Concordanze nella Divina Commedia di Dante (beta)
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1. Inferno • Canto I
[5]
esta selva selvaggia e aspra e forte
[16]
guardai in alto e vidi le sue spalle
[22]
E come quei che con lena affannata,
[24]
si volge a l’acqua perigliosa e guata,
[32]
una lonza leggera e presta molto,
[34]
e non mi si partia dinanzi al volto,
[38]
e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle
[43]
l’ora del tempo e la dolce stagione;
[47]
con la test’ alta e con rabbiosa fame,
[51]
e molte genti fé già viver grame,
[55]
E qual è quei che volontieri acquista,
[56]
e giugne ’l tempo che perder lo face,
[57]
che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista;
[68]
e li parenti miei furon lombardi,
[71]
e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto
[72]
nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
[73]
Poeta fui, e cantai di quel giusto
[78]
ch’è principio e cagion di tutta gioia?».
[79]
«Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte
[82]
«O de li altri poeti onore e lume,
[83]
vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore
[85]
Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore,
[90]
ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi».
[97]
e ha natura sì malvagia e ria,
[99]
e dopo ’l pasto ha più fame che pria.
[101]
e più saranno ancora, infin che ’l veltro
[104]
ma sapïenza, amore e virtute,
[105]
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
[108]
Eurialo e Turno e Niso di ferute.
[112]
Ond’ io per lo tuo me’ penso e discerno
[113]
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
[114]
e trarrotti di qui per loco etterno;
[118]
e vederai color che son contenti
[127]
In tutte parti impera e quivi regge;
[128]
quivi è la sua città e l’alto seggio:
[130]
E io a lui: «Poeta, io ti richeggio
[132]
acciò ch’io fugga questo male e peggio,
[135]
e color cui tu fai cotanto mesti».
[136]
Allor si mosse, e io li tenni dietro.
2. Inferno • Canto II
[1]
Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno
[3]
da le fatiche loro; e io sol uno
[5]
sì del cammino e sì de la pietate,
[15]
secolo andò, e fu sensibilmente.
[18]
ch’uscir dovea di lui, e ’l chi e ’l quale
[20]
ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero
[22]
la quale e ’l quale, a voler dir lo vero,
[27]
di sua vittoria e del papale ammanto.
[37]
E qual è quei che disvuol ciò che volle
[38]
e per novi pensier cangia proposta,
[50]
dirotti perch’ io venni e quel ch’io ’ntesi
[53]
e donna mi chiamò beata e bella,
[56]
e cominciommi a dir soave e piana,
[60]
e durerà quanto ’l mondo lontana,
[61]
l’amico mio, e non de la ventura,
[64]
e temo che non sia già sì smarrito,
[67]
Or movi, e con la tua parola ornata
[68]
e con ciò c’ha mestieri al suo campare,
[75]
Tacette allora, e poi comincia’ io:
[98]
e disse:—Or ha bisogno il tuo fedele
[99]
di te, e io a te lo raccomando—.
[101]
si mosse, e venne al loco dov’ i’ era,
[114]
ch’onora te e quei ch’udito l’hanno”.
[118]
E venni a te così com’ ella volse:
[123]
perché ardire e franchezza non hai,
[126]
e ’l mio parlar tanto ben ti promette?».
[128]
chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca,
[131]
e tanto buono ardire al cor mi corse,
[134]
e te cortese ch’ubidisti tosto
[140]
tu duca, tu segnore e tu maestro».
[141]
Così li dissi; e poi che mosso fue,
[142]
intrai per lo cammino alto e silvestro.
3. Inferno • Canto III
[6]
la somma sapïenza e ’l primo amore.
[8]
se non etterne, e io etterno duro.
[19]
E poi che la sua mano a la mia puose
[22]
Quivi sospiri, pianti e alti guai
[27]
voci alte e fioche, e suon di man con elle
[31]
E io ch’avea d’error la testa cinta,
[33]
e che gent’ è che par nel duol sì vinta?».
[36]
che visser sanza ’nfamia e sanza lodo.
[43]
E io: «Maestro, che è tanto greve
[47]
e la lor cieca vita è tanto bassa,
[50]
misericordia e giustizia li sdegna:
[51]
non ragioniam di lor, ma guarda e passa».
[52]
E io, che riguardai, vidi una ’nsegna
[55]
e dietro le venìa sì lunga tratta
[59]
vidi e conobbi l’ombra di colui
[61]
Incontanente intesi e certo fui
[63]
a Dio spiacenti e a’ nemici sui.
[65]
erano ignudi e stimolati molto
[66]
da mosconi e da vespe ch’eran ivi.
[70]
E poi ch’a riguardar oltre mi diedi,
[73]
ch’i’ sappia quali sono, e qual costume
[79]
Allor con li occhi vergognosi e bassi,
[87]
ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo.
[88]
E tu che se’ costì, anima viva,
[94]
E ’l duca lui: «Caron, non ti crucciare:
[96]
ciò che si vuole, e più non dimandare».
[100]
Ma quell’ anime, ch’eran lasse e nude,
[101]
cangiar colore e dibattero i denti,
[103]
Bestemmiavano Dio e lor parenti,
[104]
l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme
[105]
di lor semenza e di lor nascimenti.
[119]
e avanti che sien di là discese,
[124]
e pronti sono a trapassar lo rio,
[128]
e però, se Caron di te si lagna,
[136]
e caddi come l’uom cui sonno piglia.
4. Inferno • Canto IV
[4]
e l’occhio riposato intorno mossi,
[5]
dritto levato, e fiso riguardai
[10]
Oscura e profonda era e nebulosa
[15]
«Io sarò primo, e tu sarai secondo».
[16]
E io, che del color mi fui accorto,
[23]
Così si mise e così mi fé intrare
[29]
ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi,
[30]
d’infanti e di femmine e di viri.
[34]
ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi,
[37]
e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo,
[39]
e di questi cotai son io medesmo.
[41]
semo perduti, e sol di tanto offesi
[51]
E quei che ’ntese il mio parlar coverto,
[56]
d’Abèl suo figlio e quella di Noè,
[57]
di Moïsè legista e ubidente;
[58]
Abraàm patrïarca e Davìd re,
[59]
Israèl con lo padre e co’ suoi nati
[60]
e con Rachele, per cui tanto fé,
[61]
e altri molti, e feceli beati.
[62]
E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi,
[73]
«O tu ch’onori scïenzïa e arte,
[76]
E quelli a me: «L’onrata nominanza
[82]
Poi che la voce fu restata e queta,
[90]
Ovidio è ’l terzo, e l’ultimo Lucano.
[93]
fannomi onore, e di ciò fanno bene».
[99]
e ’l mio maestro sorrise di tanto;
[100]
e più d’onore ancora assai mi fenno,
[101]
ch’e’ sì mi fecer de la loro schiera,
[112]
Genti v’eran con occhi tardi e gravi,
[116]
in loco aperto, luminoso e alto,
[124]
Vidi Cammilla e la Pantasilea;
[128]
Lucrezia, Iulia, Marzïa e Corniglia;
[129]
e solo, in parte, vidi ’l Saladino.
[134]
quivi vid’ ïo Socrate e Platone,
[137]
Dïogenès, Anassagora e Tale,
[138]
Empedoclès, Eraclito e Zenone;
[139]
e vidi il buono accoglitor del quale,
[140]
Dïascoride dico; e vidi Orfeo,
[141]
Tulïo e Lino e Seneca morale;
[142]
Euclide geomètra e Tolomeo,
[143]
Ipocràte, Avicenna e Galïeno,
[151]
E vegno in parte ove non è che luca.
5. Inferno • Canto V
[3]
e tanto più dolor, che punge a guaio.
[4]
Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
[6]
giudica e manda secondo ch’avvinghia.
[9]
e quel conoscitor de le peccata
[15]
dicono e odono e poi son giù volte.
[19]
«guarda com’ entri e di cui tu ti fide;
[21]
E ’l duca mio a lui: «Perché pur gride?
[96]
ciò che si vuole, e più non dimandare».
[33]
voltando e percotendo li molesta.
[40]
E come li stornei ne portan l’ali
[41]
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
[46]
E come i gru van cantando lor lai,
[59]
che succedette a Nino e fu sua sposa:
[62]
e ruppe fede al cener di Sicheo;
[65]
tempo si volse, e vedi ’l grande Achille,
[67]
Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
[68]
ombre mostrommi e nominommi a dito,
[71]
nomar le donne antiche e ’ cavalieri,
[72]
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
[75]
e paion sì al vento esser leggeri».
[77]
più presso a noi; e tu allor li priega
[83]
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
[88]
«O animal grazïoso e benigno
[94]
Di quel che udire e che parlar vi piace,
[95]
noi udiremo e parleremo a voi,
[102]
che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.
[110]
china’ il viso, e tanto il tenni basso,
[115]
Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
[116]
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
[117]
a lagrimar mi fanno tristo e pio.
[119]
a che e come concedette amore
[121]
E quella a me: «Nessun maggior dolore
[123]
ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore.
[126]
dirò come colui che piange e dice.
[129]
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
[131]
quella lettura, e scolorocci il viso;
[137]
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
[142]
E caddi come corpo morto cade.
6. Inferno • Canto VI
[4]
novi tormenti e novi tormentati
[6]
e ch’io mi volga, e come che io guati.
[8]
etterna, maladetta, fredda e greve;
[9]
regola e qualità mai non l’è nova.
[10]
Grandine grossa, acqua tinta e neve
[13]
Cerbero, fiera crudele e diversa,
[16]
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
[17]
e ’l ventre largo, e unghiate le mani;
[23]
le bocche aperse e mostrocci le sanne;
[25]
E ’l duca mio distese le sue spanne,
[26]
prese la terra, e con piene le pugna
[29]
e si racqueta poi che ’l pasto morde,
[30]
ché solo a divorarlo intende e pugna,
[35]
la greve pioggia, e ponavam le piante
[43]
E io a lui: «L’angoscia che tu hai
[47]
loco se’ messo, e hai sì fatta pena,
[55]
E io anima trista non son sola,
[57]
per simil colpa». E più non fé parola.
[62]
s’alcun v’è giusto; e dimmi la cagione
[64]
E quelli a me: «Dopo lunga tencione
[65]
verranno al sangue, e la parte selvaggia
[68]
infra tre soli, e che l’altra sormonti
[73]
Giusti son due, e non vi sono intesi;
[74]
superbia, invidia e avarizia sono
[77]
E io a lui: «Ancor vo’ che mi ’nsegni
[78]
e che di più parlar mi facci dono.
[79]
Farinata e ’l Tegghiaio, che fuor sì degni,
[80]
Iacopo Rusticucci, Arrigo e ’l Mosca
[81]
e li altri ch’a ben far puoser li ’ngegni,
[82]
dimmi ove sono e fa ch’io li conosca;
[85]
E quelli: «Ei son tra l’anime più nere;
[90]
più non ti dico e più non ti rispondo».
[92]
guardommi un poco e poi chinò la testa:
[94]
E ’l duca disse a me: «Più non si desta
[98]
ripiglierà sua carne e sua figura,
[101]
de l’ombre e de la pioggia, a passi lenti,
[108]
più senta il bene, e così la doglienza.
7. Inferno • Canto VII
[3]
e quel savio gentil, che tutto seppe,
[8]
e disse: «Taci, maladetto lupo!
[20]
nove travaglie e pene quant’ io viddi?
[21]
e perché nostra colpa sì ne scipa?
[26]
e d’una parte e d’altra, con grand’ urli,
[28]
Percotëansi ’ncontro; e poscia pur lì
[30]
gridando: «Perché tieni?» e «Perché burli?».
[36]
E io, ch’avea lo cor quasi compunto,
[38]
che gente è questa, e se tutti fuor cherci
[47]
piloso al capo, e papi e cardinali,
[49]
E io: «Maestro, tra questi cotali
[57]
col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi.
[58]
Mal dare e mal tener lo mondo pulcro
[59]
ha tolto loro, e posti a questa zuffa:
[65]
e che già fu, di quest’ anime stanche
[70]
E quelli a me: «Oh creature sciocche,
[74]
fece li cieli e diè lor chi conduce
[78]
ordinò general ministra e duce
[80]
di gente in gente e d’uno in altro sangue,
[82]
per ch’una gente impera e l’altra langue,
[86]
questa provede, giudica, e persegue
[93]
dandole biasmo a torto e mala voce;
[94]
ma ella s’è beata e ciò non ode:
[96]
volve sua spera e beata si gode.
[99]
quand’ io mi mossi, e ’l troppo star si vieta».
[101]
sovr’ una fonte che bolle e riversa
[104]
e noi, in compagnia de l’onde bige,
[109]
E io, che di mirare stava inteso,
[113]
ma con la testa e col petto e coi piedi,
[117]
e anche vo’ che tu per certo credi
[119]
e fanno pullular quest’ acqua al summo,
[128]
grand’ arco tra la ripa secca e ’l mézzo,
8. Inferno • Canto VIII
[5]
e un’altra da lungi render cenno,
[7]
E io mi volsi al mar di tutto ’l senno;
[8]
dissi: «Questo che dice? e che risponde
[9]
quell’ altro foco? e chi son quei che ’l fenno?».
[23]
che li sia fatto, e poi se ne rammarca,
[26]
e poi mi fece intrare appresso lui;
[27]
e sol quand’ io fui dentro parve carca.
[28]
Tosto che ’l duca e io nel legno fui,
[33]
e disse: «Chi se’ tu che vieni anzi ora?».
[34]
E io a lui: «S’i’ vegno, non rimango;
[37]
E io a lui: «Con piangere e con lutto,
[44]
basciommi ’l volto e disse: «Alma sdegnosa,
[52]
E io: «Maestro, molto sarei vago
[60]
che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.
[62]
e ’l fiorentino spirito bizzarro
[70]
E io: «Maestro, già le sue meschite
[86]
E ’l savio mio maestro fece segno
[89]
e disser: «Vien tu solo, e quei sen vada
[98]
volte m’hai sicurtà renduta e tratto
[101]
e se ’l passar più oltre ci è negato,
[103]
E quel segnor che lì m’avea menato,
[106]
Ma qui m’attendi, e lo spirito lasso
[107]
conforta e ciba di speranza buona,
[109]
Così sen va, e quivi m’abbandona
[110]
lo dolce padre, e io rimagno in forse,
[111]
che sì e no nel capo mi tenciona.
[117]
e rivolsesi a me con passi rari.
[118]
Li occhi a la terra e le ciglia avea rase
[119]
d’ogne baldanza, e dicea ne’ sospiri:
[121]
E a me disse: «Tu, perch’ io m’adiri,
[128]
e già di qua da lei discende l’erta,
9. Inferno • Canto IX
[6]
per l’aere nero e per la nebbia folta.
[19]
Questa question fec’ io; e quei «Di rado
[28]
Quell’ è ’l più basso loco e ’l più oscuro,
[29]
e ’l più lontan dal ciel che tutto gira:
[34]
E altro disse, ma non l’ho a mente;
[39]
che membra feminine avieno e atto,
[40]
e con idre verdissime eran cinte;
[41]
serpentelli e ceraste avien per crine,
[43]
E quei, che ben conobbe le meschine
[48]
Tesifón è nel mezzo»; e tacque a tanto.
[50]
battiensi a palme e gridavan sì alto,
[55]
«Volgiti ’n dietro e tien lo viso chiuso;
[56]
ché se ’l Gorgón si mostra e tu ’l vedessi,
[59]
mi volse, e non si tenne a le mie mani,
[64]
E già venìa su per le torbide onde
[69]
che fier la selva e sanz’ alcun rattento
[70]
li rami schianta, abbatte e porta fori;
[72]
e fa fuggir le fiere e li pastori.
[73]
Li occhi mi sciolse e disse: «Or drizza il nerbo
[84]
e sol di quell’ angoscia parea lasso.
[86]
e volsimi al maestro; e quei fé segno
[89]
Venne a la porta e con una verghetta
[96]
e che più volte v’ha cresciuta doglia?
[99]
ne porta ancor pelato il mento e ’l gozzo».
[101]
e non fé motto a noi, ma fé sembiante
[102]
d’omo cui altra cura stringa e morda
[104]
e noi movemmo i piedi inver’ la terra,
[107]
e io, ch’avea di riguardar disio
[110]
e veggio ad ogne man grande campagna,
[111]
piena di duolo e di tormento rio.
[114]
ch’Italia chiude e suoi termini bagna,
[122]
e fuor n’uscivan sì duri lamenti,
[123]
che ben parean di miseri e d’offesi.
[124]
E io: «Maestro, quai son quelle genti
[127]
E quelli a me: «Qui son li eresïarche
[128]
con lor seguaci, d’ogne setta, e molto
[131]
e i monimenti son più e men caldi».
[132]
E poi ch’a la man destra si fu vòlto,
[133]
passammo tra i martìri e li alti spaldi.
10. Inferno • Canto X
[2]
tra ’l muro de la terra e li martìri,
[3]
lo mio maestro, e io dopo le spalle.
[6]
parlami, e sodisfammi a’ miei disiri.
[9]
tutt’ i coperchi, e nessun guardia face».
[10]
E quelli a me: «Tutti saran serrati
[18]
e al disio ancor che tu mi taci».
[19]
E io: «Buon duca, non tegno riposto
[21]
e tu m’hai non pur mo a ciò disposto».
[35]
ed el s’ergea col petto e con la fronte
[37]
E l’animose man del duca e pronte
[41]
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
[47]
a me e a miei primi e a mia parte,
[50]
rispuos’ io lui, «l’una e l’altra fïata;
[57]
e poi che ’l sospecciar fu tutto spento,
[60]
mio figlio ov’ è? e perché non è teco?».
[61]
E io a lui: «Da me stesso non vegno:
[64]
Le sue parole e ’l modo de la pena
[72]
supin ricadde e più non parve fora.
[76]
e sé continüando al primo detto,
[82]
E se tu mai nel dolce mondo regge,
[85]
Ond’ io a lui: «Lo strazio e ’l grande scempio
[99]
e nel presente tenete altro modo».
[104]
nostro intelletto; e s’altri non ci apporta,
[112]
e s’i’ fui, dianzi, a la risposta muto,
[115]
E già ’l maestro mio mi richiamava;
[120]
e ’l Cardinale; e de li altri mi taccio».
[121]
Indi s’ascose; e io inver’ l’antico
[124]
Elli si mosse; e poi, così andando,
[126]
E io li sodisfeci al suo dimando.
[129]
«e ora attendi qui», e drizzò ’l dito:
[134]
lasciammo il muro e gimmo inver’ lo mezzo
11. Inferno • Canto XI
[4]
e quivi, per l’orribile soperchio
[12]
al tristo fiato; e poi no i fia riguardo».
[13]
Così ’l maestro; e io «Alcun compenso»,
[21]
intendi come e perché son costretti.
[26]
più spiace a Dio; e però stan di sotto
[27]
li frodolenti, e più dolor li assale.
[30]
in tre gironi è distinto e costrutto.
[32]
far forza, dico in loro e in lor cose,
[34]
Morte per forza e ferute dogliose
[35]
nel prossimo si danno, e nel suo avere
[36]
ruine, incendi e tollette dannose;
[37]
onde omicide e ciascun che mal fiere,
[38]
guastatori e predon, tutti tormenta
[41]
e ne’ suoi beni; e però nel secondo
[44]
biscazza e fonde la sua facultade,
[45]
e piange là dov’ esser de’ giocondo.
[47]
col cor negando e bestemmiando quella,
[48]
e spregiando natura e sua bontade;
[49]
e però lo minor giron suggella
[50]
del segno suo e Soddoma e Caorsa
[51]
e chi, spregiando Dio col cor, favella.
[54]
e in quel che fidanza non imborsa.
[58]
ipocresia, lusinghe e chi affattura,
[59]
falsità, ladroneccio e simonia,
[60]
ruffian, baratti e simile lordura.
[62]
che fa natura, e quel ch’è poi aggiunto,
[67]
E io: «Maestro, assai chiara procede
[68]
la tua ragione, e assai ben distingue
[69]
questo baràtro e ’l popol ch’e’ possiede.
[71]
che mena il vento, e che batte la pioggia,
[72]
e che s’incontran con sì aspre lingue,
[75]
e se non li ha, perché sono a tal foggia?».
[82]
incontenenza, malizia e la matta
[83]
bestialitade? e come incontenenza
[84]
men Dio offende e men biasimo accatta?
[86]
e rechiti a la mente chi son quelli
[89]
sien dipartiti, e perché men crucciata
[96]
la divina bontade, e ’l groppo solvi».
[100]
dal divino ’ntelletto e da sua arte;
[101]
e se tu ben la tua Fisica note,
[108]
prender sua vita e avanzar la gente;
[109]
e perché l’usuriere altra via tene,
[110]
per sé natura e per la sua seguace
[114]
e ’l Carro tutto sovra ’l Coro giace,
[115]
e ’l balzo via là oltra si dismonta».
12. Inferno • Canto XII
[2]
venimmo, alpestro e, per quel che v’er’ anco,
[11]
e ’n su la punta de la rotta lacca
[14]
e quando vide noi, sé stesso morse,
[24]
che gir non sa, ma qua e là saltella,
[26]
e quello accorto gridò: «Corri al varco;
[27]
mentre ch’e’ ’nfuria, è buon che tu ti cale».
[31]
Io gia pensando; e quei disse: «Tu pensi
[44]
e in quel punto questa vecchia roccia,
[45]
qui e altrove, tal fece riverso.
[49]
Oh cieca cupidigia e ira folle,
[51]
e ne l’etterna poi sì mal c’immolle!
[55]
e tra ’l piè de la ripa ed essa, in traccia
[59]
e de la schiera tre si dipartiro
[60]
con archi e asticciuole prima elette;
[61]
e l’un gridò da lungi: «A qual martiro
[67]
Poi mi tentò, e disse: «Quelli è Nesso,
[69]
e fé di sé la vendetta elli stesso.
[70]
E quel di mezzo, ch’al petto si mira,
[77]
Chirón prese uno strale, e con la cocca
[83]
E ’l mio buon duca, che già li er’ al petto,
[85]
rispuose: «Ben è vivo, e sì soletto
[87]
necessità ’l ci ’nduce, e non diletto.
[94]
e che ne mostri là dove si guada,
[95]
e che porti costui in su la groppa,
[98]
e disse a Nesso: «Torna, e sì li guida,
[99]
e fa cansar s’altra schiera v’intoppa».
[104]
e ’l gran centauro disse: «E’ son tiranni
[105]
che dier nel sangue e ne l’aver di piglio.
[107]
quivi è Alessandro, e Dïonisio fero
[109]
E quella fronte c’ha ’l pel così nero,
[110]
è Azzolino; e quell’ altro ch’è biondo,
[113]
Allor mi volsi al poeta, e quei disse:
[114]
«Questi ti sia or primo, e io secondo».
[122]
tenean la testa e ancor tutto ’l casso;
[123]
e di costoro assai riconobb’ io.
[126]
e quindi fu del fosso il nostro passo.
[135]
e Pirro e Sesto; e in etterno munge
[139]
Poi si rivolse e ripassossi ’l guazzo.
13. Inferno • Canto XIII
[5]
non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti;
[9]
tra Cecina e Corneto i luoghi cólti.
[13]
Ali hanno late, e colli e visi umani,
[14]
piè con artigli, e pennuto ’l gran ventre;
[16]
E ’l buon maestro «Prima che più entre,
[18]
mi cominciò a dire, «e sarai mentre
[23]
e non vedea persona che ’l facesse;
[32]
e colsi un ramicel da un gran pruno;
[33]
e ’l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?».
[37]
Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:
[42]
e cigola per vento che va via,
[44]
parole e sangue; ond’ io lasciai la cima
[45]
cadere, e stetti come l’uom che teme.
[55]
E ’l tronco: «Sì col dolce dir m’adeschi,
[56]
ch’i’ non posso tacere; e voi non gravi
[59]
del cor di Federigo, e che le volsi,
[60]
serrando e diserrando, sì soavi,
[63]
tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi.
[66]
morte comune e de le corti vizio,
[68]
e li ’nfiammati infiammar sì Augusto,
[76]
E se di voi alcun nel mondo riede,
[79]
Un poco attese, e poi «Da ch’el si tace»,
[81]
ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace».
[89]
in questi nocchi; e dinne, se tu puoi,
[91]
Allor soffiò il tronco forte, e poi
[97]
Cade in la selva, e non l’è parte scelta;
[100]
Surge in vermena e in pianta silvestra:
[102]
fanno dolore, e al dolor fenestra.
[106]
Qui le strascineremo, e per la mesta
[113]
sente ’l porco e la caccia a la sua posta,
[114]
ch’ode le bestie, e le frasche stormire.
[116]
nudi e graffiati, fuggendo sì forte,
[119]
E l’altro, cui pareva tardar troppo,
[122]
E poi che forse li fallia la lena,
[123]
di sé e d’un cespuglio fece un groppo.
[125]
di nere cagne, bramose e correnti
[128]
e quel dilaceraro a brano a brano;
[131]
e menommi al cespuglio che piangea
[146]
e se non fosse che ’n sul passo d’Arno
14. Inferno • Canto XIV
[3]
e rende’le a colui, ch’era già fioco.
