65] e che già fu, di quest’ anime stanche
[68] questa fortuna di che tu mi tocche,
[80] di gente in gente e d’uno in altro sangue,
[83] seguendo lo giudicio di costei,
[109] E io, che di mirare stava inteso,
[116] l’anime di color cui vinse l’ira;

8. Inferno • Canto VIII

[7] E io mi volsi al mar di tutto ’l senno;
[32] dinanzi mi si fece un pien di fango,
[51] di sé lasciando orribili dispregi!».
[53] di vederlo attuffare in questa broda
[57] di tal disïo convien che tu goda».
[59] far di costui a le fangose genti,
[72] vermiglie come se di foco uscite
[82] Io vidi più di mille in su le porte
[87] di voler lor parlar segretamente.
[97] «O caro duca mio, che più di sette
[107] conforta e ciba di speranza buona,
[128] e già di qua da lei discende l’erta,

9. Inferno • Canto IX

[1] Quel color che viltà di fuor mi pinse
[19] Questa question fec’ io; e quei «Di rado
[20] incontra», mi rispuose, «che di noi
[25] Di poco era di me la carne nuda,
[27] per trarne un spirto del cerchio di Giuda.
[38] tre furïe infernal di sangue tinte,
[52] «Vegna Medusa: sì ’l farem di smalto»,
[57] nulla sarebbe di tornar mai suso».
[65] un fracasso d’un suon, pien di spavento,
[79] vid’ io più di mille anime distrutte
[84] e sol di quell’ angoscia parea lasso.
[88] Ahi quanto mi parea pien di disdegno!
[97] Che giova ne le fata dar di cozzo?
[103] che quella di colui che li è davante;
[107] e io, ch’avea di riguardar disio
[111] piena di duolo e di tormento rio.
[123] che ben parean di miseri e d’offesi.

10. Inferno • Canto X

[11] quando di Iosafàt qui torneranno
[24] piacciati di restare in questo loco.
[26] di quella nobil patrïa natio,
[56] avesse di veder s’altri era meco;
[65] m’avean di costui già letto il nome;
[67] Di sùbito drizzato gridò: «Come?
[92] fu per ciascun di tòrre via Fiorenza,
[105] nulla sapem di vostro stato umano.
[109] Allor, come di mia colpa compunto,
[118] Dissemi: «Qui con più di mille giaccio:
[131] di quella il cui bell’ occhio tutto vede,
[132] da lei saprai di tua vita il vïaggio».

11. Inferno • Canto XI

[18] di grado in grado, come que’ che lassi.
[19] Tutti son pien di spirti maladetti;
[26] più spiace a Dio; e però stan di sotto
[28] Di vïolenti il primo cerchio è tutto;
[55] Questo modo di retro par ch’incida
[63] di che la fede spezïal si cria;
[79] Non ti rimembra di quelle parole
[87] che sù di fuor sostegnon penitenza,
[95] diss’ io, «là dove di’ ch’usura offende

12. Inferno • Canto XII

[5] di qua da Trento l’Adice percosse,
[10] cotal di quel burrato era la scesa;
[12] l’infamïa di Creti era distesa
[29] di quelle pietre, che spesso moviensi
[56] corrien centauri, armati di saette,
[65] farem noi a Chirón costà di presso:
[69] e fé di sé la vendetta elli stesso.
[70] E quel di mezzo, ch’al petto si mira,
[81] che quel di retro move ciò ch’el tocca?
[105] che dier nel sangue e ne l’aver di piglio.
[117] parea che di quel bulicame uscisse.
[121] Poi vidi gente che di fuor del rio
[123] e di costoro assai riconobb’ io.
[133] La divina giustizia di qua punge

13. Inferno • Canto XIII

[1] Non era ancor di là Nesso arrivato,
[4] Non fronda verde, ma di color fosco;
[12] con tristo annunzio di futuro danno.
[34] Da che fatto fu poi di sangue bruno,
[36] non hai tu spirto di pietade alcuno?
[39] se state fossimo anime di serpi».
[59] del cor di Federigo, e che le volsi,
[65] di Cesare non torse li occhi putti,
[76] E se di voi alcun nel mondo riede,
[83] di quel che credi ch’a me satisfaccia;
[88] di dirne come l’anima si lega
[90] s’alcuna mai di tai membra si spiega».
[99] quivi germoglia come gran di spelta.
[123] di sé e d’un cespuglio fece un groppo.
[124] Di rietro a loro era la selva piena
[125] di nere cagne, bramose e correnti
[126] come veltri ch’uscisser di catena.
[134] che t’è giovato di me fare schermo?
[147] rimane ancor di lui alcuna vista,

14. Inferno • Canto XIV

[6] si vede di giustizia orribil arte.
[15] che fu da’ piè di Caton già soppressa.
[16] O vendetta di Dio, quanto tu dei
[29] piovean di foco dilatate falde,
[30] come di neve in alpe sanza vento.
[50] ch’io domandava il mio duca di lui,
[58] sì com’ el fece a la pugna di Flegra,
[61] Allora il duca mio parlò di forza
[93] di cui largito m’avëa il disio.
[98] d’acqua e di fronde, che si chiamò Ida;
[106] La sua testa è di fin oro formata,
[108] poi è di rame infino a la forcata;
[132] e l’altro di’ che si fa d’esta piova».
[136] Letè vedrai, ma fuor di questa fossa,
[140] dal bosco; fa che di retro a me vegne:

15. Inferno • Canto XV

[2] e ’l fummo del ruscel di sopra aduggia,
[37] «O figliuol», disse, «qual di questa greggia
[44] per andar par di lui; ma ’l capo chino
[49] «Là sù di sopra, in la vita serena»,
[62] che discese di Fiesole ab antico,
[72] di te; ma lungi fia dal becco l’erba.
[74] di lor medesme, e non tocchin la pianta,
[77] di que’ Roman che vi rimaser quando
[78] fu fatto il nido di malizia tanta».
[84] di voi quando nel mondo ad ora ad ora
[88] Ciò che narrate di mio corso scrivo,
[100] Né per tanto di men parlando vommi
[107] e litterati grandi e di gran fama,
[111] s’avessi avuto di tal tigna brama,
[115] Di più direi; ma ’l venire e ’l sermone
[121] Poi si rivolse, e parve di coloro
[123] per la campagna; e parve di costoro

16. Inferno • Canto XVI

[9] esser alcun di nostra terra prava».
[21] fenno una rota di sé tutti e trei.
[34] Questi, l’orme di cui pestar mi vedi,
[36] fu di grado maggior che tu non credi:
[47] gittato mi sarei tra lor di sotto,
[51] che di loro abbracciar mi facea ghiotto.
[58] Di vostra terra sono, e sempre mai
[59] l’ovra di voi e li onorati nomi
[85] fa che di noi a la gente favelle».
[90] per ch’al maestro parve di partirsi.
[99] e a Forlì di quel nome è vacante,
[113] e alquanto di lunge da la sponda
[121] El disse a me: «Tosto verrà di sovra
[124] Sempre a quel ver c’ha faccia di menzogna
[128] di questa comedìa, lettor, ti giuro,
[129] s’elle non sien di lunga grazia vòte,

17. Inferno • Canto XVII

[7] E quella sozza imagine di froda
[11] tanto benigna avea di fuor la pelle,
[15] dipinti avea di nodi e di rotelle.
[24] su l’orlo ch’è di pietra e ’l sabbion serra.
[27] ch’a guisa di scorpion la punta armava.
[44] di quel settimo cerchio tutto solo
[47] di qua, di là soccorrien con le mani
[49] non altrimenti fan di state i cani
[61] Poi, procedendo di mio sguardo il curro,
[74] Qui distorse la bocca e di fuor trasse
[77] lui che di poco star m’avea ’mmonito,
[100] Come la navicella esce di loco
[117] se non che al viso e di sotto mi venta.

18. Inferno • Canto XVIII

[2] tutto di pietra di color ferrigno,
[6] di cui suo loco dicerò l’ordigno.
[15] a la ripa di fuor son ponticelli,
[20] di Gerïon, trovammoci; e ’l poeta
[24] di che la prima bolgia era repleta.
[27] di là con noi, ma con passi maggiori,
[34] Di qua, di là, su per lo sasso tetro
[36] che li battien crudelmente di retro.
[42] «Già di veder costui non son digiuno».
[62] e se di ciò vuoi fede o testimonio,
[74] di sotto per dar passo a li sferzati,
[76] lo viso in te di quest’ altri mal nati,
[88] Ello passò per l’isola di Lenno
[96] e anche di Medea si fa vendetta.
[99] sapere e di color che ’n sé assanna».
[102] e fa di quello ad un altr’ arco spalle.
[107] per l’alito di giù che vi s’appasta,
[116] vidi un col capo sì di merda lordo,
[119] di riguardar più me che li altri brutti?».
[130] di quella sozza e scapigliata fante

19. Inferno • Canto XIX

[2] che le cose di Dio, che di bontate
[14] piena la pietra livida di fóri,
[36] da lui saprai di sé e de’ suoi torti».
[45] di quel che si piangeva con la zanca.
[46] «O qual che se’ che ’l di sù tien di sotto,
[54] Di parecchi anni mi mentì lo scritto.
[55] Se’ tu sì tosto di quell’ aver sazio
[57] la bella donna, e poi di farne strazio?».
[65] poi, sospirando e con voce di pianto,
[67] Se di saper ch’i’ sia ti cal cotanto,
[73] Di sotto al capo mio son li altri tratti
[82] ché dopo lui verrà di più laida opra,
[83] di ver’ ponente, un pastor sanza legge,
[85] Nuovo Iasón sarà, di cui si legge
[106] Di voi pastor s’accorse il Vangelista,
[115] Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,

20. Inferno • Canto XX

[1] Di nova pena mi conven far versi
[16] Forse per forza già di parlasia
[20] di tua lezione, or pensa per te stesso
[22] quando la nostra imagine di presso
[35] E non restò di ruinare a valle
[39] di retro guarda e fa retroso calle.
[41] quando di maschio femmina divenne,
[47] che ne’ monti di Luni, dove ronca
[48] lo Carrarese che di sotto alberga,
[54] e ha di là ogne pilosa pelle,
[58] Poscia che ’l padre suo di vita uscìo
[59] e venne serva la città di Baco,
[68] pastore e quel di Brescia e ’l veronese
[81] e suol di state talor essere grama.
[104] se tu ne vedi alcun degno di nota;
[108] fu—quando Grecia fu di maschi vòta,

