Concordanze nella Divina Commedia di Dante (beta)

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1. Inferno • Canto I

[5] esta selva selvaggia e aspra e forte
[16] guardai in alto e vidi le sue spalle
[22] E come quei che con lena affannata,
[24] si volge a l’acqua perigliosa e guata,
[32] una lonza leggera e presta molto,
[34] e non mi si partia dinanzi al volto,
[38] e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle
[43] l’ora del tempo e la dolce stagione;
[47] con la test’ alta e con rabbiosa fame,
[51] e molte genti fé già viver grame,
[55] E qual è quei che volontieri acquista,
[56] e giugne ’l tempo che perder lo face,
[57] che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista;
[68] e li parenti miei furon lombardi,
[71] e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto
[72] nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
[73] Poeta fui, e cantai di quel giusto
[78] ch’è principio e cagion di tutta gioia?».
[79] «Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte
[82] «O de li altri poeti onore e lume,
[83] vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore
[85] Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore,
[90] ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi».
[97] e ha natura sì malvagia e ria,
[99] e dopo ’l pasto ha più fame che pria.
[101] e più saranno ancora, infin che ’l veltro
[104] ma sapïenza, amore e virtute,
[105] e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
[108] Eurialo e Turno e Niso di ferute.
[112] Ond’ io per lo tuo me’ penso e discerno
[113] che tu mi segui, e io sarò tua guida,
[114] e trarrotti di qui per loco etterno;
[118] e vederai color che son contenti
[127] In tutte parti impera e quivi regge;
[128] quivi è la sua città e l’alto seggio:
[130] E io a lui: «Poeta, io ti richeggio
[132] acciò ch’io fugga questo male e peggio,
[135] e color cui tu fai cotanto mesti».
[136] Allor si mosse, e io li tenni dietro.

2. Inferno • Canto II

[1] Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno
[3] da le fatiche loro; e io sol uno
[5] sì del cammino e sì de la pietate,
[15] secolo andò, e fu sensibilmente.
[18] ch’uscir dovea di lui, e ’l chi e ’l quale
[20] ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero
[22] la quale e ’l quale, a voler dir lo vero,
[27] di sua vittoria e del papale ammanto.
[37] E qual è quei che disvuol ciò che volle
[38] e per novi pensier cangia proposta,
[50] dirotti perch’ io venni e quel ch’io ’ntesi
[53] e donna mi chiamò beata e bella,
[56] e cominciommi a dir soave e piana,
[60] e durerà quanto ’l mondo lontana,
[61] l’amico mio, e non de la ventura,
[64] e temo che non sia già sì smarrito,
[67] Or movi, e con la tua parola ornata
[68] e con ciò c’ha mestieri al suo campare,
[75] Tacette allora, e poi comincia’ io:
[98] e disse:—Or ha bisogno il tuo fedele
[99] di te, e io a te lo raccomando—.
[101] si mosse, e venne al loco dov’ i’ era,
[114] ch’onora te e quei ch’udito l’hanno”.
[118] E venni a te così com’ ella volse:
[123] perché ardire e franchezza non hai,
[126] e ’l mio parlar tanto ben ti promette?».
[128] chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca,
[131] e tanto buono ardire al cor mi corse,
[134] e te cortese ch’ubidisti tosto
[140] tu duca, tu segnore e tu maestro».
[141] Così li dissi; e poi che mosso fue,
[142] intrai per lo cammino alto e silvestro.

3. Inferno • Canto III

[6] la somma sapïenza e ’l primo amore.
[8] se non etterne, e io etterno duro.
[19] E poi che la sua mano a la mia puose
[22] Quivi sospiri, pianti e alti guai
[27] voci alte e fioche, e suon di man con elle
[31] E io ch’avea d’error la testa cinta,
[33] e che gent’ è che par nel duol sì vinta?».
[36] che visser sanza ’nfamia e sanza lodo.
[43] E io: «Maestro, che è tanto greve
[47] e la lor cieca vita è tanto bassa,
[50] misericordia e giustizia li sdegna:
[51] non ragioniam di lor, ma guarda e passa».
[52] E io, che riguardai, vidi una ’nsegna
[55] e dietro le venìa sì lunga tratta
[59] vidi e conobbi l’ombra di colui
[61] Incontanente intesi e certo fui
[63] a Dio spiacenti e a’ nemici sui.
[65] erano ignudi e stimolati molto
[66] da mosconi e da vespe ch’eran ivi.
[70] E poi ch’a riguardar oltre mi diedi,
[73] ch’i’ sappia quali sono, e qual costume
[79] Allor con li occhi vergognosi e bassi,
[87] ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo.
[88] E tu che se’ costì, anima viva,
[94] E ’l duca lui: «Caron, non ti crucciare:
[96] ciò che si vuole, e più non dimandare».
[100] Ma quell’ anime, ch’eran lasse e nude,
[101] cangiar colore e dibattero i denti,
[103] Bestemmiavano Dio e lor parenti,
[104] l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme
[105] di lor semenza e di lor nascimenti.
[119] e avanti che sien di là discese,
[124] e pronti sono a trapassar lo rio,
[128] e però, se Caron di te si lagna,
[136] e caddi come l’uom cui sonno piglia.

4. Inferno • Canto IV

[4] e l’occhio riposato intorno mossi,
[5] dritto levato, e fiso riguardai
[10] Oscura e profonda era e nebulosa
[15] «Io sarò primo, e tu sarai secondo».
[16] E io, che del color mi fui accorto,
[23] Così si mise e così mi fé intrare
[29] ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi,
[30] d’infanti e di femmine e di viri.
[34] ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi,
[37] e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo,
[39] e di questi cotai son io medesmo.
[41] semo perduti, e sol di tanto offesi
[51] E quei che ’ntese il mio parlar coverto,
[56] d’Abèl suo figlio e quella di Noè,
[57] di Moïsè legista e ubidente;
[58] Abraàm patrïarca e Davìd re,
[59] Israèl con lo padre e co’ suoi nati
[60] e con Rachele, per cui tanto fé,
[61] e altri molti, e feceli beati.
[62] E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi,
[73] «O tu ch’onori scïenzïa e arte,
[76] E quelli a me: «L’onrata nominanza
[82] Poi che la voce fu restata e queta,
[90] Ovidio è ’l terzo, e l’ultimo Lucano.
[93] fannomi onore, e di ciò fanno bene».
[99] e ’l mio maestro sorrise di tanto;
[100] e più d’onore ancora assai mi fenno,
[101] ch’e’ sì mi fecer de la loro schiera,
[112] Genti v’eran con occhi tardi e gravi,
[116] in loco aperto, luminoso e alto,
[124] Vidi Cammilla e la Pantasilea;
[128] Lucrezia, Iulia, Marzïa e Corniglia;
[129] e solo, in parte, vidi ’l Saladino.
[134] quivi vid’ ïo Socrate e Platone,
[137] Dïogenès, Anassagora e Tale,
[138] Empedoclès, Eraclito e Zenone;
[139] e vidi il buono accoglitor del quale,
[140] Dïascoride dico; e vidi Orfeo,
[141] Tulïo e Lino e Seneca morale;
[142] Euclide geomètra e Tolomeo,
[143] Ipocràte, Avicenna e Galïeno,
[151] E vegno in parte ove non è che luca.

5. Inferno • Canto V

[3] e tanto più dolor, che punge a guaio.
[4] Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
[6] giudica e manda secondo ch’avvinghia.
[9] e quel conoscitor de le peccata
[15] dicono e odono e poi son giù volte.
[19] «guarda com’ entri e di cui tu ti fide;
[21] E ’l duca mio a lui: «Perché pur gride?
[96] ciò che si vuole, e più non dimandare».
[33] voltando e percotendo li molesta.
[40] E come li stornei ne portan l’ali
[41] nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
[46] E come i gru van cantando lor lai,
[59] che succedette a Nino e fu sua sposa:
[62] e ruppe fede al cener di Sicheo;
[65] tempo si volse, e vedi ’l grande Achille,
[67] Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
[68] ombre mostrommi e nominommi a dito,
[71] nomar le donne antiche e ’ cavalieri,
[72] pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
[75] e paion sì al vento esser leggeri».
[77] più presso a noi; e tu allor li priega
[83] con l’ali alzate e ferme al dolce nido
[88] «O animal grazïoso e benigno
[94] Di quel che udire e che parlar vi piace,
[95] noi udiremo e parleremo a voi,
[102] che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.
[110] china’ il viso, e tanto il tenni basso,
[115] Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
[116] e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
[117] a lagrimar mi fanno tristo e pio.
[119] a che e come concedette amore
[121] E quella a me: «Nessun maggior dolore
[123] ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore.
[126] dirò come colui che piange e dice.
[129] soli eravamo e sanza alcun sospetto.
[131] quella lettura, e scolorocci il viso;
[137] Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
[142] E caddi come corpo morto cade.

6. Inferno • Canto VI

[4] novi tormenti e novi tormentati
[6] e ch’io mi volga, e come che io guati.
[8] etterna, maladetta, fredda e greve;
[9] regola e qualità mai non l’è nova.
[10] Grandine grossa, acqua tinta e neve
[13] Cerbero, fiera crudele e diversa,
[16] Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
[17] e ’l ventre largo, e unghiate le mani;
[23] le bocche aperse e mostrocci le sanne;
[25] E ’l duca mio distese le sue spanne,
[26] prese la terra, e con piene le pugna
[29] e si racqueta poi che ’l pasto morde,
[30] ché solo a divorarlo intende e pugna,
[35] la greve pioggia, e ponavam le piante
[43] E io a lui: «L’angoscia che tu hai
[47] loco se’ messo, e hai sì fatta pena,
[55] E io anima trista non son sola,
[57] per simil colpa». E più non fé parola.
[62] s’alcun v’è giusto; e dimmi la cagione
[64] E quelli a me: «Dopo lunga tencione
[65] verranno al sangue, e la parte selvaggia
[68] infra tre soli, e che l’altra sormonti
[73] Giusti son due, e non vi sono intesi;
[74] superbia, invidia e avarizia sono
[77] E io a lui: «Ancor vo’ che mi ’nsegni
[78] e che di più parlar mi facci dono.
[79] Farinata e ’l Tegghiaio, che fuor sì degni,
[80] Iacopo Rusticucci, Arrigo e ’l Mosca
[81] e li altri ch’a ben far puoser li ’ngegni,
[82] dimmi ove sono e fa ch’io li conosca;
[85] E quelli: «Ei son tra l’anime più nere;
[90] più non ti dico e più non ti rispondo».
[92] guardommi un poco e poi chinò la testa:
[94] E ’l duca disse a me: «Più non si desta
[98] ripiglierà sua carne e sua figura,
[101] de l’ombre e de la pioggia, a passi lenti,
[108] più senta il bene, e così la doglienza.