[5]
lo secondo giron dal terzo, e dove
[13]
Lo spazzo era una rena arida e spessa,
[21]
e parea posta lor diversa legge.
[24]
e altra andava continüamente.
[26]
e quella men che giacëa al tormento,
[47]
lo ’ncendio e giace dispettoso e torto,
[49]
E quel medesmo, che si fu accorto
[59]
e me saetti con tutta sua forza:
[69]
ch’assiser Tebe; ed ebbe e par ch’elli abbia
[70]
Dio in disdegno, e poco par che ’l pregi;
[73]
Or mi vien dietro, e guarda che non metti,
[82]
Lo fondo suo e ambo le pendici
[83]
fatt’ era ’n pietra, e ’ margini dallato;
[98]
d’acqua e di fronde, che si chiamò Ida;
[101]
del suo figliuolo, e per celarlo meglio,
[105]
e Roma guarda come süo speglio.
[107]
e puro argento son le braccia e ’l petto,
[111]
e sta ’n su quel, più che ’n su l’altro, eretto.
[116]
fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;
[119]
fanno Cocito; e qual sia quello stagno
[121]
E io a lui: «Se ’l presente rigagno
[125]
e tutto che tu sie venuto molto,
[130]
E io ancor: «Maestro, ove si trova
[131]
Flegetonta e Letè? ché de l’un taci,
[132]
e l’altro di’ che si fa d’esta piova».
[142]
e sopra loro ogne vapor si spegne».
15. Inferno • Canto XV
[2]
e ’l fummo del ruscel di sopra aduggia,
[3]
sì che dal foco salva l’acqua e li argini.
[4]
Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia,
[7]
e quali Padoan lungo la Brenta,
[8]
per difender lor ville e lor castelli,
[17]
che venian lungo l’argine, e ciascuna
[20]
e sì ver’ noi aguzzavan le ciglia
[24]
per lo lembo e gridò: «Qual maraviglia!».
[25]
E io, quando ’l suo braccio a me distese,
[29]
e chinando la mano a la sua faccia,
[31]
E quelli: «O figliuol mio, non ti dispiaccia
[33]
ritorna ’n dietro e lascia andar la traccia».
[35]
e se volete che con voi m’asseggia,
[41]
e poi rigiugnerò la mia masnada,
[48]
e chi è questi che mostra ’l cammino?».
[54]
e reducemi a ca per questo calle».
[58]
e s’io non fossi sì per tempo morto,
[63]
e tiene ancor del monte e del macigno,
[68]
gent’ è avara, invidiosa e superba:
[71]
che l’una parte e l’altra avranno fame
[74]
di lor medesme, e non tocchin la pianta,
[82]
ché ’n la mente m’è fitta, e or m’accora,
[83]
la cara e buona imagine paterna
[86]
e quant’ io l’abbia in grado, mentr’ io vivo
[89]
e serbolo a chiosar con altro testo
[96]
come le piace, e ’l villan la sua marra».
[98]
destra si volse in dietro e riguardommi;
[101]
con ser Brunetto, e dimando chi sono
[102]
li suoi compagni più noti e più sommi.
[107]
e litterati grandi e di gran fama,
[110]
e Francesco d’Accorso anche; e vedervi,
[115]
Di più direi; ma ’l venire e ’l sermone
[120]
nel qual io vivo ancora, e più non cheggio».
[121]
Poi si rivolse, e parve di coloro
[123]
per la campagna; e parve di costoro
16. Inferno • Canto XVI
[7]
Venian ver’ noi, e ciascuna gridava:
[11]
ricenti e vecchie, da le fiamme incese!
[14]
volse ’l viso ver’ me, e «Or aspetta»,
[16]
E se non fosse il foco che saetta
[20]
l’antico verso; e quando a noi fuor giunti,
[21]
fenno una rota di sé tutti e trei.
[22]
Qual sogliono i campion far nudi e unti,
[23]
avvisando lor presa e lor vantaggio,
[24]
prima che sien tra lor battuti e punti,
[28]
E «Se miseria d’esto loco sollo
[29]
rende in dispetto noi e nostri prieghi»,
[30]
cominciò l’uno, «e ’l tinto aspetto e brollo,
[35]
tutto che nudo e dipelato vada,
[38]
Guido Guerra ebbe nome, e in sua vita
[39]
fece col senno assai e con la spada.
[43]
E io, che posto son con loro in croce,
[44]
Iacopo Rusticucci fui, e certo
[48]
e credo che ’l dottor l’avria sofferto;
[49]
ma perch’ io mi sarei brusciato e cotto,
[58]
Di vostra terra sono, e sempre mai
[59]
l’ovra di voi e li onorati nomi
[60]
con affezion ritrassi e ascoltai.
[61]
Lascio lo fele e vo per dolci pomi
[66]
«e se la fama tua dopo te luca,
[67]
cortesia e valor dì se dimora
[71]
con noi per poco e va là coi compagni,
[73]
«La gente nuova e i sùbiti guadagni
[74]
orgoglio e dismisura han generata,
[77]
e i tre, che ciò inteser per risposta,
[83]
e torni a riveder le belle stelle,
[86]
Indi rupper la rota, e a fuggirsi
[89]
tosto così com’ e’ fuoro spariti;
[91]
Io lo seguiva, e poco eravam iti,
[99]
e a Forlì di quel nome è vacante,
[107]
e con essa pensai alcuna volta
[111]
porsila a lui aggroppata e ravvolta.
[113]
e alquanto di lunge da la sponda
[115]
‘E’ pur convien che novità risponda’,
[122]
ciò ch’io attendo e che il tuo pensier sogna;
[127]
ma qui tacer nol posso; e per le note
[130]
ch’i’ vidi per quell’ aere grosso e scuro
[136]
che ’n sù si stende e da piè si rattrappa.
17. Inferno • Canto XVII
[2]
che passa i monti e rompe i muri e l’armi!
[5]
e accennolle che venisse a proda,
[7]
E quella sozza imagine di froda
[8]
sen venne, e arrivò la testa e ’l busto,
[12]
e d’un serpente tutto l’altro fusto;
[14]
lo dosso e ’l petto e ambedue le coste
[15]
dipinti avea di nodi e di rotelle.
[16]
Con più color, sommesse e sovraposte
[20]
che parte sono in acqua e parte in terra,
[21]
e come là tra li Tedeschi lurchi
[24]
su l’orlo ch’è di pietra e ’l sabbion serra.
[32]
e diece passi femmo in su lo stremo,
[33]
per ben cessar la rena e la fiammella.
[34]
E quando noi a lei venuti semo,
[39]
mi disse, «va, e vedi la lor mena.
[48]
quando a’ vapori, e quando al caldo suolo:
[56]
ch’avea certo colore e certo segno,
[57]
e quindi par che ’l loro occhio si pasca.
[58]
E com’ io riguardando tra lor vegno,
[60]
che d’un leone avea faccia e contegno.
[64]
E un che d’una scrofa azzurra e grossa
[67]
Or te ne va; e perché se’ vivo anco,
[74]
Qui distorse la bocca e di fuor trasse
[76]
E io, temendo no ’l più star crucciasse
[81]
e disse a me: «Or sie forte e ardito.
[87]
e triema tutto pur guardando ’l rezzo,
[96]
con le braccia m’avvinse e mi sostenne;
[97]
e disse: «Gerïon, moviti omai:
[98]
le rote larghe, e lo scender sia poco;
[102]
e poi ch’al tutto si sentì a gioco,
[104]
e quella tesa, come anguilla, mosse,
[105]
e con le branche l’aere a sé raccolse.
[113]
ne l’aere d’ogne parte, e vidi spenta
[116]
rota e discende, ma non me n’accorgo
[117]
se non che al viso e di sotto mi venta.
[122]
però ch’i’ vidi fuochi e senti’ pianti;
[124]
E vidi poi, ché nol vedea davanti,
[125]
lo scendere e ’l girar per li gran mali
[131]
per cento rote, e da lunge si pone
[132]
dal suo maestro, disdegnoso e fello;
[135]
e, discarcate le nostre persone,
18. Inferno • Canto XVIII
[5]
vaneggia un pozzo assai largo e profondo,
[8]
tra ’l pozzo e ’l piè de l’alta ripa dura,
[9]
e ha distinto in dieci valli il fondo.
[11]
più e più fossi cingon li castelli,
[14]
e come a tai fortezze da’ lor sogli
[17]
movien che ricidien li argini e ’ fossi
[18]
infino al pozzo che i tronca e raccogli.
[20]
di Gerïon, trovammoci; e ’l poeta
[21]
tenne a sinistra, e io dietro mi mossi.
[23]
novo tormento e novi frustatori,
[32]
verso ’l castello e vanno a Santo Pietro,
[41]
furo scontrati; e io sì tosto dissi:
[44]
e ’l dolce duca meco si ristette,
[45]
e assentio ch’alquanto in dietro gissi.
[46]
E quel frustato celar si credette
[58]
E non pur io qui piango bolognese;
[61]
a dicer ‘sipa’ tra Sàvena e Reno;
[62]
e se di ciò vuoi fede o testimonio,
[65]
de la sua scurïada, e disse: «Via,
[71]
e vòlti a destra su per la sua scheggia,
[75]
lo duca disse: «Attienti, e fa che feggia
[81]
e che la ferza similmente scaccia.
[82]
E ’l buon maestro, sanza mia dimanda,
[84]
e per dolor non par lagrime spanda:
[86]
Quelli è Iasón, che per cuore e per senno
[91]
Ivi con segni e con parole ornate
[96]
e anche di Medea si fa vendetta.
[98]
e questo basti de la prima valle
[99]
sapere e di color che ’n sé assanna».
[102]
e fa di quello ad un altr’ arco spalle.
[104]
ne l’altra bolgia e che col muso scuffa,
[105]
e sé medesma con le palme picchia.
[108]
che con li occhi e col naso facea zuffa.
[112]
Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso
[115]
E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco,
[120]
E io a lui: «Perché, se ben ricordo,
[122]
e se’ Alessio Interminei da Lucca:
[130]
di quella sozza e scapigliata fante
[132]
e or s’accoscia e ora è in piedi stante.
[136]
E quinci sian le nostre viste sazie».
19. Inferno • Canto XIX
[3]
deon essere spose, e voi rapaci
[4]
per oro e per argento avolterate,
[11]
che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,
[12]
e quanto giusto tua virtù comparte!
[13]
Io vidi per le coste e per lo fondo
[15]
d’un largo tutti e ciascun era tondo.
[21]
e questo sia suggel ch’ogn’ omo sganni.
[23]
d’un peccator li piedi e de le gambe
[24]
infino al grosso, e l’altro dentro stava.
[27]
che spezzate averien ritorte e strambe.
[33]
diss’ io, «e cui più roggia fiamma succia?».
[36]
da lui saprai di sé e de’ suoi torti».
[37]
E io: «Tanto m’è bel, quanto a te piace:
[38]
tu se’ segnore, e sai ch’i’ non mi parto
[39]
dal tuo volere, e sai quel che si tace».
[41]
volgemmo e discendemmo a mano stanca
[42]
là giù nel fondo foracchiato e arto.
[57]
la bella donna, e poi di farne strazio?».
[60]
quasi scornati, e risponder non sanno.
[63]
e io rispuosi come a me fu imposto.
[65]
poi, sospirando e con voce di pianto,
[70]
e veramente fui figliuol de l’orsa,
[72]
che sù l’avere e qui me misi in borsa.
[80]
e ch’i’ son stato così sottosopra,
[84]
tal che convien che lui e me ricuopra.
[86]
ne’ Maccabei; e come a quel fu molle
[98]
e guarda ben la mal tolta moneta
[100]
E se non fosse ch’ancor lo mi vieta
[105]
calcando i buoni e sollevando i pravi.
[110]
e da le diece corna ebbe argomento,
[112]
Fatto v’avete dio d’oro e d’argento;
[113]
e che altro è da voi a l’idolatre,
[114]
se non ch’elli uno, e voi ne orate cento?
[118]
E mentr’ io li cantava cotai note,
[125]
e poi che tutto su mi s’ebbe al petto,
20. Inferno • Canto XX
[2]
e dar matera al ventesimo canto
[7]
e vidi gente per lo vallon tondo
[8]
venir, tacendo e lagrimando, al passo
[12]
ciascun tra ’l mento e ’l principio del casso,
[14]
e in dietro venir li convenia,
[31]
Drizza la testa, drizza, e vedi a cui
[35]
E non restò di ruinare a valle
[39]
di retro guarda e fa retroso calle.
[43]
e prima, poi, ribatter li convenne
[51]
e ’l mar non li era la veduta tronca.
[52]
E quella che ricuopre le mammelle,
[54]
e ha di là ogne pilosa pelle,
[59]
e venne serva la città di Baco,
[64]
Per mille fonti, credo, e più si bagna
[65]
tra Garda e Val Camonica e Pennino
[68]
pastore e quel di Brescia e ’l veronese
[69]
segnar poria, s’e’ fesse quel cammino.
[70]
Siede Peschiera, bello e forte arnese
[71]
da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,
[75]
e fassi fiume giù per verdi paschi.
[80]
ne la qual si distende e la ’mpaluda;
[81]
e suol di state talor essere grama.
[84]
sanza coltura e d’abitanti nuda.
[87]
e visse, e vi lasciò suo corpo vano.
[92]
e per colei che ’l loco prima elesse,
[100]
E io: «Maestro, i tuoi ragionamenti
[101]
mi son sì certi e prendon sì mia fede,
[110]
augure, e diede ’l punto con Calcanta
[112]
Euripilo ebbe nome, e così ’l canta
[119]
ch’avere inteso al cuoio e a lo spago
[122]
la spuola e ’l fuso, e fecersi ’ndivine;
[123]
fecer malie con erbe e con imago.
[125]
d’amendue li emisperi e tocca l’onda
[126]
sotto Sobilia Caino e le spine;
[127]
e già iernotte fu la luna tonda:
[130]
Sì mi parlava, e andavamo introcque.
21. Inferno • Canto XXI
[3]
venimmo; e tenavamo ’l colmo, quando
[5]
di Malebolge e li altri pianti vani;
[6]
e vidila mirabilmente oscura.
[11]
chi fa suo legno novo e chi ristoppa
[13]
chi ribatte da proda e chi da poppa;
[14]
altri fa remi e altri volge sarte;
[15]
chi terzeruolo e artimon rintoppa—:
[21]
e gonfiar tutta, e riseder compressa.
[27]
e cui paura sùbita sgagliarda,
[29]
e vidi dietro a noi un diavol nero
[32]
e quanto mi parea ne l’atto acerbo,
[33]
con l’ali aperte e sovra i piè leggero!
[34]
L’omero suo, ch’era aguto e superbo,
[36]
e quei tenea de’ piè ghermito ’l nerbo.
[43]
Là giù ’l buttò, e per lo scoglio duro
[44]
si volse; e mai non fu mastino sciolto
[46]
Quel s’attuffò, e tornò sù convolto;
[61]
e per nulla offension che mi sia fatta,
[65]
e com’ el giunse in su la ripa sesta,
[67]
Con quel furore e con quella tempesta
[71]
e volser contra lui tutt’ i runcigli;
[75]
e poi d’arruncigliarmi si consigli».
[77]
per ch’un si mosse—e li altri stetter fermi—
[78]
e venne a lui dicendo: «Che li approda?».
[82]
sanza voler divino e fato destro?
[86]
ch’e’ si lasciò cascar l’uncino a’ piedi,
[87]
e disse a li altri: «Omai non sia feruto».
[88]
E ’l duca mio a me: «O tu che siedi
[91]
Per ch’io mi mossi e a lui venni ratto;
[92]
e i diavoli si fecer tutti avanti,
[98]
lungo ’l mio duca, e non torceva li occhi
[100]
Ei chinavan li raffi e «Vuo’ che ’l tocchi»,
[102]
E rispondien: «Sì, fa che gliel’ accocchi».
[105]
e disse: «Posa, posa, Scarmiglione!».
[109]
E se l’andare avante pur vi piace,
[118]
«Tra’ti avante, Alichino, e Calcabrina»,
[119]
cominciò elli a dire, «e tu, Cagnazzo;
[120]
e Barbariccia guidi la decina.
[121]
Libicocco vegn’ oltre e Draghignazzo,
[122]
Cirïatto sannuto e Graffiacane
[123]
e Farfarello e Rubicante pazzo.
[131]
non vedi tu ch’e’ digrignan li denti
[132]
e con le ciglia ne minaccian duoli?».
[135]
ch’e’ fanno ciò per li lessi dolenti».
22. Inferno • Canto XXII
[2]
e cominciare stormo e far lor mostra,
[3]
e talvolta partir per loro scampo;
[5]
o Aretini, e vidi gir gualdane,
[6]
fedir torneamenti e correr giostra;
[7]
quando con trombe, e quando con campane,
[8]
con tamburi e con cenni di castella,
[9]
e con cose nostrali e con istrane;
[15]
coi santi, e in taverna coi ghiottoni.
[18]
e de la gente ch’entro v’era incesa.
[24]
e nascondea in men che non balena.
[25]
E come a l’orlo de l’acqua d’un fosso
[27]
sì che celano i piedi e l’altro grosso,
[31]
I’ vidi, e anco il cor me n’accapriccia,
[33]
ch’una rana rimane e l’altra spiccia;
[34]
e Graffiacan, che li era più di contra,
[36]
e trassel sù, che mi parve una lontra.
[39]
e poi ch’e’ si chiamaro, attesi come.
[43]
E io: «Maestro mio, fa, se tu puoi,
[47]
domandollo ond’ ei fosse, e quei rispuose:
[51]
distruggitor di sé e di sue cose.
[55]
E Cirïatto, a cui di bocca uscia
[60]
e disse: «State in là, mentr’ io lo ’nforco».
[61]
E al maestro mio volse la faccia;
[66]
sotto la pece?». E quelli: «I’ mi partii,
[70]
E Libicocco «Troppo avem sofferto»,
[71]
disse; e preseli ’l braccio col runciglio,
[84]
e fé sì lor, che ciascun se ne loda.
[85]
Danar si tolse e lasciolli di piano,
[86]
sì com’ e’ dice; e ne li altri offici anche
[89]
di Logodoro; e a dir di Sardigna
[94]
E ’l gran proposto, vòlto a Farfarello
[102]
e io, seggendo in questo loco stesso,
[107]
crollando ’l capo, e disse: «Odi malizia
[112]
Alichin non si tenne e, di rintoppo
[116]
Lascisi ’l collo, e sia la ripa scudo,
[122]
fermò le piante a terra, e in un punto
[123]
saltò e dal proposto lor si sciolse.
[126]
però si mosse e gridò: «Tu se’ giunto!».
[129]
e quei drizzò volando suso il petto:
[132]
ed ei ritorna sù crucciato e rotto.
[136]
e come ’l barattier fu disparito,
[138]
e fu con lui sopra ’l fosso ghermito.
[140]
ad artigliar ben lui, e amendue
[147]
con tutt’ i raffi, e assai prestamente
[151]
E noi lasciammo lor così ’mpacciati.
23. Inferno • Canto XXIII
[2]
n’andavam l’un dinanzi e l’altro dopo,
[6]
dov’ el parlò de la rana e del topo;
[7]
ché più non si pareggia ‘mo’ e ‘issa’
[9]
principio e fine con la mente fissa.
[10]
E come l’un pensier de l’altro scoppia,
[14]
sono scherniti con danno e con beffa
[20]
de la paura e stava in dietro intento,
[22]
te e me tostamente, i’ ho pavento
[25]
E quei: «S’i’ fossi di piombato vetro,
[29]
con simile atto e con simile faccia,
[39]
e vede presso a sé le fiamme accese,
[40]
che prende il figlio e fugge e non s’arresta,
[43]
e giù dal collo de la ripa dura
[53]
del fondo giù, ch’e’ furon in sul colle
[60]
piangendo e nel sembiante stanca e vinta.
[65]
ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,
[75]
e li occhi, sì andando, intorno movi».
[76]
E un che ’ntese la parola tosca,
[80]
Onde ’l duca si volse e disse: «Aspetta,
[81]
e poi secondo il suo passo procedi».
[82]
Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta
[84]
ma tardavali ’l carco e la via stretta.
[87]
poi si volsero in sé, e dicean seco:
[89]
e s’e’ son morti, per qual privilegio
[94]
E io a loro: «I’ fui nato e cresciuto
[96]
e son col corpo ch’i’ ho sempre avuto.
[99]
e che pena è in voi che sì sfavilla?».
[100]
E l’un rispuose a me: «Le cappe rance
[103]
Frati godenti fummo, e bolognesi;
[104]
io Catalano e questi Loderingo
[105]
nomati, e da tua terra insieme presi
[107]
per conservar sua pace; e fummo tali,
[114]
e ’l frate Catalan, ch’a ciò s’accorse,
[121]
E a tal modo il socero si stenta
[122]
in questa fossa, e li altri dal concilio
[135]
si move e varca tutt’ i vallon feri,
[136]
salvo che ’n questo è rotto e nol coperchia;
[138]
che giace in costa e nel fondo soperchia».
[142]
E ’l frate: «Io udi’ già dire a Bologna
[144]
ch’elli è bugiardo, e padre di menzogna».
24. Inferno • Canto XXIV
[3]
e già le notti al mezzo dì sen vanno,
[8]
si leva, e guarda, e vede la campagna
[10]
ritorna in casa, e qua e là si lagna,
[12]
poi riede, e la speranza ringavagna,
[14]
in poco d’ora, e prende suo vincastro
[15]
e fuor le pecorelle a pascer caccia.
[18]
e così tosto al mal giunse lo ’mpiastro;
[24]
ben la ruina, e diedemi di piglio.
[25]
E come quei ch’adopera ed estima,
[32]
ché noi a pena, ei lieve e io sospinto,
[34]
E se non fosse che da quel precinto
[40]
che l’una costa surge e l’altra scende;
[51]
qual fummo in aere e in acqua la schiuma.
[52]
E però leva sù; vinci l’ambascia
[60]
e dissi: «Va, ch’i’ son forte e ardito».
[62]
ch’era ronchioso, stretto e malagevole,
[73]
da l’altro cinghio e dismontiam lo muro;
[74]
ché, com’ i’ odo quinci e non intendo,
[75]
così giù veggio e neente affiguro».
[81]
e poi mi fu la bolgia manifesta:
[82]
e vidivi entro terribile stipa
[83]
di serpenti, e di sì diversa mena
[86]
ché se chelidri, iaculi e faree
[87]
produce, e cencri con anfisibena,
[91]
Tra questa cruda e tristissima copia
[92]
corrëan genti nude e spaventate,
[96]
e ’l capo, ed eran dinanzi aggroppate.
[101]
com’ el s’accese e arse, e cener tutto
[103]
e poi che fu a terra sì distrutto,
[105]
e ’n quel medesmo ritornò di butto.
[107]
che la fenice more e poi rinasce,
[110]
ma sol d’incenso lagrime e d’amomo,
[111]
e nardo e mirra son l’ultime fasce.
[112]
E qual è quel che cade, e non sa como,
[117]
ch’elli ha sofferta, e guardando sospira:
[124]
Vita bestial mi piacque e non umana,
[126]
bestia, e Pistoia mi fu degna tana».
[127]
E ïo al duca: «Dilli che non mucci,
[128]
e domanda che colpa qua giù ’l pinse;
[129]
ch’io ’l vidi uomo di sangue e di crucci».
[130]
E ’l peccator, che ’ntese, non s’infinse,
[131]
ma drizzò verso me l’animo e ’l volto,
[132]
e di trista vergogna si dipinse;
[139]
e falsamente già fu apposto altrui.
[142]
apri li orecchi al mio annunzio, e odi.
[144]
poi Fiorenza rinova gente e modi.
[147]
e con tempesta impetüosa e agra
[151]
E detto l’ho perché doler ti debbia!».
25. Inferno • Canto XXV
[7]
e un’altra a le braccia, e rilegollo,
[17]
e io vidi un centauro pien di rabbia
[24]
e quello affuoca qualunque s’intoppa.
[33]
gliene diè cento, e non sentì le diece».
[35]
e tre spiriti venner sotto noi,
[39]
e intendemmo pur ad essi poi.
[50]
e un serpente con sei piè si lancia
[51]
dinanzi a l’uno, e tutto a lui s’appiglia.
[53]
e con li anterïor le braccia prese;
[54]
poi li addentò e l’una e l’altra guancia;
[56]
e miseli la coda tra ’mbedue
[57]
e dietro per le ren sù la ritese.
[62]
fossero stati, e mischiar lor colore,
[66]
che non è nero ancora e ’l bianco more.
[67]
Li altri due ’l riguardavano, e ciascuno
[74]
le cosce con le gambe e ’l ventre e ’l casso
[77]
due e nessun l’imagine perversa
[78]
parea; e tal sen gio con lento passo.
[84]
livido e nero come gran di pepe;
[85]
e quella parte onde prima è preso
[91]
Elli ’l serpente e quei lui riguardava;
[92]
l’un per la piaga e l’altro per la bocca
[93]
fummavan forte, e ’l fummo si scontrava.