21. Inferno • Canto XXI

[1] Così di ponte in ponte, altro parlando
[5] di Malebolge e li altri pianti vani;
[26] di veder quel che li convien fuggire
[38] ecco un de li anzïan di Santa Zita!
[50] Però, se tu non vuo’ di nostri graffi,
[52] Poi l’addentar con più di cento raffi,
[64] Poscia passò di là dal co del ponte;
[69] che di sùbito chiede ove s’arresta,
[70] usciron quei di sotto al ponticello,
[72] ma el gridò: «Nessun di voi sia fello!
[74] traggasi avante l’un di voi che m’oda,
[95] ch’uscivan patteggiati di Caprona,
[115] Io mando verso là di questi miei

22. Inferno • Canto XXII

[8] con tamburi e con cenni di castella,
[12] né nave a segno di terra o di stella.
[21] che s’argomentin di campar lor legno,
[34] e Graffiacan, che li era più di contra,
[37] I’ sapea già di tutti quanti ’l nome,
[48] «I’ fui del regno di Navarra nato.
[51] distruggitor di sé e di sue cose.
[54] di ch’io rendo ragione in questo caldo».
[55] E Cirïatto, a cui di bocca uscia
[67] poco è, da un che fu di là vicino.
[73] Draghignazzo anco i volle dar di piglio
[80] di’ che facesti per venire a proda?».
[82] quel di Gallura, vasel d’ogne froda,
[83] ch’ebbe i nemici di suo donno in mano,
[85] Danar si tolse e lasciolli di piano,
[89] di Logodoro; e a dir di Sardigna
[105] di fare allor che fori alcun si mette».
[112] Alichin non si tenne e, di rintoppo
[114] io non ti verrò dietro di gualoppo,
[117] a veder se tu sol più di noi vali».
[124] Di che ciascun di colpa fu compunto,
[130] non altrimenti l’anitra di botto,
[143] ma però di levarsi era neente,
[148] di qua, di là discesero a la posta;

23. Inferno • Canto XXIII

[11] così nacque di quello un altro poi,
[25] E quei: «S’i’ fossi di piombato vetro,
[26] l’imagine di fuor tua non trarrei
[34] Già non compié di tal consiglio rendere,
[37] Lo duca mio di sùbito mi prese,
[41] avendo più di lui che di sé cura,
[47] a volger ruota di molin terragno,
[57] poder di partirs’ indi a tutti tolle.
[64] Di fuor dorate son, sì ch’elli abbaglia;
[66] che Federigo le mettea di paglia.
[72] di compagnia ad ogne mover d’anca.
[77] di retro a noi gridò: «Tenete i piedi,
[101] son di piombo sì grosse, che li pesi
[141] colui che i peccator di qua uncina».
[144] ch’elli è bugiardo, e padre di menzogna».

24. Inferno • Canto XXIV

[5] l’imagine di sua sorella bianca,
[24] ben la ruina, e diedemi di piglio.
[31] Non era via da vestito di cappa,
[33] potavam sù montar di chiappa in chiappa.
[36] non so di lui, ma io sarei ben vinto.
[39] lo sito di ciascuna valle porta
[50] cotal vestigio in terra di sé lascia,
[59] meglio di lena ch’i’ non mi sentia,
[63] ed erto più assai che quel di pria.
[83] di serpenti, e di sì diversa mena
[90] né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe.
[105] e ’n quel medesmo ritornò di butto.
[113] per forza di demon ch’a terra il tira,
[119] Oh potenza di Dio, quant’ è severa,
[122] per ch’ei rispuose: «Io piovvi di Toscana,
[129] ch’io ’l vidi uomo di sangue e di crucci».
[132] e di trista vergogna si dipinse;
[140] Ma perché di tal vista tu non godi,
[141] se mai sarai di fuor da’ luoghi bui,
[145] Tragge Marte vapor di Val di Magra
[146] ch’è di torbidi nuvoli involuto;

25. Inferno • Canto XXV

[17] e io vidi un centauro pien di rabbia
[26] che, sotto ’l sasso di monte Aventino,
[27] di sangue fece spesse volte laco.
[52] Co’ piè di mezzo li avvinse la pancia
[61] Poi s’appiccar, come di calda cera
[73] Fersi le braccia due di quattro liste;
[84] livido e nero come gran di pepe;
[86] nostro alimento, a l’un di lor trafisse;
[95] del misero Sabello e di Nasidio,
[97] Taccia di Cadmo e d’Aretusa Ovidio,
[111] si facea molle, e quella di là dura.
[115] Poscia li piè di rietro, insieme attorti,
[119] di color novo, e genera ’l pel suso
[125] e di troppa matera ch’in là venne
[128] di quel soverchio, fé naso a la faccia
[149] ed era quel che sol, di tre compagni

26. Inferno • Canto XXVI

[8] tu sentirai, di qua da picciol tempo,
[9] di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna.
[31] di tante fiamme tutta risplendea
[48] catun si fascia di quel ch’elli è inceso».
[53] di sopra, che par surger de la pira
[71] di molta loda, e io però l’accetto;
[80] s’io meritai di voi mentre ch’io vissi,
[81] s’io meritai di voi assai o poco
[83] non vi movete; ma l’un di voi dica
[90] gittò voce di fuori e disse: «Quando
[94] né dolcezza di figlio, né la pieta
[117] di retro al sol, del mondo sanza gente.
[131] lo lume era di sotto da la luna,

27. Inferno • Canto XXVII

[8] col pianto di colui, e ciò fu dritto,
[11] sì che, con tutto che fosse di rame,
[26] caduto se’ di quella dolce terra
[30] e ’l giogo di che Tever si diserra».
[32] quando il mio duca mi tentò di costa,
[44] e di Franceschi sanguinoso mucchio,
[47] che fecer di Montagna il mal governo,
[49] Le città di Lamone e di Santerno
[60] di qua, di là, e poi diè cotal fiato:
[64] ma però che già mai di questo fondo
[73] Mentre ch’io forma fui d’ossa e di polpe
[75] non furon leonine, ma di volpe.
[80] di mia etade ove ciascun dovrebbe
[90] né mercatante in terra di Soldano,
[109] di quel peccato ov’ io mo cader deggio,

28. Inferno • Canto XXVIII

[9] di Puglia, fu del suo sangue dolente
[13] con quella che sentio di colpi doglie
[27] che merda fa di quel che si trangugia.
[35] seminator di scandalo e di scisma
[39] rimettendo ciascun di questa risma,
[50] per lo ’nferno qua giù di giro in giro;
[52] Più fuor di cento che, quando l’udiro,
[58] sì di vivanda, che stretta di neve
[69] ch’era di fuor d’ogne parte vermiglia,
[73] rimembriti di Pier da Medicina,
[79] gittati saran fuor di lor vasello
[82] Tra l’isola di Cipri e di Maiolica
[87] vorrebbe di vedere esser digiuno,
[89] poi farà sì, ch’al vento di Focara
[92] se vuo’ ch’i’ porti sù di te novella,
[109] E io li aggiunsi: «E morte di tua schiatta»;
[114] sanza più prova, di contarla solo;
[122] pesol con mano a guisa di lanterna:
[124] Di sé facea a sé stesso lucerna,
[133] E perché tu di me novella porti,
[138] e di Davìd coi malvagi punzelli.

29. Inferno • Canto XXIX

[41] di Malebolge, sì che i suoi conversi
[44] che di pietà ferrati avean li strali;
[47] di Valdichiana tra ’l luglio e ’l settembre
[48] e di Maremma e di Sardigna i mali
[60] quando fu l’aere sì pien di malizia,
[64] si ristorar di seme di formiche;
[75] dal capo al piè di schianze macolati;
[83] come coltel di scardova le scaglie
[86] cominciò ’l duca mio a l’un di loro,
[93] «ma tu chi se’ che di noi dimandasti?».
[95] con questo vivo giù di balzo in balzo,
[96] e di mostrar lo ’nferno a lui intendo».
[99] con altri che l’udiron di rimbalzo.
[106] ditemi chi voi siete e di che genti;
[108] di palesarvi a me non vi spaventi».
[136] sì vedrai ch’io son l’ombra di Capocchio,
[139] com’ io fui di natura buona scimia».

30. Inferno • Canto XXX

[22] Ma né di Tebe furie né troiane
[26] che mordendo correvan di quel modo
[36] a dir chi è, pria che di qui si spicchi».
[38] di Mirra scellerata, che divenne
[49] Io vidi un, fatto a guisa di lëuto,
[62] io ebbi, vivo, assai di quel ch’i’ volli,
[77] di Guido o d’Alessandro o di lor frate,
[82] S’io fossi pur di tanto ancor leggero
[87] e men d’un mezzo di traverso non ci ha.
[90] ch’avevan tre carati di mondiglia».
[98] l’altr’ è ’l falso Sinon greco di Troia:
[100] E l’un di lor, che si recò a noia
[112] E l’idropico: «Tu di’ ver di questo:
[128] e per leccar lo specchio di Narcisso,

31. Inferno • Canto XXXI

[6] prima di trista e poi di buona mancia.
[26] quanto ’l senso s’inganna di lontano;
[41] Montereggion di torri si corona,
[43] torreggiavan di mezza la persona
[50] di sì fatti animali, assai fé bene
[52] E s’ella d’elefanti e di balene
[59] come la pina di San Pietro a Roma,
[63] di sovra, che di giugnere a la chioma
[92] di sua potenza contra ’l sommo Giove»,
[101] presso di qui che parla ed è disciolto,
[116] che fece Scipïon di gloria reda,
[125] questi può dar di quel che qui si brama;
[140] di vederlo chinare, e fu tal ora

32. Inferno • Canto XXXII

[4] io premerei di mio concetto il suco
[24] avea di vetro e non d’acqua sembiante.
[26] di verno la Danoia in Osterlicchi,
[33] di spigolar sovente la villana,
[36] mettendo i denti in nota di cicogna.
[57] del padre loro Alberto e di lor fue.
[81] di Montaperti, perché mi moleste?».
[111] io porterò di te vere novelle».
[113] ma non tacer, se tu di qua entro eschi,
[114] di quel ch’ebbe or così la lingua pronta.
[119] tu hai dallato quel di Beccheria
[120] di cui segò Fiorenza la gorgiera.
[136] che se tu a ragion di lui ti piangi,

33. Inferno • Canto XXXIII

[3] del capo ch’elli avea di retro guasto.
[17] fidandomi di lui, io fossi preso
[42] e se non piangi, di che pianger suoli?
[46] e io senti’ chiavar l’uscio di sotto
[55] Come un poco di raggio si fu messo
[60] di manicar, di sùbito levorsi
[62] se tu mangi di noi: tu ne vestisti
[98] e sì come visiere di cristallo,
[107] di ciò ti farà l’occhio la risposta,
[135] de l’ombra che di qua dietro mi verna.
[154] Ché col peggiore spirto di Romagna
[155] trovai di voi un tal, che per sua opra
[157] e in corpo par vivo ancor di sopra.