7. Inferno • Canto VII

[3] e quel savio gentil, che tutto seppe,
[8] e disse: «Taci, maladetto lupo!
[20] nove travaglie e pene quant’ io viddi?
[21] e perché nostra colpa sì ne scipa?
[26] e d’una parte e d’altra, con grand’ urli,
[28] Percotëansi ’ncontro; e poscia pur lì
[30] gridando: «Perché tieni?» e «Perché burli?».
[36] E io, ch’avea lo cor quasi compunto,
[38] che gente è questa, e se tutti fuor cherci
[47] piloso al capo, e papi e cardinali,
[49] E io: «Maestro, tra questi cotali
[57] col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi.
[58] Mal dare e mal tener lo mondo pulcro
[59] ha tolto loro, e posti a questa zuffa:
[65] e che già fu, di quest’ anime stanche
[70] E quelli a me: «Oh creature sciocche,
[74] fece li cieli e diè lor chi conduce
[78] ordinò general ministra e duce
[80] di gente in gente e d’uno in altro sangue,
[82] per ch’una gente impera e l’altra langue,
[86] questa provede, giudica, e persegue
[93] dandole biasmo a torto e mala voce;
[94] ma ella s’è beata e ciò non ode:
[96] volve sua spera e beata si gode.
[99] quand’ io mi mossi, e ’l troppo star si vieta».
[101] sovr’ una fonte che bolle e riversa
[104] e noi, in compagnia de l’onde bige,
[109] E io, che di mirare stava inteso,
[113] ma con la testa e col petto e coi piedi,
[117] e anche vo’ che tu per certo credi
[119] e fanno pullular quest’ acqua al summo,
[128] grand’ arco tra la ripa secca e ’l mézzo,

8. Inferno • Canto VIII

[5] e un’altra da lungi render cenno,
[7] E io mi volsi al mar di tutto ’l senno;
[8] dissi: «Questo che dice? e che risponde
[9] quell’ altro foco? e chi son quei che ’l fenno?».
[23] che li sia fatto, e poi se ne rammarca,
[26] e poi mi fece intrare appresso lui;
[27] e sol quand’ io fui dentro parve carca.
[28] Tosto che ’l duca e io nel legno fui,
[33] e disse: «Chi se’ tu che vieni anzi ora?».
[34] E io a lui: «S’i’ vegno, non rimango;
[37] E io a lui: «Con piangere e con lutto,
[44] basciommi ’l volto e disse: «Alma sdegnosa,
[52] E io: «Maestro, molto sarei vago
[60] che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.
[62] e ’l fiorentino spirito bizzarro
[70] E io: «Maestro, già le sue meschite
[86] E ’l savio mio maestro fece segno
[89] e disser: «Vien tu solo, e quei sen vada
[98] volte m’hai sicurtà renduta e tratto
[101] e se ’l passar più oltre ci è negato,
[103] E quel segnor che lì m’avea menato,
[106] Ma qui m’attendi, e lo spirito lasso
[107] conforta e ciba di speranza buona,
[109] Così sen va, e quivi m’abbandona
[110] lo dolce padre, e io rimagno in forse,
[111] che sì e no nel capo mi tenciona.
[117] e rivolsesi a me con passi rari.
[118] Li occhi a la terra e le ciglia avea rase
[119] d’ogne baldanza, e dicea ne’ sospiri:
[121] E a me disse: «Tu, perch’ io m’adiri,
[128] e già di qua da lei discende l’erta,

9. Inferno • Canto IX

[6] per l’aere nero e per la nebbia folta.
[19] Questa question fec’ io; e quei «Di rado
[28] Quell’ è ’l più basso loco e ’l più oscuro,
[29] e ’l più lontan dal ciel che tutto gira:
[34] E altro disse, ma non l’ho a mente;
[39] che membra feminine avieno e atto,
[40] e con idre verdissime eran cinte;
[41] serpentelli e ceraste avien per crine,
[43] E quei, che ben conobbe le meschine
[48] Tesifón è nel mezzo»; e tacque a tanto.
[50] battiensi a palme e gridavan sì alto,
[55] «Volgiti ’n dietro e tien lo viso chiuso;
[56] ché se ’l Gorgón si mostra e tu ’l vedessi,
[59] mi volse, e non si tenne a le mie mani,
[64] E già venìa su per le torbide onde
[69] che fier la selva e sanz’ alcun rattento
[70] li rami schianta, abbatte e porta fori;
[72] e fa fuggir le fiere e li pastori.
[73] Li occhi mi sciolse e disse: «Or drizza il nerbo
[84] e sol di quell’ angoscia parea lasso.
[86] e volsimi al maestro; e quei fé segno
[89] Venne a la porta e con una verghetta
[96] e che più volte v’ha cresciuta doglia?
[99] ne porta ancor pelato il mento e ’l gozzo».
[101] e non fé motto a noi, ma fé sembiante
[102] d’omo cui altra cura stringa e morda
[104] e noi movemmo i piedi inver’ la terra,
[107] e io, ch’avea di riguardar disio
[110] e veggio ad ogne man grande campagna,
[111] piena di duolo e di tormento rio.
[114] ch’Italia chiude e suoi termini bagna,
[122] e fuor n’uscivan sì duri lamenti,
[123] che ben parean di miseri e d’offesi.
[124] E io: «Maestro, quai son quelle genti
[127] E quelli a me: «Qui son li eresïarche
[128] con lor seguaci, d’ogne setta, e molto
[131] e i monimenti son più e men caldi».
[132] E poi ch’a la man destra si fu vòlto,
[133] passammo tra i martìri e li alti spaldi.

10. Inferno • Canto X

[2] tra ’l muro de la terra e li martìri,
[3] lo mio maestro, e io dopo le spalle.
[6] parlami, e sodisfammi a’ miei disiri.
[9] tutt’ i coperchi, e nessun guardia face».
[10] E quelli a me: «Tutti saran serrati
[18] e al disio ancor che tu mi taci».
[19] E io: «Buon duca, non tegno riposto
[21] e tu m’hai non pur mo a ciò disposto».
[35] ed el s’ergea col petto e con la fronte
[37] E l’animose man del duca e pronte
[41] guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
[47] a me e a miei primi e a mia parte,
[50] rispuos’ io lui, «l’una e l’altra fïata;
[57] e poi che ’l sospecciar fu tutto spento,
[60] mio figlio ov’ è? e perché non è teco?».
[61] E io a lui: «Da me stesso non vegno:
[64] Le sue parole e ’l modo de la pena
[72] supin ricadde e più non parve fora.
[76] e sé continüando al primo detto,
[82] E se tu mai nel dolce mondo regge,
[85] Ond’ io a lui: «Lo strazio e ’l grande scempio
[99] e nel presente tenete altro modo».
[104] nostro intelletto; e s’altri non ci apporta,
[112] e s’i’ fui, dianzi, a la risposta muto,
[115] E già ’l maestro mio mi richiamava;
[120] e ’l Cardinale; e de li altri mi taccio».
[121] Indi s’ascose; e io inver’ l’antico
[124] Elli si mosse; e poi, così andando,
[126] E io li sodisfeci al suo dimando.
[129] «e ora attendi qui», e drizzò ’l dito:
[134] lasciammo il muro e gimmo inver’ lo mezzo

11. Inferno • Canto XI

[4] e quivi, per l’orribile soperchio
[12] al tristo fiato; e poi no i fia riguardo».
[13] Così ’l maestro; e io «Alcun compenso»,
[21] intendi come e perché son costretti.
[26] più spiace a Dio; e però stan di sotto
[27] li frodolenti, e più dolor li assale.
[30] in tre gironi è distinto e costrutto.
[32] far forza, dico in loro e in lor cose,
[34] Morte per forza e ferute dogliose
[35] nel prossimo si danno, e nel suo avere
[36] ruine, incendi e tollette dannose;
[37] onde omicide e ciascun che mal fiere,
[38] guastatori e predon, tutti tormenta
[41] e ne’ suoi beni; e però nel secondo
[44] biscazza e fonde la sua facultade,
[45] e piange là dov’ esser de’ giocondo.
[47] col cor negando e bestemmiando quella,
[48] e spregiando natura e sua bontade;
[49] e però lo minor giron suggella
[50] del segno suo e Soddoma e Caorsa
[51] e chi, spregiando Dio col cor, favella.
[54] e in quel che fidanza non imborsa.
[58] ipocresia, lusinghe e chi affattura,
[59] falsità, ladroneccio e simonia,
[60] ruffian, baratti e simile lordura.
[62] che fa natura, e quel ch’è poi aggiunto,
[67] E io: «Maestro, assai chiara procede
[68] la tua ragione, e assai ben distingue
[69] questo baràtro e ’l popol ch’e’ possiede.
[71] che mena il vento, e che batte la pioggia,
[72] e che s’incontran con sì aspre lingue,
[75] e se non li ha, perché sono a tal foggia?».
[82] incontenenza, malizia e la matta
[83] bestialitade? e come incontenenza
[84] men Dio offende e men biasimo accatta?
[86] e rechiti a la mente chi son quelli
[89] sien dipartiti, e perché men crucciata
[96] la divina bontade, e ’l groppo solvi».
[100] dal divino ’ntelletto e da sua arte;
[101] e se tu ben la tua Fisica note,
[108] prender sua vita e avanzar la gente;
[109] e perché l’usuriere altra via tene,
[110] per sé natura e per la sua seguace
[114] e ’l Carro tutto sovra ’l Coro giace,
[115] e ’l balzo via là oltra si dismonta».

12. Inferno • Canto XII

[2] venimmo, alpestro e, per quel che v’er’ anco,
[11] e ’n su la punta de la rotta lacca
[14] e quando vide noi, sé stesso morse,
[24] che gir non sa, ma qua e là saltella,
[26] e quello accorto gridò: «Corri al varco;
[27] mentre ch’e’ ’nfuria, è buon che tu ti cale».
[31] Io gia pensando; e quei disse: «Tu pensi
[44] e in quel punto questa vecchia roccia,
[45] qui e altrove, tal fece riverso.
[49] Oh cieca cupidigia e ira folle,
[51] e ne l’etterna poi sì mal c’immolle!
[55] e tra ’l piè de la ripa ed essa, in traccia
[59] e de la schiera tre si dipartiro
[60] con archi e asticciuole prima elette;
[61] e l’un gridò da lungi: «A qual martiro
[67] Poi mi tentò, e disse: «Quelli è Nesso,
[69] e fé di sé la vendetta elli stesso.
[70] E quel di mezzo, ch’al petto si mira,
[77] Chirón prese uno strale, e con la cocca
[83] E ’l mio buon duca, che già li er’ al petto,
[85] rispuose: «Ben è vivo, e sì soletto
[87] necessità ’l ci ’nduce, e non diletto.
[94] e che ne mostri là dove si guada,
[95] e che porti costui in su la groppa,
[98] e disse a Nesso: «Torna, e sì li guida,
[99] e fa cansar s’altra schiera v’intoppa».
[104] e ’l gran centauro disse: «E’ son tiranni
[105] che dier nel sangue e ne l’aver di piglio.
[107] quivi è Alessandro, e Dïonisio fero
[109] E quella fronte c’ha ’l pel così nero,
[110] è Azzolino; e quell’ altro ch’è biondo,
[113] Allor mi volsi al poeta, e quei disse:
[114] «Questi ti sia or primo, e io secondo».
[122] tenean la testa e ancor tutto ’l casso;
[123] e di costoro assai riconobb’ io.
[126] e quindi fu del fosso il nostro passo.
[135] e Pirro e Sesto; e in etterno munge
[139] Poi si rivolse e ripassossi ’l guazzo.