[94]
Taccia Lucano ormai là dov’ e’ tocca
[95]
del misero Sabello e di Nasidio,
[96]
e attenda a udir quel ch’or si scocca.
[97]
Taccia di Cadmo e d’Aretusa Ovidio,
[98]
ché se quello in serpente e quella in fonte
[105]
e ’l feruto ristrinse insieme l’orme.
[110]
che si perdeva là, e la sua pelle
[111]
si facea molle, e quella di là dura.
[113]
e i due piè de la fiera, ch’eran corti,
[117]
e ’l misero del suo n’avea due porti.
[118]
Mentre che ’l fummo l’uno e l’altro vela
[119]
di color novo, e genera ’l pel suso
[120]
per l’una parte e da l’altra il dipela,
[121]
l’un si levò e l’altro cadde giuso,
[125]
e di troppa matera ch’in là venne
[127]
ciò che non corse in dietro e si ritenne
[129]
e le labbra ingrossò quanto convenne.
[131]
e li orecchi ritira per la testa
[133]
e la lingua, ch’avëa unita e presta
[134]
prima a parlar, si fende, e la forcuta
[135]
ne l’altro si richiude; e ’l fummo resta.
[138]
e l’altro dietro a lui parlando sputa.
[140]
e disse a l’altro: «I’ vo’ che Buoso corra,
[143]
mutare e trasmutare; e qui mi scusi
[145]
E avvegna che li occhi miei confusi
[146]
fossero alquanto e l’animo smagato,
26. Inferno • Canto XXVI
[2]
che per mare e per terra batti l’ali,
[3]
e per lo ’nferno tuo nome si spande!
[6]
e tu in grande orranza non ne sali.
[10]
E se già fosse, non saria per tempo.
[13]
Noi ci partimmo, e su per le scalee
[15]
rimontò ’l duca mio e trasse mee;
[16]
e proseguendo la solinga via,
[17]
tra le schegge e tra ’ rocchi de lo scoglio
[19]
Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio
[21]
e più lo ’ngegno affreno ch’i’ non soglio,
[30]
forse colà dov’ e’ vendemmia e ara:
[34]
E qual colui che si vengiò con li orsi
[42]
e ogne fiamma un peccatore invola.
[46]
E ’l duca che mi vide tanto atteso,
[51]
che così fosse, e già voleva dirti:
[56]
Ulisse e Dïomede, e così insieme
[58]
e dentro da la lor fiamma si geme
[63]
e del Palladio pena vi si porta».
[66]
e ripriego, che ’l priego vaglia mille,
[71]
di molta loda, e io però l’accetto;
[75]
perch’ e’ fuor greci, forse del tuo detto».
[77]
dove parve al mio duca tempo e loco,
[88]
indi la cima qua e là menando,
[90]
gittò voce di fuori e disse: «Quando
[99]
e de li vizi umani e del valore;
[101]
sol con un legno e con quella compagna
[103]
L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
[104]
fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
[105]
e l’altre che quel mare intorno bagna.
[106]
Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi
[120]
ma per seguir virtute e canoscenza”.
[124]
e volta nostra poppa nel mattino,
[128]
vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,
[130]
Cinque volte racceso e tante casso
[134]
per la distanza, e parvemi alta tanto
[136]
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
[138]
e percosse del legno il primo canto.
[141]
e la prora ire in giù, com’ altrui piacque,
27. Inferno • Canto XXVII
[1]
Già era dritta in sù la fiamma e queta
[2]
per non dir più, e già da noi sen gia
[8]
col pianto di colui, e ciò fu dritto,
[20]
la voce e che parlavi mo lombardo,
[24]
vedi che non incresce a me, e ardo!
[30]
e ’l giogo di che Tever si diserra».
[31]
Io era in giuso ancora attento e chino,
[34]
E io, ch’avea già pronta la risposta,
[37]
Romagna tua non è, e non fu mai,
[44]
e di Franceschi sanguinoso mucchio,
[46]
E ’l mastin vecchio e ’l nuovo da Verrucchio,
[49]
Le città di Lamone e di Santerno
[52]
E quella cu’ il Savio bagna il fianco,
[53]
così com’ ella sie’ tra ’l piano e ’l monte,
[54]
tra tirannia si vive e stato franco.
[60]
di qua, di là, e poi diè cotal fiato:
[67]
Io fui uom d’arme, e poi fui cordigliero,
[69]
e certo il creder mio venìa intero,
[72]
e come e quare, voglio che m’intenda.
[73]
Mentre ch’io forma fui d’ossa e di polpe
[76]
Li accorgimenti e le coperte vie
[77]
io seppi tutte, e sì menai lor arte,
[81]
calar le vele e raccoglier le sarte,
[83]
e pentuto e confesso mi rendei;
[84]
ahi miser lasso! e giovato sarebbe.
[87]
e non con Saracin né con Giudei,
[89]
e nessun era stato a vincer Acri
[98]
domandommi consiglio, e io tacetti
[100]
E’ poi ridisse: “Tuo cuor non sospetti;
[101]
finor t’assolvo, e tu m’insegna fare
[103]
Lo ciel poss’ io serrare e diserrare,
[108]
e dissi: “Padre, da che tu mi lavi
[119]
né pentere e volere insieme puossi
[124]
A Minòs mi portò; e quelli attorse
[126]
e poi che per gran rabbia la si morse,
[129]
e sì vestito, andando, mi rancuro».
[132]
torcendo e dibattendo ’l corno aguto.
[133]
Noi passamm’ oltre, e io e ’l duca mio,
28. Inferno • Canto XXVIII
[2]
dicer del sangue e de le piaghe a pieno
[5]
per lo nostro sermone e per la mente
[10]
per li Troiani e per la lunga guerra
[15]
e l’altra il cui ossame ancor s’accoglie
[17]
ciascun Pugliese, e là da Tagliacozzo,
[19]
e qual forato suo membro e qual mozzo
[26]
la corata pareva e ’l tristo sacco
[29]
guardommi e con le man s’aperse il petto,
[34]
E tutti li altri che tu vedi qui,
[35]
seminator di scandalo e di scisma
[36]
fuor vivi, e però son fessi così.
[51]
e quest’ è ver così com’ io ti parlo».
[65]
e tronco ’l naso infin sotto le ciglia,
[66]
e non avea mai ch’una orecchia sola,
[70]
e disse: «O tu cui colpa non condanna
[71]
e cu’ io vidi su in terra latina,
[76]
E fa saper a’ due miglior da Fano,
[77]
a messer Guido e anco ad Angiolello,
[80]
e mazzerati presso a la Cattolica
[82]
Tra l’isola di Cipri e di Maiolica
[86]
e tien la terra che tale qui meco
[91]
E io a lui: «Dimostrami e dichiara,
[95]
d’un suo compagno e la bocca li aperse,
[96]
gridando: «Questi è desso, e non favella.
[103]
E un ch’avea l’una e l’altra man mozza,
[109]
E io li aggiunsi: «E morte di tua schiatta»;
[111]
sen gio come persona trista e matta.
[113]
e vidi cosa ch’io avrei paura,
[118]
Io vidi certo, e ancor par ch’io ’l veggia,
[121]
e ’l capo tronco tenea per le chiome,
[123]
e quel mirava noi e dicea: «Oh me!».
[125]
ed eran due in uno e uno in due;
[133]
E perché tu di me novella porti,
[136]
Io feci il padre e ’l figlio in sé ribelli;
[138]
e di Davìd coi malvagi punzelli.
29. Inferno • Canto XXIX
[1]
La molta gente e le diverse piaghe
[10]
E già la luna è sotto i nostri piedi;
[12]
e altro è da veder che tu non vedi».
[16]
Parte sen giva, e io retro li andava,
[18]
e soggiugnendo: «Dentro a quella cava
[26]
mostrarti e minacciar forte col dito,
[27]
e udi’ ’l nominar Geri del Bello.
[36]
e in ciò m’ha el fatto a sé più pio».
[47]
di Valdichiana tra ’l luglio e ’l settembre
[48]
e di Maremma e di Sardigna i mali
[50]
tal era quivi, e tal puzzo n’usciva
[54]
e allor fu la mia vista più viva
[62]
cascaron tutti, e poi le genti antiche,
[67]
Qual sovra ’l ventre e qual sovra le spalle
[68]
l’un de l’altro giacea, e qual carpone
[71]
guardando e ascoltando li ammalati,
[76]
e non vidi già mai menare stregghia
[82]
e sì traevan giù l’unghie la scabbia,
[87]
«e che fai d’esse talvolta tanaglie,
[94]
E ’l duca disse: «I’ son un che discendo
[96]
e di mostrar lo ’nferno a lui intendo».
[98]
e tremando ciascuno a me si volse
[102]
e io incominciai, poscia ch’ei volse:
[106]
ditemi chi voi siete e di che genti;
[107]
la vostra sconcia e fastidiosa pena
[109]
«Io fui d’Arezzo, e Albero da Siena»,
[114]
e quei, ch’avea vaghezza e senno poco,
[115]
volle ch’i’ li mostrassi l’arte; e solo
[121]
E io dissi al poeta: «Or fu già mai
[127]
e Niccolò che la costuma ricca
[130]
e tra’ne la brigata in che disperse
[131]
Caccia d’Ascian la vigna e la gran fonda,
[132]
e l’Abbagliato suo senno proferse.
[138]
e te dee ricordar, se ben t’adocchio,
30. Inferno • Canto XXX
[3]
come mostrò una e altra fïata,
[8]
la leonessa e ’ leoncini al varco»;
[9]
e poi distese i dispietati artigli,
[11]
e rotollo e percosselo ad un sasso;
[12]
e quella s’annegò con l’altro carco.
[13]
E quando la fortuna volse in basso
[16]
Ecuba trista, misera e cattiva,
[18]
e del suo Polidoro in su la riva
[25]
quant’ io vidi in due ombre smorte e nude,
[28]
L’una giunse a Capocchio, e in sul nodo
[31]
E l’Aretin che rimase, tremando
[33]
e va rabbioso altrui così conciando».
[45]
testando e dando al testamento norma».
[46]
E poi che i due rabbiosi fuor passati
[57]
l’un verso ’l mento e l’altro in sù rinverte.
[59]
e non so io perché, nel mondo gramo»,
[60]
diss’ elli a noi, «guardate e attendete
[63]
e ora, lasso!, un gocciol d’acqua bramo.
[66]
faccendo i lor canali freddi e molli,
[67]
sempre mi stanno innanzi, e non indarno,
[87]
e men d’un mezzo di traverso non ci ha.
[89]
e’ m’indussero a batter li fiorini
[91]
E io a lui: «Chi son li due tapini
[94]
«Qui li trovai—e poi volta non dierno—»,
[96]
e non credo che dieno in sempiterno.
[100]
E l’un di lor, che si recò a noia
[104]
e mastro Adamo li percosse il volto
[111]
ma sì e più l’avei quando coniavi».
[112]
E l’idropico: «Tu di’ ver di questo:
[115]
«S’io dissi falso, e tu falsasti il conio»,
[116]
disse Sinon; «e son qui per un fallo,
[117]
e tu per più ch’alcun altro demonio!».
[120]
«e sieti reo che tutto il mondo sallo!».
[121]
«E te sia rea la sete onde ti crepa»,
[122]
disse ’l Greco, «la lingua, e l’acqua marcia
[126]
ché, s’i’ ho sete e omor mi rinfarcia,
[127]
tu hai l’arsura e ’l capo che ti duole,
[128]
e per leccar lo specchio di Narcisso,
[140]
che disïava scusarmi, e scusava
[141]
me tuttavia, e nol mi credea fare.
[145]
E fa ragion ch’io ti sia sempre allato,
31. Inferno • Canto XXXI
[2]
sì che mi tinse l’una e l’altra guancia,
[3]
e poi la medicina mi riporse;
[5]
d’Achille e del suo padre esser cagione
[6]
prima di trista e poi di buona mancia.
[10]
Quiv’ era men che notte e men che giorno,
[29]
e disse: «Pria che noi siam più avanti,
[32]
e son nel pozzo intorno da la ripa
[37]
così forando l’aura grossa e scura,
[38]
più e più appressando ver’ la sponda,
[39]
fuggiemi errore e cresciemi paura;
[46]
E io scorgeva già d’alcun la faccia,
[47]
le spalle e ’l petto e del ventre gran parte,
[48]
e per le coste giù ambo le braccia.
[52]
E s’ella d’elefanti e di balene
[54]
più giusta e più discreta la ne tene;
[56]
s’aggiugne al mal volere e a la possa,
[58]
La faccia sua mi parea lunga e grossa
[60]
e a sua proporzione eran l’altre ossa;
[70]
E ’l duca mio ver’ lui: «Anima sciocca,
[71]
tienti col corno, e con quel ti disfoga
[73]
Cércati al collo, e troverai la soga
[75]
e vedi lui che ’l gran petto ti doga».
[79]
Lasciànlo stare e non parliamo a vòto;
[83]
vòlti a sinistra; e al trar d’un balestro
[84]
trovammo l’altro assai più fero e maggio.
[87]
dinanzi l’altro e dietro il braccio destro
[94]
Fïalte ha nome, e fece le gran prove
[97]
E io a lui: «S’esser puote, io vorrei
[104]
ed è legato e fatto come questo,
[110]
e non v’era mestier più che la dotta,
[113]
e venimmo ad Anteo, che ben cinque alle,
[119]
e che, se fossi stato a l’alta guerra
[122]
mettine giù, e non ten vegna schifo,
[126]
però ti china e non torcer lo grifo.
[128]
ch’el vive, e lunga vita ancor aspetta
[130]
Così disse ’l maestro; e quelli in fretta
[131]
le man distese, e prese ’l duca mio,
[135]
poi fece sì ch’un fascio era elli e io.
[140]
di vederlo chinare, e fu tal ora
[145]
e come albero in nave si levò.
32. Inferno • Canto XXXII
[1]
S’ïo avessi le rime aspre e chiocce,
[18]
e io mirava ancora a l’alto muro,
[22]
Per ch’io mi volsi, e vidimi davante
[23]
e sotto i piedi un lago che per gelo
[24]
avea di vetro e non d’acqua sembiante.
[31]
E come a gracidar si sta la rana
[38]
da bocca il freddo, e da li occhi il cor tristo
[41]
volsimi a’ piedi, e vidi due sì stretti,
[44]
diss’ io, «chi siete?». E quei piegaro i colli;
[45]
e poi ch’ebber li visi a me eretti,
[47]
gocciar su per le labbra, e ’l gelo strinse
[48]
le lagrime tra essi e riserrolli.
[52]
E un ch’avea perduti ambo li orecchi
[57]
del padre loro Alberto e di lor fue.
[58]
D’un corpo usciro; e tutta la Caina
[59]
potrai cercare, e non troverai ombra
[61]
non quelli a cui fu rotto il petto e l’ombra
[65]
e fu nomato Sassol Mascheroni;
[67]
E perché non mi metti in più sermoni,
[69]
e aspetto Carlin che mi scagioni».
[72]
e verrà sempre, de’ gelati guazzi.
[73]
E mentre ch’andavamo inver’ lo mezzo
[75]
e io tremava ne l’etterno rezzo;
[82]
E io: «Maestro mio, or qui m’aspetta,
[85]
Lo duca stette, e io dissi a colui
[91]
«Vivo son io, e caro esser ti puote»,
[95]
Lèvati quinci e non mi dar più lagna,
[98]
e dissi: «El converrà che tu ti nomi,
[104]
e tratti glien’ avea più d’una ciocca,
[112]
«Va via», rispuose, «e ciò che tu vuoi conta;
[122]
più là con Ganellone e Tebaldello,
[127]
e come ’l pan per fame si manduca,
[132]
che quei faceva il teschio e l’altre cose.
[137]
sappiendo chi voi siete e la sua pecca,
33. Inferno • Canto XXXIII
[9]
parlar e lagrimar vedrai insieme.
[14]
e questi è l’arcivescovo Ruggieri:
[18]
e poscia morto, dir non è mestieri;
[21]
udirai, e saprai s’e’ m’ha offeso.
[24]
e che conviene ancor ch’altrui si chiuda,
[28]
Questi pareva a me maestro e donno,
[29]
cacciando il lupo e ’ lupicini al monte
[31]
Con cagne magre, studïose e conte
[32]
Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi
[35]
lo padre e ’ figli, e con l’agute scane
[39]
ch’eran con meco, e dimandar del pane.
[42]
e se non piangi, di che pianger suoli?
[43]
Già eran desti, e l’ora s’appressava
[45]
e per suo sogno ciascun dubitava;
[46]
e io senti’ chiavar l’uscio di sotto
[50]
piangevan elli; e Anselmuccio mio
[56]
nel doloroso carcere, e io scorsi
[61]
e disser: “Padre, assai ci fia men doglia
[63]
queste misere carni, e tu le spoglia”.
[65]
lo dì e l’altro stemmo tutti muti;
[70]
Quivi morì; e come tu mi vedi,
[72]
tra ’l quinto dì e ’l sesto; ond’ io mi diedi,
[74]
e due dì li chiamai, poi che fur morti.
[82]
muovasi la Capraia e la Gorgona,
[83]
e faccian siepe ad Arno in su la foce,
[89]
novella Tebe, Uguiccione e ’l Brigata
[90]
e li altri due che ’l canto suso appella.
[95]
e ’l duol che truova in su li occhi rintoppo,
[98]
e sì come visiere di cristallo,
[100]
E avvegna che, sì come d’un callo,
[109]
E un de’ tristi de la fredda crosta
[116]
dimmi chi se’, e s’io non ti disbrigo,
[127]
E perché tu più volentier mi rade
[134]
e forse pare ancor lo corpo suso
[137]
elli è ser Branca Doria, e son più anni
[141]
e mangia e bee e dorme e veste panni».
[149]
aprimi li occhi». E io non gliel’ apersi;
[150]
e cortesia fu lui esser villano.
[152]
d’ogne costume e pien d’ogne magagna,
[157]
e in corpo par vivo ancor di sopra.
34. Inferno • Canto XXXIV
[10]
Già era, e con paura il metto in metro,
[12]
e trasparien come festuca in vetro.
[14]
quella col capo e quella con le piante;
[19]
d’innanzi mi si tolse e fé restarmi,
[22]
Com’ io divenni allor gelato e fioco,
[25]
Io non mori’ e non rimasi vivo;
[27]
qual io divenni, d’uno e d’altro privo.
[30]
e più con un gigante io mi convegno,
[35]
e contra ’l suo fattore alzò le ciglia,
[39]
L’una dinanzi, e quella era vermiglia;
[42]
e sé giugnieno al loco de la cresta:
[43]
e la destra parea tra bianca e gialla;
[50]
era lor modo; e quelle svolazzava,
[53]
Con sei occhi piangëa, e per tre menti
[54]
gocciava ’l pianto e sanguinosa bava.
[63]
che ’l capo ha dentro e fuor le gambe mena.
[66]
vedi come si storce, e non fa motto!;
[67]
e l’altro è Cassio, che par sì membruto.
[68]
Ma la notte risurge, e oramai
[71]
ed el prese di tempo e loco poste,
[72]
e quando l’ali fuoro aperte assai,
[75]
tra ’l folto pelo e le gelate croste.
[78]
lo duca, con fatica e con angoscia,
[80]
e aggrappossi al pel com’ om che sale,
[86]
e puose me in su l’orlo a sedere;
[88]
Io levai li occhi e credetti vedere
[90]
e vidili le gambe in sù tenere;
[91]
e s’io divenni allora travagliato,
[95]
la via è lunga e ’l cammino è malvagio,
[96]
e già il sole a mezza terza riede».
[99]
ch’avea mal suolo e di lume disagio.
[103]
ov’ è la ghiaccia? e questi com’ è fitto
[104]
sì sottosopra? e come, in sì poc’ ora,
[112]
E se’ or sotto l’emisperio giunto
[114]
coverchia, e sotto ’l cui colmo consunto
[115]
fu l’uom che nacque e visse sanza pecca;
[119]
e questi, che ne fé scala col pelo,
[122]
e la terra, che pria di qua si sporse,
[124]
e venne a l’emisperio nostro; e forse
[126]
quella ch’appar di qua, e sù ricorse».
[132]
col corso ch’elli avvolge, e poco pende.
[133]
Lo duca e io per quel cammino ascoso
[135]
e sanza cura aver d’alcun riposo,
[136]
salimmo sù, el primo e io secondo,
[139]
E quindi uscimmo a riveder le stelle.
35. Purgatorio • Canto I
[4]
e canterò di quel secondo regno
[6]
e di salire al ciel diventa degno.
[9]
e qui Calïopè alquanto surga,
[18]
che m’avea contristati li occhi e ’l petto.
[22]
I’ mi volsi a man destra, e puosi mente
[23]
a l’altro polo, e vidi quattro stelle
[34]
Lunga la barba e di pel bianco mista
[50]
e con parole e con mani e con cenni
[51]
reverenti mi fé le gambe e ’l ciglio.
[62]
per lui campare; e non lì era altra via
[65]
e ora intendo mostrar quelli spirti
[69]
conducerlo a vederti e a udirti.
[77]
ché questi vive e Minòs me non lega;
[91]
Ma se donna del ciel ti move e regge,
[94]
Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
[95]
d’un giunco schietto e che li lavi ’l viso,
[109]
Così sparì; e io sù mi levai
[110]
sanza parlare, e tutto mi ritrassi
[111]
al duca mio, e li occhi a lui drizzai.
36. Purgatorio • Canto II
[4]
e la notte, che opposita a lui cerchia,
[7]
sì che le bianche e le vermiglie guance,
[12]
che va col cuore e col corpo dimora.
[21]
rividil più lucente e maggior fatto.
[23]
un non sapeva che bianco, e di sotto
[37]
Poi, come più e più verso noi venne
[40]
ma chinail giuso; e quei sen venne a riva
[41]
con un vasello snelletto e leggero,
[45]
e più di cento spirti entro sediero.
[61]
E Virgilio rispuose: «Voi credete
[65]
per altra via, che fu sì aspra e forte,
[70]
E come a messagger che porta ulivo
[72]
e di calcar nessun si mostra schivo,
[81]
e tante mi tornai con esse al petto.
[83]
per che l’ombra sorrise e si ritrasse,
[84]
e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.
[86]
allor conobbi chi era, e pregai
[95]
se quei che leva quando e cui li piace,
[106]
E io: «Se nuova legge non ti toglie
[115]
Lo mio maestro e io e quella gente
[118]
Noi eravam tutti fissi e attenti
[131]
lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa,
37. Purgatorio • Canto III
[5]
e come sare’ io sanza lui corso?
[8]
o dignitosa coscïenza e netta,
[14]
e diedi ’l viso mio incontr’ al poggio
[22]
e ’l mio conforto: «Perché pur diffidi?»,
[24]
«non credi tu me teco e ch’io ti guidi?
[27]
Napoli l’ha, e da Brandizio è tolto.
[31]
A sofferir tormenti, caldi e geli
[40]
e disïar vedeste sanza frutto
[43]
io dico d’Aristotile e di Plato
[44]
e di molt’ altri»; e qui chinò la fronte,
[45]
e più non disse, e rimase turbato.
[49]
Tra Lerice e Turbìa la più diserta,
[51]
verso di quella, agevole e aperta.
[55]
E mentre ch’e’ tenendo ’l viso basso
[57]
e io mirava suso intorno al sasso,
[60]
e non pareva, sì venïan lente.
[64]
Guardò allora, e con libero piglio
[66]
e tu ferma la spene, dolce figlio».
[71]
de l’alta ripa, e stetter fermi e stretti
[80]
a una, a due, a tre, e l’altre stanno
[81]
timidette atterrando l’occhio e ’l muso;
[82]
e ciò che fa la prima, e l’altre fanno,
[84]
semplici e quete, e lo ’mperché non sanno;
[87]
pudica in faccia e ne l’andare onesta.
[91]
restaro, e trasser sé in dietro alquanto,
[92]
e tutti li altri che venieno appresso,
[100]
Così ’l maestro; e quella gente degna
[103]
E un di loro incominciò: «Chiunque
[106]
Io mi volsi ver’ lui e guardail fiso:
[107]
biondo era e bello e di gentile aspetto,
[111]
e mostrommi una piaga a sommo ’l petto.
[116]
de l’onor di Cicilia e d’Aragona,
[117]
e dichi ’l vero a lei, s’altro si dice.
[130]
Or le bagna la pioggia e move il vento
[132]
dov’ e’ le trasmutò a lume spento.
[144]
come m’hai visto, e anco esto divieto;
38. Purgatorio • Canto IV
[5]
e questo è contra quello error che crede
[7]
E però, quando s’ode cosa o vede
[9]
vassene ’l tempo e l’uom non se n’avvede;
[11]
e altra è quella c’ha l’anima intera:
[12]
questa è quasi legata e quella è sciolta.
[14]
udendo quello spirto e ammirando;
[16]
lo sole, e io non m’era accorto, quando
[23]
lo duca mio, e io appresso, soli,
[25]
Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
[26]
montasi su in Bismantova e ’n Cacume
[28]
dico con l’ale snelle e con le piume
[30]
che speranza mi dava e facea lume.