34. Inferno • Canto XXXIV

[2] verso di noi; però dinanzi mira»,
[6] par di lungi un molin che ’l vento gira,
[17] ch’al mio maestro piacque di mostrarmi
[21] ove convien che di fortezza t’armi».
[41] sovresso ’l mezzo di ciascuna spalla,
[45] vegnon di là onde ’l Nilo s’avvalla.
[48] vele di mar non vid’ io mai cotali.
[49] Non avean penne, ma di vispistrello
[56] un peccatore, a guisa di maciulla,
[64] De li altri due c’hanno il capo di sotto,
[71] ed el prese di tempo e loco poste,
[74] di vello in vello giù discese poscia
[97] Non era camminata di palagio
[99] ch’avea mal suolo e di lume disagio.
[107] d’esser di là dal centro, ov’ io mi presi
[109] Di là fosti cotanto quant’ io scesi;
[118] Qui è da man, quando di là è sera;
[122] e la terra, che pria di qua si sporse,
[123] per paura di lui fé del mar velo,
[126] quella ch’appar di qua, e sù ricorse».

35. Purgatorio • Canto I

[4] e canterò di quel secondo regno
[6] e di salire al ciel diventa degno.
[11] di cui le Piche misere sentiro
[25] Goder pareva ’l ciel di lor fiammelle:
[27] poi che privato se’ di mirar quelle!
[31] vidi presso di me un veglio solo,
[32] degno di tanta reverenza in vista,
[34] Lunga la barba e di pel bianco mista
[38] fregiavan sì la sua faccia di lume,
[49] Lo duca mio allor mi diè di piglio,
[56] di nostra condizion com’ ell’ è vera,
[79] di Marzia tua, che ’n vista ancor ti priega,
[83] grazie riporterò di te a lei,
[86] mentre ch’i’ fu’ di là», diss’ elli allora,
[88] Or che di là dal mal fiume dimora,
[92] come tu di’, non c’è mestier lusinghe:
[99] ministro, ch’è di quei di paradiso.
[102] porta di giunchi sovra ’l molle limo:
[106] Poscia non sia di qua vostra reddita;
[113] volgianci in dietro, ché di qua dichina
[116] che fuggia innanzi, sì che di lontano
[126] ond’ io, che fui accorto di sua arte,
[132] omo, che di tornar sia poscia esperto.

36. Purgatorio • Canto II

[5] uscia di Gange fuor con le Bilance,
[6] che le caggion di man quando soverchia;
[23] un non sapeva che bianco, e di sotto
[29] Ecco l’angel di Dio: piega le mani;
[30] omai vedrai di sì fatti officiali.
[45] e più di cento spirti entro sediero.
[48] con quanto di quel salmo è poscia scripto.
[49] Poi fece il segno lor di santa croce;
[57] di mezzo ’l ciel cacciato Capricorno,
[60] mostratene la via di gire al monte».
[67] L’anime, che si fuor di me accorte,
[72] e di calcar nessun si mostra schivo,
[76] Io vidi una di lor trarresi avante
[82] Di maraviglia, credo, mi dipinsi;
[97] ché di giusto voler lo suo si face:
[101] dove l’acqua di Tevero s’insala,
[109] di ciò ti piaccia consolare alquanto

37. Purgatorio • Canto III

[43] io dico d’Aristotile e di Plato
[44] e di molt’ altri»; e qui chinò la fronte,
[51] verso di quella, agevole e aperta.
[62] ecco di qua chi ne darà consiglio,
[67] Ancora era quel popol di lontano,
[86] di quella mandra fortunata allotta,
[99] cerchi di soverchiar questa parete».
[103] E un di loro incominciò: «Chiunque
[105] pon mente se di là mi vedesti unque».
[107] biondo era e bello e di gentile aspetto,
[113] nepote di Costanza imperadrice;
[116] de l’onor di Cicilia e d’Aragona,
[119] di due punte mortali, io mi rendei,
[124] Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia
[125] di me fu messo per Clemente allora,
[131] di fuor dal regno, quasi lungo ’l Verde,
[137] di Santa Chiesa, ancor ch’al fin si penta,
[145] ché qui per quei di là molto s’avanza».

38. Purgatorio • Canto IV

[13] Di ciò ebb’ io esperïenza vera,
[20] con una forcatella di sue spine
[29] del gran disio, di retro a quel condotto
[33] e piedi e man volea il suol di sotto.
[62] fossero in compagnia di quello specchio
[82] per la ragion che di’, quinci si parte
[89] che sempre al cominciar di sotto è grave;
[95] quivi di riposar l’affanno aspetta.
[98] una voce di presso sonò: «Forse
[99] che di sedere in pria avrai distretta!».
[100] Al suon di lei ciascun di noi si torse,
[106] E un di lor, che mi sembiava lasso,
[124] di te omai; ma dimmi: perché assiso
[129] l’angel di Dio che siede in su la porta.
[131] di fuor da essa, quanto fece in vita,
[134] che surga sù di cuor che in grazia viva;

39. Purgatorio • Canto V

[3] quando di retro a me, drizzando ’l dito,
[5] lo raggio da sinistra a quel di sotto,
[7] Li occhi rivolsi al suon di questo motto,
[15] già mai la cima per soffiar di venti;
[21] che fa l’uom di perdon talvolta degno.
[22] E ’ntanto per la costa di traverso
[28] e due di loro, in forma di messaggi,
[30] «Di vostra condizion fatene saggi».
[33] che ’l corpo di costui è vera carne.
[38] di prima notte mai fender sereno,
[49] Guarda s’alcun di noi unqua vedesti,
[50] sì che di lui di là novella porti:
[56] di vita uscimmo a Dio pacificati,
[57] che del disio di sé veder n’accora».
[62] che, dietro a’ piedi di sì fatta guida,
[63] di mondo in mondo cercar mi si face».
[69] che siede tra Romagna e quel di Carlo,
[70] che tu mi sie di tuoi prieghi cortese
[81] ancor sarei di là dove si spira.
[88] Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
[89] Giovanna o altri non ha di me cura;
[92] ti travïò sì fuor di Campaldino,
[101] nel nome di Maria fini’, e quivi
[104] l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno
[106] Tu te ne porti di costui l’etterno
[117] di nebbia; e ’l ciel di sopra fece intento,
[120] di lei ciò che la terra non sofferse;
[127] ch’i’ fe’ di me quando ’l dolor mi vinse;
[129] poi di sua preda mi coperse e cinse».
[133] «ricorditi di me, che son la Pia;

40. Purgatorio • Canto VI

[5] qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,
[14] fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,
[23] mentr’ è di qua, la donna di Brabante,
[24] sì che però non sia di peggior greggia.
[31] e questa gente prega pur di questo:
[35] e la speranza di costor non falla,
[37] ché cima di giudicio non s’avvalla
[46] Non so se ’ntendi: io dico di Beatrice;
[47] tu la vedrai di sopra, in su la vetta
[48] di questo monte, ridere e felice».
[66] a guisa di leon quando si posa.
[70] ma di nostro paese e de la vita
[76] Ahi serva Italia, di dolore ostello,
[78] non donna di province, ma bordello!
[81] di fare al cittadin suo quivi festa;
[84] di quei ch’un muro e una fossa serra.
[87] s’alcuna parte in te di pace gode.
[104] per cupidigia di costà distretti,
[116] e se nulla di noi pietà ti move,
[125] son di tiranni, e un Marcel diventa
[128] di questa digression che non ti tocca,
[142] verso di te, che fai tanto sottili

41. Purgatorio • Canto VII

[5] l’anime degne di salire a Dio,
[16] «O gloria di Latin», disse, «per cui
[21] dimmi se vien d’inferno, e di qual chiostra».
[23] rispuose lui, «son io di qua venuto;
[28] Luogo è là giù non tristo di martìri,
[29] ma di tenebre solo, ove i lamenti
[44] e andar sù di notte non si puote;
[45] però è buon pensar di bel soggiorno.
[50] salir di notte, fora elli impedito
[64] Poco allungati c’eravam di lici,
[68] dove la costa face di sé grembo;
[77] posti, ciascun saria di color vinto,
[80] ma di soavità di mille odori
[84] che per la valle non parean di fuori.
[88] Di questo balzo meglio li atti e ’ volti
[89] conoscerete voi di tutti quanti,
[109] Padre e suocero son del mal di Francia:
[117] ben andava il valor di vaso in vaso,
[129] Costanza di marito ancor si vanta.

42. Purgatorio • Canto VIII

[5] punge, se ode squilla di lontano
[14] le uscìo di bocca e con sì dolci note,
[15] che fece me a me uscir di mente;
[37] «Ambo vegnon del grembo di Maria»,
[47] e fui di sotto, e vidi un che mirava
[63] come gente di sùbito smarrita.
[70] quando sarai di là da le larghe onde,
[76] Per lei assai di lieve si comprende
[81] com’ avria fatto il gallo di Gallura».
[83] nel suo aspetto, di quel dritto zelo
[90] di che ’l polo di qua tutto quanto arde».
[92] che vedevi staman, son di là basse,
[116] di Val di Magra o di parte vicina
[119] non son l’antico, ma di lui discesi;
[127] e io vi giuro, s’io di sopra vada,
[139] se corso di giudicio non s’arresta».