13. Inferno • Canto XIII

[5] non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti;
[9] tra Cecina e Corneto i luoghi cólti.
[13] Ali hanno late, e colli e visi umani,
[14] piè con artigli, e pennuto ’l gran ventre;
[16] E ’l buon maestro «Prima che più entre,
[18] mi cominciò a dire, «e sarai mentre
[23] e non vedea persona che ’l facesse;
[32] e colsi un ramicel da un gran pruno;
[33] e ’l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?».
[37] Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:
[42] e cigola per vento che va via,
[44] parole e sangue; ond’ io lasciai la cima
[45] cadere, e stetti come l’uom che teme.
[55] E ’l tronco: «Sì col dolce dir m’adeschi,
[56] ch’i’ non posso tacere; e voi non gravi
[59] del cor di Federigo, e che le volsi,
[60] serrando e diserrando, sì soavi,
[63] tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi.
[66] morte comune e de le corti vizio,
[68] e li ’nfiammati infiammar sì Augusto,
[76] E se di voi alcun nel mondo riede,
[79] Un poco attese, e poi «Da ch’el si tace»,
[81] ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace».
[89] in questi nocchi; e dinne, se tu puoi,
[91] Allor soffiò il tronco forte, e poi
[97] Cade in la selva, e non l’è parte scelta;
[100] Surge in vermena e in pianta silvestra:
[102] fanno dolore, e al dolor fenestra.
[106] Qui le strascineremo, e per la mesta
[113] sente ’l porco e la caccia a la sua posta,
[114] ch’ode le bestie, e le frasche stormire.
[116] nudi e graffiati, fuggendo sì forte,
[119] E l’altro, cui pareva tardar troppo,
[122] E poi che forse li fallia la lena,
[123] di sé e d’un cespuglio fece un groppo.
[125] di nere cagne, bramose e correnti
[128] e quel dilaceraro a brano a brano;
[131] e menommi al cespuglio che piangea
[146] e se non fosse che ’n sul passo d’Arno

14. Inferno • Canto XIV

[3] e rende’le a colui, ch’era già fioco.
[5] lo secondo giron dal terzo, e dove
[13] Lo spazzo era una rena arida e spessa,
[21] e parea posta lor diversa legge.
[24] e altra andava continüamente.
[26] e quella men che giacëa al tormento,
[47] lo ’ncendio e giace dispettoso e torto,
[49] E quel medesmo, che si fu accorto
[59] e me saetti con tutta sua forza:
[69] ch’assiser Tebe; ed ebbe e par ch’elli abbia
[70] Dio in disdegno, e poco par che ’l pregi;
[73] Or mi vien dietro, e guarda che non metti,
[82] Lo fondo suo e ambo le pendici
[83] fatt’ era ’n pietra, e ’ margini dallato;
[98] d’acqua e di fronde, che si chiamò Ida;
[101] del suo figliuolo, e per celarlo meglio,
[105] e Roma guarda come süo speglio.
[107] e puro argento son le braccia e ’l petto,
[111] e sta ’n su quel, più che ’n su l’altro, eretto.
[116] fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;
[119] fanno Cocito; e qual sia quello stagno
[121] E io a lui: «Se ’l presente rigagno
[125] e tutto che tu sie venuto molto,
[130] E io ancor: «Maestro, ove si trova
[131] Flegetonta e Letè? ché de l’un taci,
[132] e l’altro di’ che si fa d’esta piova».
[142] e sopra loro ogne vapor si spegne».

15. Inferno • Canto XV

[2] e ’l fummo del ruscel di sopra aduggia,
[3] sì che dal foco salva l’acqua e li argini.
[4] Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia,
[7] e quali Padoan lungo la Brenta,
[8] per difender lor ville e lor castelli,
[17] che venian lungo l’argine, e ciascuna
[20] e sì ver’ noi aguzzavan le ciglia
[24] per lo lembo e gridò: «Qual maraviglia!».
[25] E io, quando ’l suo braccio a me distese,
[29] e chinando la mano a la sua faccia,
[31] E quelli: «O figliuol mio, non ti dispiaccia
[33] ritorna ’n dietro e lascia andar la traccia».
[35] e se volete che con voi m’asseggia,
[41] e poi rigiugnerò la mia masnada,
[48] e chi è questi che mostra ’l cammino?».
[54] e reducemi a ca per questo calle».
[58] e s’io non fossi sì per tempo morto,
[63] e tiene ancor del monte e del macigno,
[68] gent’ è avara, invidiosa e superba:
[71] che l’una parte e l’altra avranno fame
[74] di lor medesme, e non tocchin la pianta,
[82] ché ’n la mente m’è fitta, e or m’accora,
[83] la cara e buona imagine paterna
[86] e quant’ io l’abbia in grado, mentr’ io vivo
[89] e serbolo a chiosar con altro testo
[96] come le piace, e ’l villan la sua marra».
[98] destra si volse in dietro e riguardommi;
[101] con ser Brunetto, e dimando chi sono
[102] li suoi compagni più noti e più sommi.
[107] e litterati grandi e di gran fama,
[110] e Francesco d’Accorso anche; e vedervi,
[115] Di più direi; ma ’l venire e ’l sermone
[120] nel qual io vivo ancora, e più non cheggio».
[121] Poi si rivolse, e parve di coloro
[123] per la campagna; e parve di costoro

16. Inferno • Canto XVI

[7] Venian ver’ noi, e ciascuna gridava:
[11] ricenti e vecchie, da le fiamme incese!
[14] volse ’l viso ver’ me, e «Or aspetta»,
[16] E se non fosse il foco che saetta
[20] l’antico verso; e quando a noi fuor giunti,
[21] fenno una rota di sé tutti e trei.
[22] Qual sogliono i campion far nudi e unti,
[23] avvisando lor presa e lor vantaggio,
[24] prima che sien tra lor battuti e punti,
[28] E «Se miseria d’esto loco sollo
[29] rende in dispetto noi e nostri prieghi»,
[30] cominciò l’uno, «e ’l tinto aspetto e brollo,
[35] tutto che nudo e dipelato vada,
[38] Guido Guerra ebbe nome, e in sua vita
[39] fece col senno assai e con la spada.
[43] E io, che posto son con loro in croce,
[44] Iacopo Rusticucci fui, e certo
[48] e credo che ’l dottor l’avria sofferto;
[49] ma perch’ io mi sarei brusciato e cotto,
[58] Di vostra terra sono, e sempre mai
[59] l’ovra di voi e li onorati nomi
[60] con affezion ritrassi e ascoltai.
[61] Lascio lo fele e vo per dolci pomi
[66] «e se la fama tua dopo te luca,
[67] cortesia e valor dì se dimora
[71] con noi per poco e va là coi compagni,
[73] «La gente nuova e i sùbiti guadagni
[74] orgoglio e dismisura han generata,
[77] e i tre, che ciò inteser per risposta,
[83] e torni a riveder le belle stelle,
[86] Indi rupper la rota, e a fuggirsi
[89] tosto così com’ e’ fuoro spariti;
[91] Io lo seguiva, e poco eravam iti,
[99] e a Forlì di quel nome è vacante,
[107] e con essa pensai alcuna volta
[111] porsila a lui aggroppata e ravvolta.
[113] e alquanto di lunge da la sponda
[115] ‘E’ pur convien che novità risponda’,
[122] ciò ch’io attendo e che il tuo pensier sogna;
[127] ma qui tacer nol posso; e per le note
[130] ch’i’ vidi per quell’ aere grosso e scuro
[136] che ’n sù si stende e da piè si rattrappa.

17. Inferno • Canto XVII

[2] che passa i monti e rompe i muri e l’armi!
[5] e accennolle che venisse a proda,
[7] E quella sozza imagine di froda
[8] sen venne, e arrivò la testa e ’l busto,
[12] e d’un serpente tutto l’altro fusto;
[14] lo dosso e ’l petto e ambedue le coste
[15] dipinti avea di nodi e di rotelle.
[16] Con più color, sommesse e sovraposte
[20] che parte sono in acqua e parte in terra,
[21] e come là tra li Tedeschi lurchi
[24] su l’orlo ch’è di pietra e ’l sabbion serra.
[32] e diece passi femmo in su lo stremo,
[33] per ben cessar la rena e la fiammella.
[34] E quando noi a lei venuti semo,
[39] mi disse, «va, e vedi la lor mena.
[48] quando a’ vapori, e quando al caldo suolo:
[56] ch’avea certo colore e certo segno,
[57] e quindi par che ’l loro occhio si pasca.
[58] E com’ io riguardando tra lor vegno,
[60] che d’un leone avea faccia e contegno.
[64] E un che d’una scrofa azzurra e grossa
[67] Or te ne va; e perché se’ vivo anco,
[74] Qui distorse la bocca e di fuor trasse
[76] E io, temendo no ’l più star crucciasse
[81] e disse a me: «Or sie forte e ardito.
[87] e triema tutto pur guardando ’l rezzo,
[96] con le braccia m’avvinse e mi sostenne;
[97] e disse: «Gerïon, moviti omai:
[98] le rote larghe, e lo scender sia poco;
[102] e poi ch’al tutto si sentì a gioco,
[104] e quella tesa, come anguilla, mosse,
[105] e con le branche l’aere a sé raccolse.
[113] ne l’aere d’ogne parte, e vidi spenta
[116] rota e discende, ma non me n’accorgo
[117] se non che al viso e di sotto mi venta.
[122] però ch’i’ vidi fuochi e senti’ pianti;
[124] E vidi poi, ché nol vedea davanti,
[125] lo scendere e ’l girar per li gran mali
[131] per cento rote, e da lunge si pone
[132] dal suo maestro, disdegnoso e fello;
[135] e, discarcate le nostre persone,

18. Inferno • Canto XVIII

[5] vaneggia un pozzo assai largo e profondo,
[8] tra ’l pozzo e ’l piè de l’alta ripa dura,
[9] e ha distinto in dieci valli il fondo.
[11] più e più fossi cingon li castelli,
[14] e come a tai fortezze da’ lor sogli
[17] movien che ricidien li argini e ’ fossi
[18] infino al pozzo che i tronca e raccogli.
[20] di Gerïon, trovammoci; e ’l poeta
[21] tenne a sinistra, e io dietro mi mossi.
[23] novo tormento e novi frustatori,
[32] verso ’l castello e vanno a Santo Pietro,
[41] furo scontrati; e io sì tosto dissi:
[44] e ’l dolce duca meco si ristette,
[45] e assentio ch’alquanto in dietro gissi.
[46] E quel frustato celar si credette
[58] E non pur io qui piango bolognese;
[61] a dicer ‘sipa’ tra Sàvena e Reno;
[62] e se di ciò vuoi fede o testimonio,
[65] de la sua scurïada, e disse: «Via,
[71] e vòlti a destra su per la sua scheggia,
[75] lo duca disse: «Attienti, e fa che feggia
[81] e che la ferza similmente scaccia.
[82] E ’l buon maestro, sanza mia dimanda,
[84] e per dolor non par lagrime spanda:
[86] Quelli è Iasón, che per cuore e per senno
[91] Ivi con segni e con parole ornate
[96] e anche di Medea si fa vendetta.
[98] e questo basti de la prima valle
[99] sapere e di color che ’n sé assanna».
[102] e fa di quello ad un altr’ arco spalle.
[104] ne l’altra bolgia e che col muso scuffa,
[105] e sé medesma con le palme picchia.
[108] che con li occhi e col naso facea zuffa.
[112] Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso
[115] E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco,
[120] E io a lui: «Perché, se ben ricordo,
[122] e se’ Alessio Interminei da Lucca:
[130] di quella sozza e scapigliata fante
[132] e or s’accoscia e ora è in piedi stante.
[136] E quinci sian le nostre viste sazie».