[32]
e d’ogne lato ne stringea lo stremo,
[33]
e piedi e man volea il suol di sotto.
[41]
e la costa superba più assai
[44]
«O dolce padre, volgiti, e rimira
[56]
poscia li alzai al sole, e ammirava
[60]
ove tra noi e Aquilone intrava.
[61]
Ond’ elli a me: «Se Castore e Poluce
[63]
che sù e giù del suo lume conduce,
[71]
e diversi emisperi; onde la strada
[81]
e che sempre riman tra ’l sole e ’l verno,
[90]
e quant’ om più va sù, e men fa male.
[96]
Più non rispondo, e questo so per vero».
[97]
E com’ elli ebbe sua parola detta,
[101]
e vedemmo a mancina un gran petrone,
[103]
Là ci traemmo; e ivi eran persone
[106]
E un di lor, che mi sembiava lasso,
[107]
sedeva e abbracciava le ginocchia,
[112]
Allor si volse a noi e puose mente,
[114]
e disse: «Or va tu sù, che se’ valente!».
[115]
Conobbi allor chi era, e quella angoscia
[117]
non m’impedì l’andare a lui; e poscia
[121]
Li atti suoi pigri e le corte parole
[136]
E già il poeta innanzi mi saliva,
[137]
e dicea: «Vienne omai; vedi ch’è tocco
[138]
meridïan dal sole e a la riva
39. Purgatorio • Canto V
[2]
e seguitava l’orme del mio duca,
[6]
e come vivo par che si conduca!».
[8]
e vidile guardar per maraviglia
[9]
pur me, pur me, e ’l lume ch’era rotto.
[13]
Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
[22]
E ’ntanto per la costa di traverso
[27]
mutar lor canto in un «oh!» lungo e roco;
[28]
e due di loro, in forma di messaggi,
[29]
corsero incontr’ a noi e dimandarne:
[31]
E ’l mio maestro: «Voi potete andarne
[32]
e ritrarre a color che vi mandaro
[41]
e, giunti là, con li altri a noi dier volta,
[44]
e vegnonti a pregar», disse ’l poeta:
[45]
«però pur va, e in andando ascolta».
[53]
e peccatori infino a l’ultima ora;
[55]
sì che, pentendo e perdonando, fora
[58]
E io: «Perché ne’ vostri visi guati,
[61]
voi dite, e io farò per quella pace
[64]
E uno incominciò: «Ciascun si fida
[69]
che siede tra Romagna e quel di Carlo,
[82]
Corsi al palude, e le cannucce e ’l braco
[83]
m’impigliar sì ch’i’ caddi; e lì vid’ io
[91]
E io a lui: «Qual forza o qual ventura
[99]
fuggendo a piede e sanguinando il piano.
[100]
Quivi perdei la vista e la parola;
[101]
nel nome di Maria fini’, e quivi
[102]
caddi, e rimase la mia carne sola.
[103]
Io dirò vero, e tu ’l ridì tra ’ vivi:
[104]
l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno
[113]
con lo ’ntelletto, e mosse il fummo e ’l vento
[117]
di nebbia; e ’l ciel di sopra fece intento,
[119]
la pioggia cadde, e a’ fossati venne
[121]
e come ai rivi grandi si convenne,
[125]
trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse
[126]
ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce
[128]
voltòmmi per le ripe e per lo fondo,
[129]
poi di sua preda mi coperse e cinse».
[131]
e riposato de la lunga via»,
40. Purgatorio • Canto VI
[3]
repetendo le volte, e tristo impara;
[5]
qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,
[6]
e qual dallato li si reca a mente;
[7]
el non s’arresta, e questo e quello intende;
[9]
e così da la calca si difende.
[11]
volgendo a loro, e qua e là, la faccia,
[12]
e promettendo mi sciogliea da essa.
[15]
e l’altro ch’annegò correndo in caccia.
[17]
Federigo Novello, e quel da Pisa
[19]
Vidi conte Orso e l’anima divisa
[20]
dal corpo suo per astio e per inveggia,
[21]
com’ e’ dicea, non per colpa commisa;
[22]
Pier da la Broccia dico; e qui proveggia,
[31]
e questa gente prega pur di questo:
[35]
e la speranza di costor non falla,
[40]
e là dov’ io fermai cotesto punto,
[45]
che lume fia tra ’l vero e lo ’ntelletto.
[48]
di questo monte, ridere e felice».
[49]
E io: «Segnore, andiamo a maggior fretta,
[51]
e vedi omai che ’l poggio l’ombra getta».
[62]
come ti stavi altera e disdegnosa
[63]
e nel mover de li occhi onesta e tarda!
[69]
e quella non rispuose al suo dimando,
[70]
ma di nostro paese e de la vita
[71]
ci ’nchiese; e ’l dolce duca incominciava
[72]
«Mantüa . . . », e l’ombra, tutta in sé romita,
[75]
de la tua terra!»; e l’un l’altro abbracciava.
[82]
e ora in te non stanno sanza guerra
[83]
li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode
[84]
di quei ch’un muro e una fossa serra.
[86]
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
[92]
e lasciar seder Cesare in la sella,
[98]
costei ch’è fatta indomita e selvaggia,
[99]
e dovresti inforcar li suoi arcioni,
[101]
sovra ’l tuo sangue, e sia novo e aperto,
[103]
Ch’avete tu e ’l tuo padre sofferto,
[106]
Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
[107]
Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
[108]
color già tristi, e questi con sospetti!
[109]
Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura
[110]
d’i tuoi gentili, e cura lor magagne;
[111]
e vedrai Santafior com’ è oscura!
[113]
vedova e sola, e dì e notte chiama:
[116]
e se nulla di noi pietà ti move,
[118]
E se licito m’è, o sommo Giove
[125]
son di tiranni, e un Marcel diventa
[130]
Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
[135]
sanza chiamare, e grida: «I’ mi sobbarco!».
[137]
tu ricca, tu con pace e tu con senno!
[139]
Atene e Lacedemona, che fenno
[140]
l’antiche leggi e furon sì civili,
[146]
legge, moneta, officio e costume
[147]
hai tu mutato, e rinovate membre!
[148]
E se ben ti ricordi e vedi lume,
41. Purgatorio • Canto VII
[1]
Poscia che l’accoglienze oneste e liete
[2]
furo iterate tre e quattro volte,
[3]
Sordel si trasse, e disse: «Voi, chi siete?».
[7]
Io son Virgilio; e per null’ altro rio
[11]
sùbita vede ond’ e’ si maraviglia,
[12]
che crede e non, dicendo «Ella è . . . non è . . . »,
[13]
tal parve quelli; e poi chinò le ciglia,
[14]
e umilmente ritornò ver’ lui,
[15]
e abbracciòl là ’ve ’l minor s’appiglia.
[21]
dimmi se vien d’inferno, e di qual chiostra».
[24]
virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno.
[27]
e che fu tardi per me conosciuto.
[35]
virtù non si vestiro, e sanza vizio
[36]
conobber l’altre e seguir tutte quante.
[37]
Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio
[41]
licito m’è andar suso e intorno;
[44]
e andar sù di notte non si puote;
[48]
e non sanza diletto ti fier note».
[52]
E ’l buon Sordello in terra fregò ’l dito,
[59]
e passeggiar la costa intorno errando,
[69]
e là il novo giorno attenderemo».
[70]
Tra erto e piano era un sentiero schembo,
[73]
Oro e argento fine, cocco e biacca,
[74]
indaco, legno lucido e sereno,
[76]
da l’erba e da li fior, dentr’ a quel seno
[81]
vi facea uno incognito e indistinto.
[82]
‘Salve, Regina’ in sul verde e ’n su’ fiori
[88]
Di questo balzo meglio li atti e ’ volti
[91]
Colui che più siede alto e fa sembianti
[93]
e che non move bocca a li altrui canti,
[99]
che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta:
[100]
Ottacchero ebbe nome, e ne le fasce
[102]
barbuto, cui lussuria e ozio pasce.
[103]
E quel nasetto che stretto a consiglio
[105]
morì fuggendo e disfiorando il giglio:
[109]
Padre e suocero son del mal di Francia:
[110]
sanno la vita sua viziata e lorda,
[111]
e quindi viene il duol che sì li lancia.
[112]
Quel che par sì membruto e che s’accorda,
[115]
e se re dopo lui fosse rimaso
[119]
Iacomo e Federigo hanno i reami;
[122]
l’umana probitate; e questo vole
[126]
onde Puglia e Proenza già si dole.
[128]
quanto, più che Beatrice e Margherita,
[135]
per cui e Alessandria e la sua guerra
[136]
fa pianger Monferrato e Canavese».
42. Purgatorio • Canto VIII
[2]
ai navicanti e ’ntenerisce il core
[4]
e che lo novo peregrin d’amore
[8]
l’udire e a mirare una de l’alme
[10]
Ella giunse e levò ambo le palme,
[14]
le uscìo di bocca e con sì dolci note,
[16]
e l’altre poi dolcemente e devote
[24]
quasi aspettando, palido e umìle;
[25]
e vidi uscir de l’alto e scender giùe
[27]
tronche e private de le punte sue.
[30]
percosse traean dietro e ventilate.
[32]
e l’altro scese in l’opposita sponda,
[41]
mi volsi intorno, e stretto m’accostai,
[43]
E Sordello anco: «Or avvalliamo omai
[44]
tra le grandi ombre, e parleremo ad esse;
[47]
e fui di sotto, e vidi un che mirava
[50]
ma non sì che tra li occhi suoi e ’ miei
[52]
Ver’ me si fece, e io ver’ lui mi fei:
[59]
venni stamane, e sono in prima vita,
[61]
E come fu la mia risposta udita,
[64]
L’uno a Virgilio e l’altro a un si volse
[88]
E ’l duca mio: «Figliuol, che là sù guarde?».
[89]
E io a lui: «A quelle tre facelle
[93]
e queste son salite ov’ eran quelle».
[94]
Com’ ei parlava, e Sordello a sé il trasse
[96]
e drizzò il dito perché ’n là guardasse.
[100]
Tra l’erba e ’ fior venìa la mala striscia,
[101]
volgendo ad ora ad or la testa, e ’l dosso
[103]
Io non vidi, e però dicer non posso,
[105]
ma vidi bene e l’uno e l’altro mosso.
[107]
fuggì ’l serpente, e li angeli dier volta,
[125]
grida i segnori e grida la contrada,
[127]
e io vi giuro, s’io di sopra vada,
[129]
del pregio de la borsa e de la spada.
[130]
Uso e natura sì la privilegia,
[132]
sola va dritta e ’l mal cammin dispregia».
[135]
con tutti e quattro i piè cuopre e inforca,
43. Purgatorio • Canto IX
[7]
e la notte, de’ passi con che sale,
[9]
e ’l terzo già chinava in giuso l’ale;
[12]
là ’ve già tutti e cinque sedavamo.
[16]
e che la mente nostra, peregrina
[17]
più da la carne e men da’ pensier presa,
[21]
con l’ali aperte e a calare intesa;
[26]
pur qui per uso, e forse d’altro loco
[30]
e me rapisse suso infino al foco.
[31]
Ivi parea che ella e io ardesse;
[32]
e sì lo ’ncendio imaginato cosse,
[36]
e non sappiendo là dove si fosse,
[41]
mi fuggì ’l sonno, e diventa’ ismorto,
[44]
e ’l sole er’ alto già più che due ore,
[45]
e ’l viso m’era a la marina torto.
[55]
venne una donna, e disse: “I’ son Lucia;
[58]
Sordel rimase e l’altre genti forme;
[59]
ella ti tolse, e come ’l dì fu chiaro,
[60]
sen venne suso; e io per le sue orme.
[63]
poi ella e ’l sonno ad una se n’andaro».
[65]
e che muta in conforto sua paura,
[67]
mi cambia’ io; e come sanza cura
[69]
si mosse, e io di rietro inver’ l’altura.
[71]
la mia matera, e però con più arte
[76]
vidi una porta, e tre gradi di sotto
[78]
e un portier ch’ancor non facea motto.
[79]
E come l’occhio più e più v’apersi,
[82]
e una spada nuda avëa in mano,
[94]
Là ne venimmo; e lo scaglion primaio
[95]
bianco marmo era sì pulito e terso,
[98]
d’una petrina ruvida e arsiccia,
[99]
crepata per lo lungo e per traverso.
[110]
misericordia chiesi e ch’el m’aprisse,
[113]
col punton de la spada, e «Fa che lavi,
[117]
e di sotto da quel trasse due chiavi.
[118]
L’una era d’oro e l’altra era d’argento;
[119]
pria con la bianca e poscia con la gialla
[125]
d’arte e d’ingegno avanti che diserri,
[127]
Da Pier le tegno; e dissemi ch’i’ erri
[133]
E quando fuor ne’ cardini distorti
[135]
che di metallo son sonanti e forti,
[140]
e ‘Te Deum laudamus’ mi parea
44. Purgatorio • Canto X
[5]
e s’io avesse li occhi vòlti ad essa,
[8]
che si moveva e d’una e d’altra parte,
[9]
sì come l’onda che fugge e s’appressa.
[13]
E questo fece i nostri passi scarsi,
[17]
ma quando fummo liberi e aperti
[19]
ïo stancato e amendue incerti
[25]
e quanto l’occhio mio potea trar d’ale,
[26]
or dal sinistro e or dal destro fianco,
[31]
esser di marmo candido e addorno
[43]
e avea in atto impressa esta favella
[49]
Per ch’i’ mi mossi col viso, e vedea
[53]
per ch’io varcai Virgilio, e fe’mi presso,
[56]
lo carro e ’ buoi, traendo l’arca santa,
[58]
Dinanzi parea gente; e tutta quanta,
[62]
che v’era imaginato, li occhi e ’l naso
[63]
e al sì e al no discordi fensi.
[66]
e più e men che re era in quel caso.
[69]
sì come donna dispettosa e trista.
[77]
e una vedovella li era al freno,
[78]
di lagrime atteggiata e di dolore.
[79]
Intorno a lui parea calcato e pieno
[80]
di cavalieri, e l’aguglie ne l’oro
[86]
tanto ch’i’ torni»; e quella: «Segnor mio»,
[93]
giustizia vuole e pietà mi ritene».
[99]
e per lo fabbro loro a veder care,
[104]
per veder novitadi ond’ e’ son vaghi,
[114]
e non so che, sì nel veder vaneggio».
[118]
Ma guarda fiso là, e disviticchia
[136]
Vero è che più e meno eran contratti
[137]
secondo ch’avien più e meno a dosso;
[138]
e qual più pazïenza avea ne li atti,
45. Purgatorio • Canto XI
[4]
laudato sia ’l tuo nome e ’l tuo valore
[16]
E come noi lo mal ch’avem sofferto
[17]
perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
[18]
benigno, e non guardar lo nostro merto.
[25]
Così a sé e noi buona ramogna
[29]
e lasse su per la prima cornice,
[32]
di qua che dire e far per lor si puote
[35]
che portar quinci, sì che, mondi e lievi,
[37]
«Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi
[41]
si va più corto; e se c’è più d’un varco,
[50]
con noi venite, e troverete il passo
[52]
E s’io non fossi impedito dal sasso
[55]
cotesti, ch’ancor vive e non si noma,
[57]
e per farlo pietoso a questa soma.
[58]
Io fui latino e nato d’un gran Tosco:
[61]
L’antico sangue e l’opere leggiadre
[66]
e sallo in Campagnatico ogne fante.
[67]
Io sono Omberto; e non pur a me danno
[70]
E qui convien ch’io questo peso porti
[74]
e un di lor, non questi che parlava,
[76]
e videmi e conobbemi e chiamava,
[80]
l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’ arte
[84]
l’onore è tutto or suo, e mio in parte.
[89]
e ancor non sarei qui, se non fosse
[95]
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
[98]
la gloria de la lingua; e forse è nato
[99]
chi l’uno e l’altro caccerà del nido.
[101]
di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,
[102]
e muta nome perché muta lato.
[105]
anzi che tu lasciassi il ‘pappo’ e ’l ‘dindi’,
[111]
e ora a pena in Siena sen pispiglia,
[116]
che viene e va, e quei la discolora
[118]
E io a lui: «Tuo vero dir m’incora
[119]
bona umiltà, e gran tumor m’appiani;
[124]
Ito è così e va, sanza riposo,
[127]
E io: «Se quello spirito ch’attende,
[129]
qua giù dimora e qua sù non ascende,
[136]
e lì, per trar l’amico suo di pena,
[137]
ch’e’ sostenea ne la prigion di Carlo,
[139]
Più non dirò, e scuro so che parlo;
46. Purgatorio • Canto XII
[4]
Ma quando disse: «Lascia lui e varca;
[5]
ché qui è buono con l’ali e coi remi,
[9]
mi rimanessero e chinati e scemi.
[10]
Io m’era mosso, e seguia volontieri
[11]
del mio maestro i passi, e amendue
[31]
Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte,
[35]
quasi smarrito, e riguardar le genti
[39]
tra sette e sette tuoi figliuoli spenti!
[54]
e come, morto lui, quivi il lasciaro.
[55]
Mostrava la ruina e ’l crudo scempio
[57]
«Sangue sitisti, e io di sangue t’empio».
[60]
e anche le reliquie del martiro.
[61]
Vedeva Troia in cenere e in caverne;
[62]
o Ilïón, come te basso e vile
[65]
che ritraesse l’ombre e ’ tratti ch’ivi
[67]
Morti li morti e i vivi parean vivi:
[70]
Or superbite, e via col viso altero,
[71]
figliuoli d’Eva, e non chinate il volto
[74]
e del cammin del sole assai più speso
[82]
Di reverenza il viso e li atti addorna,
[89]
biancovestito e ne la faccia quale
[91]
Le braccia aperse, e indi aperse l’ale;
[93]
e agevolemente omai si sale.
[105]
ch’era sicuro il quaderno e la doga;
[108]
ma quinci e quindi l’alta pietra rade.
[114]
s’entra, e là giù per lamenti feroci.
[131]
e cerca e truova e quello officio adempie
[133]
e con le dita de la destra scempie
47. Purgatorio • Canto XIII
[8]
parsi la ripa e parsi la via schietta
[15]
e la sinistra parte di sé torse.
[25]
e verso noi volar furon sentiti,
[30]
e dietro a noi l’andò reïterando.
[31]
E prima che del tutto non si udisse
[33]
passò gridando, e anco non s’affisse.
[35]
E com’ io domandai, ecco la terza
[37]
E ’l buon maestro: «Questo cinghio sferza
[38]
la colpa de la invidia, e però sono
[44]
e vedrai gente innanzi a noi sedersi,
[45]
e ciascun è lungo la grotta assiso».
[47]
guarda’mi innanzi, e vidi ombre con manti
[49]
E poi che fummo un poco più avanti,
[51]
gridar ‘Michele’ e ‘Pietro’ e ‘Tutti santi’.
[59]
e l’un sofferia l’altro con la spalla,
[60]
e tutti da la ripa eran sofferti.
[63]
e l’uno il capo sopra l’altro avvalla,
[67]
E come a li orbi non approda il sole,
[71]
e cusce sì, come a sparvier selvaggio
[77]
e però non attese mia dimanda,
[78]
ma disse: «Parla, e sie breve e arguto».
[85]
Volsimi a loro e: «O gente sicura»,
[91]
ditemi, ché mi fia grazioso e caro,
[93]
e forse lei sarà buon s’i’ l’apparo».
[101]
in vista; e se volesse alcun dir ‘Come?’,
[106]
«Io fui sanese», rispuose, «e con questi
[110]
fossi chiamata, e fui de li altrui danni
[112]
E perché tu non creda ch’io t’inganni,
[117]
e io pregava Iddio di quel ch’e’ volle.
[118]
Rotti fuor quivi e vòlti ne li amari
[119]
passi di fuga; e veggendo la caccia,
[125]
de la mia vita; e ancor non sarebbe
[131]
vai dimandando, e porti li occhi sciolti,
[132]
sì com’ io credo, e spirando ragioni?».
[141]
E io: «Costui ch’è meco e non fa motto.
[142]
E vivo sono; e però mi richiedi,
[148]
E cheggioti, per quel che tu più brami,
[152]
che spera in Talamone, e perderagli
48. Purgatorio • Canto XIV
[3]
e apre li occhi a sua voglia e coverchia?».
[4]
«Non so chi sia, ma so ch’e’ non è solo;
[6]
e dolcemente, sì che parli, acco’lo».
[10]
e disse l’uno: «O anima che fitta
[12]
per carità ne consola e ne ditta
[13]
onde vieni e chi se’; ché tu ne fai
[16]
E io: «Per mezza Toscana si spazia
[18]
e cento miglia di corso nol sazia.
[25]
E l’altro disse lui: «Perché nascose
[28]
E l’ombra che di ciò domandata era,
[48]
e da lor disdegnosa torce il muso.
[49]
Vassi caggendo; e quant’ ella più ’ngrossa,
[51]
la maladetta e sventurata fossa.
[56]
e buon sarà costui, s’ancor s’ammenta
[60]
del fiero fiume, e tutti li sgomenta.
[63]
molti di vita e sé di pregio priva.
[71]
stava a udir, turbarsi e farsi trista,
[73]
Lo dir de l’una e de l’altra la vista
[75]
e dimanda ne fei con prieghi mista;
[88]
Questi è Rinier; questi è ’l pregio e l’onore
[91]
E non pur lo suo sangue è fatto brullo,
[92]
tra ’l Po e ’l monte e la marina e ’l Reno,
[93]
del ben richesto al vero e al trastullo;
[97]
Ov’ è ’l buon Lizio e Arrigo Mainardi?
[98]
Pier Traversaro e Guido di Carpigna?
[106]
Federigo Tignoso e sua brigata,
[107]
la casa Traversara e li Anastagi
[108]
(e l’una gente e l’altra è diretata),
[109]
le donne e ’ cavalier, li affanni e li agi
[110]
che ne ’nvogliava amore e cortesia
[114]
e molta gente per non esser ria?
[116]
e mal fa Castrocaro, e peggio Conio,
[134]
e fuggì come tuon che si dilegua,
[140]
e allor, per ristrignermi al poeta,
[141]
in destro feci, e non innanzi, il passo.
[147]
e però poco val freno o richiamo.
[148]
Chiamavi ’l cielo e ’ntorno vi si gira,
[150]
e l’occhio vostro pur a terra mira;
49. Purgatorio • Canto XV
[2]
e ’l principio del dì par de la spera
[6]
vespero là, e qui mezza notte era.
[7]
E i raggi ne ferien per mezzo ’l naso,
[12]
e stupor m’eran le cose non conte;
[14]
de le mie ciglia, e fecimi ’l solecchio,
[19]
a quel che scende, e tanto si diparte
[21]
sì come mostra esperïenza e arte;
[27]
diss’ io, «e pare inver’ noi esser mosso?».
[38]
e ‘Beati misericordes!’ fue
[39]
cantato retro, e ‘Godi tu che vinci!’.
[40]
Lo mio maestro e io soli amendue
[41]
suso andavamo; e io pensai, andando,
[43]
e dirizza’mi a lui sì dimandando:
[45]
e ‘divieto’ e ‘consorte’ menzionando?».
[47]
conosce il danno; e però non s’ammiri
[57]
e più di caritate arde in quel chiostro».
[60]
e più di dubbio ne la mente aduno.
[67]
Quello infinito e ineffabil bene
[73]
E quanta gente più là sù s’intende,
[74]
più v’è da bene amare, e più vi s’ama,
[75]
e come specchio l’uno a l’altro rende.
[76]
E se la mia ragion non ti disfama,
[78]
ti torrà questa e ciascun’ altra brama.
[87]
e vedere in un tempio più persone;
[88]
e una donna, in su l’entrar, con atto
[91]
Ecco, dolenti, lo tuo padre e io
[92]
ti cercavamo». E come qui si tacque,
[97]
e dir: «Se tu se’ sire de la villa
[99]
e onde ogne scïenza disfavilla,
[102]
E ’l segnor mi parea, benigno e mite,
[109]
E lui vedea chinarsi, per la morte
[122]
velando li occhi e con le gambe avvolte,
[141]
contra i raggi serotini e lucenti.
[145]
Questo ne tolse li occhi e l’aere puro.
50. Purgatorio • Canto XVI
[1]
Buio d’inferno e di notte privata
[8]
onde la scorta mia saputa e fida
[9]
mi s’accostò e l’omero m’offerse.
[11]
per non smarrirsi e per non dar di cozzo
[13]
m’andava io per l’aere amaro e sozzo,
[16]
Io sentia voci, e ciascuna pareva
[17]
pregar per pace e per misericordia
[20]
una parola in tutte era e un modo,
[24]
e d’iracundia van solvendo il nodo».
[26]
e di noi parli pur come se tue
[30]
e domanda se quinci si va sùe».
[31]
E io: «O creatura che ti mondi
[35]
rispuose; «e se veder fummo non lascia,
[39]
e venni qui per l’infernale ambascia.