43. Purgatorio • Canto IX

[1] La concubina di Titone antico
[4] di gemme la sua fronte era lucente,
[10] quand’ io, che meco avea di quel d’Adamo,
[27] disdegna di portarne suso in piede’.
[69] si mosse, e io di rietro inver’ l’altura.
[76] vidi una porta, e tre gradi di sotto
[77] per gire ad essa, di color diversi,
[88] «Donna del ciel, di queste cose accorta»,
[100] Lo terzo, che di sopra s’ammassiccia,
[102] come sangue che fuor di vena spiccia.
[104] l’angel di Dio sedendo in su la soglia
[105] che mi sembiava pietra di diamante.
[106] Per li tre gradi sù di buona voglia
[117] e di sotto da quel trasse due chiavi.
[132] che di fuor torna chi ’n dietro si guata».
[134] li spigoli di quella regge sacra,
[135] che di metallo son sonanti e forti,

44. Purgatorio • Canto X

[16] che noi fossimo fuor di quella cruna;
[20] di nostra via, restammo in su un piano
[30] che dritto di salita aveva manco,
[31] esser di marmo candido e addorno
[50] di retro da Maria, da quella costa
[67] Di contra, effigïata ad una vista
[72] che di dietro a Micòl mi biancheggiava.
[76] i’ dico di Traiano imperadore;
[78] di lagrime atteggiata e di dolore.
[80] di cavalieri, e l’aguglie ne l’oro
[84] di mio figliuol ch’è morto, ond’ io m’accoro»;
[97] Mentr’ io mi dilettava di guardare
[98] l’imagini di tante umilitadi,
[100] «Ecco di qua, ma fanno i passi radi»,
[107] di buon proponimento per udire
[116] di lor tormento a terra li rannicchia,
[127] Di che l’animo vostro in alto galla,

45. Purgatorio • Canto XI

[3] ch’ai primi effetti di là sù tu hai,
[6] di render grazie al tuo dolce vapore.
[15] a retro va chi più di gir s’affanna.
[19] Nostra virtù che di legger s’adona,
[31] Se di là sempre ben per noi si dice,
[32] di qua che dire e far per lor si puote
[74] e un di lor, non questi che parlava,
[80] l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’ arte
[88] Di tal superbia qui si paga il fio;
[96] sì che la fama di colui è scura.
[101] di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,
[107] spazio a l’etterno, ch’un muover di ciglia
[120] ma chi è quei di cui tu parlavi ora?».
[126] a sodisfar chi è di là troppo oso».
[134] «liberamente nel Campo di Siena,
[136] e lì, per trar l’amico suo di pena,
[137] ch’e’ sostenea ne la prigion di Carlo,

46. Purgatorio • Canto XII

[1] Di pari, come buoi che vanno a giogo,
[16] Come, perché di lor memoria sia,
[22] sì vid’ io lì, ma di miglior sembianza
[24] quanto per via di fuor del monte avanza.
[47] quivi ’l tuo segno; ma pien di spavento
[57] «Sangue sitisti, e io di sangue t’empio».
[64] Qual di pennel fu maestro o di stile
[68] non vide mei di me chi vide il vero,
[78] non è più tempo di gir sì sospeso.
[82] Di reverenza il viso e li atti addorna,
[86] pur di non perder tempo, sì che ’n quella

47. Purgatorio • Canto XIII

[15] e la sinistra parte di sé torse.
[22] Quanto di qua per un migliaio si conta,
[23] tanto di là eravam noi già iti,
[54] per compassion di quel ch’i’ vidi poi;
[55] ché, quando fui sì presso di lor giunto,
[57] per li occhi fui di grave dolor munto.
[58] Di vil ciliccio mi parean coperti,
[69] luce del ciel di sé largir non vole;
[70] ché a tutti un fil di ferro i cigli fóra
[86] incominciai, «di veder l’alto lume
[89] di vostra coscïenza sì che chiaro
[111] più lieta assai che di ventura mia.
[117] e io pregava Iddio di quel ch’e’ volle.
[119] passi di fuga; e veggendo la caccia,
[129] a cui di me per caritate increbbe.
[137] l’anima mia del tormento di sotto,
[138] che già lo ’ncarco di là giù mi pesa».
[144] di là per te ancor li mortai piedi».
[149] se mai calchi la terra di Toscana,
[153] più di speranza ch’a trovar la Diana;

48. Purgatorio • Canto XIV

[8] ragionavan di me ivi a man dritta;
[18] e cento miglia di corso nol sazia.
[19] Di sovr’ esso rech’ io questa persona:
[26] questi il vocabol di quella riviera,
[28] E l’ombra che di ciò domandata era,
[30] ben è che ’l nome di tal valle pèra;
[35] di quel che ’l ciel de la marina asciuga,
[43] Tra brutti porci, più degni di galle
[50] tanto più trova di can farsi lupi
[53] trova le volpi sì piene di froda,
[55] Né lascerò di dir perch’ altri m’oda;
[57] di ciò che vero spirto mi disnoda.
[59] cacciator di quei lupi in su la riva
[63] molti di vita e sé di pregio priva.
[65] lasciala tal, che di qui a mille anni
[67] Com’ a l’annunzio di dogliosi danni
[68] si turba il viso di colui ch’ascolta,
[74] mi fer voglioso di saper lor nomi,
[76] per che lo spirto che di pria parlòmi
[84] visto m’avresti di livore sparso.
[85] Di mia semente cotal paglia mieto;
[87] là ’v’ è mestier di consorte divieto?
[95] di venenosi sterpi, sì che tardi
[98] Pier Traversaro e Guido di Carpigna?
[101] quando in Faenza un Bernardin di Fosco,
[102] verga gentil di picciola gramigna?
[117] che di figliar tai conti più s’impiglia.
[125] troppo di pianger più che di parlare,
[132] voce che giunse di contra dicendo:

49. Purgatorio • Canto XV

[3] che sempre a guisa di fanciullo scherza,
[11] a lo splendore assai più che di prima,
[37] Noi montavam, già partiti di linci,
[44] «Che volse dir lo spirto di Romagna,
[46] Per ch’elli a me: «Di sua maggior magagna
[56] tanto possiede più di ben ciascuno,
[57] e più di caritate arde in quel chiostro».
[60] e più di dubbio ne la mente aduno.
[63] di sé che se da pochi è posseduto?».
[66] di vera luce tenebre dispicchi.
[86] estatica di sùbito esser tratto,
[89] dolce di madre dicer: «Figliuol mio,
[96] quando di gran dispetto in altrui nacque,
[100] vendica te di quelle braccia ardite
[115] Quando l’anima mia tornò di fori
[116] a le cose che son fuor di lei vere,
[123] a guisa di cui vino o sonno piega?».
[143] verso di noi come la notte oscuro;

50. Purgatorio • Canto XVI

[1] Buio d’inferno e di notte privata
[3] quant’ esser può di nuvol tenebrata,
[6] né a sentir di così aspro pelo,
[11] per non smarrirsi e per non dar di cozzo
[18] l’Agnel di Dio che le peccata leva.
[26] e di noi parli pur come se tue
[53] di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio
[60] e di malizia gravido e coverto;
[69] movesse seco di necessitate.
[85] Esce di mano a lui che la vagheggia
[86] prima che sia, a guisa di fanciulla
[91] Di picciol bene in pria sente sapore;
[102] di quel si pasce, e più oltre non chiede.
[108] facean vedere, e del mondo e di Deo.
[120] di ragionar coi buoni o d’appressarsi.
[127] Dì oggimai che la Chiesa di Roma,
[132] li figli di Levì furono essenti.
[134] di’ ch’è rimaso de la gente spenta,

51. Purgatorio • Canto XVII

[11] del mio maestro, usci’ fuor di tal nube
[14] talvolta sì di fuor, ch’om non s’accorge
[19] De l’empiezza di lei che mutò forma
[23] dentro da sé, che di fuor non venìa
[40] Come si frange il sonno ove di butto
[50] di riguardar chi era che parlava,
[62] procacciam di salir pria che s’abbui,
[90] alcun buon frutto di nostra dimora».
[96] o per troppo o per poco di vigore.
[99] esser non può cagion di mal diletto;
[117] ch’el sia di sua grandezza in basso messo;
[119] teme di perder perch’ altri sormonti,
[124] Questo triforme amor qua giù di sotto
[129] per che di giugner lui ciascun contende.
[137] di sovr’ a noi si piange per tre cerchi;

52. Purgatorio • Canto XVIII

[5] di fuor tacea, e dentro dicea: ‘Forse
[9] parlando, di parlare ardir mi porse.
[25] e se, rivolto, inver’ di lei si piega,
[27] che per piacer di novo in voi si lega.
[42] ma ciò m’ha fatto di dubbiar più pregno;
[43] ché, s’amore è di fuori a noi offerto
[48] pur a Beatrice, ch’è opra di fede.
[59] di far lo mele; e questa prima voglia
[60] merto di lode o di biasmo non cape.
[65] ragion di meritare in voi, secondo
[70] Onde, poniam che di necessitate
[72] di ritenerlo è in voi la podestate.
[92] lungo di sè di notte furia e calca,
[93] pur che i Teban di Bacco avesser uopo,
[95] per quel ch’io vidi di color, venendo,
[105] «che studio di ben far grazia rinverda».
[113] e un di quelli spirti disse: «Vieni
[114] di retro a noi, e troverai la buca.
[115] Noi siam di voglia a muoverci sì pieni,
[120] di cui dolente ancor Milan ragiona.
[126] ha posto in loco di suo pastor vero».
[128] tant’ era già di là da noi trascorso;
[132] venir dando a l’accidïa di morso».
[133] Di retro a tutti dicean: «Prima fue

53. Purgatorio • Canto XIX

[9] con le man monche, e di colore scialba.
[21] tanto son di piacere a sentir piena!
[41] come colui che l’ha di pensier carca,
[42] che fa di sé un mezzo arco di ponte;
[46] Con l’ali aperte, che parean di cigno,
[51] ch’avran di consolar l’anime donne.
[76] «O eletti di Dio, li cui soffriri
[81] le vostre destre sien sempre di fori».
[88] Poi ch’io potei di me fare a mio senno,
[96] cosa di là ond’ io vivendo mossi».
[111] per che di questa in me s’accese amore.
[142] Nepote ho io di là c’ha nome Alagia,
[145] e questa sola di là m’è rimasa».

54. Purgatorio • Canto XX

[14] le condizion di qua giù trasmutarsi,
[30] di quello spirto onde parean venute.
[39] di quella vita ch’al termine vola».
[41] ch’io attenda di là, ma perché tanta
[49] Chiamato fui di là Ugo Ciappetta;
[50] di me son nati i Filippi e i Luigi
[52] Figliuol fu’ io d’un beccaio di Parigi:
[57] di nuovo acquisto, e sì d’amici pieno,
[59] la testa di mio figlio fu, dal quale
[60] cominciar di costor le sacrate ossa.
[68] vittima fé di Curradino; e poi
[71] che tragge un altro Carlo fuor di Francia,
[79] L’altro, che già uscì preso di nave,
[97] Ciò ch’io dicea di quell’ unica sposa
[111] di Iosüè qui par ch’ancor lo morda.
[117] dilci, che ’l sai: di che sapore è l’oro?”.
[125] e brigavam di soverchiar la strada
[146] mi fé desideroso di sapere,

55. Purgatorio • Canto XXI

[12] né ci addemmo di lei, sì parlò pria,
[44] di quel che ’l ciel da sé in sé riceve
[48] che la scaletta di tre gradi breve;
[50] né coruscar, né figlia di Taumante,
[51] che di là cangia sovente contrade;
[54] dov’ ha ’l vicario di Pietro le piante.
[63] l’alma sorprende, e di voler le giova.
[69] libera volontà di miglior soglia:
[78] perché ci trema e di che congaudete.
[86] era io di là», rispuose quello spirto,
[90] dove mertai le tempie ornar di mirto.
[91] Stazio la gente ancor di là mi noma:
[92] cantai di Tebe, e poi del grande Achille;
[96] onde sono allumati più di mille;
[99] sanz’ essa non fermai peso di dramma.
[100] E per esser vivuto di là quando
[102] più che non deggio al mio uscir di bando».
[107] a la passion di che ciascun si spicca,
[114] un lampeggiar di riso dimostrommi?».
[119] mi dice, «di parlar; ma parla e digli
[129] quelle parole che di lui dicesti».