19. Inferno • Canto XIX

[3] deon essere spose, e voi rapaci
[4] per oro e per argento avolterate,
[11] che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,
[12] e quanto giusto tua virtù comparte!
[13] Io vidi per le coste e per lo fondo
[15] d’un largo tutti e ciascun era tondo.
[21] e questo sia suggel ch’ogn’ omo sganni.
[23] d’un peccator li piedi e de le gambe
[24] infino al grosso, e l’altro dentro stava.
[27] che spezzate averien ritorte e strambe.
[33] diss’ io, «e cui più roggia fiamma succia?».
[36] da lui saprai di sé e de’ suoi torti».
[37] E io: «Tanto m’è bel, quanto a te piace:
[38] tu se’ segnore, e sai ch’i’ non mi parto
[39] dal tuo volere, e sai quel che si tace».
[41] volgemmo e discendemmo a mano stanca
[42] là giù nel fondo foracchiato e arto.
[57] la bella donna, e poi di farne strazio?».
[60] quasi scornati, e risponder non sanno.
[63] e io rispuosi come a me fu imposto.
[65] poi, sospirando e con voce di pianto,
[70] e veramente fui figliuol de l’orsa,
[72] che sù l’avere e qui me misi in borsa.
[80] e ch’i’ son stato così sottosopra,
[84] tal che convien che lui e me ricuopra.
[86] ne’ Maccabei; e come a quel fu molle
[98] e guarda ben la mal tolta moneta
[100] E se non fosse ch’ancor lo mi vieta
[105] calcando i buoni e sollevando i pravi.
[110] e da le diece corna ebbe argomento,
[112] Fatto v’avete dio d’oro e d’argento;
[113] e che altro è da voi a l’idolatre,
[114] se non ch’elli uno, e voi ne orate cento?
[118] E mentr’ io li cantava cotai note,
[125] e poi che tutto su mi s’ebbe al petto,

20. Inferno • Canto XX

[2] e dar matera al ventesimo canto
[7] e vidi gente per lo vallon tondo
[8] venir, tacendo e lagrimando, al passo
[12] ciascun tra ’l mento e ’l principio del casso,
[14] e in dietro venir li convenia,
[31] Drizza la testa, drizza, e vedi a cui
[35] E non restò di ruinare a valle
[39] di retro guarda e fa retroso calle.
[43] e prima, poi, ribatter li convenne
[51] e ’l mar non li era la veduta tronca.
[52] E quella che ricuopre le mammelle,
[54] e ha di là ogne pilosa pelle,
[59] e venne serva la città di Baco,
[64] Per mille fonti, credo, e più si bagna
[65] tra Garda e Val Camonica e Pennino
[68] pastore e quel di Brescia e ’l veronese
[69] segnar poria, s’e’ fesse quel cammino.
[70] Siede Peschiera, bello e forte arnese
[71] da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,
[75] e fassi fiume giù per verdi paschi.
[80] ne la qual si distende e la ’mpaluda;
[81] e suol di state talor essere grama.
[84] sanza coltura e d’abitanti nuda.
[87] e visse, e vi lasciò suo corpo vano.
[92] e per colei che ’l loco prima elesse,
[100] E io: «Maestro, i tuoi ragionamenti
[101] mi son sì certi e prendon sì mia fede,
[110] augure, e diede ’l punto con Calcanta
[112] Euripilo ebbe nome, e così ’l canta
[119] ch’avere inteso al cuoio e a lo spago
[122] la spuola e ’l fuso, e fecersi ’ndivine;
[123] fecer malie con erbe e con imago.
[125] d’amendue li emisperi e tocca l’onda
[126] sotto Sobilia Caino e le spine;
[127] e già iernotte fu la luna tonda:
[130] Sì mi parlava, e andavamo introcque.

21. Inferno • Canto XXI

[3] venimmo; e tenavamo ’l colmo, quando
[5] di Malebolge e li altri pianti vani;
[6] e vidila mirabilmente oscura.
[11] chi fa suo legno novo e chi ristoppa
[13] chi ribatte da proda e chi da poppa;
[14] altri fa remi e altri volge sarte;
[15] chi terzeruolo e artimon rintoppa—:
[21] e gonfiar tutta, e riseder compressa.
[27] e cui paura sùbita sgagliarda,
[29] e vidi dietro a noi un diavol nero
[32] e quanto mi parea ne l’atto acerbo,
[33] con l’ali aperte e sovra i piè leggero!
[34] L’omero suo, ch’era aguto e superbo,
[36] e quei tenea de’ piè ghermito ’l nerbo.
[43] Là giù ’l buttò, e per lo scoglio duro
[44] si volse; e mai non fu mastino sciolto
[46] Quel s’attuffò, e tornò sù convolto;
[61] e per nulla offension che mi sia fatta,
[65] e com’ el giunse in su la ripa sesta,
[67] Con quel furore e con quella tempesta
[71] e volser contra lui tutt’ i runcigli;
[75] e poi d’arruncigliarmi si consigli».
[77] per ch’un si mosse—e li altri stetter fermi—
[78] e venne a lui dicendo: «Che li approda?».
[82] sanza voler divino e fato destro?
[86] ch’e’ si lasciò cascar l’uncino a’ piedi,
[87] e disse a li altri: «Omai non sia feruto».
[88] E ’l duca mio a me: «O tu che siedi
[91] Per ch’io mi mossi e a lui venni ratto;
[92] e i diavoli si fecer tutti avanti,
[98] lungo ’l mio duca, e non torceva li occhi
[100] Ei chinavan li raffi e «Vuo’ che ’l tocchi»,
[102] E rispondien: «Sì, fa che gliel’ accocchi».
[105] e disse: «Posa, posa, Scarmiglione!».
[109] E se l’andare avante pur vi piace,
[118] «Tra’ti avante, Alichino, e Calcabrina»,
[119] cominciò elli a dire, «e tu, Cagnazzo;
[120] e Barbariccia guidi la decina.
[121] Libicocco vegn’ oltre e Draghignazzo,
[122] Cirïatto sannuto e Graffiacane
[123] e Farfarello e Rubicante pazzo.
[131] non vedi tu ch’e’ digrignan li denti
[132] e con le ciglia ne minaccian duoli?».
[135] ch’e’ fanno ciò per li lessi dolenti».

22. Inferno • Canto XXII

[2] e cominciare stormo e far lor mostra,
[3] e talvolta partir per loro scampo;
[5] o Aretini, e vidi gir gualdane,
[6] fedir torneamenti e correr giostra;
[7] quando con trombe, e quando con campane,
[8] con tamburi e con cenni di castella,
[9] e con cose nostrali e con istrane;
[15] coi santi, e in taverna coi ghiottoni.
[18] e de la gente ch’entro v’era incesa.
[24] e nascondea in men che non balena.
[25] E come a l’orlo de l’acqua d’un fosso
[27] sì che celano i piedi e l’altro grosso,
[31] I’ vidi, e anco il cor me n’accapriccia,
[33] ch’una rana rimane e l’altra spiccia;
[34] e Graffiacan, che li era più di contra,
[36] e trassel sù, che mi parve una lontra.
[39] e poi ch’e’ si chiamaro, attesi come.
[43] E io: «Maestro mio, fa, se tu puoi,
[47] domandollo ond’ ei fosse, e quei rispuose:
[51] distruggitor di sé e di sue cose.
[55] E Cirïatto, a cui di bocca uscia
[60] e disse: «State in là, mentr’ io lo ’nforco».
[61] E al maestro mio volse la faccia;
[66] sotto la pece?». E quelli: «I’ mi partii,
[70] E Libicocco «Troppo avem sofferto»,
[71] disse; e preseli ’l braccio col runciglio,
[84] e fé sì lor, che ciascun se ne loda.
[85] Danar si tolse e lasciolli di piano,
[86] sì com’ e’ dice; e ne li altri offici anche
[89] di Logodoro; e a dir di Sardigna
[94] E ’l gran proposto, vòlto a Farfarello
[102] e io, seggendo in questo loco stesso,
[107] crollando ’l capo, e disse: «Odi malizia
[112] Alichin non si tenne e, di rintoppo
[116] Lascisi ’l collo, e sia la ripa scudo,
[122] fermò le piante a terra, e in un punto
[123] saltò e dal proposto lor si sciolse.
[126] però si mosse e gridò: «Tu se’ giunto!».
[129] e quei drizzò volando suso il petto:
[132] ed ei ritorna sù crucciato e rotto.
[136] e come ’l barattier fu disparito,
[138] e fu con lui sopra ’l fosso ghermito.
[140] ad artigliar ben lui, e amendue
[147] con tutt’ i raffi, e assai prestamente
[151] E noi lasciammo lor così ’mpacciati.

23. Inferno • Canto XXIII

[2] n’andavam l’un dinanzi e l’altro dopo,
[6] dov’ el parlò de la rana e del topo;
[7] ché più non si pareggia ‘mo’ e ‘issa’
[9] principio e fine con la mente fissa.
[10] E come l’un pensier de l’altro scoppia,
[14] sono scherniti con danno e con beffa
[20] de la paura e stava in dietro intento,
[22] te e me tostamente, i’ ho pavento
[25] E quei: «S’i’ fossi di piombato vetro,
[29] con simile atto e con simile faccia,
[39] e vede presso a sé le fiamme accese,
[40] che prende il figlio e fugge e non s’arresta,
[43] e giù dal collo de la ripa dura
[53] del fondo giù, ch’e’ furon in sul colle
[60] piangendo e nel sembiante stanca e vinta.
[65] ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,
[75] e li occhi, sì andando, intorno movi».
[76] E un che ’ntese la parola tosca,
[80] Onde ’l duca si volse e disse: «Aspetta,
[81] e poi secondo il suo passo procedi».
[82] Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta
[84] ma tardavali ’l carco e la via stretta.
[87] poi si volsero in sé, e dicean seco:
[89] e s’e’ son morti, per qual privilegio
[94] E io a loro: «I’ fui nato e cresciuto
[96] e son col corpo ch’i’ ho sempre avuto.
[99] e che pena è in voi che sì sfavilla?».
[100] E l’un rispuose a me: «Le cappe rance
[103] Frati godenti fummo, e bolognesi;
[104] io Catalano e questi Loderingo
[105] nomati, e da tua terra insieme presi
[107] per conservar sua pace; e fummo tali,
[114] e ’l frate Catalan, ch’a ciò s’accorse,
[121] E a tal modo il socero si stenta
[122] in questa fossa, e li altri dal concilio
[135] si move e varca tutt’ i vallon feri,
[136] salvo che ’n questo è rotto e nol coperchia;
[138] che giace in costa e nel fondo soperchia».
[142] E ’l frate: «Io udi’ già dire a Bologna
[144] ch’elli è bugiardo, e padre di menzogna».