[40]
E se Dio m’ha in sua grazia rinchiuso,
[44]
ma dilmi, e dimmi s’i’ vo bene al varco;
[45]
e tue parole fier le nostre scorte».
[46]
«Lombardo fui, e fu’ chiamato Marco;
[47]
del mondo seppi, e quel valore amai
[50]
Così rispuose, e soggiunse: «I’ ti prego
[52]
E io a lui: «Per fede mi ti lego
[55]
Prima era scempio, e ora è fatto doppio
[57]
qui, e altrove, quello ov’ io l’accoppio.
[60]
e di malizia gravido e coverto;
[62]
sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui;
[63]
ché nel cielo uno, e un qua giù la pone».
[65]
mise fuor prima; e poi cominciò: «Frate,
[66]
lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui.
[71]
libero arbitrio, e non fora giustizia
[72]
per ben letizia, e per male aver lutto.
[75]
lume v’è dato a bene e a malizia,
[76]
e libero voler; che, se fatica
[79]
A maggior forza e a miglior natura
[80]
liberi soggiacete; e quella cria
[84]
e io te ne sarò or vera spia.
[87]
che piangendo e ridendo pargoleggia,
[92]
quivi s’inganna, e dietro ad esso corre,
[102]
di quel si pasce, e più oltre non chiede.
[105]
e non natura che ’n voi sia corrotta.
[107]
due soli aver, che l’una e l’altra strada
[108]
facean vedere, e del mondo e di Deo.
[110]
col pasturale, e l’un con l’altro insieme
[115]
In sul paese ch’Adice e Po riga,
[116]
solea valore e cortesia trovarsi,
[122]
l’antica età la nova, e par lor tardo
[124]
Currado da Palazzo e ’l buon Gherardo
[125]
e Guido da Castel, che mei si noma,
[129]
cade nel fango, e sé brutta e la soma».
[131]
e or discerno perché dal retaggio
[143]
già biancheggiare, e me convien partirmi
[145]
Così tornò, e più non volle udirmi.
51. Purgatorio • Canto XVII
[4]
come, quando i vapori umidi e spessi
[7]
e fia la tua imagine leggera
[22]
e qui fu la mia mente sì ristretta
[26]
un crucifisso, dispettoso e fero
[27]
ne la sua vista, e cotal si moria;
[29]
Estèr sua sposa e ’l giusto Mardoceo,
[30]
che fu al dire e al far così intero.
[31]
E come questa imagine rompeo
[35]
piangendo forte, e dicea: «O regina,
[49]
e fece la mia voglia tanto pronta
[53]
e per soverchio sua figura vela,
[57]
e col suo lume sé medesmo cela.
[59]
ché quale aspetta prego e l’uopo vede,
[64]
Così disse il mio duca, e io con lui
[66]
e tosto ch’io al primo grado fui,
[68]
e ventarmi nel viso e dir: ‘Beati
[79]
E io attesi un poco, s’io udissi
[81]
poi mi volsi al maestro mio, e dissi:
[89]
volgi la mente a me, e prenderai
[93]
o naturale o d’animo; e tu ’l sai.
[98]
e ne’ secondi sé stesso misura,
[105]
e d’ogne operazion che merta pene.
[109]
e perché intender non si può diviso,
[110]
e per sé stante, alcuno esser dal primo,
[116]
spera eccellenza, e sol per questo brama
[118]
è chi podere, grazia, onore e fama
[123]
e tal convien che ’l male altrui impronti.
[128]
nel qual si queti l’animo, e disira;
[135]
essenza, d’ogne ben frutto e radice.
52. Purgatorio • Canto XVIII
[2]
l’alto dottore, e attento guardava
[4]
e io, cui nova sete ancor frugava,
[5]
di fuor tacea, e dentro dicea: ‘Forse
[15]
ogne buono operare e ’l suo contraro».
[17]
de lo ’ntelletto, e fieti manifesto
[23]
tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,
[25]
e se, rivolto, inver’ di lei si piega,
[32]
ch’è moto spiritale, e mai non posa
[40]
«Le tue parole e ’l mio seguace ingegno»,
[44]
e l’anima non va con altro piede,
[57]
e de’ primi appetibili l’affetto,
[59]
di far lo mele; e questa prima voglia
[63]
e de l’assenso de’ tener la soglia.
[66]
che buoni e rei amori accoglie e viglia.
[74]
per lo libero arbitrio, e però guarda
[79]
e correa contro ’l ciel per quelle strade
[81]
tra ’ Sardi e ’ Corsi il vede quando cade.
[82]
E quell’ ombra gentil per cui si noma
[85]
per ch’io, che la ragione aperta e piana
[91]
E quale Ismeno già vide e Asopo
[92]
lungo di sè di notte furia e calca,
[96]
cui buon volere e giusto amor cavalca.
[99]
e due dinanzi gridavan piangendo:
[101]
e Cesare, per soggiogare Ilerda,
[102]
punse Marsilia e poi corse in Ispagna».
[107]
ricompie forse negligenza e indugio
[109]
questi che vive, e certo i’ non vi bugio,
[113]
e un di quelli spirti disse: «Vieni
[114]
di retro a noi, e troverai la buca.
[121]
E tale ha già l’un piè dentro la fossa,
[123]
e tristo fia d’avere avuta possa;
[125]
e de la mente peggio, e che mal nacque,
[129]
ma questo intesi, e ritener mi piacque.
[130]
E quei che m’era ad ogne uopo soccorso
[136]
E quella che l’affanno non sofferse
[142]
del qual più altri nacquero e diversi;
[143]
e tanto d’uno in altro vaneggiai,
[145]
e ’l pensamento in sogno trasmutai.
53. Purgatorio • Canto XIX
[3]
vinto da terra, e talor da Saturno
[8]
ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta,
[9]
con le man monche, e di colore scialba.
[10]
Io la mirava; e come ’l sol conforta
[13]
la lingua, e poscia tutta la drizzava
[14]
in poco d’ora, e lo smarrito volto,
[23]
al canto mio; e qual meco s’ausa,
[26]
quand’ una donna apparve santa e presta
[31]
L’altra prendea, e dinanzi l’apria
[32]
fendendo i drappi, e mostravami ’l ventre;
[34]
Io mossi li occhi, e ’l buon maestro: «Almen tre
[35]
voci t’ho messe!», dicea, «Surgi e vieni;
[37]
Sù mi levai, e tutti eran già pieni
[39]
e andavam col sol novo a le reni.
[44]
parlare in modo soave e benigno,
[49]
Mosse le penne poi e ventilonne,
[55]
E io: «Con tanta sospeccion fa irmi
[61]
Bastiti, e batti a terra le calcagne;
[65]
indi si volge al grido e si protende
[67]
tal mi fec’ io; e tal, quanto si fende
[77]
e giustizia e speranza fa men duri,
[80]
e volete trovar la via più tosto,
[82]
Così pregò ’l poeta, e sì risposto
[85]
e volsi li occhi a li occhi al segnor mio:
[94]
Chi fosti e perché vòlti avete i dossi
[95]
al sù, mi dì, e se vuo’ ch’io t’impetri
[100]
Intra Sïestri e Chiaveri s’adima
[101]
una fiumana bella, e del suo nome
[103]
Un mese e poco più prova’ io come
[112]
Fino a quel punto misera e partita
[117]
e nulla pena il monte ha più amara.
[124]
ne’ piedi e ne le man legati e presi;
[125]
e quanto fia piacer del giusto Sire,
[126]
tanto staremo immobili e distesi».
[127]
Io m’era inginocchiato e volea dire;
[131]
E io a lui: «Per vostra dignitate
[135]
teco e con li altri ad una podestate.
[145]
e questa sola di là m’è rimasa».
54. Purgatorio • Canto XX
[4]
Mossimi; e ’l duca mio si mosse per li
[16]
Noi andavam con passi lenti e scarsi,
[17]
e io attento a l’ombre, ch’i’ sentia
[18]
pietosamente piangere e lagnarsi;
[19]
e per ventura udi’ «Dolce Maria!»
[22]
e seguitar: «Povera fosti tanto,
[35]
dimmi chi fosti», dissi, «e perché sola
[46]
Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia
[48]
e io la cheggio a lui che tutto giuggia.
[50]
di me son nati i Filippi e i Luigi
[56]
del governo del regno, e tanta possa
[57]
di nuovo acquisto, e sì d’amici pieno,
[64]
Lì cominciò con forza e con menzogna
[65]
la sua rapina; e poscia, per ammenda,
[66]
Pontì e Normandia prese e Guascogna.
[67]
Carlo venne in Italia e, per ammenda,
[68]
vittima fé di Curradino; e poi
[72]
per far conoscer meglio e sé e ’ suoi.
[73]
Sanz’ arme n’esce e solo con la lancia
[74]
con la qual giostrò Giuda, e quella ponta
[76]
Quindi non terra, ma peccato e onta
[80]
veggio vender sua figlia e patteggiarne
[85]
Perché men paia il mal futuro e ’l fatto,
[87]
e nel vicario suo Cristo esser catto.
[89]
veggio rinovellar l’aceto e ’l fiele,
[90]
e tra vivi ladroni esser anciso.
[98]
de lo Spirito Santo e che ti fece
[104]
cui traditore e ladro e paricida
[106]
e la miseria de l’avaro Mida,
[114]
e in infamia tutto ’l monte gira
[118]
Talor parla l’uno alto e l’altro basso,
[120]
ora a maggiore e ora a minor passo:
[125]
e brigavam di soverchiar la strada
[139]
No’ istavamo immobili e sospesi
[151]
così m’andava timido e pensoso.
55. Purgatorio • Canto XXI
[4]
mi travagliava, e pungeami la fretta
[6]
e condoleami a la giusta vendetta.
[10]
ci apparve un’ombra, e dietro a noi venìa,
[14]
Noi ci volgemmo sùbiti, e Virgilio
[19]
«Come!», diss’ elli, e parte andavam forte:
[22]
E ’l dottor mio: «Se tu riguardi a’ segni
[23]
che questi porta e che l’angel profila,
[24]
ben vedrai che coi buon convien ch’e’ regni.
[25]
Ma perché lei che dì e notte fila
[27]
che Cloto impone a ciascuno e compila,
[28]
l’anima sua, ch’è tua e mia serocchia,
[32]
d’inferno per mostrarli, e mosterrolli
[35]
diè dianzi ’l monte, e perché tutto ad una
[45]
esser ci puote, e non d’altro, cagione.
[60]
per salir sù; e tal grido seconda.
[63]
l’alma sorprende, e di voler le giova.
[67]
E io, che son giaciuto a questa doglia
[68]
cinquecent’ anni e più, pur mo sentii
[70]
però sentisti il tremoto e li pii
[73]
Così ne disse; e però ch’el si gode
[76]
E ’l savio duca: «Omai veggio la rete
[77]
che qui vi ’mpiglia e come si scalappia,
[78]
perché ci trema e di che congaudete.
[80]
e perché tanti secoli giaciuto
[85]
col nome che più dura e più onora
[92]
cantai di Tebe, e poi del grande Achille;
[98]
fummi, e fummi nutrice, poetando:
[100]
E per esser vivuto di là quando
[106]
ché riso e pianto son tanto seguaci
[110]
per che l’ombra si tacque, e riguardommi
[112]
e «Se tanto labore in bene assommi»,
[115]
Or son io d’una parte e d’altra preso:
[117]
ch’io dica; ond’ io sospiro, e sono inteso
[118]
dal mio maestro, e «Non aver paura»,
[119]
mi dice, «di parlar; ma parla e digli
[120]
quel ch’e’ dimanda con cotanta cura».
[126]
forte a cantar de li uomini e d’i dèi.
[132]
non far, ché tu se’ ombra e ombra vedi».
56. Purgatorio • Canto XXII
[4]
e quei c’hanno a giustizia lor disiro
[5]
detto n’avea beati, e le sue voci
[7]
E io più lieve che per l’altre foci
[19]
Ma dimmi, e come amico mi perdona
[21]
e come amico omai meco ragiona:
[35]
troppo da me, e questa dismisura
[37]
E se non fosse ch’io drizzai mia cura,
[44]
potean le mani a spendere, e pente’mi
[48]
toglie ’l penter vivendo e ne li stremi!
[49]
E sappie che la colpa che rimbecca
[66]
e prima appresso Dio m’alluminasti.
[68]
che porta il lume dietro e sé non giova,
[71]
torna giustizia e primo tempo umano,
[72]
e progenïe scende da ciel nova’.
[79]
e la parola tua sopra toccata
[85]
e mentre che di là per me si stette,
[86]
io li sovvenni, e i lor dritti costumi
[88]
E pria ch’io conducessi i Greci a’ fiumi
[92]
e questa tepidezza il quarto cerchio
[98]
Cecilio e Plauto e Varro, se lo sai:
[99]
dimmi se son dannati, e in qual vico».
[100]
«Costoro e Persio e io e altri assai»,
[106]
Euripide v’è nosco e Antifonte,
[107]
Simonide, Agatone e altri piùe
[110]
Antigone, Deïfile e Argia,
[111]
e Ismene sì trista come fue.
[113]
èvvi la figlia di Tiresia, e Teti,
[114]
e con le suore sue Deïdamia».
[117]
liberi da saliri e da pareti;
[118]
e già le quattro ancelle eran del giorno
[119]
rimase a dietro, e la quinta era al temo,
[125]
e prendemmo la via con men sospetto
[127]
Elli givan dinanzi, e io soletto
[128]
di retro, e ascoltava i lor sermoni,
[132]
con pomi a odorar soavi e buoni;
[133]
e come abete in alto si digrada
[138]
e si spandeva per le foglie suso.
[140]
e una voce per entro le fronde
[143]
fosser le nozze orrevoli e intere,
[145]
E le Romane antiche, per lor bere,
[146]
contente furon d’acqua; e Danïello
[147]
dispregiò cibo e acquistò savere.
[150]
e nettare con sete ogne ruscello.
[151]
Mele e locuste furon le vivande
[153]
per ch’elli è glorïoso e tanto grande
57. Purgatorio • Canto XXIII
[7]
Io volsi ’l viso, e ’l passo non men tosto,
[10]
Ed ecco piangere e cantar s’udìe
[12]
tal, che diletto e doglia parturìe.
[18]
che si volgono ad essa e non restanno,
[20]
venendo e trapassando ci ammirava
[21]
d’anime turba tacita e devota.
[22]
Ne li occhi era ciascuna oscura e cava,
[23]
palida ne la faccia, e tanto scema
[36]
e quel d’un’acqua, non sappiendo como?
[39]
di lor magrezza e di lor trista squama,
[41]
volse a me li occhi un’ombra e guardò fiso;
[48]
e ravvisai la faccia di Forese.
[62]
cade vertù ne l’acqua e ne la pianta
[66]
in fame e ’n sete qui si rifà santa.
[67]
Di bere e di mangiar n’accende cura
[68]
l’odor ch’esce del pomo e de lo sprazzo
[70]
E non pur una volta, questo spazzo
[72]
io dico pena, e dovria dir sollazzo,
[76]
E io a lui: «Forese, da quel dì
[88]
Con suoi prieghi devoti e con sospiri
[90]
e liberato m’ha de li altri giri.
[91]
Tanto è a Dio più cara e più diletta
[116]
qual fosti meco, e qual io teco fui,
[121]
e ’l sol mostrai; «costui per la profonda
[125]
salendo e rigirando la montagna
[131]
e addita’lo; «e quest’ altro è quell’ ombra
58. Purgatorio • Canto XXIV
[4]
e l’ombre, che parean cose rimorte,
[7]
E io, continüando al mio sermone,
[13]
«La mia sorella, che tra bella e buona
[16]
Sì disse prima; e poi: «Qui non si vieta
[19]
Questi», e mostrò col dito, «è Bonagiunta,
[20]
Bonagiunta da Lucca; e quella faccia
[23]
dal Torso fu, e purga per digiuno
[24]
l’anguille di Bolsena e la vernaccia».
[26]
e del nomar parean tutti contenti,
[29]
Ubaldin da la Pila e Bonifazio
[33]
e sì fu tal, che non si sentì sazio.
[34]
Ma come fa chi guarda e poi s’apprezza
[37]
El mormorava; e non so che «Gentucca»
[42]
e te e me col tuo parlare appaga».
[43]
«Femmina è nata, e non porta ancor benda»,
[52]
E io a lui: «I’ mi son un che, quando
[53]
Amor mi spira, noto, e a quel modo
[54]
ch’e’ ditta dentro vo significando».
[56]
che ’l Notaro e Guittone e me ritenne
[61]
e qual più a gradire oltre si mette,
[63]
e, quasi contentato, si tacette.
[66]
poi volan più a fretta e vanno in filo,
[69]
e per magrezza e per voler leggera.
[70]
E come l’uom che di trottare è lasso,
[71]
lascia andar li compagni, e sì passeggia
[74]
Forese, e dietro meco sen veniva,
[81]
e a trista ruina par disposto».
[87]
e lascia il corpo vilmente disfatto.
[89]
e drizzò li occhi al ciel, «che ti fia chiaro
[96]
e va per farsi onor del primo intoppo,
[98]
e io rimasi in via con esso i due
[100]
E quando innanzi a noi intrato fue,
[103]
parvermi i rami gravidi e vivaci
[104]
d’un altro pomo, e non molto lontani
[107]
e gridar non so che verso le fronde,
[108]
quasi bramosi fantolini e vani
[109]
che pregano, e ’l pregato non risponde,
[111]
tien alto lor disio e nol nasconde.
[113]
e noi venimmo al grande arbore adesso,
[114]
che tanti prieghi e lagrime rifiuta.
[117]
e questa pianta si levò da esso».
[119]
per che Virgilio e Stazio e io, ristretti,
[124]
e de li Ebrei ch’al ber si mostrar molli,
[131]
ben mille passi e più ci portar oltre,
[135]
come fan bestie spaventate e poltre.
[137]
e già mai non si videro in fornace
[138]
vetri o metalli sì lucenti e rossi,
[145]
E quale, annunziatrice de li albori,
[146]
l’aura di maggio movesi e olezza,
[147]
tutta impregnata da l’erba e da’ fiori;
[149]
la fronte, e ben senti’ mover la piuma,
[151]
E senti’ dir: «Beati cui alluma
59. Purgatorio • Canto XXV
[3]
lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio:
[10]
E quale il cicognin che leva l’ala
[11]
per voglia di volare, e non s’attenta
[12]
d’abbandonar lo nido, e giù la cala;
[13]
tal era io con voglia accesa e spenta
[20]
e cominciai: «Come si può far magro
[25]
e se pensassi come, al vostro guizzo,
[29]
ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego
[35]
figlio, la mente tua guarda e riceve,
[38]
da l’assetate vene, e si rimane
[44]
tacer che dire; e quindi poscia geme
[46]
Ivi s’accoglie l’uno e l’altro insieme,
[47]
l’un disposto a patire, e l’altro a fare
[49]
e, giunto lui, comincia ad operare
[50]
coagulando prima, e poi avviva
[54]
che questa è in via e quella è già a riva,
[55]
tanto ovra poi, che già si move e sente,
[56]
come spungo marino; e indi imprende
[68]
e sappi che, sì tosto come al feto
[71]
sovra tant’ arte di natura, e spira
[74]
in sua sustanzia, e fassi un’alma sola,
[75]
che vive e sente e sé in sé rigira.
[76]
E perché meno ammiri la parola,
[80]
solvesi da la carne, e in virtute
[81]
ne porta seco e l’umano e ’l divino:
[83]
memoria, intelligenza e volontade
[90]
così e quanto ne le membra vive.
[91]
E come l’aere, quand’ è ben pïorno,
[95]
e in quella forma ch’è in lui suggella
[97]
e simigliante poi a la fiammella
[101]
è chiamata ombra; e quindi organa poi
[103]
Quindi parliamo e quindi ridiam noi;
[104]
quindi facciam le lagrime e ’ sospiri
[107]
e li altri affetti, l’ombra si figura;
[108]
e quest’ è la cagion di che tu miri».
[109]
E già venuto a l’ultima tortura
[110]
s’era per noi, e vòlto a la man destra,
[113]
e la cornice spira fiato in suso
[114]
che la reflette e via da lei sequestra;
[116]
ad uno ad uno; e io temëa ’l foco
[117]
quinci, e quindi temeva cader giuso.
[124]
e vidi spirti per la fiamma andando;
[125]
per ch’io guardava a loro e a’ miei passi
[134]
gridavano e mariti che fuor casti
[135]
come virtute e matrimonio imponne.
[136]
E questo modo credo che lor basti
[138]
con tal cura conviene e con tai pasti
60. Purgatorio • Canto XXVI
[2]
ce n’andavamo, e spesso il buon maestro
[7]
e io facea con l’ombra più rovente
[8]
parer la fiamma; e pur a tanto indizio
[11]
loro a parlar di me; e cominciarsi
[18]
rispondi a me che ’n sete e ’n foco ardo.
[25]
Sì mi parlava un d’essi; e io mi fora
[32]
ciascun’ ombra e basciarsi una con una
[36]
forse a spïar lor via e lor fortuna.
[40]
la nova gente: «Soddoma e Gomorra»;
[41]
e l’altra: «Ne la vacca entra Pasife,
[44]
volasser parte, e parte inver’ l’arene,
[47]
e tornan, lagrimando, a’ primi canti
[48]
e al gridar che più lor si convene;
[49]
e raccostansi a me, come davanti,
[57]
col sangue suo e con le sue giunture.
[63]
ch’è pien d’amore e più ampio si spazia,
[65]
chi siete voi, e chi è quella turba
[68]
lo montanaro, e rimirando ammuta,
[69]
quando rozzo e salvatico s’inurba,
[81]
e aiutan l’arsura vergognando.
[88]
Or sai nostri atti e di che fummo rei:
[90]
tempo non è di dire, e non saprei.
[92]
son Guido Guinizzelli, e già mi purgo
[98]
mio e de li altri miei miglior che mai
[99]
rime d’amore usar dolci e leggiadre;
[100]
e sanza udire e dir pensoso andai
[107]
per quel ch’i’ odo, in me, e tanto chiaro,
[111]
nel dire e nel guardar d’avermi caro».
[112]
E io a lui: «Li dolci detti vostri,
[116]
col dito», e additò un spirto innanzi,
[118]
Versi d’amore e prose di romanzi
[119]
soverchiò tutti; e lascia dir li stolti
[122]
e così ferman sua oppinïone
[137]
e dissi ch’al suo nome il mio disire
[142]
Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
[144]
e vei jausen lo joi qu’esper, denan.
61. Purgatorio • Canto XXVII
[4]
e l’onde in Gange da nona rïarse,
[8]
e cantava ‘Beati mundo corde!’
[12]
e al cantar di là non siate sorde»,
[17]
guardando il foco e imaginando forte
[20]
e Virgilio mi disse: «Figliuol mio,
[22]
Ricorditi, ricorditi! E se io
[28]
E se tu forse credi ch’io t’inganni,
[29]
fatti ver’ lei, e fatti far credenza
[32]
volgiti in qua e vieni: entra sicuro!».
[33]
E io pur fermo e contra coscïenza.
[34]
Quando mi vide star pur fermo e duro,
[36]
tra Bëatrice e te è questo muro».
[38]
Piramo in su la morte, e riguardolla,
[43]
Ond’ ei crollò la fronte e disse: «Come!
[56]
di là; e noi, attenti pur a lei,
[60]
tal che mi vinse e guardar nol potei.
[61]
«Lo sol sen va», soggiunse, «e vien la sera;
[67]
E di pochi scaglion levammo i saggi,
[69]
sentimmo dietro e io e li miei saggi.
[70]
E pria che ’n tutte le sue parti immense
[72]
e notte avesse tutte sue dispense,
[75]
la possa del salir più e ’l diletto.
[77]
le capre, state rapide e proterve
[81]
poggiato s’è e lor di posa serve;
[82]
e quale il mandrïan che fori alberga,
[85]
tali eravamo tutti e tre allotta,
[87]
fasciati quinci e quindi d’alta grotta.
[90]
di lor solere e più chiare e maggiori.
[91]
Sì ruminando e sì mirando in quelle,
[97]
giovane e bella in sogno mi parea
[99]
cogliendo fiori; e cantando dicea:
[101]
ch’i’ mi son Lia, e vo movendo intorno
[105]
dal suo miraglio, e siede tutto giorno.
[108]
lei lo vedere, e me l’ovrare appaga».
[109]
E già per li splendori antelucani,
[113]
e ’l sonno mio con esse; ond’ io leva’mi,
[119]
parole usò; e mai non furo strenne
[125]
fu corsa e fummo in su ’l grado superno,
[127]
e disse: «Il temporal foco e l’etterno
[128]
veduto hai, figlio; e se’ venuto in parte
[130]
Tratto t’ho qui con ingegno e con arte;
[134]
vedi l’erbette, i fiori e li arbuscelli
[138]
seder ti puoi e puoi andar tra elli.
[140]
libero, dritto e sano è tuo arbitrio,
[141]
e fallo fora non fare a suo senno:
[142]
per ch’io te sovra te corono e mitrio».