56. Purgatorio • Canto XXII

[11] acceso di virtù, sempre altro accese,
[17] più strinse mai di non vista persona,
[24] di quanto per tua cura fosti pieno?».
[36] migliaia di lunari hanno punita.
[45] così di quel come de li altri mali.
[47] per ignoranza, che di questa pecca
[56] de la doppia trestizia di Giocasta»,
[63] poscia di retro al pescator le vele?».
[67] Facesti come quei che va di notte,
[85] e mentre che di là per me si stette,
[89] di Tebe poetando, ebb’ io battesmo;
[108] Greci che già di lauro ornar la fronte.
[113] èvvi la figlia di Tiresia, e Teti,
[116] di novo attenti a riguardar dintorno,
[126] per l’assentir di quell’ anima degna.
[128] di retro, e ascoltava i lor sermoni,
[134] di ramo in ramo, così quello in giuso,
[141] gridò: «Di questo cibo avrete caro».

57. Purgatorio • Canto XXIII

[9] che l’andar mi facean di nullo costo.
[15] forse di lor dover solvendo il nodo».
[19] così di retro a noi, più tosto mota,
[30] quando Maria nel figlio diè di becco!’
[39] di lor magrezza e di lor trista squama,
[48] e ravvisai la faccia di Forese.
[51] né a difetto di carne ch’io abbia;
[52] ma dimmi il ver di te, dì chi son quelle
[56] mi dà di pianger mo non minor doglia»,
[67] Di bere e di mangiar n’accende cura
[80] di peccar più, che sovvenisse l’ora
[83] Io ti credea trovar là giù di sotto,
[94] ché la Barbagia di Sardigna assai
[107] di quel che ’l ciel veloce loro ammanna,
[118] Di quella vita mi volse costui
[120] vi si mostrò la suora di colui»,
[127] Tanto dice di farmi sua compagna

58. Purgatorio • Canto XXIV

[6] traean di me, di mio vivere accorte.
[15] ne l’alto Olimpo già di sua corona».
[17] di nominar ciascun, da ch’è sì munta
[21] di là da lui più che l’altre trapunta
[24] l’anguille di Bolsena e la vernaccia».
[32] già di bere a Forlì con men secchezza,
[36] che più parea di me aver contezza.
[41] di parlar meco, fa sì ch’io t’intenda,
[57] di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!
[59] di retro al dittator sen vanno strette,
[70] E come l’uom che di trottare è lasso,
[80] di giorno in giorno più di ben si spolpa,
[94] Qual esce alcuna volta di gualoppo
[95] lo cavalier di schiera che cavalchi,
[146] l’aura di maggio movesi e olezza,
[152] tanto di grazia, che l’amor del gusto

59. Purgatorio • Canto XXV

[2] ché ’l sole avëa il cerchio di merigge
[6] se di bisogno stimolo il trafigge,
[11] per voglia di volare, e non s’attenta
[14] di dimandar, venendo infino a l’atto
[21] là dove l’uopo di nodrir non tocca?».
[39] quasi alimento che di mensa leve,
[63] che più savio di te fé già errante,
[71] sovra tant’ arte di natura, e spira
[72] spirito novo, di vertù repleto,
[93] di diversi color diventa addorno;
[108] e quest’ è la cagion di che tu miri».
[123] che di volger mi fé caler non meno;
[132] che di Venere avea sentito il tòsco».

60. Purgatorio • Canto XXVI

[6] mutava in bianco aspetto di cilestro;
[11] loro a parlar di me; e cominciarsi
[15] di non uscir dove non fosser arsi.
[22] Dinne com’ è che fai di te parete
[24] di morte intrato dentro da la rete».
[54] d’aver, quando che sia, di pace stato,
[56] le membra mie di là, ma son qui meco
[59] donna è di sopra che m’acquista grazia,
[66] che se ne va di retro a’ vostri terghi».
[71] ma poi che furon di stupore scarche,
[77] di ciò per che già Cesar, trïunfando,
[85] in obbrobrio di noi, per noi si legge,
[86] quando partinci, il nome di colei
[88] Or sai nostri atti e di che fummo rei:
[90] tempo non è di dire, e non saprei.
[91] Farotti ben di me volere scemo:
[94] Quali ne la tristizia di Ligurgo
[103] Poi che di riguardar pasciuto fui,
[118] Versi d’amore e prose di romanzi
[120] che quel di Lemosì credon ch’avanzi.
[124] Così fer molti antichi di Guittone,
[125] di grido in grido pur lui dando pregio,
[131] quanto bisogna a noi di questo mondo,

61. Purgatorio • Canto XXVII

[6] come l’angel di Dio lieto ci apparse.
[12] e al cantar di là non siate sorde»,
[26] di questa fiamma stessi ben mille anni,
[37] Come al nome di Tisbe aperse il ciglio
[44] volenci star di qua?»; indi sorrise
[53] pur di Beatrice ragionando andava,
[56] di là; e noi, attenti pur a lei,
[67] E di pochi scaglion levammo i saggi,
[73] ciascun di noi d’un grado fece letto;
[81] poggiato s’è e lor di posa serve;
[88] Poco parer potea lì del di fori;
[90] di lor solere e più chiare e maggiori.
[96] che di foco d’amor par sempre ardente,
[120] che fosser di piacere a queste iguali.

62. Purgatorio • Canto XXVIII

[1] Vago già di cercar dentro e dintorno
[9] non di più colpo che soave vento;
[19] tal qual di ramo in ramo si raccoglie
[20] per la pineta in su ’l lito di Chiassi,
[28] Tutte l’acque che son di qua più monde,
[30] verso di quella, che nulla nasconde,
[35] di là dal fiumicello, per mirare
[46] vegnati in voglia di trarreti avanti»,
[63] di levar li occhi suoi mi fece dono.
[66] dal figlio fuor di tutto suo costume.
[87] di cosa ch’io udi’ contraria a questa».
[114] di diverse virtù diverse legna.
[115] Non parrebbe di là poi maraviglia,
[120] e frutto ha in sé che di là non si schianta.
[121] L’acqua che vedi non surge di vena
[124] ma esce di fontana salda e certa,
[125] che tanto dal voler di Dio riprende,
[133] a tutti altri sapori esto è di sopra.
[144] nettare è questo di che ciascun dice».

63. Purgatorio • Canto XXIX

[2] continüò col fin di sue parole:
[6] qual di veder, qual di fuggir lo sole,
[8] su per la riva; e io pari di lei,
[18] tal che di balenar mi mise in forse.
[27] non sofferse di star sotto alcun velo;
[46] ma quand’ i’ fui sì presso di lor fatto,
[52] Di sopra fiammeggiava il bello arnese
[54] di mezza notte nel suo mezzo mese.
[57] con vista carca di stupor non meno.
[63] e ciò che vien di retro a lor non guardi?».
[65] venire appresso, vestite di bianco;
[66] e tal candor di qua già mai non fuci.
[75] e di tratti pennelli avean sembiante;
[77] di sette liste, tutte in quei colori
[81] diece passi distavan quei di fori.
[84] coronati venien di fiordaliso.
[89] a rimpetto di me da l’altra sponda
[93] coronati ciascun di verde fronda.
[94] Ognuno era pennuto di sei ali;
[114] e bianche l’altre, di vermiglio miste.
[115] Non che Roma di carro così bello
[125] fossero state di smeraldo fatte;
[128] or da la rossa; e dal canto di questa
[132] d’una di lor ch’avea tre occhi in testa.
[137] di quel sommo Ipocràte che natura
[141] tal che di qua dal rio mi fé paura.
[143] e di retro da tutti un vecchio solo
[146] erano abitüati, ma di gigli
[148] anzi di rose e d’altri fior vermigli;
[150] che tutti ardesser di sopra da’ cigli.

64. Purgatorio • Canto XXX

[3] né d’altra nebbia che di colpa velo,
[5] di suo dover, come ’l più basso face
[10] e un di loro, quasi da ciel messo,
[14] surgeran presti ognun di sua caverna,
[18] ministri e messaggier di vita etterna.
[20] e fior gittando e di sopra e dintorno,
[24] e l’altro ciel di bel sereno addorno;
[26] sì che per temperanza di vapori
[28] così dentro una nuvola di fiori
[30] e ricadeva in giù dentro e di fori,
[33] vestita di color di fiamma viva.
[36] non era di stupor, tremando, affranto,
[42] prima ch’io fuor di püerizia fosse,
[47] di sangue m’è rimaso che non tremi:
[50] di sé, Virgilio dolcissimo patre,
[53] valse a le guance nette di rugiada,
[63] che di necessità qui si registra,
[66] drizzar li occhi ver’ me di qua dal rio.
[67] Tutto che ’l vel che le scendea di testa,
[68] cerchiato de le fronde di Minerva,
[83] di sùbito ‘In te, Domine, speravi’;
[92] anzi ’l cantar di quei che notan sempre
[107] che m’intenda colui che di là piagne,
[112] ma per larghezza di grazie divine,
[120] quant’ elli ha più di buon vigor terrestro.
[125] di mia seconda etade e mutai vita,
[127] Quando di carne a spirto era salita,
[131] imagini di ben seguendo false,
[142] Alto fato di Dio sarebbe rotto,
[145] di pentimento che lagrime spanda».