24. Inferno • Canto XXIV

[3] e già le notti al mezzo dì sen vanno,
[8] si leva, e guarda, e vede la campagna
[10] ritorna in casa, e qua e là si lagna,
[12] poi riede, e la speranza ringavagna,
[14] in poco d’ora, e prende suo vincastro
[15] e fuor le pecorelle a pascer caccia.
[18] e così tosto al mal giunse lo ’mpiastro;
[24] ben la ruina, e diedemi di piglio.
[25] E come quei ch’adopera ed estima,
[32] ché noi a pena, ei lieve e io sospinto,
[34] E se non fosse che da quel precinto
[40] che l’una costa surge e l’altra scende;
[51] qual fummo in aere e in acqua la schiuma.
[52] E però leva sù; vinci l’ambascia
[60] e dissi: «Va, ch’i’ son forte e ardito».
[62] ch’era ronchioso, stretto e malagevole,
[73] da l’altro cinghio e dismontiam lo muro;
[74] ché, com’ i’ odo quinci e non intendo,
[75] così giù veggio e neente affiguro».
[81] e poi mi fu la bolgia manifesta:
[82] e vidivi entro terribile stipa
[83] di serpenti, e di sì diversa mena
[86] ché se chelidri, iaculi e faree
[87] produce, e cencri con anfisibena,
[91] Tra questa cruda e tristissima copia
[92] corrëan genti nude e spaventate,
[96] e ’l capo, ed eran dinanzi aggroppate.
[101] com’ el s’accese e arse, e cener tutto
[103] e poi che fu a terra sì distrutto,
[105] e ’n quel medesmo ritornò di butto.
[107] che la fenice more e poi rinasce,
[110] ma sol d’incenso lagrime e d’amomo,
[111] e nardo e mirra son l’ultime fasce.
[112] E qual è quel che cade, e non sa como,
[117] ch’elli ha sofferta, e guardando sospira:
[124] Vita bestial mi piacque e non umana,
[126] bestia, e Pistoia mi fu degna tana».
[127] E ïo al duca: «Dilli che non mucci,
[128] e domanda che colpa qua giù ’l pinse;
[129] ch’io ’l vidi uomo di sangue e di crucci».
[130] E ’l peccator, che ’ntese, non s’infinse,
[131] ma drizzò verso me l’animo e ’l volto,
[132] e di trista vergogna si dipinse;
[139] e falsamente già fu apposto altrui.
[142] apri li orecchi al mio annunzio, e odi.
[144] poi Fiorenza rinova gente e modi.
[147] e con tempesta impetüosa e agra
[151] E detto l’ho perché doler ti debbia!».

25. Inferno • Canto XXV

[7] e un’altra a le braccia, e rilegollo,
[17] e io vidi un centauro pien di rabbia
[24] e quello affuoca qualunque s’intoppa.
[33] gliene diè cento, e non sentì le diece».
[35] e tre spiriti venner sotto noi,
[39] e intendemmo pur ad essi poi.
[50] e un serpente con sei piè si lancia
[51] dinanzi a l’uno, e tutto a lui s’appiglia.
[53] e con li anterïor le braccia prese;
[54] poi li addentò e l’una e l’altra guancia;
[56] e miseli la coda tra ’mbedue
[57] e dietro per le ren sù la ritese.
[62] fossero stati, e mischiar lor colore,
[66] che non è nero ancora e ’l bianco more.
[67] Li altri due ’l riguardavano, e ciascuno
[74] le cosce con le gambe e ’l ventre e ’l casso
[77] due e nessun l’imagine perversa
[78] parea; e tal sen gio con lento passo.
[84] livido e nero come gran di pepe;
[85] e quella parte onde prima è preso
[91] Elli ’l serpente e quei lui riguardava;
[92] l’un per la piaga e l’altro per la bocca
[93] fummavan forte, e ’l fummo si scontrava.
[94] Taccia Lucano ormai là dov’ e’ tocca
[95] del misero Sabello e di Nasidio,
[96] e attenda a udir quel ch’or si scocca.
[97] Taccia di Cadmo e d’Aretusa Ovidio,
[98] ché se quello in serpente e quella in fonte
[105] e ’l feruto ristrinse insieme l’orme.
[110] che si perdeva là, e la sua pelle
[111] si facea molle, e quella di là dura.
[113] e i due piè de la fiera, ch’eran corti,
[117] e ’l misero del suo n’avea due porti.
[118] Mentre che ’l fummo l’uno e l’altro vela
[119] di color novo, e genera ’l pel suso
[120] per l’una parte e da l’altra il dipela,
[121] l’un si levò e l’altro cadde giuso,
[125] e di troppa matera ch’in là venne
[127] ciò che non corse in dietro e si ritenne
[129] e le labbra ingrossò quanto convenne.
[131] e li orecchi ritira per la testa
[133] e la lingua, ch’avëa unita e presta
[134] prima a parlar, si fende, e la forcuta
[135] ne l’altro si richiude; e ’l fummo resta.
[138] e l’altro dietro a lui parlando sputa.
[140] e disse a l’altro: «I’ vo’ che Buoso corra,
[143] mutare e trasmutare; e qui mi scusi
[145] E avvegna che li occhi miei confusi
[146] fossero alquanto e l’animo smagato,

26. Inferno • Canto XXVI

[2] che per mare e per terra batti l’ali,
[3] e per lo ’nferno tuo nome si spande!
[6] e tu in grande orranza non ne sali.
[10] E se già fosse, non saria per tempo.
[13] Noi ci partimmo, e su per le scalee
[15] rimontò ’l duca mio e trasse mee;
[16] e proseguendo la solinga via,
[17] tra le schegge e tra ’ rocchi de lo scoglio
[19] Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio
[21] e più lo ’ngegno affreno ch’i’ non soglio,
[30] forse colà dov’ e’ vendemmia e ara:
[34] E qual colui che si vengiò con li orsi
[42] e ogne fiamma un peccatore invola.
[46] E ’l duca che mi vide tanto atteso,
[51] che così fosse, e già voleva dirti:
[56] Ulisse e Dïomede, e così insieme
[58] e dentro da la lor fiamma si geme
[63] e del Palladio pena vi si porta».
[66] e ripriego, che ’l priego vaglia mille,
[71] di molta loda, e io però l’accetto;
[75] perch’ e’ fuor greci, forse del tuo detto».
[77] dove parve al mio duca tempo e loco,
[88] indi la cima qua e là menando,
[90] gittò voce di fuori e disse: «Quando
[99] e de li vizi umani e del valore;
[101] sol con un legno e con quella compagna
[103] L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
[104] fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
[105] e l’altre che quel mare intorno bagna.
[106] Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi
[120] ma per seguir virtute e canoscenza”.
[124] e volta nostra poppa nel mattino,
[128] vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,
[130] Cinque volte racceso e tante casso
[134] per la distanza, e parvemi alta tanto
[136] Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
[138] e percosse del legno il primo canto.
[141] e la prora ire in giù, com’ altrui piacque,

27. Inferno • Canto XXVII

[1] Già era dritta in sù la fiamma e queta
[2] per non dir più, e già da noi sen gia
[8] col pianto di colui, e ciò fu dritto,
[20] la voce e che parlavi mo lombardo,
[24] vedi che non incresce a me, e ardo!
[30] e ’l giogo di che Tever si diserra».
[31] Io era in giuso ancora attento e chino,
[34] E io, ch’avea già pronta la risposta,
[37] Romagna tua non è, e non fu mai,
[44] e di Franceschi sanguinoso mucchio,
[46] E ’l mastin vecchio e ’l nuovo da Verrucchio,
[49] Le città di Lamone e di Santerno
[52] E quella cu’ il Savio bagna il fianco,
[53] così com’ ella sie’ tra ’l piano e ’l monte,
[54] tra tirannia si vive e stato franco.
[60] di qua, di là, e poi diè cotal fiato:
[67] Io fui uom d’arme, e poi fui cordigliero,
[69] e certo il creder mio venìa intero,
[72] e come e quare, voglio che m’intenda.
[73] Mentre ch’io forma fui d’ossa e di polpe
[76] Li accorgimenti e le coperte vie
[77] io seppi tutte, e sì menai lor arte,
[81] calar le vele e raccoglier le sarte,
[83] e pentuto e confesso mi rendei;
[84] ahi miser lasso! e giovato sarebbe.
[87] e non con Saracin né con Giudei,
[89] e nessun era stato a vincer Acri
[98] domandommi consiglio, e io tacetti
[100] E’ poi ridisse: “Tuo cuor non sospetti;
[101] finor t’assolvo, e tu m’insegna fare
[103] Lo ciel poss’ io serrare e diserrare,
[108] e dissi: “Padre, da che tu mi lavi
[119] né pentere e volere insieme puossi
[124] A Minòs mi portò; e quelli attorse
[126] e poi che per gran rabbia la si morse,
[129] e sì vestito, andando, mi rancuro».
[132] torcendo e dibattendo ’l corno aguto.
[133] Noi passamm’ oltre, e io e ’l duca mio,

28. Inferno • Canto XXVIII

[2] dicer del sangue e de le piaghe a pieno
[5] per lo nostro sermone e per la mente
[10] per li Troiani e per la lunga guerra
[15] e l’altra il cui ossame ancor s’accoglie
[17] ciascun Pugliese, e là da Tagliacozzo,
[19] e qual forato suo membro e qual mozzo
[26] la corata pareva e ’l tristo sacco
[29] guardommi e con le man s’aperse il petto,
[34] E tutti li altri che tu vedi qui,
[35] seminator di scandalo e di scisma
[36] fuor vivi, e però son fessi così.
[51] e quest’ è ver così com’ io ti parlo».
[65] e tronco ’l naso infin sotto le ciglia,
[66] e non avea mai ch’una orecchia sola,
[70] e disse: «O tu cui colpa non condanna
[71] e cu’ io vidi su in terra latina,
[76] E fa saper a’ due miglior da Fano,
[77] a messer Guido e anco ad Angiolello,
[80] e mazzerati presso a la Cattolica
[82] Tra l’isola di Cipri e di Maiolica
[86] e tien la terra che tale qui meco
[91] E io a lui: «Dimostrami e dichiara,
[95] d’un suo compagno e la bocca li aperse,
[96] gridando: «Questi è desso, e non favella.
[103] E un ch’avea l’una e l’altra man mozza,
[109] E io li aggiunsi: «E morte di tua schiatta»;
[111] sen gio come persona trista e matta.
[113] e vidi cosa ch’io avrei paura,
[118] Io vidi certo, e ancor par ch’io ’l veggia,
[121] e ’l capo tronco tenea per le chiome,
[123] e quel mirava noi e dicea: «Oh me!».
[125] ed eran due in uno e uno in due;
[133] E perché tu di me novella porti,
[136] Io feci il padre e ’l figlio in sé ribelli;
[138] e di Davìd coi malvagi punzelli.