62. Purgatorio • Canto XXVIII
[1]
Vago già di cercar dentro e dintorno
[2]
la divina foresta spessa e viva,
[34]
Coi piè ristetti e con li occhi passai
[37]
e là m’apparve, sì com’ elli appare
[41]
e cantando e scegliendo fior da fiore
[49]
Tu mi fai rimembrar dove e qual era
[53]
a terra e intra sé, donna che balli,
[54]
e piede innanzi piede a pena mette,
[55]
volsesi in su i vermigli e in su i gialli
[58]
e fece i prieghi miei esser contenti,
[74]
per mareggiare intra Sesto e Abido,
[76]
«Voi siete nuovi, e forse perch’ io rido»,
[82]
E tu che se’ dinanzi e mi pregasti,
[85]
«L’acqua», diss’ io, «e ’l suon de la foresta
[90]
e purgherò la nebbia che ti fiede.
[92]
fé l’uom buono e a bene, e questo loco
[95]
per sua difalta in pianto e in affanno
[96]
cambiò onesto riso e dolce gioco.
[98]
l’essalazion de l’acqua e de la terra,
[102]
e libero n’è d’indi ove si serra.
[108]
e fa sonar la selva perch’ è folta;
[109]
e la percossa pianta tanto puote,
[111]
e quella poi, girando, intorno scuote;
[112]
e l’altra terra, secondo ch’è degna
[113]
per sé e per suo ciel, concepe e figlia
[118]
E saper dei che la campagna santa
[120]
e frutto ha in sé che di là non si schianta.
[123]
come fiume ch’acquista e perde lena;
[124]
ma esce di fontana salda e certa,
[131]
Eünoè si chiama, e non adopra
[132]
se quinci e quindi pria non è gustato:
[134]
E avvegna ch’assai possa esser sazia
[140]
l’età de l’oro e suo stato felice,
[143]
qui primavera sempre e ogne frutto;
[146]
a’ miei poeti, e vidi che con riso
63. Purgatorio • Canto XXIX
[4]
E come ninfe che si givan sole
[8]
su per la riva; e io pari di lei,
[10]
Non eran cento tra ’ suoi passi e ’ miei,
[15]
dicendo: «Frate mio, guarda e ascolta».
[20]
e quel, durando, più e più splendeva,
[22]
E una melodia dolce correva
[25]
che là dove ubidia la terra e ’l cielo,
[26]
femmina, sola e pur testé formata,
[30]
sentite prima e più lunga fïata.
[33]
e disïoso ancora a più letizie,
[36]
e ’l dolce suon per canti era già inteso.
[41]
e Uranìe m’aiuti col suo coro
[45]
del mezzo ch’era ancor tra noi e loro;
[51]
e ne le voci del cantare ‘Osanna’.
[63]
e ciò che vien di retro a lor non guardi?».
[66]
e tal candor di qua già mai non fuci.
[68]
e rendea me la mia sinistra costa,
[73]
e vidi le fiammelle andar davante,
[75]
e di tratti pennelli avean sembiante;
[78]
onde fa l’arco il Sole e Delia il cinto.
[80]
che la mia vista; e, quanto a mio avviso,
[86]
ne le figlie d’Adamo, e benedette
[88]
Poscia che i fiori e l’altre fresche erbette
[95]
le penne piene d’occhi; e li occhi d’Argo,
[102]
venir con vento e con nube e con igne;
[103]
e quali i troverai ne le sue carte,
[105]
Giovanni è meco e da lui si diparte.
[109]
Esso tendeva in sù l’una e l’altra ale
[110]
tra la mezzana e le tre e tre liste,
[114]
e bianche l’altre, di vermiglio miste.
[124]
l’altr’ era come se le carni e l’ossa
[127]
e or parëan da la bianca tratte,
[128]
or da la rossa; e dal canto di questa
[129]
l’altre toglien l’andare e tarde e ratte.
[135]
ma pari in atto e onesto e sodo.
[140]
con una spada lucida e aguta,
[143]
e di retro da tutti un vecchio solo
[145]
E questi sette col primaio stuolo
[148]
anzi di rose e d’altri fior vermigli;
[151]
E quando il carro a me fu a rimpetto,
[152]
un tuon s’udì, e quelle genti degne
64. Purgatorio • Canto XXX
[4]
e che faceva lì ciascun accorto
[10]
e un di loro, quasi da ciel messo,
[12]
gridò tre volte, e tutti li altri appresso.
[18]
ministri e messaggier di vita etterna.
[20]
e fior gittando e di sopra e dintorno,
[24]
e l’altro ciel di bel sereno addorno;
[25]
e la faccia del sol nascere ombrata,
[30]
e ricadeva in giù dentro e di fori,
[34]
E lo spirito mio, che già cotanto
[58]
Quasi ammiraglio che in poppa e in prora
[60]
per li altri legni, e a ben far l’incora;
[72]
e ’l più caldo parlar dietro reserva:
[82]
Ella si tacque; e li angeli cantaro
[87]
soffiata e stretta da li venti schiavi,
[91]
così fui sanza lagrime e sospiri
[98]
spirito e acqua fessi, e con angoscia
[99]
de la bocca e de li occhi uscì del petto.
[108]
perché sia colpa e duol d’una misura.
[118]
Ma tanto più maligno e più silvestro
[119]
si fa ’l terren col mal seme e non cólto,
[125]
di mia seconda etade e mutai vita,
[126]
questi si tolse a me, e diessi altrui.
[128]
e bellezza e virtù cresciuta m’era,
[129]
fu’ io a lui men cara e men gradita;
[130]
e volse i passi suoi per via non vera,
[134]
con le quali e in sogno e altrimenti
[140]
e a colui che l’ha qua sù condotto,
[143]
se Letè si passasse e tal vivanda
65. Purgatorio • Canto XXXI
[8]
che la voce si mosse, e pria si spense
[13]
Confusione e paura insieme miste
[17]
da troppa tesa, la sua corda e l’arco,
[18]
e con men foga l’asta il segno tocca,
[20]
fuori sgorgando lagrime e sospiri,
[21]
e la voce allentò per lo suo varco.
[28]
E quali agevolezze o quali avanzi
[33]
e le labbra a fatica la formaro.
[44]
del tuo errore, e perché altra volta,
[46]
pon giù il seme del piangere e ascolta:
[51]
rinchiusa fui, e che so’ ’n terra sparte;
[52]
e se ’l sommo piacer sì ti fallio
[66]
e sé riconoscendo e ripentuti,
[69]
e prenderai più doglia riguardando».
[74]
e quando per la barba il viso chiese,
[76]
E come la mia faccia si distese,
[79]
e le mie luci, ancor poco sicure,
[82]
Sotto ’l suo velo e oltre la rivera
[89]
ch’io caddi vinto; e quale allora femmi,
[93]
sopra me vidi, e dicea: «Tiemmi, tiemmi!».
[95]
e tirandosi me dietro sen giva
[101]
abbracciommi la testa e mi sommerse
[103]
Indi mi tolse, e bagnato m’offerse
[105]
e ciascuna del braccio mi coperse.
[106]
«Noi siam qui ninfe e nel ciel siamo stelle;
[112]
Così cantando cominciaro; e poi
[126]
e ne l’idolo suo si trasmutava.
[127]
Mentre che piena di stupore e lieta
66. Purgatorio • Canto XXXII
[1]
Tant’ eran li occhi miei fissi e attenti
[4]
Ed essi quinci e quindi avien parete
[10]
e la disposizion ch’a veder èe
[14]
(e dico ‘al poco’ per rispetto al molto
[17]
lo glorïoso essercito, e tornarsi
[18]
col sole e con le sette fiamme al volto.
[20]
volgesi schiera, e sé gira col segno,
[26]
e ’l grifon mosse il benedetto carco
[29]
e Stazio e io seguitavam la rota
[39]
di foglie e d’altra fronda in ciascun ramo.
[47]
gridaron li altri; e l’animal binato:
[49]
E vòlto al temo ch’elli avea tirato,
[51]
e quel di lei a lei lasciò legato.
[55]
turgide fansi, e poi si rinovella
[58]
men che di rose e più che di vïole
[71]
e dico ch’un splendor mi squarciò ’l velo
[72]
del sonno, e un chiamar: «Surgi: che fai?».
[75]
e perpetüe nozze fa nel cielo,
[76]
Pietro e Giovanni e Iacopo condotti
[77]
e vinti, ritornaro a la parola
[79]
e videro scemata loro scuola
[81]
e al maestro suo cangiata stola;
[82]
tal torna’ io, e vidi quella pia
[85]
E tutto in dubbio dissi: «Ov’ è Beatrice?».
[90]
con più dolce canzone e più profonda».
[91]
E se più fu lo suo parlar diffuso,
[99]
che son sicuri d’Aquilone e d’Austro.
[101]
e sarai meco sanza fine cive
[104]
al carro tieni or li occhi, e quel che vedi,
[106]
Così Beatrice; e io, che tutto ai piedi
[108]
la mente e li occhi ov’ ella volle diedi.
[114]
non che d’i fiori e de le foglie nove;
[115]
e ferì ’l carro di tutta sua forza;
[126]
del carro e lasciar lei di sé pennuta;
[127]
e qual esce di cuor che si rammarca,
[128]
tal voce uscì del cielo e cotal disse:
[131]
tr’ambo le ruote, e vidi uscirne un drago
[133]
e come vespa che ritragge l’ago,
[135]
trasse del fondo, e gissen vago vago.
[138]
forse con intenzion sana e benigna,
[139]
si ricoperse, e funne ricoperta
[140]
e l’una e l’altra rota e ’l temo, in tanto
[144]
tre sovra ’l temo e una in ciascun canto.
[151]
e come perché non li fosse tolta,
[153]
e basciavansi insieme alcuna volta.
[154]
Ma perché l’occhio cupido e vagante
[157]
poi, di sospetto pieno e d’ira crudo,
[158]
disciolse il mostro, e trassel per la selva,
[160]
a la puttana e a la nova belva.
67. Purgatorio • Canto XXXIII
[3]
le donne incominciaro, e lagrimando;
[4]
e Bëatrice, sospirosa e pia,
[13]
Poi le si mise innanzi tutte e sette,
[14]
e dopo sé, solo accennando, mosse
[15]
me e la donna e ’l savio che ristette.
[16]
Così sen giva; e non credo che fosse
[19]
e con tranquillo aspetto «Vien più tosto»,
[30]
voi conoscete, e ciò ch’ad essa è buono».
[31]
Ed ella a me: «Da tema e da vergogna
[35]
fu e non è; ma chi n’ha colpa, creda
[39]
per che divenne mostro e poscia preda;
[40]
ch’io veggio certamente, e però il narro,
[42]
secure d’ogn’ intoppo e d’ogne sbarro,
[43]
nel quale un cinquecento diece e cinque,
[46]
E forse che la mia narrazion buia,
[47]
qual Temi e Sfinge, men ti persuade,
[52]
Tu nota; e sì come da me son porte,
[55]
E aggi a mente, quando tu le scrivi,
[61]
Per morder quella, in pena e in disio
[62]
cinquemilia anni e più l’anima prima
[66]
lei tanto e sì travolta ne la cima.
[67]
E se stati non fossero acqua d’Elsa
[69]
e ’l piacer loro un Piramo a la gelsa,
[74]
fatto di pietra e, impetrato, tinto,
[76]
voglio anco, e se non scritto, almen dipinto,
[79]
E io: «Sì come cera da suggello,
[86]
c’hai seguitata, e veggi sua dottrina
[88]
e veggi vostra via da la divina
[94]
«E se tu ricordar non te ne puoi»,
[97]
e se dal fummo foco s’argomenta,
[103]
E più corusco e con più lenti passi
[105]
che qua e là, come li aspetti, fassi,
[110]
qual sotto foglie verdi e rami nigri
[112]
Dinanzi ad esse Ëufratès e Tigri
[114]
e, quasi amici, dipartirsi pigri.
[117]
da un principio e sé da sé lontana?».
[119]
Matelda che ’l ti dica». E qui rispuose,
[121]
la bella donna: «Questo e altre cose
[122]
dette li son per me; e son sicura
[124]
E Bëatrice: «Forse maggior cura,
[128]
menalo ad esso, e come tu se’ usa,
[134]
la bella donna mossesi, e a Stazio
[145]
puro e disposto a salire a le stelle.
68. Paradiso • Canto I
[2]
per l’universo penetra, e risplende
[3]
in una parte più e meno altrove.
[5]
fu’ io, e vidi cose che ridire
[19]
Entra nel petto mio, e spira tue
[26]
venire, e coronarmi de le foglie
[27]
che la materia e tu mi farai degno.
[30]
colpa e vergogna de l’umane voglie,
[40]
con miglior corso e con migliore stella
[41]
esce congiunta, e la mondana cera
[42]
più a suo modo tempera e suggella.
[43]
Fatto avea di là mane e di qua sera
[44]
tal foce, e quasi tutto era là bianco
[45]
quello emisperio, e l’altra parte nera,
[47]
vidi rivolta e riguardar nel sole:
[49]
E sì come secondo raggio suole
[50]
uscir del primo e risalire in suso,
[54]
e fissi li occhi al sole oltre nostr’ uso.
[61]
e di sùbito parve giorno a giorno
[65]
fissa con li occhi stava; e io in lei
[78]
con l’armonia che temperi e discerni,
[82]
La novità del suono e ’l grande lume
[88]
e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso
[97]
e dissi: «Già contento requïevi
[103]
e cominciò: «Le cose tutte quante
[104]
hanno ordine tra loro, e questo è forma
[111]
più al principio loro e men vicine;
[113]
per lo gran mar de l’essere, e ciascuna
[117]
questi la terra in sé stringe e aduna;
[120]
ma quelle c’hanno intelletto e amore.
[124]
e ora lì, come a sito decreto,
[133]
e sì come veder si può cadere
69. Paradiso • Canto II
[8]
Minerva spira, e conducemi Appollo,
[9]
e nove Muse mi dimostran l’Orse.
[19]
La concreata e perpetüa sete
[22]
Beatrice in suso, e io in lei guardava;
[23]
e forse in tanto in quanto un quadrel posa
[24]
e vola e da la noce si dischiava,
[26]
mi torse il viso a sé; e però quella
[32]
lucida, spessa, solida e pulita,
[37]
S’io era corpo, e qui non si concepe
[42]
come nostra natura e Dio s’unio.
[52]
Ella sorrise alquanto, e poi «S’elli erra
[59]
E io: «Ciò che n’appar qua sù diverso
[60]
credo che fanno i corpi rari e densi».
[65]
lumi, li quali e nel quale e nel quanto
[67]
Se raro e denso ciò facesser tanto,
[69]
più e men distributa e altrettanto.
[71]
di princìpi formali, e quei, for ch’uno,
[77]
lo grasso e ’l magro un corpo, così questo
[83]
de l’altro; e s’elli avvien ch’io l’altro cassi,
[88]
e indi l’altrui raggio si rifonde
[97]
Tre specchi prenderai; e i due rimovi
[98]
da te d’un modo, e l’altro, più rimosso,
[102]
e torni a te da tutti ripercosso.
[108]
e dal colore e dal freddo primai,
[117]
da lui distratte e da lui contenute.
[120]
dispongono a lor fini e lor semenze.
[123]
che di sù prendono e di sotto fanno.
[127]
Lo moto e la virtù d’i santi giri,
[130]
e ’l ciel cui tanti lumi fanno bello,
[132]
prende l’image e fassene suggello.
[133]
E come l’alma dentro a vostra polve
[134]
per differenti membra e conformate
[146]
par differente, non da denso e raro;
[148]
conforme a sua bontà, lo turbo e ’l chiaro».
70. Paradiso • Canto III
[3]
provando e riprovando, il dolce aspetto;
[4]
e io, per confessar corretto e certo
[10]
Quali per vetri trasparenti e tersi,
[11]
o ver per acque nitide e tranquille,
[18]
a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte.
[22]
e nulla vidi, e ritorsili avanti
[31]
Però parla con esse e odi e credi;
[34]
E io a l’ombra che parea più vaga
[35]
di ragionar, drizza’mi, e cominciai,
[41]
del nome tuo e de la vostra sorte».
[42]
Ond’ ella, pronta e con occhi ridenti:
[47]
e se la mente tua ben sé riguarda,
[55]
E questa sorte che par giù cotanto,
[57]
li nostri voti, e vòti in alcun canto».
[66]
per più vedere e per più farvi amici?».
[72]
sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta.
[78]
e se la sua natura ben rimiri.
[85]
E ’n la sua volontade è nostra pace:
[92]
e d’un altro rimane ancor la gola,
[93]
che quel si chere e di quel si ringrazia,
[94]
così fec’ io con atto e con parola,
[97]
«Perfetta vita e alto merto inciela
[99]
nel vostro mondo giù si veste e vela,
[100]
perché fino al morir si vegghi e dorma
[104]
fuggi’mi, e nel suo abito mi chiusi
[105]
e promisi la via de la sua setta.
[109]
E quest’ altro splendor che ti si mostra
[110]
da la mia destra parte e che s’accende
[113]
sorella fu, e così le fu tolta
[116]
contra suo grado e contra buona usanza,
[120]
generò ’l terzo e l’ultima possanza».
[121]
Così parlommi, e poi cominciò ‘Ave,
[122]
Maria’ cantando, e cantando vanio
[127]
e a Beatrice tutta si converse;
[130]
e ciò mi fece a dimandar più tardo.
71. Paradiso • Canto IV
[1]
Intra due cibi, distanti e moventi
[11]
m’era nel viso, e ’l dimandar con ello,
[16]
e disse: «Io veggio ben come ti tira
[17]
uno e altro disio, sì che tua cura
[26]
pontano igualmente; e però pria
[29]
Moïsè, Samuel, e quel Giovanni
[35]
e differentemente han dolce vita
[36]
per sentir più e men l’etterno spiro.
[44]
a vostra facultate, e piedi e mano
[45]
attribuisce a Dio e altro intende;
[46]
e Santa Chiesa con aspetto umano
[47]
Gabrïel e Michel vi rappresenta,
[48]
e l’altro che Tobia rifece sano.
[55]
e forse sua sentenza è d’altra guisa
[59]
l’onor de la influenza e ’l biasmo, forse
[63]
Mercurio e Marte a nominar trascorse.
[69]
di fede e non d’eretica nequizia.
[80]
segue la forza; e così queste fero
[84]
e fece Muzio a la sua man severo,
[88]
E per queste parole, se ricolte
[97]
e poi potesti da Piccarda udire
[107]
che la forza al voler si mischia, e fanno
[113]
de la voglia assoluta intende, e io
[117]
tal puose in pace uno e altro disio.
[120]
e scalda sì, che più e più m’avviva,
[123]
ma quei che vede e puote a ciò risponda.
[128]
tosto che giunto l’ha; e giugner puollo:
[142]
e quasi mi perdei con li occhi chini.
72. Paradiso • Canto V
[9]
che, vista, sola e sempre amore accende;
[10]
e s’altra cosa vostro amor seduce,
[17]
e sì com’ uom che suo parlar non spezza,
[20]
fesse creando, e a la sua bontate
[21]
più conformato, e quel ch’e’ più apprezza,
[24]
e tutte e sole, fuoro e son dotate.
[28]
ché, nel fermar tra Dio e l’omo il patto,
[30]
tal quale io dico; e fassi col suo atto.
[41]
e fermalvi entro; ché non fa scïenza,
[47]
se non servata; e intorno di lei
[57]
e de la chiave bianca e de la gialla;
[58]
e ogne permutanza credi stolta,
[65]
siate fedeli, e a ciò far non bieci,
[68]
che, servando, far peggio; e così stolto
[71]
e fé pianger di sé i folli e i savi
[75]
e non crediate ch’ogne acqua vi lavi.
[76]
Avete il novo e ’l vecchio Testamento,
[77]
e ’l pastor de la Chiesa che vi guida;
[80]
uomini siate, e non pecore matte,
[83]
de la sua madre, e semplice e lascivo
[88]
Lo suo tacere e ’l trasmutar sembiante
[91]
e sì come saetta che nel segno
[97]
E se la stella si cambiò e rise,
[100]
Come ’n peschiera ch’è tranquilla e pura
[104]
trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udia:
[106]
E sì come ciascuno a noi venìa,
[112]
e per te vederai come da questi
[119]
noi semo accesi; e però, se disii
[122]
detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì
[123]
sicuramente, e credi come a dii».
[125]
nel proprio lume, e che de li occhi il traggi,
[126]
perch’ e’ corusca sì come tu ridi;
[138]
e così chiusa chiusa mi rispuose
73. Paradiso • Canto VI
[4]
cento e cent’ anni e più l’uccel di Dio
[7]
e sotto l’ombra de le sacre penne
[9]
e, sì cangiando, in su la mia pervenne.
[10]
Cesare fui e son Iustinïano,
[12]
d’entro le leggi trassi il troppo e ’l vano.
[13]
E prima ch’io a l’ovra fossi attento,
[15]
credea, e di tal fede era contento;
[19]
Io li credetti; e ciò che ’n sua fede era,
[21]
ogni contradizione e falsa e vera.
[24]
l’alto lavoro, e tutto ’n lui mi diedi;
[25]
e al mio Belisar commendai l’armi,
[33]
e chi ’l s’appropria e chi a lui s’oppone.
[35]
di reverenza; e cominciò da l’ora
[38]
per trecento anni e oltre, infino al fine
[40]
E sai ch’el fé dal mal de le Sabine
[45]
incontro a li altri principi e collegi;
[46]
onde Torquato e Quinzio, che dal cirro
[47]
negletto fu nomato, i Deci e ’ Fabi
[53]
Scipïone e Pompeo; e a quel colle
[58]
E quel che fé da Varo infino a Reno,
[59]
Isara vide ed Era e vide Senna
[60]
e ogne valle onde Rodano è pieno.
[62]
e saltò Rubicon, fu di tal volo,
[65]
poi ver’ Durazzo, e Farsalia percosse
[67]
Antandro e Simeonta, onde si mosse,
[68]
rivide e là dov’ Ettore si cuba;
[69]
e mal per Tolomeo poscia si scosse.
[75]
e Modena e Perugia fu dolente.
[78]
la morte prese subitana e atra.
[83]
fatto avea prima e poi era fatturo
[85]
diventa in apparenza poco e scuro,
[87]
con occhio chiaro e con affetto puro;
[94]
E quando il dente longobardo morse
[98]
ch’io accusai di sopra e di lor falli,
[101]
oppone, e l’altro appropria quello a parte,
[105]
sempre chi la giustizia e lui diparte;
[106]
e non l’abbatta esto Carlo novello
[110]
per la colpa del padre, e non si creda
[114]
perché onore e fama li succeda:
[115]
e quando li disiri poggian quivi,
[127]
E dentro a la presente margarita
[129]
fu l’ovra grande e bella mal gradita.
[131]
non hanno riso; e però mal cammina
[133]
Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,
[134]
Ramondo Beringhiere, e ciò li fece
[135]
Romeo, persona umìle e peregrina.
[136]
E poi il mosser le parole biece
[138]
che li assegnò sette e cinque per diece,
[139]
indi partissi povero e vetusto;
[140]
e se ’l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe
[142]
assai lo loda, e più lo loderebbe».
74. Paradiso • Canto VII
[7]
ed essa e l’altre mossero a sua danza,
[8]
e quasi velocissime faville
[10]
Io dubitava e dicea ‘Dille, dille!’
[14]
di tutto me, pur per Be e per ice,
[17]
e cominciò, raggiandomi d’un riso
[23]
e tu ascolta, ché le mie parole
[36]
qual fu creata, fu sincera e buona;
[39]
da via di verità e da sua vita.
[43]
e così nulla fu di tanta ingiura,
[47]
ch’a Dio e a’ Giudei piacque una morte;
[48]
per lei tremò la terra e ’l ciel s’aperse.
[62]
molto si mira e poco si discerne,
[73]
Più l’è conforme, e però più le piace;
[77]
l’umana creatura, e s’una manca,
[80]
e falla dissimìle al sommo bene,
[82]
e in sua dignità mai non rivene,
[101]
e questa è la cagion per che l’uom fue
[112]
Né tra l’ultima notte e ’l primo die
[118]
e tutti li altri modi erano scarsi
[125]
l’aere e la terra e tutte lor misture
[126]
venire a corruzione, e durar poco;
[127]
e queste cose pur furon creature;
[130]
Li angeli, frate, e ’l paese sincero
[134]
e quelle cose che di lor si fanno
[139]
L’anima d’ogne bruto e de le piante
[141]
lo raggio e ’l moto de le luci sante;
[143]
la somma beninanza, e la innamora
[145]
E quinci puoi argomentare ancora
75. Paradiso • Canto VIII
[5]
di sacrificio e di votivo grido
[7]
ma Dïone onoravano e Cupido,
[9]
e dicean ch’el sedette in grembo a Dido;
[10]
e da costei ond’ io principio piglio
[16]
E come in fiamma favilla si vede,
[17]
e come in voce voce si discerne,
[18]
quand’ una è ferma e altra va e riede,
[20]
muoversi in giro più e men correnti,
[24]
che non paressero impediti e lenti
[28]
e dentro a quei che più innanzi appariro
[32]
e solo incominciò: «Tutti sem presti
[35]
d’un giro e d’un girare e d’una sete,
[38]
e sem sì pien d’amor, che, per piacerti,
[42]
fatti li avea di sé contenti e certi,
[44]
tanto s’avea, e «Deh, chi siete?» fue
[46]
E quanta e quale vid’ io lei far piùe
[50]
giù poco tempo; e se più fosse stato,
[53]
che mi raggia dintorno e mi nasconde
[55]
Assai m’amasti, e avesti ben onde;
[61]
e quel corno d’Ausonia che s’imborga
[62]
di Bari e di Gaeta e di Catona,
[63]
da ove Tronto e Verde in mare sgorga.