65. Purgatorio • Canto XXXI

[1] «O tu che se’ di là dal fiume sacro»,
[24] di là dal qual non è a che s’aspiri,
[57] di retro a me che non era più tale.
[70] Con men di resistenza si dibarba
[72] o vero a quel de la terra di Iarba,
[85] Di penter sì mi punse ivi l’ortica,
[86] che di tutte altre cose qual mi torse
[91] Poi, quando il cor virtù di fuor rendemmi,
[111] le tre di là, che miran più profondo».
[127] Mentre che piena di stupore e lieta
[128] l’anima mia gustava di quel cibo
[129] che, saziando di sé, di sé asseta,
[130] sé dimostrando di più alto tribo
[139] O isplendor di viva luce etterna,
[141] sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna,

66. Purgatorio • Canto XXXII

[5] di non caler—così lo santo riso
[32] colpa di quella ch’al serpente crese,
[39] di foglie e d’altra fronda in ciascun ramo.
[51] e quel di lei a lei lasciò legato.
[56] di suo color ciascuna, pria che ’l sole
[58] men che di rose e più che di vïole
[65] li occhi spietati udendo di Siringa,
[80] così di Moïsè come d’Elia,
[97] In cerchio le facevan di sé claustro
[102] di quella Roma onde Cristo è romano.
[105] ritornato di là, fa che tu scrive».
[110] foco di spessa nube, quando piove
[112] com’ io vidi calar l’uccel di Giove
[115] e ferì ’l carro di tutta sua forza;
[121] ma, riprendendo lei di laide colpe,
[126] del carro e lasciar lei di sé pennuta;
[127] e qual esce di cuor che si rammarca,
[152] vidi di costa a lei dritto un gigante;
[157] poi, di sospetto pieno e d’ira crudo,
[159] tanto che sol di lei mi fece scudo

67. Purgatorio • Canto XXXIII

[8] a lei di dir, levata dritta in pè,
[36] che vendetta di Dio non teme suppe.
[44] messo di Dio, anciderà la fuia
[51] sanza danno di pecore o di biade.
[56] di non celar qual hai vista la pianta
[59] con bestemmia di fatto offende a Dio,
[71] la giustizia di Dio, ne l’interdetto,
[74] fatto di pietra e, impetrato, tinto,
[78] che si reca il bordon di palma cinto».
[96] come bevesti di Letè ancoi;
[104] teneva il sole il cerchio di merigge,
[123] che l’acqua di Letè non gliel nascose».
[144] rinovellate di novella fronda,

68. Paradiso • Canto I

[1] La gloria di colui che tutto move
[6] né sa né può chi di là sù discende;
[16] Infino a qui l’un giogo di Parnaso
[33] peneia, quando alcun di sé asseta.
[35] forse di retro a me con miglior voci
[43] Fatto avea di là mane e di qua sera
[61] e di sùbito parve giorno a giorno
[66] le luci fissi, di là sù rimote.
[73] S’i’ era sol di me quel che creasti
[83] di lor cagion m’accesero un disio
[84] mai non sentito di cotanto acume.
[98] di grande ammirazion; ma ora ammiro
[125] cen porta la virtù di quella corda
[132] di piegar, così pinta, in altra parte;
[134] foco di nube, sì l’impeto primo

69. Paradiso • Canto II

[36] raggio di luce permanendo unita.
[41] di veder quella essenza in che si vede
[50] di questo corpo, che là giuso in terra
[51] fan di Cain favoleggiare altrui?».
[54] dove chiave di senso non diserra,
[66] notar si posson di diversi volti.
[71] di princìpi formali, e quei, for ch’uno,
[73] Ancor, se raro fosse di quel bruno
[75] fora di sua materia sì digiuno
[90] lo qual di retro a sé piombo nasconde.
[96] ch’esser suol fonte ai rivi di vostr’ arti.
[110] voglio informar di luce sì vivace,
[114] l’esser di tutto suo contento giace.
[122] come tu vedi omai, di grado in grado,
[123] che di sù prendono e di sotto fanno.

70. Paradiso • Canto III

[2] di bella verità m’avea scoverto,
[9] che di mia confession non mi sovvenne.
[19] Sùbito sì com’ io di lor m’accorsi,
[21] per veder di cui fosser, li occhi torsi;
[30] qui rilegate per manco di voto.
[35] di ragionar, drizza’mi, e cominciai,
[38] di vita etterna la dolcezza senti
[71] virtù di carità, che fa volerne
[75] dal voler di colui che qui ne cerne;
[82] sì che, come noi sem di soglia in soglia
[93] che quel si chere e di quel si ringrazia,
[111] di tutto il lume de la spera nostra,
[112] ciò ch’io dico di me, di sé intende;
[114] di capo l’ombra de le sacre bende.
[119] che del secondo vento di Soave
[126] volsesi al segno di maggior disio,

71. Paradiso • Canto IV

[2] d’un modo, prima si morria di fame,
[5] di fieri lupi, igualmente temendo;
[21] di meritar mi scema la misura?”.
[22] Ancor di dubitar ti dà cagione
[24] secondo la sentenza di Platone.
[27] tratterò quella che più ha di felle.
[69] di fede e non d’eretica nequizia.
[102] si fé di quel che far non si convenne;
[103] come Almeone, che, di ciò pregato
[126] di fuor dal qual nessun vero si spazia.
[130] Nasce per quello, a guisa di rampollo,
[132] ch’al sommo pinge noi di collo in collo.
[140] di faville d’amor così divini,

72. Paradiso • Canto V

[2] di là dal modo che ’n terra si vede,
[11] non è se non di quella alcun vestigio,
[15] che l’anima sicuri di letigio».
[23] di che le creature intelligenti,
[29] vittima fassi di questo tesoro,
[33] di maltolletto vuo’ far buon lavoro.
[44] di questo sacrificio: l’una è quella
[45] di che si fa; l’altr’ è la convenenza.
[47] se non servata; e intorno di lei
[48] sì preciso di sopra si favella:
[71] e fé pianger di sé i folli e i savi
[72] ch’udir parlar di così fatto cólto.
[81] sì che ’l Giudeo di voi tra voi non rida!
[95] come nel lume di quel ciel si mise,
[101] traggonsi i pesci a ciò che vien di fori
[103] sì vid’ io ben più di mille splendori
[107] vedeasi l’ombra piena di letizia
[108] nel folgór chiaro che di lei uscia.
[111] di più savere angosciosa carizia;
[120] di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia».
[121] Così da un di quelli spirti pii
[132] lucente più assai di quel ch’ell’ era.

73. Paradiso • Canto VI

[4] cento e cent’ anni e più l’uccel di Dio
[8] governò ’l mondo lì di mano in mano,
[15] credea, e di tal fede era contento;
[23] a Dio per grazia piacque di spirarmi
[35] di reverenza; e cominciò da l’ora
[41] al dolor di Lucrezia in sette regi,
[50] che di retro ad Anibale passaro
[51] l’alpestre rocce, Po, di che tu labi.
[57] Cesare per voler di Roma il tolle.
[61] Quel che fé poi ch’elli uscì di Ravenna
[62] e saltò Rubicon, fu di tal volo,
[73] Di quel che fé col baiulo seguente,
[90] gloria di far vendetta a la sua ira.
[97] Omai puoi giudicar di quei cotali
[98] ch’io accusai di sopra e di lor falli,
[99] che son cagion di tutti vostri mali.
[119] col merto è parte di nostra letizia,
[128] luce la luce di Romeo, di cui

74. Paradiso • Canto VII

[9] mi si velar di sùbita distanza.
[14] di tutto me, pur per Be e per ice,
[24] di gran sentenza ti faran presente.
[30] fin ch’al Verbo di Dio discender piacque
[38] di paradiso, però che si torse
[39] da via di verità e da sua vita.
[43] e così nulla fu di tanta ingiura,
[53] di pensiero in pensier dentro ad un nodo,
[59] a li occhi di ciascuno il cui ingegno
[76] Di tutte queste dote s’avvantaggia
[78] di sua nobilità convien che caggia.
[87] come di paradiso, fu remota;
[90] sanza passar per un di questi guadi:
[110] di proceder per tutte le sue vie,
[119] a la giustizia, se ’l Figliuol di Dio
[134] e quelle cose che di lor si fanno
[140] di complession potenzïata tira
[144] di sé sì che poi sempre la disira.

75. Paradiso • Canto VIII

[5] di sacrificio e di votivo grido
[21] al modo, credo, di lor viste interne.
[22] Di fredda nube non disceser venti,
[30] di rïudir non fui sanza disiro.
[33] al tuo piacer, perché di noi ti gioi.
[39] non fia men dolce un poco di quïete».
[42] fatti li avea di sé contenti e certi,
[45] la voce mia di grande affetto impressa.
[51] molto sarà di mal, che non sarebbe.
[54] quasi animal di sua seta fasciato.
[57] di mio amor più oltre che le fronde.
[59] di Rodano poi ch’è misto con Sorga,
[62] di Bari e di Gaeta e di Catona,
[65] di quella terra che ’l Danubio riga
[72] nati per me di Carlo e di Ridolfo,
[77] l’avara povertà di Catalogna
[82] La sua natura, che di larga parca
[83] discese, avria mestier di tal milizia
[84] che non curasse di mettere in arca».
[93] com’ esser può, di dolce seme, amaro».
[123] convien di vostri effetti le radici:
[137] ma perché sappi che di te mi giova,
[141] fuor di sua regïon, fa mala prova.
[147] e fate re di tal ch’è da sermone;
[148] onde la traccia vostra è fuor di strada».

76. Paradiso • Canto IX

[6] giusto verrà di retro ai vostri danni.
[7] E già la vita di quel lume santo
[13] Ed ecco un altro di quelli splendori
[15] significava nel chiarir di fori.
[16] Li occhi di Bëatrice, ch’eran fermi
[17] sovra me, come pria, di caro assenso
[24] seguette come a cui di ben far giova:
[27] e le fontane di Brenta e di Piava,
[35] la cagion di mia sorte, e non mi noia;
[37] Di questa luculenta e cara gioia
[59] per mostrarsi di parte; e cotai doni
[72] l’ombra di fuor, come la mente è trista.
[75] voglia di sé a te puot’ esser fuia.
[77] sempre col canto di quei fuochi pii
[78] che di sei ali facen la coculla,
[84] «fuor di quel mar che la terra inghirlanda,
[88] Di quella valle fu’ io litorano
[96] di me s’imprenta, com’ io fe’ di lui;
[97] ché più non arse la figlia di Belo,
[99] di me, infin che si convenne al pelo;
[108] per che ’l mondo di sù quel di giù torna.
[114] come raggio di sole in acqua mera.
[117] di lei nel sommo grado si sigilla.
[120] del trïunfo di Cristo fu assunta.
[125] di Iosüè in su la Terra Santa,
[127] La tua città, che di colui è pianta
[129] e di cui è la ’nvidia tanto pianta,
[140] di Roma che son state cimitero

77. Paradiso • Canto X

[6] sanza gustar di lui chi ciò rimira.
[11] di quel maestro che dentro a sé l’ama,
[38] di bene in meglio, sì subitamente
[45] ma creder puossi e di veder si brami.
[55] Cor di mortal non fu mai sì digesto
[65] far di noi centro e di sé far corona,
[67] così cinger la figlia di Latona
[73] e ’l canto di quei lumi era di quelle;
[91] Tu vuo’ saper di quai piante s’infiora
[99] è di Cologna, e io Thomas d’Aquino.
[100] Se sì di tutti li altri esser vuo’ certo,
[101] di retro al mio parlar ten vien col viso
[104] di Grazïan, che l’uno e l’altro foro
[110] spira di tale amor, che tutto ’l mondo
[111] là giù ne gola di saper novella:
[115] Appresso vedi il lume di quel cero
[122] di luce in luce dietro a le mie lode,
[126] fa manifesto a chi di lei ben ode.
[131] d’Isidoro, di Beda e di Riccardo,
[136] essa è la luce etterna di Sigieri,
[140] ne l’ora che la sposa di Dio surge