29. Inferno • Canto XXIX

[1] La molta gente e le diverse piaghe
[10] E già la luna è sotto i nostri piedi;
[12] e altro è da veder che tu non vedi».
[16] Parte sen giva, e io retro li andava,
[18] e soggiugnendo: «Dentro a quella cava
[26] mostrarti e minacciar forte col dito,
[27] e udi’ ’l nominar Geri del Bello.
[36] e in ciò m’ha el fatto a sé più pio».
[47] di Valdichiana tra ’l luglio e ’l settembre
[48] e di Maremma e di Sardigna i mali
[50] tal era quivi, e tal puzzo n’usciva
[54] e allor fu la mia vista più viva
[62] cascaron tutti, e poi le genti antiche,
[67] Qual sovra ’l ventre e qual sovra le spalle
[68] l’un de l’altro giacea, e qual carpone
[71] guardando e ascoltando li ammalati,
[76] e non vidi già mai menare stregghia
[82] e sì traevan giù l’unghie la scabbia,
[87] «e che fai d’esse talvolta tanaglie,
[94] E ’l duca disse: «I’ son un che discendo
[96] e di mostrar lo ’nferno a lui intendo».
[98] e tremando ciascuno a me si volse
[102] e io incominciai, poscia ch’ei volse:
[106] ditemi chi voi siete e di che genti;
[107] la vostra sconcia e fastidiosa pena
[109] «Io fui d’Arezzo, e Albero da Siena»,
[114] e quei, ch’avea vaghezza e senno poco,
[115] volle ch’i’ li mostrassi l’arte; e solo
[121] E io dissi al poeta: «Or fu già mai
[127] e Niccolò che la costuma ricca
[130] e tra’ne la brigata in che disperse
[131] Caccia d’Ascian la vigna e la gran fonda,
[132] e l’Abbagliato suo senno proferse.
[138] e te dee ricordar, se ben t’adocchio,

30. Inferno • Canto XXX

[3] come mostrò una e altra fïata,
[8] la leonessa e ’ leoncini al varco»;
[9] e poi distese i dispietati artigli,
[11] e rotollo e percosselo ad un sasso;
[12] e quella s’annegò con l’altro carco.
[13] E quando la fortuna volse in basso
[16] Ecuba trista, misera e cattiva,
[18] e del suo Polidoro in su la riva
[25] quant’ io vidi in due ombre smorte e nude,
[28] L’una giunse a Capocchio, e in sul nodo
[31] E l’Aretin che rimase, tremando
[33] e va rabbioso altrui così conciando».
[45] testando e dando al testamento norma».
[46] E poi che i due rabbiosi fuor passati
[57] l’un verso ’l mento e l’altro in sù rinverte.
[59] e non so io perché, nel mondo gramo»,
[60] diss’ elli a noi, «guardate e attendete
[63] e ora, lasso!, un gocciol d’acqua bramo.
[66] faccendo i lor canali freddi e molli,
[67] sempre mi stanno innanzi, e non indarno,
[87] e men d’un mezzo di traverso non ci ha.
[89] e’ m’indussero a batter li fiorini
[91] E io a lui: «Chi son li due tapini
[94] «Qui li trovai—e poi volta non dierno—»,
[96] e non credo che dieno in sempiterno.
[100] E l’un di lor, che si recò a noia
[104] e mastro Adamo li percosse il volto
[111] ma sì e più l’avei quando coniavi».
[112] E l’idropico: «Tu di’ ver di questo:
[115] «S’io dissi falso, e tu falsasti il conio»,
[116] disse Sinon; «e son qui per un fallo,
[117] e tu per più ch’alcun altro demonio!».
[120] «e sieti reo che tutto il mondo sallo!».
[121] «E te sia rea la sete onde ti crepa»,
[122] disse ’l Greco, «la lingua, e l’acqua marcia
[126] ché, s’i’ ho sete e omor mi rinfarcia,
[127] tu hai l’arsura e ’l capo che ti duole,
[128] e per leccar lo specchio di Narcisso,
[140] che disïava scusarmi, e scusava
[141] me tuttavia, e nol mi credea fare.
[145] E fa ragion ch’io ti sia sempre allato,

31. Inferno • Canto XXXI

[2] sì che mi tinse l’una e l’altra guancia,
[3] e poi la medicina mi riporse;
[5] d’Achille e del suo padre esser cagione
[6] prima di trista e poi di buona mancia.
[10] Quiv’ era men che notte e men che giorno,
[29] e disse: «Pria che noi siam più avanti,
[32] e son nel pozzo intorno da la ripa
[37] così forando l’aura grossa e scura,
[38] più e più appressando ver’ la sponda,
[39] fuggiemi errore e cresciemi paura;
[46] E io scorgeva già d’alcun la faccia,
[47] le spalle e ’l petto e del ventre gran parte,
[48] e per le coste giù ambo le braccia.
[52] E s’ella d’elefanti e di balene
[54] più giusta e più discreta la ne tene;
[56] s’aggiugne al mal volere e a la possa,
[58] La faccia sua mi parea lunga e grossa
[60] e a sua proporzione eran l’altre ossa;
[70] E ’l duca mio ver’ lui: «Anima sciocca,
[71] tienti col corno, e con quel ti disfoga
[73] Cércati al collo, e troverai la soga
[75] e vedi lui che ’l gran petto ti doga».
[79] Lasciànlo stare e non parliamo a vòto;
[83] vòlti a sinistra; e al trar d’un balestro
[84] trovammo l’altro assai più fero e maggio.
[87] dinanzi l’altro e dietro il braccio destro
[94] Fïalte ha nome, e fece le gran prove
[97] E io a lui: «S’esser puote, io vorrei
[104] ed è legato e fatto come questo,
[110] e non v’era mestier più che la dotta,
[113] e venimmo ad Anteo, che ben cinque alle,
[119] e che, se fossi stato a l’alta guerra
[122] mettine giù, e non ten vegna schifo,
[126] però ti china e non torcer lo grifo.
[128] ch’el vive, e lunga vita ancor aspetta
[130] Così disse ’l maestro; e quelli in fretta
[131] le man distese, e prese ’l duca mio,
[135] poi fece sì ch’un fascio era elli e io.
[140] di vederlo chinare, e fu tal ora
[145] e come albero in nave si levò.

32. Inferno • Canto XXXII

[1] S’ïo avessi le rime aspre e chiocce,
[18] e io mirava ancora a l’alto muro,
[22] Per ch’io mi volsi, e vidimi davante
[23] e sotto i piedi un lago che per gelo
[24] avea di vetro e non d’acqua sembiante.
[31] E come a gracidar si sta la rana
[38] da bocca il freddo, e da li occhi il cor tristo
[41] volsimi a’ piedi, e vidi due sì stretti,
[44] diss’ io, «chi siete?». E quei piegaro i colli;
[45] e poi ch’ebber li visi a me eretti,
[47] gocciar su per le labbra, e ’l gelo strinse
[48] le lagrime tra essi e riserrolli.
[52] E un ch’avea perduti ambo li orecchi
[57] del padre loro Alberto e di lor fue.
[58] D’un corpo usciro; e tutta la Caina
[59] potrai cercare, e non troverai ombra
[61] non quelli a cui fu rotto il petto e l’ombra
[65] e fu nomato Sassol Mascheroni;
[67] E perché non mi metti in più sermoni,
[69] e aspetto Carlin che mi scagioni».
[72] e verrà sempre, de’ gelati guazzi.
[73] E mentre ch’andavamo inver’ lo mezzo
[75] e io tremava ne l’etterno rezzo;
[82] E io: «Maestro mio, or qui m’aspetta,
[85] Lo duca stette, e io dissi a colui
[91] «Vivo son io, e caro esser ti puote»,
[95] Lèvati quinci e non mi dar più lagna,
[98] e dissi: «El converrà che tu ti nomi,
[104] e tratti glien’ avea più d’una ciocca,
[112] «Va via», rispuose, «e ciò che tu vuoi conta;
[122] più là con Ganellone e Tebaldello,
[127] e come ’l pan per fame si manduca,
[132] che quei faceva il teschio e l’altre cose.
[137] sappiendo chi voi siete e la sua pecca,

33. Inferno • Canto XXXIII

[9] parlar e lagrimar vedrai insieme.
[14] e questi è l’arcivescovo Ruggieri:
[18] e poscia morto, dir non è mestieri;
[21] udirai, e saprai s’e’ m’ha offeso.
[24] e che conviene ancor ch’altrui si chiuda,
[28] Questi pareva a me maestro e donno,
[29] cacciando il lupo e ’ lupicini al monte
[31] Con cagne magre, studïose e conte
[32] Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi
[35] lo padre e ’ figli, e con l’agute scane
[39] ch’eran con meco, e dimandar del pane.
[42] e se non piangi, di che pianger suoli?
[43] Già eran desti, e l’ora s’appressava
[45] e per suo sogno ciascun dubitava;
[46] e io senti’ chiavar l’uscio di sotto
[50] piangevan elli; e Anselmuccio mio
[56] nel doloroso carcere, e io scorsi
[61] e disser: “Padre, assai ci fia men doglia
[63] queste misere carni, e tu le spoglia”.
[65] lo dì e l’altro stemmo tutti muti;
[70] Quivi morì; e come tu mi vedi,
[72] tra ’l quinto dì e ’l sesto; ond’ io mi diedi,
[74] e due dì li chiamai, poi che fur morti.
[82] muovasi la Capraia e la Gorgona,
[83] e faccian siepe ad Arno in su la foce,
[89] novella Tebe, Uguiccione e ’l Brigata
[90] e li altri due che ’l canto suso appella.
[95] e ’l duol che truova in su li occhi rintoppo,
[98] e sì come visiere di cristallo,
[100] E avvegna che, sì come d’un callo,
[109] E un de’ tristi de la fredda crosta
[116] dimmi chi se’, e s’io non ti disbrigo,
[127] E perché tu più volentier mi rade
[134] e forse pare ancor lo corpo suso
[137] elli è ser Branca Doria, e son più anni
[141] e mangia e bee e dorme e veste panni».
[149] aprimi li occhi». E io non gliel’ apersi;
[150] e cortesia fu lui esser villano.
[152] d’ogne costume e pien d’ogne magagna,
[157] e in corpo par vivo ancor di sopra.