[67]
E la bella Trinacria, che caliga
[68]
tra Pachino e Peloro, sopra ’l golfo
[72]
nati per me di Carlo e di Ridolfo,
[76]
E se mio frate questo antivedesse,
[87]
là ’ve ogne ben si termina e s’inizia,
[89]
grata m’è più; e anco quest’ ho caro
[91]
Fatto m’hai lieto, e così mi fa chiaro,
[98]
volge e contenta, fa esser virtute
[100]
E non pur le nature provedute
[109]
e ciò esser non può, se li ’ntelletti
[111]
e manco il primo, che non li ha perfetti.
[113]
E io: «Non già; ché impossibil veggio
[117]
«Sì», rispuos’ io; «e qui ragion non cheggio».
[118]
«E puot’ elli esser, se giù non si vive
[124]
per ch’un nasce Solone e altro Serse,
[125]
altro Melchisedèch e altro quello
[131]
per seme da Iacòb; e vien Quirino
[142]
E se ’l mondo là giù ponesse mente
[147]
e fate re di tal ch’è da sermone;
76. Paradiso • Canto IX
[4]
ma disse: «Taci e lascia muover li anni»;
[7]
E già la vita di quel lume santo
[10]
Ahi anime ingannate e fatture empie,
[14]
ver’ me si fece, e ’l suo voler piacermi
[20]
beato spirto», dissi, «e fammi prova
[27]
e le fontane di Brenta e di Piava,
[28]
si leva un colle, e non surge molt’ alto,
[31]
D’una radice nacqui e io ed ella:
[32]
Cunizza fui chiamata, e qui refulgo
[35]
la cagion di mia sorte, e non mi noia;
[37]
Di questa luculenta e cara gioia
[39]
grande fama rimase; e pria che moia,
[43]
E ciò non pensa la turba presente
[44]
che Tagliamento e Adice richiude,
[49]
e dove Sile e Cagnan s’accompagna,
[50]
tal signoreggia e va con la testa alta,
[57]
e stanco chi ’l pesasse a oncia a oncia,
[59]
per mostrarsi di parte; e cotai doni
[64]
Qui si tacette; e fecemi sembiante
[73]
«Dio vede tutto, e tuo veder s’inluia»,
[89]
tra Ebro e Macra, che per cammin corto
[91]
Ad un occaso quasi e ad un orto
[92]
Buggea siede e la terra ond’ io fui,
[95]
fu noto il nome mio; e questo cielo
[98]
noiando e a Sicheo e a Creusa,
[105]
ma del valor ch’ordinò e provide.
[107]
cotanto affetto, e discernesi ’l bene
[116]
Raab; e a nostr’ ordine congiunta,
[123]
che s’acquistò con l’una e l’altra palma,
[129]
e di cui è la ’nvidia tanto pianta,
[130]
produce e spande il maladetto fiore
[131]
c’ha disvïate le pecore e li agni,
[133]
Per questo l’Evangelio e i dottor magni
[134]
son derelitti, e solo ai Decretali
[136]
A questo intende il papa e ’ cardinali;
[139]
Ma Vaticano e l’altre parti elette
77. Paradiso • Canto X
[2]
che l’uno e l’altro etternalmente spira,
[3]
lo primo e ineffabile Valore
[4]
quanto per mente e per loco si gira
[9]
dove l’un moto e l’altro si percuote;
[10]
e lì comincia a vagheggiar ne l’arte
[18]
e quasi ogne potenza qua giù morta;
[19]
e se dal dritto più o men lontano
[21]
e giù e sù de l’ordine mondano.
[30]
e col suo lume il tempo ne misura,
[34]
e io era con lui; ma del salire
[43]
Perch’ io lo ’ngegno e l’arte e l’uso chiami,
[45]
ma creder puossi e di veder si brami.
[46]
E se le fantasie nostre son basse
[51]
mostrando come spira e come figlia.
[52]
E Bëatrice cominciò: «Ringrazia,
[56]
a divozione e a rendersi a Dio
[59]
e sì tutto ’l mio amore in lui si mise,
[64]
Io vidi più folgór vivi e vincenti
[65]
far di noi centro e di sé far corona,
[71]
si trovan molte gioie care e belle
[73]
e ’l canto di quei lumi era di quelle;
[82]
E dentro a l’un senti’ cominciar: «Quando
[84]
verace amore e che poi cresce amando,
[98]
frate e maestro fummi, ed esso Alberto
[99]
è di Cologna, e io Thomas d’Aquino.
[104]
di Grazïan, che l’uno e l’altro foro
[117]
l’angelica natura e ’l ministero.
[129]
e da essilio venne a questa pace.
[131]
d’Isidoro, di Beda e di Riccardo,
[142]
che l’una parte e l’altra tira e urge,
[146]
muoversi e render voce a voce in tempra
[147]
e in dolcezza ch’esser non pò nota
78. Paradiso • Canto XI
[4]
Chi dietro a iura e chi ad amforismi
[5]
sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
[6]
e chi regnar per forza o per sofismi,
[7]
e chi rubare e chi civil negozio,
[9]
s’affaticava e chi si dava a l’ozio,
[16]
E io senti’ dentro a quella lumera
[22]
Tu dubbi, e hai voler che si ricerna
[23]
in sì aperta e ’n sì distesa lingua
[26]
e là u’ dissi: “Non nacque il secondo”;
[27]
e qui è uopo che ben si distingua.
[34]
in sé sicura e anche a lui più fida,
[36]
che quinci e quindi le fosser per guida.
[43]
Intra Tupino e l’acqua che discende
[46]
onde Perugia sente freddo e caldo
[47]
da Porta Sole; e di rietro le piange
[61]
e dinanzi a la sua spirital corte
[65]
millecent’ anni e più dispetta e scura
[74]
Francesco e Povertà per questi amanti
[76]
La lor concordia e i lor lieti sembianti,
[77]
amore e maraviglia e dolce sguardo
[80]
si scalzò prima, e dietro a tanta pace
[81]
corse e, correndo, li parve esser tardo.
[85]
Indi sen va quel padre e quel maestro
[86]
con la sua donna e con quella famiglia
[92]
ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
[100]
E poi che, per la sete del martiro,
[102]
predicò Cristo e li altri che ’l seguiro,
[103]
e per trovare a conversione acerba
[104]
troppo la gente e per non stare indarno,
[106]
nel crudo sasso intra Tevero e Arno
[114]
e comandò che l’amassero a fede;
[115]
e del suo grembo l’anima preclara
[117]
e al suo corpo non volle altra bara.
[121]
e questo fu il nostro patrïarca;
[127]
e quanto le sue pecore remote
[128]
e vagabunde più da esso vanno,
[131]
e stringonsi al pastor; ma son sì poche,
[138]
e vedra’ il corrègger che argomenta
79. Paradiso • Canto XII
[4]
e nel suo giro tutta non si volse
[6]
e moto a moto e canto a canto colse;
[9]
quanto primo splendor quel ch’e’ refuse.
[11]
due archi paralelli e concolori,
[16]
e fanno qui la gente esser presaga,
[21]
e sì l’estrema a l’intima rispuose.
[22]
Poi che ’l tripudio e l’altra festa grande,
[23]
sì del cantare e sì del fiammeggiarsi
[24]
luce con luce gaudïose e blande,
[25]
insieme a punto e a voler quetarsi,
[27]
conviene insieme chiudere e levarsi;
[31]
e cominciò: «L’amor che mi fa bella
[39]
si movea tardo, sospeccioso e raro,
[43]
e, come è detto, a sua sposa soccorse
[54]
in che soggiace il leone e soggioga:
[57]
benigno a’ suoi e a’ nemici crudo;
[58]
e come fu creata, fu repleta
[62]
al sacro fonte intra lui e la Fede,
[66]
ch’uscir dovea di lui e de le rede;
[67]
e perché fosse qual era in costrutto,
[70]
Domenico fu detto; e io ne parlo
[73]
Ben parve messo e famigliar di Cristo:
[76]
Spesse fïate fu tacito e desto
[83]
di retro ad Ostïense e a Taddeo,
[88]
E a la sedia che fu già benigna
[97]
Poi, con dottrina e con volere insieme,
[100]
e ne li sterpi eretici percosse
[108]
e vinse in campo la sua civil briga,
[118]
e tosto si vedrà de la ricolta
[126]
ch’uno la fugge e altro la coarta.
[130]
Illuminato e Augustin son quici,
[134]
e Pietro Mangiadore e Pietro Spano,
[136]
Natàn profeta e ’l metropolitano
[137]
Crisostomo e Anselmo e quel Donato
[139]
Rabano è qui, e lucemi dallato
[144]
di fra Tommaso e ’l discreto latino;
[145]
e mosse meco questa compagnia».
80. Paradiso • Canto XIII
[2]
quel ch’i’ or vidi—e ritegna l’image,
[8]
basta del nostro cielo e notte e giorno,
[16]
e l’un ne l’altro aver li raggi suoi,
[17]
e amendue girarsi per maniera
[18]
che l’uno andasse al primo e l’altro al poi;
[19]
e avrà quasi l’ombra de la vera
[20]
costellazione e de la doppia danza
[27]
e in una persona essa e l’umana.
[28]
Compié ’l cantare e ’l volger sua misura;
[29]
e attesersi a noi quei santi lumi,
[34]
e disse: «Quando l’una paglia è trita,
[40]
e in quel che, forato da la lancia,
[41]
e prima e poscia tanto sodisfece,
[45]
da quel valor che l’uno e l’altro fece;
[46]
e però miri a ciò ch’io dissi suso,
[50]
e vedräi il tuo credere e ’l mio dire
[52]
Ciò che non more e ciò che può morire
[64]
e queste contingenze essere intendo
[66]
con seme e sanza seme il ciel movendo.
[67]
La cera di costoro e chi la duce
[68]
non sta d’un modo; e però sotto ’l segno
[69]
idëale poi più e men traluce.
[71]
secondo specie, meglio e peggio frutta;
[72]
e voi nascete con diverso ingegno.
[74]
e fosse il cielo in sua virtù supprema,
[80]
de la prima virtù dispone e segna,
[92]
pensa chi era, e la cagion che ’l mosse,
[103]
Onde, se ciò ch’io dissi e questo note,
[106]
e se al “surse” drizzi li occhi chiari,
[108]
ai regi, che son molti, e ’ buon son rari.
[110]
e così puote star con quel che credi
[111]
del primo padre e del nostro Diletto.
[112]
E questo ti sia sempre piombo a’ piedi,
[114]
e al sì e al no che tu non vedi:
[116]
che sanza distinzione afferma e nega
[120]
e poi l’affetto l’intelletto lega.
[122]
perché non torna tal qual e’ si move,
[123]
chi pesca per lo vero e non ha l’arte.
[124]
E di ciò sono al mondo aperte prove
[125]
Parmenide, Melisso e Brisso e molti,
[126]
li quali andaro e non sapëan dove;
[127]
sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti
[134]
lo prun mostrarsi rigido e feroce,
[136]
e legno vidi già dritto e veloce
[139]
Non creda donna Berta e ser Martino,
[142]
ché quel può surgere, e quel può cadere».
81. Paradiso • Canto XIV
[1]
Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro
[8]
del suo parlare e di quel di Beatrice,
[10]
«A costui fa mestieri, e nol vi dice
[16]
e se rimane, dite come, poi
[19]
Come, da più letizia pinti e tratti,
[21]
levan la voce e rallegrano li atti,
[22]
così, a l’orazion pronta e divota,
[24]
nel torneare e ne la mira nota.
[28]
Quell’ uno e due e tre che sempre vive
[29]
e regna sempre in tre e ’n due e ’n uno,
[30]
non circunscritto, e tutto circunscrive,
[34]
E io udi’ ne la luce più dia
[41]
l’ardor la visïone, e quella è tanta,
[43]
Come la carne glorïosa e santa
[53]
e per vivo candor quella soverchia,
[61]
Tanto mi parver sùbiti e accorti
[62]
e l’uno e l’altro coro a dicer «Amme!»,
[65]
per li padri e per li altri che fuor cari
[70]
E sì come al salir di prima sera
[72]
sì che la vista pare e non par vera,
[74]
cominciare a vedere, e fare un giro
[77]
come si fece sùbito e candente
[79]
Ma Bëatrice sì bella e ridente
[83]
a rilevarsi; e vidimi translato
[88]
Con tutto ’l core e con quella favella
[91]
E non er’ anco del mio petto essausto
[93]
esso litare stato accetto e fausto;
[94]
ché con tanto lucore e tanto robbi
[97]
Come distinta da minori e maggi
[106]
ma chi prende sua croce e segue Cristo,
[109]
Di corno in corno e tra la cima e ’l basso
[111]
nel congiugnersi insieme e nel trapasso:
[112]
così si veggion qui diritte e torte,
[113]
veloci e tarde, rinovando vista,
[114]
le minuzie d’i corpi, lunghe e corte,
[117]
la gente con ingegno e arte acquista.
[118]
E come giga e arpa, in tempra tesa
[125]
però ch’a me venìa «Resurgi» e «Vinci»
[126]
come a colui che non intende e ode.
[135]
e ch’io non m’era lì rivolto a quelli,
[137]
per escusarmi, e vedermi dir vero:
82. Paradiso • Canto XV
[5]
e fece quïetar le sante corde
[6]
che la destra del cielo allenta e tira.
[13]
Quale per li seren tranquilli e puri
[16]
e pare stella che tramuti loco,
[17]
se non che da la parte ond’ e’ s’accende
[33]
e quinci e quindi stupefatto fui;
[36]
de la mia gloria e del mio paradiso.
[37]
Indi, a udire e a veder giocondo,
[43]
E quando l’arco de l’ardente affetto
[47]
«Benedetto sia tu», fu, «trino e uno,
[49]
E seguì: «Grato e lontano digiuno,
[57]
da l’un, se si conosce, il cinque e ’l sei;
[58]
e però ch’io mi sia e perch’ io paia
[61]
Tu credi ’l vero; ché i minori e ’ grandi
[65]
con perpetüa vista e che m’asseta
[67]
la voce tua sicura, balda e lieta
[70]
Io mi volsi a Beatrice, e quella udio
[71]
pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno
[73]
Poi cominciai così: «L’affetto e ’l senno,
[76]
però che ’l sol che v’allumò e arse,
[77]
col caldo e con la luce è sì iguali,
[79]
Ma voglia e argomento ne’ mortali,
[83]
disagguaglianza, e però non ringrazio
[92]
tua cognazione e che cent’ anni e piùe
[94]
mio figlio fu e tuo bisavol fue:
[98]
ond’ ella toglie ancora e terza e nona,
[99]
si stava in pace, sobria e pudica.
[104]
la figlia al padre, che ’l tempo e la dote
[105]
non fuggien quinci e quindi la misura.
[113]
di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio
[115]
e vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio
[117]
e le sue donne al fuso e al pennecchio.
[119]
de la sua sepultura, e ancor nulla
[122]
e, consolando, usava l’idïoma
[123]
che prima i padri e le madri trastulla;
[126]
d’i Troiani, di Fiesole e di Roma.
[129]
qual or saria Cincinnato e Corniglia.
[134]
e ne l’antico vostro Batisteo
[135]
insieme fui cristiano e Cacciaguida.
[138]
e quindi il sopranome tuo si feo.
[148]
e venni dal martiro a questa pace».
83. Paradiso • Canto XVI
[23]
quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni
[26]
quanto era allora, e chi eran le genti
[31]
e come a li occhi miei si fé più bella,
[32]
così con voce più dolce e soave,
[38]
e trenta fiate venne questo foco
[40]
Li antichi miei e io nacqui nel loco
[44]
chi ei si fosser e onde venner quivi,
[47]
da poter arme tra Marte e ’l Batista,
[50]
di Campi, di Certaldo e di Fegghine,
[53]
quelle genti ch’io dico, e al Galluzzo
[54]
e a Trespiano aver vostro confine,
[55]
che averle dentro e sostener lo puzzo
[61]
tal fatto è fiorentino e cambia e merca,
[66]
e forse in Valdigrieve i Buondelmonti.
[70]
e cieco toro più avaccio cade
[71]
che cieco agnello; e molte volte taglia
[72]
più e meglio una che le cinque spade.
[73]
Se tu riguardi Luni e Orbisaglia
[74]
come sono ite, e come se ne vanno
[75]
di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,
[81]
che dura molto, e le vite son corte.
[82]
E come ’l volger del ciel de la luna
[83]
cuopre e discuopre i liti sanza posa,
[88]
Io vidi li Ughi e vidi i Catellini,
[89]
Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi,
[91]
e vidi così grandi come antichi,
[93]
e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi.
[98]
il conte Guido e qualunque del nome
[101]
regger si vuole, e avea Galigaio
[102]
dorata in casa sua già l’elsa e ’l pome.
[104]
Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci
[105]
e Galli e quei ch’arrossan per lo staio.
[107]
era già grande, e già eran tratti
[108]
a le curule Sizii e Arrigucci.
[110]
per lor superbia! e le palle de l’oro
[116]
dietro a chi fugge, e a chi mostra ’l dente
[122]
disceso giù da Fiesole, e già era
[123]
buon cittadino Giuda e Infangato.
[124]
Io dirò cosa incredibile e vera:
[128]
del gran barone il cui nome e ’l cui pregio
[130]
da esso ebbe milizia e privilegio;
[133]
Già eran Gualterotti e Importuni;
[134]
e ancor saria Borgo più quïeto,
[138]
e puose fine al vostro viver lieto,
[139]
era onorata, essa e suoi consorti:
[148]
Con queste genti, e con altre con esse,
[152]
e giusto il popol suo, tanto che ’l giglio
84. Paradiso • Canto XVII
[4]
tal era io, e tal era sentito
[5]
e da Beatrice e da la santa lampa
[21]
e discendendo nel mondo defunto,
[29]
che pria m’avea parlato; e come volle
[34]
ma per chiare parole e con preciso
[36]
chiuso e parvente del suo proprio riso:
[47]
per la spietata e perfida noverca,
[49]
Questo si vuole e questo già si cerca,
[50]
e tosto verrà fatto a chi ciò pensa
[56]
più caramente; e questo è quello strale
[59]
lo pane altrui, e come è duro calle
[60]
lo scendere e ’l salir per l’altrui scale.
[61]
E quel che più ti graverà le spalle,
[62]
sarà la compagnia malvagia e scempia
[70]
Lo primo tuo refugio e ’l primo ostello
[74]
che del fare e del chieder, tra voi due,
[88]
A lui t’aspetta e a’ suoi benefici;
[90]
cambiando condizion ricchi e mendici;
[91]
e portera’ne scritto ne la mente
[92]
di lui, e nol dirai»; e disse cose
[105]
che vede e vuol dirittamente e ama:
[113]
e per lo monte del cui bel cacume
[115]
e poscia per lo ciel, di lume in lume,
[118]
e s’io al vero son timido amico,
[129]
e lascia pur grattar dov’ è la rogna.
[135]
e ciò non fa d’onor poco argomento.
[137]
nel monte e ne la valle dolorosa
[141]
la sua radice incognita e ascosa,
85. Paradiso • Canto XVIII
[2]
quello specchio beato, e io gustava
[4]
e quella donna ch’a Dio mi menava
[8]
del mio conforto; e qual io allor vidi
[20]
ella mi disse: «Volgiti e ascolta;
[30]
e frutta sempre e mai non perde foglia,
[40]
E al nome de l’alto Macabeo
[42]
e letizia era ferza del paleo.
[43]
Così per Carlo Magno e per Orlando
[46]
Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo
[47]
e ’l duca Gottifredi la mia vista
[48]
per quella croce, e Ruberto Guiscardo.
[49]
Indi, tra l’altre luci mota e mista,
[55]
e vidi le sue luci tanto mere,
[57]
vinceva li altri e l’ultimo solere.
[58]
E come, per sentir più dilettanza
[64]
E qual è ’l trasmutare in picciol varco
[73]
E come augelli surti di rivera,
[77]
volitando cantavano, e faciensi
[81]
un poco s’arrestavano e taciensi.
[83]
fai glorïosi e rendili longevi,
[84]
ed essi teco le cittadi e ’ regni,
[89]
vocali e consonanti; e io notai
[92]
fur verbo e nome di tutto ’l dipinto;
[97]
E vidi scendere altre luci dove
[98]
era il colmo de l’emme, e lì quetarsi
[104]
luci e salir, qual assai e qual poco,
[106]
e quïetata ciascuna in suo loco,
[107]
la testa e ’l collo d’un’aguglia vidi
[110]
ma esso guida, e da lui si rammenta
[115]
O dolce stella, quali e quante gemme
[119]
tuo moto e tua virtute, che rimiri
[122]
del comperare e vender dentro al templo
[123]
che si murò di segni e di martìri.
[131]
pensa che Pietro e Paulo, che moriro
[135]
e che per salti fu tratto al martiro,
86. Paradiso • Canto XIX
[7]
E quel che mi convien ritrar testeso,
[10]
ch’io vidi e anche udi’ parlar lo rostro,
[11]
e sonar ne la voce e «io» e «mio»,
[12]
quand’ era nel concetto e ‘noi’ e ‘nostro’.
[13]
E cominciò: «Per esser giusto e pio
[16]
e in terra lasciai la mia memoria
[35]
move la testa e con l’ali si plaude,
[36]
voglia mostrando e faccendosi bello,
[41]
a lo stremo del mondo, e dentro ad esso
[42]
distinse tanto occulto e manifesto,
[46]
E ciò fa certo che ’l primo superbo,
[49]
e quinci appar ch’ogne minor natura
[51]
che non ha fine e sé con sé misura.
[62]
in pelago nol vede; e nondimeno
[71]
de l’Indo, e quivi non è chi ragioni
[73]
e tutti suoi voleri e atti buoni
[76]
Muore non battezzato e sanza fede:
[93]
e come quel ch’è pasto la rimira;
[94]
cotal si fece, e sì leväi i cigli,
[97]
Roteando cantava, e dicea: «Quali
[109]
e tai Cristian dannerà l’Etïòpe,
[111]
l’uno in etterno ricco e l’altro inòpe.
[122]
che fa lo Scotto e l’Inghilese folle,
[124]
Vedrassi la lussuria e ’l viver molle
[125]
di quel di Spagna e di quel di Boemme,
[130]
Vedrassi l’avarizia e la viltate
[133]
e a dare ad intender quanto è poco,
[136]
E parranno a ciascun l’opere sozze
[137]
del barba e del fratel, che tanto egregia
[138]
nazione e due corone han fatte bozze.
[139]
E quel di Portogallo e di Norvegia
[140]
lì si conosceranno, e quel di Rascia
[143]
più malmenare! e beata Navarra,
[145]
E creder de’ ciascun che già, per arra
[146]
di questo, Niccosïa e Famagosta
[147]
per la lor bestia si lamenti e garra,
87. Paradiso • Canto XX
[7]
e questo atto del ciel mi venne a mente,
[8]
come ’l segno del mondo e de’ suoi duci
[12]
da mia memoria labili e caduci.
[16]
Poscia che i cari e lucidi lapilli
[22]
E come suono al collo de la cetra
[23]
prende sua forma, e sì com’ al pertugio
[28]
Fecesi voce quivi, e quindi uscissi
[31]
«La parte in me che vede e pate il sole
[36]
e’ di tutti lor gradi son li sommi.
[48]
di questa dolce vita e de l’opposta.
[49]
E quel che segue in la circunferenza
[55]
L’altro che segue, con le leggi e meco,
[61]
E quel che vedi ne l’arco declivo,
[63]
che piagne Carlo e Federigo vivo:
[65]
lo ciel del giusto rege, e al sembiante
[74]
prima cantando, e poi tace contenta
[79]
E avvegna ch’io fossi al dubbiar mio
[95]
da caldo amore e da viva speranza,
[99]
e, vinta, vince con sua beninanza.
[100]
La prima vita del ciglio e la quinta
[105]
quel d’i passuri e quel d’i passi piedi.
[108]
e ciò di viva spene fu mercede:
[115]
e credendo s’accese in tanto foco
[124]
ond’ ei credette in quella, e non sofferse
[126]
e riprendiene le genti perverse.
[133]
E voi, mortali, tenetevi stretti
[138]
che quel che vole Iddio, e noi volemo».
[142]
E come a buon cantor buon citarista
[145]
sì, mentre ch’e’ parlò, sì mi ricorda
88. Paradiso • Canto XXI
[2]
de la mia donna, e l’animo con essi,
[3]
e da ogne altro intento s’era tolto.