78. Paradiso • Canto XI

[32] la sposa di colui ch’ad alte grida
[39] di cherubica luce uno splendore.
[47] da Porta Sole; e di rietro le piange
[49] Di questa costa, là dov’ ella frange
[51] come fa questo talvolta di Gange.
[63] poscia di dì in dì l’amò più forte.
[78] facieno esser cagion di pensier santi;
[88] Né li gravò viltà di cuor le ciglia
[89] per esser fi’ di Pietro Bernardone,
[97] di seconda corona redimita
[110] piacque di trarlo suso a la mercede
[120] di Pietro in alto mar per dritto segno;
[124] Ma ’l suo pecuglio di nova vivanda
[129] più tornano a l’ovil di latte vòte.
[130] Ben son di quelle che temono ’l danno

79. Paradiso • Canto XII

[5] prima ch’un’altra di cerchio la chiuse,
[13] nascendo di quel d’entro quel di fori,
[14] a guisa del parlar di quella vaga
[19] così di quelle sempiterne rose
[37] L’essercito di Cristo, che sì caro
[48] di che si vede Europa rivestire,
[59] sì la sua mente di viva vertute
[63] u’ si dotar di mutüa salute,
[66] ch’uscir dovea di lui e de le rede;
[69] del possessivo di cui era tutto.
[73] Ben parve messo e famigliar di Cristo:
[83] di retro ad Ostïense e a Taddeo,
[92] non la fortuna di prima vacante,
[95] licenza di combatter per lo seme
[103] Di lui si fecer poi diversi rivi
[110] l’eccellenza de l’altra, di cui Tomma
[113] di sua circunferenza, è derelitta,
[117] che quel dinanzi a quel di retro gitta;
[127] Io son la vita di Bonaventura
[141] di spirito profetico dotato.
[144] di fra Tommaso e ’l discreto latino;

80. Paradiso • Canto XIII

[5] lo ciel avvivan di tanto sereno
[10] imagini la bocca di quel corno
[13] aver fatto di sé due segni in cielo,
[14] qual fece la figliuola di Minoi
[15] allora che sentì di morte il gelo;
[22] poi ch’è tanto di là da nostra usanza,
[23] quanto di là dal mover de la Chiana
[30] felicitando sé di cura in cura.
[33] del poverel di Dio narrata fumi,
[44] aver di lume, tutto fosse infuso
[53] non è se non splendor di quella idea
[67] La cera di costoro e chi la duce
[83] di tutta l’animal perfezïone;
[98] li motor di qua sù, o se necesse
[105] in che lo stral di mia intenzion percuote;
[124] E di ciò sono al mondo aperte prove

81. Paradiso • Canto XIV

[6] la glorïosa vita di Tommaso,
[8] del suo parlare e di quel di Beatrice,
[32] di quelli spirti con tal melodia,
[38] di paradiso, tanto il nostro amore
[42] quant’ ha di grazia sovra suo valore.
[47] di gratüito lume il sommo bene,
[50] crescer l’ardor che di quella s’accende,
[67] Ed ecco intorno, di chiarezza pari,
[70] E sì come al salir di prima sera
[75] di fuor da l’altre due circunferenze.
[102] che fan giunture di quadranti in tondo.
[107] ancor mi scuserà di quel ch’io lasso,
[109] Di corno in corno e tra la cima e ’l basso
[119] di molte corde, fa dolce tintinno
[136] escusar puommi di quel ch’io m’accuso

82. Paradiso • Canto XV

[11] chi, per amor di cosa che non duri
[20] a piè di quella croce corse un astro
[53] in ch’io ti parlo, mercè di colei
[62] di questa vita miran ne lo speglio
[66] di dolce disïar, s’adempia meglio,
[75] d’un peso per ciascun di voi si fenno,
[106] Non avea case di famiglia vòte;
[113] di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio
[126] d’i Troiani, di Fiesole e di Roma.
[131] viver di cittadini, a così fida
[137] mia donna venne a me di val di Pado,
[143] di quella legge il cui popolo usurpa,

83. Paradiso • Canto XVI

[1] O poca nostra nobiltà di sangue,
[2] se glorïar di te la gente fai
[8] sì che, se non s’appon di dì in die,
[15] al primo fallo scritto di Ginevra.
[20] la mente mia, che di sé fa letizia
[25] ditemi de l’ovil di San Giovanni
[27] tra esso degne di più alti scanni».
[36] s’allevïò di me ond’ era grave,
[48] eran il quinto di quei ch’or son vivi.
[50] di Campi, di Certaldo e di Fegghine,
[56] del villan d’Aguglion, di quel da Signa,
[75] di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,
[84] così fa di Fiorenza la Fortuna:
[95] di nova fellonia di tanto peso
[106] Lo ceppo di che nacquero i Calfucci
[112] Così facieno i padri di coloro
[118] già venìa sù, ma di picciola gente;
[129] la festa di Tommaso riconforta,
[135] se di novi vicin fosser digiuni.
[136] La casa di che nacque il vostro fleto,

84. Paradiso • Canto XVII

[2] di ciò ch’avëa incontro a sé udito,
[22] dette mi fuor di mia vita futura
[24] ben tetragono ai colpi di ventura;
[33] l’Agnel di Dio che le peccata tolle,
[48] tal di Fiorenza partir ti convene.
[58] Tu proverai sì come sa di sale
[67] Di sua bestialitate il suo processo
[81] son queste rote intorno di lui torte;
[92] di lui, e nol dirai»; e disse cose
[95] di quel che ti fu detto; ecco le ’nsidie
[99] vie più là che ’l punir di lor perfidie».
[101] l’anima santa di metter la trama
[109] per che di provedenza è buon ch’io m’armi,
[115] e poscia per lo ciel, di lume in lume,
[117] a molti fia sapor di forte agrume;
[119] temo di perder viver tra coloro
[123] quale a raggio di sole specchio d’oro;
[138] pur l’anime che son di fama note,
[139] che l’animo di quel ch’ode, non posa

85. Paradiso • Canto XVIII

[13] Tanto poss’ io di quel punto ridire,
[27] in lui di ragionarmi ancora alquanto.
[32] che venissero al ciel, fuor di gran voce,
[59] bene operando, l’uom di giorno in giorno
[65] di tempo in bianca donna, quando ’l volto
[66] suo si discarchi di vergogna il carco,
[73] E come augelli surti di rivera,
[75] fanno di sé or tonda or altra schiera,
[80] poi, diventando l’un di questi segni,
[85] illustrami di te, sì ch’io rilevi
[92] fur verbo e nome di tutto ’l dipinto;
[103] resurger parver quindi più di mille
[123] che si murò di segni e di martìri.

86. Paradiso • Canto XIX

[5] raggio di sole ardesse sì acceso,
[19] Così un sol calor di molte brage
[20] si fa sentir, come di molti amori
[21] usciva solo un suon di quella image.
[37] vid’ io farsi quel segno, che di laude
[54] di che tutte le cose son ripiene,
[57] molto di là da quel che l’è parvente.
[69] di che facei question cotanto crebra;
[72] di Cristo né chi legga né chi scriva;
[80] per giudicar di lungi mille miglia
[117] per che ’l regno di Praga fia diserto.
[120] quel che morrà di colpo di cotenna.
[125] di quel di Spagna e di quel di Boemme,
[127] Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme
[131] di quei che guarda l’isola del foco,
[139] E quel di Portogallo e di Norvegia
[140] lì si conosceranno, e quel di Rascia
[141] che male ha visto il conio di Vinegia.
[146] di questo, Niccosïa e Famagosta

87. Paradiso • Canto XX

[4] lo ciel, che sol di lui prima s’accende,
[13] O dolce amor che di riso t’ammanti,
[15] ch’avieno spirto sol di pensier santi!
[19] udir mi parve un mormorar di fiume
[20] che scende chiaro giù di pietra in pietra,
[29] per lo suo becco in forma di parole,
[36] e’ di tutti lor gradi son li sommi.
[39] che l’arca traslatò di villa in villa:
[48] di questa dolce vita e de l’opposta.
[50] di che ragiono, per l’arco superno,
[70] Ora conosce assai di quel che ’l mondo
[84] per ch’io di coruscar vidi gran feste.
[108] e ciò di viva spene fu mercede:
[109] di viva spene, che mise la possa
[116] di vero amor, ch’a la morte seconda
[117] fu degna di venire a questo gioco.
[122] per che, di grazia in grazia, Dio li aperse
[144] in che più di piacer lo canto acquista,

88. Paradiso • Canto XXI

[6] fu Semelè quando di cener fessi:
[16] Ficca di retro a li occhi tuoi la mente,
[17] e fa di quelli specchi a la figura
[28] di color d’oro in che raggio traluce
[50] nel veder di colui che tutto vede,
[59] la dolce sinfonia di paradiso,
[110] di sotto al quale è consecrato un ermo,
[114] al servigio di Dio mi fe’ sì fermo,
[115] che pur con cibi di liquor d’ulivi
[123] di Nostra Donna in sul lito adriano.
[126] che pur di male in peggio si travasa.
[132] tanto son gravi, e chi di rietro li alzi.
[137] di grado in grado scendere e girarsi,
[140] e fero un grido di sì alto suono,

89. Paradiso • Canto XXII

[1] Oppresso di stupore, a la mia guida
[16] La spada di qua sù non taglia in fretta
[17] né tardo, ma’ ch’al parer di colui
[27] di domandar, sì del troppo si teme;
[29] di quelle margherite innanzi fessi,
[30] per far di sé la mia voglia contenta.
[41] lo nome di colui che ’n terra addusse
[47] uomini fuoro, accesi di quel caldo
[57] tanto divien quant’ ell’ ha di possanza.
[78] sacca son piene di farina ria.
[80] contra ’l piacer di Dio, quanto quel frutto
[84] non di parenti né d’altro più brutto.
[91] e se guardi ’l principio di ciascuno,
[113] di gran virtù, dal quale io riconosco
[117] quand’ io senti’ di prima l’aere tosco;
[139] Vidi la figlia di Latona incensa
[145] Quindi m’apparve il temperar di Giove
[147] il varïar che fanno di lor dove;

90. Paradiso • Canto XXIII

[20] del trïunfo di Cristo e tutto ’l frutto
[21] ricolto del girar di queste spere!».
[23] e li occhi avea di letizia sì pieni,
[28] vid’ i’ sopra migliaia di lucerne
[40] Come foco di nube si diserra
[42] e fuor di sua natura in giù s’atterra,
[44] fatta più grande, di sé stessa uscìo,
[50] di visïone oblita e che s’ingegna
[51] indarno di ridurlasi a la mente,
[53] di tanto grato, che mai non si stingue
[72] che sotto i raggi di Cristo s’infiora?
[79] Come a raggio di sol, che puro mei
[80] per fratta nube, già prato di fiori
[82] vid’ io così più turbe di splendori,
[83] folgorate di sù da raggi ardenti,
[84] sanza veder principio di folgóri.
[95] formata in cerchio a guisa di corona,
[100] comparata al sonar di quella lira
[111] facean sonare il nome di Maria.
[112] Lo real manto di tutti i volumi
[114] ne l’alito di Dio e nei costumi,
[115] avea sopra di noi l’interna riva
[119] di seguitar la coronata fiamma
[123] per l’animo che ’nfin di fuor s’infiamma;
[124] ciascun di quei candori in sù si stese
[135] di Babillòn, ove si lasciò l’oro.
[137] di Dio e di Maria, di sua vittoria,
[139] colui che tien le chiavi di tal gloria.