34. Inferno • Canto XXXIV

[10] Già era, e con paura il metto in metro,
[12] e trasparien come festuca in vetro.
[14] quella col capo e quella con le piante;
[19] d’innanzi mi si tolse e fé restarmi,
[22] Com’ io divenni allor gelato e fioco,
[25] Io non mori’ e non rimasi vivo;
[27] qual io divenni, d’uno e d’altro privo.
[30] e più con un gigante io mi convegno,
[35] e contra ’l suo fattore alzò le ciglia,
[39] L’una dinanzi, e quella era vermiglia;
[42] e sé giugnieno al loco de la cresta:
[43] e la destra parea tra bianca e gialla;
[50] era lor modo; e quelle svolazzava,
[53] Con sei occhi piangëa, e per tre menti
[54] gocciava ’l pianto e sanguinosa bava.
[63] che ’l capo ha dentro e fuor le gambe mena.
[66] vedi come si storce, e non fa motto!;
[67] e l’altro è Cassio, che par sì membruto.
[68] Ma la notte risurge, e oramai
[71] ed el prese di tempo e loco poste,
[72] e quando l’ali fuoro aperte assai,
[75] tra ’l folto pelo e le gelate croste.
[78] lo duca, con fatica e con angoscia,
[80] e aggrappossi al pel com’ om che sale,
[86] e puose me in su l’orlo a sedere;
[88] Io levai li occhi e credetti vedere
[90] e vidili le gambe in sù tenere;
[91] e s’io divenni allora travagliato,
[95] la via è lunga e ’l cammino è malvagio,
[96] e già il sole a mezza terza riede».
[99] ch’avea mal suolo e di lume disagio.
[103] ov’ è la ghiaccia? e questi com’ è fitto
[104] sì sottosopra? e come, in sì poc’ ora,
[112] E se’ or sotto l’emisperio giunto
[114] coverchia, e sotto ’l cui colmo consunto
[115] fu l’uom che nacque e visse sanza pecca;
[119] e questi, che ne fé scala col pelo,
[122] e la terra, che pria di qua si sporse,
[124] e venne a l’emisperio nostro; e forse
[126] quella ch’appar di qua, e sù ricorse».
[132] col corso ch’elli avvolge, e poco pende.
[133] Lo duca e io per quel cammino ascoso
[135] e sanza cura aver d’alcun riposo,
[136] salimmo sù, el primo e io secondo,
[139] E quindi uscimmo a riveder le stelle.

35. Purgatorio • Canto I

[4] e canterò di quel secondo regno
[6] e di salire al ciel diventa degno.
[9] e qui Calïopè alquanto surga,
[18] che m’avea contristati li occhi e ’l petto.
[22] I’ mi volsi a man destra, e puosi mente
[23] a l’altro polo, e vidi quattro stelle
[34] Lunga la barba e di pel bianco mista
[50] e con parole e con mani e con cenni
[51] reverenti mi fé le gambe e ’l ciglio.
[62] per lui campare; e non lì era altra via
[65] e ora intendo mostrar quelli spirti
[69] conducerlo a vederti e a udirti.
[77] ché questi vive e Minòs me non lega;
[91] Ma se donna del ciel ti move e regge,
[94] Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
[95] d’un giunco schietto e che li lavi ’l viso,
[109] Così sparì; e io sù mi levai
[110] sanza parlare, e tutto mi ritrassi
[111] al duca mio, e li occhi a lui drizzai.

36. Purgatorio • Canto II

[4] e la notte, che opposita a lui cerchia,
[7] sì che le bianche e le vermiglie guance,
[12] che va col cuore e col corpo dimora.
[21] rividil più lucente e maggior fatto.
[23] un non sapeva che bianco, e di sotto
[37] Poi, come più e più verso noi venne
[40] ma chinail giuso; e quei sen venne a riva
[41] con un vasello snelletto e leggero,
[45] e più di cento spirti entro sediero.
[61] E Virgilio rispuose: «Voi credete
[65] per altra via, che fu sì aspra e forte,
[70] E come a messagger che porta ulivo
[72] e di calcar nessun si mostra schivo,
[81] e tante mi tornai con esse al petto.
[83] per che l’ombra sorrise e si ritrasse,
[84] e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.
[86] allor conobbi chi era, e pregai
[95] se quei che leva quando e cui li piace,
[106] E io: «Se nuova legge non ti toglie
[115] Lo mio maestro e io e quella gente
[118] Noi eravam tutti fissi e attenti
[131] lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa,

37. Purgatorio • Canto III

[5] e come sare’ io sanza lui corso?
[8] o dignitosa coscïenza e netta,
[14] e diedi ’l viso mio incontr’ al poggio
[22] e ’l mio conforto: «Perché pur diffidi?»,
[24] «non credi tu me teco e ch’io ti guidi?
[27] Napoli l’ha, e da Brandizio è tolto.
[31] A sofferir tormenti, caldi e geli
[40] e disïar vedeste sanza frutto
[43] io dico d’Aristotile e di Plato
[44] e di molt’ altri»; e qui chinò la fronte,
[45] e più non disse, e rimase turbato.
[49] Tra Lerice e Turbìa la più diserta,
[51] verso di quella, agevole e aperta.
[55] E mentre ch’e’ tenendo ’l viso basso
[57] e io mirava suso intorno al sasso,
[60] e non pareva, sì venïan lente.
[64] Guardò allora, e con libero piglio
[66] e tu ferma la spene, dolce figlio».
[71] de l’alta ripa, e stetter fermi e stretti
[80] a una, a due, a tre, e l’altre stanno
[81] timidette atterrando l’occhio e ’l muso;
[82] e ciò che fa la prima, e l’altre fanno,
[84] semplici e quete, e lo ’mperché non sanno;
[87] pudica in faccia e ne l’andare onesta.
[91] restaro, e trasser sé in dietro alquanto,
[92] e tutti li altri che venieno appresso,
[100] Così ’l maestro; e quella gente degna
[103] E un di loro incominciò: «Chiunque
[106] Io mi volsi ver’ lui e guardail fiso:
[107] biondo era e bello e di gentile aspetto,
[111] e mostrommi una piaga a sommo ’l petto.
[116] de l’onor di Cicilia e d’Aragona,
[117] e dichi ’l vero a lei, s’altro si dice.
[130] Or le bagna la pioggia e move il vento
[132] dov’ e’ le trasmutò a lume spento.
[144] come m’hai visto, e anco esto divieto;

38. Purgatorio • Canto IV

[5] e questo è contra quello error che crede
[7] E però, quando s’ode cosa o vede
[9] vassene ’l tempo e l’uom non se n’avvede;
[11] e altra è quella c’ha l’anima intera:
[12] questa è quasi legata e quella è sciolta.
[14] udendo quello spirto e ammirando;
[16] lo sole, e io non m’era accorto, quando
[23] lo duca mio, e io appresso, soli,
[25] Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
[26] montasi su in Bismantova e ’n Cacume
[28] dico con l’ale snelle e con le piume
[30] che speranza mi dava e facea lume.
[32] e d’ogne lato ne stringea lo stremo,
[33] e piedi e man volea il suol di sotto.
[41] e la costa superba più assai
[44] «O dolce padre, volgiti, e rimira
[56] poscia li alzai al sole, e ammirava
[60] ove tra noi e Aquilone intrava.
[61] Ond’ elli a me: «Se Castore e Poluce
[63] che sù e giù del suo lume conduce,
[71] e diversi emisperi; onde la strada
[81] e che sempre riman tra ’l sole e ’l verno,
[90] e quant’ om più va sù, e men fa male.
[96] Più non rispondo, e questo so per vero».
[97] E com’ elli ebbe sua parola detta,
[101] e vedemmo a mancina un gran petrone,
[103] Là ci traemmo; e ivi eran persone
[106] E un di lor, che mi sembiava lasso,
[107] sedeva e abbracciava le ginocchia,
[112] Allor si volse a noi e puose mente,
[114] e disse: «Or va tu sù, che se’ valente!».
[115] Conobbi allor chi era, e quella angoscia
[117] non m’impedì l’andare a lui; e poscia
[121] Li atti suoi pigri e le corte parole
[136] E già il poeta innanzi mi saliva,
[137] e dicea: «Vienne omai; vedi ch’è tocco
[138] meridïan dal sole e a la riva

39. Purgatorio • Canto V

[2] e seguitava l’orme del mio duca,
[6] e come vivo par che si conduca!».
[8] e vidile guardar per maraviglia
[9] pur me, pur me, e ’l lume ch’era rotto.
[13] Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
[22] E ’ntanto per la costa di traverso
[27] mutar lor canto in un «oh!» lungo e roco;
[28] e due di loro, in forma di messaggi,
[29] corsero incontr’ a noi e dimandarne:
[31] E ’l mio maestro: «Voi potete andarne
[32] e ritrarre a color che vi mandaro
[41] e, giunti là, con li altri a noi dier volta,
[44] e vegnonti a pregar», disse ’l poeta:
[45] «però pur va, e in andando ascolta».
[53] e peccatori infino a l’ultima ora;
[55] sì che, pentendo e perdonando, fora
[58] E io: «Perché ne’ vostri visi guati,
[61] voi dite, e io farò per quella pace
[64] E uno incominciò: «Ciascun si fida
[69] che siede tra Romagna e quel di Carlo,
[82] Corsi al palude, e le cannucce e ’l braco
[83] m’impigliar sì ch’i’ caddi; e lì vid’ io
[91] E io a lui: «Qual forza o qual ventura
[99] fuggendo a piede e sanguinando il piano.
[100] Quivi perdei la vista e la parola;
[101] nel nome di Maria fini’, e quivi
[102] caddi, e rimase la mia carne sola.
[103] Io dirò vero, e tu ’l ridì tra ’ vivi:
[104] l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno
[113] con lo ’ntelletto, e mosse il fummo e ’l vento
[117] di nebbia; e ’l ciel di sopra fece intento,
[119] la pioggia cadde, e a’ fossati venne
[121] e come ai rivi grandi si convenne,
[125] trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse
[126] ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce
[128] voltòmmi per le ripe e per lo fondo,
[129] poi di sua preda mi coperse e cinse».
[131] e riposato de la lunga via»,