[4]
E quella non ridea; ma «S’io ridessi»,
[17]
e fa di quelli specchi a la figura
[34]
E come, per lo natural costume,
[39]
e altre roteando fan soggiorno;
[43]
E quel che presso più ci si ritenne,
[46]
Ma quella ond’ io aspetto il come e ’l quando
[47]
del dire e del tacer, si sta; ond’ io,
[52]
E io incominciai: «La mia mercede
[58]
e dì perché si tace in questa rota
[66]
col dire e con la luce che mi ammanta;
[68]
ché più e tanto amor quinci sù ferve,
[97]
E al mondo mortal, quando tu riedi,
[104]
ch’io lasciai la quistione e mi ritrassi
[107]
e non molto distanti a la tua patria,
[109]
e fanno un gibbo che si chiama Catria,
[113]
e poi, continüando, disse: «Quivi
[116]
lievemente passava caldi e geli,
[119]
fertilemente; e ora è fatto vano,
[122]
e Pietro Peccator fu’ ne la casa
[125]
quando fui chiesto e tratto a quel cappello,
[127]
Venne Cefàs e venne il gran vasello
[128]
de lo Spirito Santo, magri e scalzi,
[130]
Or voglion quinci e quindi chi rincalzi
[131]
li moderni pastori e chi li meni,
[132]
tanto son gravi, e chi di rietro li alzi.
[137]
di grado in grado scendere e girarsi,
[138]
e ogne giro le facea più belle.
[139]
Dintorno a questa vennero e fermarsi,
[140]
e fero un grido di sì alto suono,
89. Paradiso • Canto XXII
[4]
e quella, come madre che soccorre
[5]
sùbito al figlio palido e anelo
[8]
e non sai tu che ’l cielo è tutto santo,
[9]
e ciò che ci si fa vien da buon zelo?
[11]
e io ridendo, mo pensar lo puoi,
[23]
e vidi cento sperule che ’nsieme
[26]
la punta del disio, e non s’attenta
[28]
e la maggiore e la più luculenta
[39]
da la gente ingannata e mal disposta;
[40]
e quel son io che sù vi portai prima
[43]
e tanta grazia sopra me relusse,
[48]
che fa nascere i fiori e ’ frutti santi.
[51]
fermar li piedi e tennero il cor saldo».
[52]
E io a lui: «L’affetto che dimostri
[53]
meco parlando, e la buona sembianza
[54]
ch’io veggio e noto in tutti li ardor vostri,
[58]
Però ti priego, e tu, padre, m’accerta
[63]
ove s’adempion tutti li altri e ’l mio.
[64]
Ivi è perfetta, matura e intera
[67]
perché non è in loco e non s’impola;
[68]
e nostra scala infino ad essa varca,
[74]
da terra i piedi, e la regola mia
[77]
fatte sono spelonche, e le cocolle
[88]
Pier cominciò sanz’ oro e sanz’ argento,
[89]
e io con orazione e con digiuno,
[90]
e Francesco umilmente il suo convento;
[91]
e se guardi ’l principio di ciascuno,
[95]
più fu, e ’l mar fuggir, quando Dio volse,
[97]
Così mi disse, e indi si raccolse
[98]
al suo collegio, e ’l collegio si strinse;
[103]
né mai qua giù dove si monta e cala
[108]
le mie peccata e ’l petto mi percuoto,
[109]
tu non avresti in tanto tratto e messo
[111]
che segue il Tauro e fui dentro da esso.
[115]
con voi nasceva e s’ascondeva vosco
[118]
e poi, quando mi fu grazia largita
[126]
aver le luci tue chiare e acute;
[127]
e però, prima che tu più t’inlei,
[128]
rimira in giù, e vedi quanto mondo
[134]
le sette spere, e vidi questo globo
[136]
e quel consiglio per migliore approbo
[137]
che l’ha per meno; e chi ad altro pensa
[141]
per che già la credetti rara e densa.
[143]
quivi sostenni, e vidi com’ si move
[144]
circa e vicino a lui Maia e Dïone.
[146]
tra ’l padre e ’l figlio; e quindi mi fu chiaro
[148]
e tutti e sette mi si dimostraro
[149]
quanto son grandi e quanto son veloci
[150]
e come sono in distante riparo.
90. Paradiso • Canto XXIII
[5]
e per trovar lo cibo onde li pasca,
[8]
e con ardente affetto il sole aspetta,
[11]
e attenta, rivolta inver’ la plaga
[13]
sì che, veggendola io sospesa e vaga,
[15]
altro vorria, e sperando s’appaga.
[16]
Ma poco fu tra uno e altro quando,
[17]
del mio attender, dico, e del vedere
[18]
lo ciel venir più e più rischiarando;
[19]
e Bëatrice disse: «Ecco le schiere
[20]
del trïunfo di Cristo e tutto ’l frutto
[23]
e li occhi avea di letizia sì pieni,
[31]
e per la viva luce trasparea
[34]
Oh Bëatrice, dolce guida e cara!
[37]
Quivi è la sapïenza e la possanza
[38]
ch’aprì le strade tra ’l cielo e la terra,
[42]
e fuor di sua natura in giù s’atterra,
[45]
e che si fesse rimembrar non sape.
[46]
«Apri li occhi e riguarda qual son io;
[50]
di visïone oblita e che s’ingegna
[60]
e quanto il santo aspetto facea mero;
[61]
e così, figurando il paradiso,
[65]
e l’omero mortal che se ne carca,
[76]
Così Beatrice; e io, che a’ suoi consigli
[89]
e mane e sera, tutto mi ristrinse
[91]
e come ambo le luci mi dipinse
[92]
il quale e il quanto de la viva stella
[96]
e cinsela e girossi intorno ad ella.
[98]
qua giù e più a sé l’anima tira,
[106]
e girerommi, donna del ciel, mentre
[107]
che seguirai tuo figlio, e farai dia
[110]
si sigillava, e tutti li altri lumi
[113]
del mondo, che più ferve e più s’avviva
[114]
ne l’alito di Dio e nei costumi,
[121]
E come fantolin che ’nver’ la mamma
[133]
Quivi si vive e gode del tesoro
[137]
di Dio e di Maria, di sua vittoria,
[138]
e con l’antico e col novo concilio,
91. Paradiso • Canto XXIV
[8]
e roratelo alquanto: voi bevete
[10]
Così Beatrice; e quelle anime liete
[13]
E come cerchi in tempra d’orïuoli
[15]
quïeto pare, e l’ultimo che voli;
[18]
mi facieno stimar, veloci e lente.
[22]
e tre fïate intorno di Beatrice
[25]
Però salta la penna e non lo scrivo:
[37]
tenta costui di punti lievi e gravi,
[40]
S’elli ama bene e bene spera e crede,
[46]
Sì come il baccialier s’arma e non parla
[51]
a tal querente e a tal professione.
[61]
E seguitai: «Come ’l verace stilo
[65]
e argomento de le non parventi;
[66]
e questa pare a me sua quiditate».
[69]
tra le sustanze, e poi tra li argomenti».
[70]
E io appresso: «Le profonde cose
[75]
e però di sustanza prende intenza.
[76]
E da questa credenza ci convene
[84]
d’esta moneta già la lega e ’l peso;
[86]
Ond’ io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda,
[91]
onde ti venne?». E io: «La larga ploia
[93]
in su le vecchie e ’n su le nuove cuoia,
[97]
Io udi’ poi: «L’antica e la novella
[100]
E io: «La prova che ’l ver mi dischiude,
[109]
ché tu intrasti povero e digiuno
[111]
che fu già vite e ora è fatta pruno».
[115]
E quel baron che sì di ramo in ramo,
[123]
e onde a la credenza tua s’offerse».
[124]
«O santo padre, e spirito che vedi
[129]
e anche la cagion di lui chiedesti.
[130]
E io rispondo: Io credo in uno Dio
[132]
non moto, con amore e con disio;
[133]
e a tal creder non ho io pur prove
[134]
fisice e metafisice, ma dalmi
[136]
per Moïsè, per profeti e per salmi,
[137]
per l’Evangelio e per voi che scriveste
[139]
e credo in tre persone etterne, e queste
[140]
credo una essenza sì una e sì trina,
[147]
e come stella in cielo in me scintilla».
92. Paradiso • Canto XXV
[2]
al quale ha posto mano e cielo e terra,
[8]
ritornerò poeta, e in sul fonte
[11]
l’anime a Dio, quivi intra’ io, e poi
[16]
e la mia donna, piena di letizia,
[21]
girando e mormorando, l’affezione;
[34]
«Leva la testa e fa che t’assicuri:
[45]
in te e in altrui di ciò conforte,
[47]
la mente tua, e dì onde a te venne».
[49]
E quella pïa che guidò le penne
[63]
e la grazia di Dio ciò li comporti».
[65]
pronto e libente in quel ch’elli è esperto,
[69]
grazia divina e precedente merto.
[75]
e chi nol sa, s’elli ha la fede mia?
[78]
e in altrui vostra pioggia repluo».
[81]
sùbito e spesso a guisa di baleno.
[84]
infin la palma e a l’uscir del campo,
[88]
E io: «Le nove e le scritture antiche
[93]
e la sua terra è questa dolce vita;
[94]
e ’l tuo fratello assai vie più digesta,
[97]
E prima, appresso al fin d’este parole,
[103]
E come surge e va ed entra in ballo
[109]
Misesi lì nel canto e ne la rota;
[110]
e la mia donna in lor tenea l’aspetto,
[111]
pur come sposa tacita e immota.
[113]
del nostro pellicano, e questi fue
[118]
Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta
[124]
In terra è terra il mio corpo, e saragli
[129]
e questo apporterai nel mondo vostro».
[139]
presso di lei, e nel mondo felice!
93. Paradiso • Canto XXVI
[7]
Comincia dunque; e dì ove s’appunta
[8]
l’anima tua, e fa ragion che sia
[9]
la vista in te smarrita e non defunta:
[13]
Io dissi: «Al suo piacere e tosto e tardo
[17]
Alfa e O è di quanta scrittura
[22]
e disse: «Certo a più angusto vaglio
[25]
E io: «Per filosofici argomenti
[26]
e per autorità che quinci scende
[29]
così accende amore, e tanto maggio
[46]
E io udi’: «Per intelletto umano
[47]
e per autoritadi a lui concorde
[58]
ché l’essere del mondo e l’esser mio,
[60]
e quel che spera ogne fedel com’ io,
[63]
e del diritto m’han posto a la riva.
[68]
risonò per lo cielo, e la mia donna
[70]
E come a lume acuto si disonna
[73]
e lo svegliato ciò che vede aborre,
[80]
e quasi stupefatto domandai
[82]
E la mia donna: «Dentro da quei rai
[86]
nel transito del vento, e poi si leva
[89]
stupendo, e poi mi rifece sicuro
[91]
E cominciai: «O pomo che maturo
[93]
a cui ciascuna sposa è figlia e nuro,
[96]
e per udirti tosto non la dico».
[100]
e similmente l’anima primaia
[108]
e nulla face lui di sé pareglio.
[112]
e quanto fu diletto a li occhi miei,
[113]
e la propria cagion del gran disdegno,
[114]
e l’idïoma ch’usai e che fei.
[119]
quattromilia trecento e due volumi
[121]
e vidi lui tornare a tutt’ i lumi
[136]
e El si chiamò poi: e ciò convene,
[138]
in ramo, che sen va e altra vene.
[140]
fu’ io, con vita pura e disonesta,
94. Paradiso • Canto XXVII
[6]
intrava per l’udire e per lo viso.
[8]
oh vita intègra d’amore e di pace!
[11]
stavano accese, e quella che pria venne
[13]
e tal ne la sembianza sua divenne,
[14]
qual diverrebbe Iove, s’elli e Marte
[15]
fossero augelli e cambiassersi penne.
[17]
vice e officio, nel beato coro
[26]
del sangue e de la puzza; onde ’l perverso
[29]
nube dipigne da sera e da mane,
[31]
E come donna onesta che permane
[32]
di sé sicura, e per l’altrui fallanza,
[35]
e tale eclissi credo che ’n ciel fue
[44]
e Sisto e Pïo e Calisto e Urbano
[53]
a privilegi venduti e mendaci,
[54]
ond’ io sovente arrosso e disfavillo.
[58]
Del sangue nostro Caorsini e Guaschi
[64]
e tu, figliuol, che per lo mortal pondo
[66]
e non asconder quel ch’io non ascondo».
[71]
farsi e fioccar di vapor trïunfanti
[74]
e seguì fin che ’l mezzo, per lo molto,
[78]
il viso e guarda come tu se’ vòlto».
[83]
folle d’Ulisse, e di qua presso il lito
[85]
E più mi fora discoverto il sito
[87]
sotto i mie’ piedi un segno e più partito.
[91]
e se natura o arte fé pasture
[97]
E la virtù che lo sguardo m’indulse,
[99]
e nel ciel velocissimo m’impulse.
[107]
il mezzo e tutto l’altro intorno move,
[109]
e questo cielo non ha altro dove
[111]
l’amor che ’l volge e la virtù ch’ei piove.
[112]
Luce e amor d’un cerchio lui comprende,
[113]
sì come questo li altri; e quel precinto
[117]
sì come diece da mezzo e da quinto;
[118]
e come il tempo tegna in cotal testo
[119]
le sue radici e ne li altri le fronde,
[127]
Fede e innocenza son reperte
[133]
e tal, balbuzïendo, ama e ascolta
[138]
di quel ch’apporta mane e lascia sera.
[148]
e vero frutto verrà dopo ’l fiore».
95. Paradiso • Canto XXVIII
[7]
e sé rivolge per veder se ’l vetro
[8]
li dice il vero, e vede ch’el s’accorda
[13]
E com’ io mi rivolsi e furon tocchi
[19]
e quale stella par quinci più poca,
[28]
e questo era d’un altro circumcinto,
[29]
e quel dal terzo, e ’l terzo poi dal quarto,
[30]
dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
[34]
Così l’ottavo e ’l nono; e chiascheduno
[37]
e quello avea la fiamma più sincera
[42]
depende il cielo e tutta la natura.
[44]
e sappi che ’l suo muovere è sì tosto
[46]
E io a lei: «Se ’l mondo fosse posto
[53]
in questo miro e angelico templo
[54]
che solo amore e luce ha per confine,
[56]
e l’essemplare non vanno d’un modo,
[63]
e intorno da esso t’assottiglia.
[64]
Li cerchi corporai sono ampi e arti
[65]
secondo il più e ’l men de la virtute
[72]
al cerchio che più ama e che più sape:
[77]
di maggio a più e di minore a meno,
[79]
Come rimane splendido e sereno
[82]
per che si purga e risolve la roffia
[87]
e come stella in cielo il ver si vide.
[88]
E poi che le parole sue restaro,
[96]
e terrà sempre, ne’ quai sempre fuoro.
[97]
E quella che vedëa i pensier dubi
[99]
t’hanno mostrato Serafi e Cherubi.
[102]
e posson quanto a veder son soblimi.
[106]
e dei saper che tutti hanno diletto
[112]
e del vedere è misura mercede,
[113]
che grazia partorisce e buona voglia:
[122]
prima Dominazioni, e poi Virtudi;
[125]
Principati e Arcangeli si girano;
[128]
e di giù vincon sì, che verso Dio
[129]
tutti tirati sono e tutti tirano.
[130]
E Dïonisio con tanto disio
[132]
che li nomò e distinse com’ io.
[136]
E se tanto secreto ver proferse
96. Paradiso • Canto XXIX
[2]
coperti del Montone e de la Libra,
[5]
infin che l’uno e l’altro da quel cinto,
[10]
Poi cominciò: «Io dico, e non dimando,
[12]
là ’ve s’appunta ogne ubi e ogne quando.
[22]
Forma e materia, congiunte e purette,
[25]
E come in vetro, in ambra o in cristallo
[31]
Concreato fu ordine e costrutto
[32]
a le sustanze; e quelle furon cima
[42]
e tu te n’avvedrai se bene agguati;
[43]
e anche la ragione il vede alquanto,
[46]
Or sai tu dove e quando questi amori
[47]
furon creati e come: sì che spenti
[52]
L’altra rimase, e cominciò quest’ arte
[62]
con grazia illuminante e con lor merto,
[63]
si c’hanno ferma e piena volontate;
[64]
e non voglio che dubbi, ma sia certo,
[72]
è tal, che ’ntende e si ricorda e vole,
[80]
da novo obietto, e però non bisogna
[83]
credendo e non credendo dicer vero;
[84]
ma ne l’uno è più colpa e più vergogna.
[87]
l’amor de l’apparenza e ’l suo pensiero!
[88]
E ancor questo qua sù si comporta
[92]
seminarla nel mondo e quanto piace
[94]
Per apparer ciascun s’ingegna e face
[95]
sue invenzioni; e quelle son trascorse
[96]
da’ predicanti e ’l Vangelio si tace.
[98]
ne la passion di Cristo e s’interpuose,
[100]
e mente, ché la luce si nascose
[101]
da sé: però a li Spani e a l’Indi
[103]
Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi
[105]
in pergamo si gridan quinci e quindi:
[108]
e non le scusa non veder lo danno.
[110]
‘Andate, e predicate al mondo ciance’;
[112]
e quel tanto sonò ne le sue guance,
[114]
de l’Evangelio fero scudo e lance.
[115]
Ora si va con motti e con iscede
[116]
a predicare, e pur che ben si rida,
[117]
gonfia il cappuccio e più non si richiede.
[125]
e altri assai che sono ancor più porci,
[133]
e se tu guardi quel che si revela
[141]
diversamente in essa ferve e tepe.
[142]
Vedi l’eccelso omai e la larghezza
97. Paradiso • Canto XXX
[2]
ci ferve l’ora sesta, e questo mondo
[7]
e come vien la chiarissima ancella
[15]
nulla vedere e amor mi costrinse.
[37]
con atto e voce di spedito duce
[43]
Qui vederai l’una e l’altra milizia
[44]
di paradiso, e l’una in quelli aspetti
[50]
e lasciommi fasciato di tal velo
[58]
e di novella vista mi raccesi
[61]
e vidi lume in forma di rivera
[65]
e d’ogne parte si mettien ne’ fiori,
[69]
e s’una intrava, un’altra n’uscia fori.
[70]
«L’alto disio che mo t’infiamma e urge,
[76]
Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi
[77]
ch’entrano ed escono e ’l rider de l’erbe
[88]
e sì come di lei bevve la gronda
[95]
li fiori e le faville, sì ch’io vidi
[103]
E’ si distende in circular figura,
[108]
che prende quindi vivere e potenza.
[109]
E come clivo in acqua di suo imo
[111]
quando è nel verde e ne’ fioretti opimo,
[115]
E se l’infimo grado in sé raccoglie
[118]
La vista mia ne l’ampio e ne l’altezza
[120]
il quanto e ’l quale di quella allegrezza.
[121]
Presso e lontano, lì, né pon né leva:
[125]
che si digrada e dilata e redole
[127]
qual è colui che tace e dicer vole,
[128]
mi trasse Bëatrice, e disse: «Mira
[133]
E ’n quel gran seggio a che tu li occhi tieni
[141]
che muor per fame e caccia via la balia.
[142]
E fia prefetto nel foro divino
[143]
allora tal, che palese e coverto
[148]
e farà quel d’Alagna intrar più giuso».
98. Paradiso • Canto XXXI
[4]
ma l’altra, che volando vede e canta
[6]
e la bontà che la fece cotanta,
[8]
una fïata e una si ritorna
[11]
di tante foglie, e quindi risaliva
[14]
e l’ali d’oro, e l’altro tanto bianco,
[17]
porgevan de la pace e de l’ardore
[19]
Né l’interporsi tra ’l disopra e ’l fiore
[21]
impediva la vista e lo splendore:
[25]
Questo sicuro e gaudïoso regno,
[26]
frequente in gente antica e in novella,
[27]
viso e amore avea tutto ad un segno.
[34]
veggendo Roma e l’ardüa sua opra,
[39]
e di Fiorenza in popol giusto e sano,
[41]
Certo tra esso e ’l gaudio mi facea
[42]
libito non udire e starmi muto.
[43]
E quasi peregrin che si ricrea
[45]
e spera già ridir com’ ello stea,
[48]
mo sù, mo giù e mo recirculando.
[50]
d’altrui lume fregiati e di suo riso,
[51]
e atti ornati di tutte onestadi.
[55]
e volgeami con voglia rïaccesa
[58]
Uno intendëa, e altro mi rispuose:
[59]
credea veder Beatrice e vidi un sene
[61]
Diffuso era per li occhi e per le gene
[64]
E «Ov’ è ella?», sùbito diss’ io.
[67]
e se riguardi sù nel terzo giro
[71]
e vidi lei che si facea corona
[80]
e che soffristi per la mia salute
[83]
dal tuo podere e da la tua bontate
[84]
riconosco la grazia e la virtute.
[91]
Così orai; e quella, sì lontana
[92]
come parea, sorrise e riguardommi;
[94]
E ’l santo sene: «Acciò che tu assommi
[96]
a che priego e amor santo mandommi,
[100]
E la regina del cielo, ond’ ïo ardo
[117]
cui questo regno è suddito e devoto».
[118]
Io levai li occhi; e come da mattina
[124]
E come quivi ove s’aspetta il temo
[126]
e quinci e quindi il lume si fa scemo,
[128]
nel mezzo s’avvivava, e d’ogne parte
[130]
e a quel mezzo, con le penne sparte,
[132]
ciascun distinto di fulgore e d’arte.
[133]
Vidi a lor giochi quivi e a lor canti
[136]
e s’io avessi in dir tanta divizia
[140]
nel caldo suo caler fissi e attenti,
99. Paradiso • Canto XXXII
[3]
e cominciò queste parole sante:
[4]
«La piaga che Maria richiuse e unse,
[6]
è colei che l’aperse e che la punse.
[10]
Sarra e Rebecca, Iudìt e colei
[16]
E dal settimo grado in giù, sì come
[28]
E come quinci il glorïoso scanno
[29]
de la donna del cielo e li altri scanni
[32]
che sempre santo ’l diserto e ’l martiro
[33]
sofferse, e poi l’inferno da due anni;
[34]
e sotto lui così cerner sortiro
[35]
Francesco, Benedetto e Augustino
[36]
e altri fin qua giù di giro in giro.
[38]
ché l’uno e l’altro aspetto de la fede
[40]
E sappi che dal grado in giù che fiede
[47]
e anche per le voci püerili,
[48]
se tu li guardi bene e se li ascolti.
[49]
Or dubbi tu e dubitando sili;
[58]
e però questa festinata gente
[60]
intra sé qui più e meno eccellente.
[62]
in tanto amore e in tanto diletto,
[66]
diversamente; e qui basti l’effetto.
[67]
E ciò espresso e chiaro vi si nota
[94]
e quello amor che primo lì discese,
[109]
Ed elli a me: «Baldezza e leggiadria
[110]
quant’ esser puote in angelo e in alma,
[111]
tutta è in lui; e sì volem che sia,
[116]
andrò parlando, e nota i gran patrici
[117]
di questo imperio giustissimo e pio.
[127]
E quei che vide tutti i tempi gravi,
[129]
che s’acquistò con la lancia e coi clavi,
[130]
siede lungh’ esso, e lungo l’altro posa
[132]
la gente ingrata, mobile e retrosa.
[136]
e contro al maggior padre di famiglia
[142]
e drizzeremo li occhi al primo amore,
[149]
e tu mi seguirai con l’affezione,
[151]
E cominciò questa santa orazione:
100. Paradiso • Canto XXXIII
[2]
umile e alta più che creatura,
[11]
di caritate, e giuso, intra ’ mortali,
[13]
Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
[14]
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
[28]
E io, che mai per mio veder non arsi
[30]
ti porgo, e priego che non sieno scarsi,
[40]
Li occhi da Dio diletti e venerati,
[46]
E io ch’al fine di tutt’ i disii
[49]
Bernardo m’accennava, e sorridea,
[53]
e più e più intrava per lo raggio
[57]
e cede la memoria a tanto oltraggio.
[60]
rimane, e l’altro a la mente non riede,
[62]
mia visïone, e ancor mi distilla
[70]
e fa la lingua mia tanto possente,
[74]
e per sonare un poco in questi versi,
[79]
E’ mi ricorda ch’io fui più ardito
[88]
sustanze e accidenti e lor costume
[98]
mirava fissa, immobile e attenta,
[99]
e sempre di mirar faceasi accesa.
[104]
tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella
[115]
Ne la profonda e chiara sussistenza
[117]
di tre colori e d’una contenenza;
[118]
e l’un da l’altro come iri da iri
[119]
parea reflesso, e ’l terzo parea foco
[120]
che quinci e quindi igualmente si spiri.
[121]
Oh quanto è corto il dire e come fioco
[122]
al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi,
[125]
sola t’intendi, e da te intelletta
[126]
e intendente te ami e arridi!
[134]
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
[138]
l’imago al cerchio e come vi s’indova;
[143]
ma già volgeva il mio disio e ’l velle,
[145]
l’amor che move il sole e l’altre stelle.
[228]
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