91. Paradiso • Canto XXIV

[4] se per grazia di Dio questi preliba
[5] di quel che cade de la vostra mensa,
[12] fiammando, a volte, a guisa di comete.
[19] Di quella ch’io notai di più carezza
[21] che nullo vi lasciò di più chiarezza;
[22] e tre fïate intorno di Beatrice
[36] ch’ei portò giù, di questo gaudio miro,
[37] tenta costui di punti lievi e gravi,
[45] di lei parlare è ben ch’a lui arrivi».
[57] l’acqua di fuor del mio interno fonte.
[64] fede è sustanza di cose sperate
[72] a li occhi di là giù son sì ascose,
[75] e però di sustanza prende intenza.
[81] non lì avria loco ingegno di sofista».
[82] Così spirò di quello amore acceso;
[115] E quel baron che sì di ramo in ramo,
[129] e anche la cagion di lui chiedesti.

92. Paradiso • Canto XXV

[14] di quella spera ond’ uscì la primizia
[16] e la mia donna, piena di letizia,
[43] sì che, veduto il ver di questa corte,
[45] in te e in altrui di ciò conforte,
[46] di’ quel ch’ell’ è, di’ come se ne ’nfiora
[62] né di iattanza; ed elli a ciò risponda,
[63] e la grazia di Dio ciò li comporti».
[80] di quello incendio tremolava un lampo
[81] sùbito e spesso a guisa di baleno.
[86] di lei; ed emmi a grato che tu diche
[92] ne la sua terra fia di doppia vesta:
[98] ‘Sperent in te’ di sopr’ a noi s’udì;
[114] di su la croce al grande officio eletto».
[116] mosser la vista sua di stare attenta
[119] di vedere eclissar lo sole un poco,
[139] presso di lei, e nel mondo felice!

93. Paradiso • Canto XXVI

[17] Alfa e O è di quanta scrittura
[21] di ragionare ancor mi mise in cura;
[30] quanto più di bontate in sé comprende.
[32] che ciascun ben che fuor di lei si trova
[33] altro non è ch’un lume di suo raggio,
[35] la mente, amando, di ciascun che cerne
[39] di tutte le sustanze sempiterne.
[41] che dice a Moïsè, di sé parlando:
[45] di qui là giù sovra ogne altro bando».
[53] de l’aguglia di Cristo, anzi m’accorsi
[66] quanto da lui a lor di bene è porto».
[72] a lo splendor che va di gonna in gonna,
[78] che rifulgea da più di mille milia:
[90] un disio di parlare ond’ ïo ardeva.
[107] che fa di sé pareglio a l’altre cose,
[108] e nulla face lui di sé pareglio.
[116] fu per sé la cagion di tanto essilio,
[120] di sol desiderai questo concilio;
[126] fosse la gente di Nembròt attenta:

94. Paradiso • Canto XXVII

[8] oh vita intègra d’amore e di pace!
[24] ne la presenza del Figliuol di Dio,
[27] che cadde di qua sù, là giù si placa».
[28] Di quel color che per lo sole avverso
[32] di sé sicura, e per l’altrui fallanza,
[40] «Non fu la sposa di Cristo allevata
[41] del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
[52] né ch’io fossi figura di sigillo
[55] In vesta di pastor lupi rapaci
[56] si veggion di qua sù per tutti i paschi:
[57] o difesa di Dio, perché pur giaci?
[59] s’apparecchian di bere: o buon principio,
[67] Sì come di vapor gelati fiocca
[71] farsi e fioccar di vapor trïunfanti
[82] sì ch’io vedea di là da Gade il varco
[83] folle d’Ulisse, e di qua presso il lito
[86] di questa aiuola; ma ’l sol procedea
[89] con la mia donna sempre, di ridure
[98] del bel nido di Leda mi divelse,
[123] di trarre li occhi fuor de le tue onde!
[135] disïa poi di vederla sepolta.
[138] di quel ch’apporta mane e lascia sera.

95. Paradiso • Canto XXVIII

[4] come in lo specchio fiamma di doppiero
[32] già di larghezza, che ’l messo di Iuno
[39] credo, però che più di lei s’invera.
[77] di maggio a più e di minore a meno,
[94] Io sentiva osannar di coro in coro
[114] così di grado in grado si procede.
[120] ordini di letizia onde s’interna.
[123] l’ordine terzo di Podestadi èe.
[127] Questi ordini di sù tutti s’ammirano,
[128] e di giù vincon sì, che verso Dio
[135] in questo ciel, di sé medesmo rise.
[139] con altro assai del ver di questi giri».

96. Paradiso • Canto XXIX

[1] Quando ambedue li figli di Latona,
[7] tanto, col volto di riso dipinto,
[13] Non per aver a sé di bene acquisto,
[16] in sua etternità di tempo fore,
[21] lo discorrer di Dio sovra quest’ acque.
[38] di secoli de li angeli creati
[56] superbir di colui che tu vedesti
[77] de la faccia di Dio, non volser viso
[98] ne la passion di Cristo e s’interpuose,
[107] tornan del pasco pasciute di vento,
[120] la perdonanza di ch’el si confida:
[124] Di questo ingrassa il porco sant’ Antonio,
[126] pagando di moneta sanza conio.

97. Paradiso • Canto XXX

[1] Forse semilia miglia di lontano
[9] di vista in vista infino a la più bella.
[16] Se quanto infino a qui di lei si dice
[20] non pur di là da noi, ma certo io credo
[23] più che già mai da punto di suo tema
[37] con atto e voce di spedito duce
[41] amor di vero ben, pien di letizia;
[44] di paradiso, e l’una in quelli aspetti
[48] da l’atto l’occhio di più forti obietti,
[50] e lasciommi fasciato di tal velo
[57] me sormontar di sopr’ a mia virtute;
[58] e di novella vista mi raccesi
[61] e vidi lume in forma di rivera
[62] fulvido di fulgore, intra due rive
[63] dipinte di mirabil primavera.
[64] Di tal fiumana uscian faville vive,
[71] d’aver notizia di ciò che tu vei,
[73] ma di quest’ acqua convien che tu bei
[78] son di lor vero umbriferi prefazi.
[88] e sì come di lei bevve la gronda
[90] di sua lunghezza divenuta tonda.
[97] O isplendor di Dio, per cu’ io vidi
[106] Fassi di raggio tutta sua parvenza
[109] E come clivo in acqua di suo imo
[113] vidi specchiarsi in più di mille soglie
[114] quanto di noi là sù fatto ha ritorno.
[117] di questa rosa ne l’estreme foglie!
[120] il quanto e ’l quale di quella allegrezza.
[126] odor di lode al sol che sempre verna,

98. Paradiso • Canto XXXI

[1] In forma dunque di candida rosa
[5] la gloria di colui che la ’nnamora
[11] di tante foglie, e quindi risaliva
[13] Le facce tutte avean di fiamma viva
[16] Quando scendean nel fior, di banco in banco
[20] di tanta moltitudine volante
[36] a le cose mortali andò di sopra;
[39] e di Fiorenza in popol giusto e sano,
[40] di che stupor dovea esser compiuto!
[50] d’altrui lume fregiati e di suo riso,
[51] e atti ornati di tutte onestadi.
[52] La forma general di paradiso
[56] per domandar la mia donna di cose
[57] di che la mente mia era sospesa.
[62] di benigna letizia, in atto pio
[82] di tante cose quant’ i’ ho vedute,
[85] Tu m’hai di servo tratto a libertate
[87] che di ciò fare avei la potestate.
[103] Qual è colui che forse di Croazia
[110] carità di colui che ’n questo mondo,
[111] contemplando, gustò di quella pace.
[112] «Figliuol di grazia, quest’ esser giocondo»,
[121] così, quasi di valle andando a monte
[123] vincer di lume tutta l’altra fronte.
[131] vid’ io più di mille angeli festanti,
[132] ciascun distinto di fulgore e d’arte.
[138] lo minimo tentar di sua delizia.
[142] che ’ miei di rimirar fé più ardenti.

99. Paradiso • Canto XXXII

[2] libero officio di dottore assunse,
[8] siede Rachel di sotto da costei
[13] puoi tu veder così di soglia in soglia
[15] vo per la rosa giù di foglia in foglia.
[23] di tutte le sue foglie, sono assisi
[26] di vòti i semicirculi, si stanno
[30] di sotto lui cotanta cerna fanno,
[31] così di contra quel del gran Giovanni,
[36] e altri fin qua giù di giro in giro.
[52] Dentro a l’ampiezza di questo reame
[63] che nulla volontà è di più ausa,
[65] creando, a suo piacer di grazia dota
[71] di cotal grazia l’altissimo lume
[73] Dunque, sanza mercé di lor costume,
[83] sanza battesmo perfetto di Cristo
[92] di tanta ammirazion non mi sospese,
[93] né mi mostrò di Dio tanto sembiante;
[105] innamorato sì che par di foco?».
[107] di colui ch’abbelliva di Maria,
[113] giuso a Maria, quando ’l Figliuol di Dio
[117] di questo imperio giustissimo e pio.
[125] di Santa Chiesa a cui Cristo le chiavi
[126] raccomandò di questo fior venusto.
[131] quel duca sotto cui visse di manna
[133] Di contr’ a Pietro vedi sedere Anna,
[134] tanto contenta di mirar sua figlia,
[136] e contro al maggior padre di famiglia

100. Paradiso • Canto XXXIII

[6] non disdegnò di farsi sua fattura.
[11] di caritate, e giuso, intra ’ mortali,
[12] se’ di speranza fontana vivace.
[21] quantunque in creatura è di bontate.
[25] supplica a te, per grazia, di virtute
[32] di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
[46] E io ch’al fine di tutt’ i disii
[66] si perdea la sentenza di Sibilla.
[69] ripresta un poco di quel che parevi,
[75] più si conceperà di tua vittoria.
[91] La forma universal di questo nodo
[92] credo ch’i’ vidi, perché più di largo,
[99] e sempre di mirar faceasi accesa.
[104] tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella
[117] di tre colori e d’una contenenza;
[173] End of Project Gutenberg's La Divina Commedia di Dante, by Dante Alighieri
[174] *** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LA DIVINA COMMEDIA DI DANTE ***