40. Purgatorio • Canto VI

[3] repetendo le volte, e tristo impara;
[5] qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,
[6] e qual dallato li si reca a mente;
[7] el non s’arresta, e questo e quello intende;
[9] e così da la calca si difende.
[11] volgendo a loro, e qua e là, la faccia,
[12] e promettendo mi sciogliea da essa.
[15] e l’altro ch’annegò correndo in caccia.
[17] Federigo Novello, e quel da Pisa
[19] Vidi conte Orso e l’anima divisa
[20] dal corpo suo per astio e per inveggia,
[21] com’ e’ dicea, non per colpa commisa;
[22] Pier da la Broccia dico; e qui proveggia,
[31] e questa gente prega pur di questo:
[35] e la speranza di costor non falla,
[40] e là dov’ io fermai cotesto punto,
[45] che lume fia tra ’l vero e lo ’ntelletto.
[48] di questo monte, ridere e felice».
[49] E io: «Segnore, andiamo a maggior fretta,
[51] e vedi omai che ’l poggio l’ombra getta».
[62] come ti stavi altera e disdegnosa
[63] e nel mover de li occhi onesta e tarda!
[69] e quella non rispuose al suo dimando,
[70] ma di nostro paese e de la vita
[71] ci ’nchiese; e ’l dolce duca incominciava
[72] «Mantüa . . . », e l’ombra, tutta in sé romita,
[75] de la tua terra!»; e l’un l’altro abbracciava.
[82] e ora in te non stanno sanza guerra
[83] li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode
[84] di quei ch’un muro e una fossa serra.
[86] le tue marine, e poi ti guarda in seno,
[92] e lasciar seder Cesare in la sella,
[98] costei ch’è fatta indomita e selvaggia,
[99] e dovresti inforcar li suoi arcioni,
[101] sovra ’l tuo sangue, e sia novo e aperto,
[103] Ch’avete tu e ’l tuo padre sofferto,
[106] Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
[107] Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
[108] color già tristi, e questi con sospetti!
[109] Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura
[110] d’i tuoi gentili, e cura lor magagne;
[111] e vedrai Santafior com’ è oscura!
[113] vedova e sola, e dì e notte chiama:
[116] e se nulla di noi pietà ti move,
[118] E se licito m’è, o sommo Giove
[125] son di tiranni, e un Marcel diventa
[130] Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
[135] sanza chiamare, e grida: «I’ mi sobbarco!».
[137] tu ricca, tu con pace e tu con senno!
[139] Atene e Lacedemona, che fenno
[140] l’antiche leggi e furon sì civili,
[146] legge, moneta, officio e costume
[147] hai tu mutato, e rinovate membre!
[148] E se ben ti ricordi e vedi lume,

41. Purgatorio • Canto VII

[1] Poscia che l’accoglienze oneste e liete
[2] furo iterate tre e quattro volte,
[3] Sordel si trasse, e disse: «Voi, chi siete?».
[7] Io son Virgilio; e per null’ altro rio
[11] sùbita vede ond’ e’ si maraviglia,
[12] che crede e non, dicendo «Ella è . . . non è . . . »,
[13] tal parve quelli; e poi chinò le ciglia,
[14] e umilmente ritornò ver’ lui,
[15] e abbracciòl là ’ve ’l minor s’appiglia.
[21] dimmi se vien d’inferno, e di qual chiostra».
[24] virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno.
[27] e che fu tardi per me conosciuto.
[35] virtù non si vestiro, e sanza vizio
[36] conobber l’altre e seguir tutte quante.
[37] Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio
[41] licito m’è andar suso e intorno;
[44] e andar sù di notte non si puote;
[48] e non sanza diletto ti fier note».
[52] E ’l buon Sordello in terra fregò ’l dito,
[59] e passeggiar la costa intorno errando,
[69] e là il novo giorno attenderemo».
[70] Tra erto e piano era un sentiero schembo,
[73] Oro e argento fine, cocco e biacca,
[74] indaco, legno lucido e sereno,
[76] da l’erba e da li fior, dentr’ a quel seno
[81] vi facea uno incognito e indistinto.
[82] ‘Salve, Regina’ in sul verde e ’n su’ fiori
[88] Di questo balzo meglio li atti e ’ volti
[91] Colui che più siede alto e fa sembianti
[93] e che non move bocca a li altrui canti,
[99] che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta:
[100] Ottacchero ebbe nome, e ne le fasce
[102] barbuto, cui lussuria e ozio pasce.
[103] E quel nasetto che stretto a consiglio
[105] morì fuggendo e disfiorando il giglio:
[109] Padre e suocero son del mal di Francia:
[110] sanno la vita sua viziata e lorda,
[111] e quindi viene il duol che sì li lancia.
[112] Quel che par sì membruto e che s’accorda,
[115] e se re dopo lui fosse rimaso
[119] Iacomo e Federigo hanno i reami;
[122] l’umana probitate; e questo vole
[126] onde Puglia e Proenza già si dole.
[128] quanto, più che Beatrice e Margherita,
[135] per cui e Alessandria e la sua guerra
[136] fa pianger Monferrato e Canavese».

42. Purgatorio • Canto VIII

[2] ai navicanti e ’ntenerisce il core
[4] e che lo novo peregrin d’amore
[8] l’udire e a mirare una de l’alme
[10] Ella giunse e levò ambo le palme,
[14] le uscìo di bocca e con sì dolci note,
[16] e l’altre poi dolcemente e devote
[24] quasi aspettando, palido e umìle;
[25] e vidi uscir de l’alto e scender giùe
[27] tronche e private de le punte sue.
[30] percosse traean dietro e ventilate.
[32] e l’altro scese in l’opposita sponda,
[41] mi volsi intorno, e stretto m’accostai,
[43] E Sordello anco: «Or avvalliamo omai
[44] tra le grandi ombre, e parleremo ad esse;
[47] e fui di sotto, e vidi un che mirava
[50] ma non sì che tra li occhi suoi e ’ miei
[52] Ver’ me si fece, e io ver’ lui mi fei:
[59] venni stamane, e sono in prima vita,
[61] E come fu la mia risposta udita,
[64] L’uno a Virgilio e l’altro a un si volse
[88] E ’l duca mio: «Figliuol, che là sù guarde?».
[89] E io a lui: «A quelle tre facelle
[93] e queste son salite ov’ eran quelle».
[94] Com’ ei parlava, e Sordello a sé il trasse
[96] e drizzò il dito perché ’n là guardasse.
[100] Tra l’erba e ’ fior venìa la mala striscia,
[101] volgendo ad ora ad or la testa, e ’l dosso
[103] Io non vidi, e però dicer non posso,
[105] ma vidi bene e l’uno e l’altro mosso.
[107] fuggì ’l serpente, e li angeli dier volta,
[125] grida i segnori e grida la contrada,
[127] e io vi giuro, s’io di sopra vada,
[129] del pregio de la borsa e de la spada.
[130] Uso e natura sì la privilegia,
[132] sola va dritta e ’l mal cammin dispregia».
[135] con tutti e quattro i piè cuopre e inforca,

43. Purgatorio • Canto IX

[7] e la notte, de’ passi con che sale,
[9] e ’l terzo già chinava in giuso l’ale;
[12] là ’ve già tutti e cinque sedavamo.
[16] e che la mente nostra, peregrina
[17] più da la carne e men da’ pensier presa,
[21] con l’ali aperte e a calare intesa;
[26] pur qui per uso, e forse d’altro loco
[30] e me rapisse suso infino al foco.
[31] Ivi parea che ella e io ardesse;
[32] e sì lo ’ncendio imaginato cosse,
[36] e non sappiendo là dove si fosse,
[41] mi fuggì ’l sonno, e diventa’ ismorto,
[44] e ’l sole er’ alto già più che due ore,
[45] e ’l viso m’era a la marina torto.
[55] venne una donna, e disse: “I’ son Lucia;
[58] Sordel rimase e l’altre genti forme;
[59] ella ti tolse, e come ’l dì fu chiaro,
[60] sen venne suso; e io per le sue orme.
[63] poi ella e ’l sonno ad una se n’andaro».
[65] e che muta in conforto sua paura,
[67] mi cambia’ io; e come sanza cura
[69] si mosse, e io di rietro inver’ l’altura.
[71] la mia matera, e però con più arte
[76] vidi una porta, e tre gradi di sotto
[78] e un portier ch’ancor non facea motto.
[79] E come l’occhio più e più v’apersi,
[82] e una spada nuda avëa in mano,
[94] Là ne venimmo; e lo scaglion primaio
[95] bianco marmo era sì pulito e terso,
[98] d’una petrina ruvida e arsiccia,
[99] crepata per lo lungo e per traverso.
[110] misericordia chiesi e ch’el m’aprisse,
[113] col punton de la spada, e «Fa che lavi,
[117] e di sotto da quel trasse due chiavi.
[118] L’una era d’oro e l’altra era d’argento;
[119] pria con la bianca e poscia con la gialla
[125] d’arte e d’ingegno avanti che diserri,
[127] Da Pier le tegno; e dissemi ch’i’ erri
[133] E quando fuor ne’ cardini distorti
[135] che di metallo son sonanti e forti,
[140] e ‘Te Deum laudamus’ mi parea

44. Purgatorio • Canto X

[5] e s’io avesse li occhi vòlti ad essa,
[8] che si moveva e d’una e d’altra parte,
[9] sì come l’onda che fugge e s’appressa.
[13] E questo fece i nostri passi scarsi,
[17] ma quando fummo liberi e aperti
[19] ïo stancato e amendue incerti
[25] e quanto l’occhio mio potea trar d’ale,
[26] or dal sinistro e or dal destro fianco,
[31] esser di marmo candido e addorno
[43] e avea in atto impressa esta favella
[49] Per ch’i’ mi mossi col viso, e vedea
[53] per ch’io varcai Virgilio, e fe’mi presso,
[56] lo carro e ’ buoi, traendo l’arca santa,
[58] Dinanzi parea gente; e tutta quanta,
[62] che v’era imaginato, li occhi e ’l naso
[63] e al sì e al no discordi fensi.
[66] e più e men che re era in quel caso.
[69] sì come donna dispettosa e trista.
[77] e una vedovella li era al freno,
[78] di lagrime atteggiata e di dolore.
[79] Intorno a lui parea calcato e pieno
[80] di cavalieri, e l’aguglie ne l’oro
[86] tanto ch’i’ torni»; e quella: «Segnor mio»,
[93] giustizia vuole e pietà mi ritene».
[99] e per lo fabbro loro a veder care,
[104] per veder novitadi ond’ e’ son vaghi,
[114] e non so che, sì nel veder vaneggio».
[118] Ma guarda fiso là, e disviticchia
[136] Vero è che più e meno eran contratti
[137] secondo ch’avien più e meno a dosso;
[138] e qual più pazïenza avea ne li atti,

45. Purgatorio • Canto XI

[4] laudato sia ’l tuo nome e ’l tuo valore
[16] E come noi lo mal ch’avem sofferto
[17] perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
[18] benigno, e non guardar lo nostro merto.
[25] Così a sé e noi buona ramogna
[29] e lasse su per la prima cornice,
[32] di qua che dire e far per lor si puote
[35] che portar quinci, sì che, mondi e lievi,
[37] «Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi
[41] si va più corto; e se c’è più d’un varco,
[50] con noi venite, e troverete il passo
[52] E s’io non fossi impedito dal sasso
[55] cotesti, ch’ancor vive e non si noma,
[57] e per farlo pietoso a questa soma.
[58] Io fui latino e nato d’un gran Tosco:
[61] L’antico sangue e l’opere leggiadre
[66] e sallo in Campagnatico ogne fante.
[67] Io sono Omberto; e non pur a me danno
[70] E qui convien ch’io questo peso porti
[74] e un di lor, non questi che parlava,
[76] e videmi e conobbemi e chiamava,
[80] l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’ arte
[84] l’onore è tutto or suo, e mio in parte.
[89] e ancor non sarei qui, se non fosse
[95] tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
[98] la gloria de la lingua; e forse è nato
[99] chi l’uno e l’altro caccerà del nido.
[101] di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,
[102] e muta nome perché muta lato.
[105] anzi che tu lasciassi il ‘pappo’ e ’l ‘dindi’,
[111] e ora a pena in Siena sen pispiglia,
[116] che viene e va, e quei la discolora
[118] E io a lui: «Tuo vero dir m’incora
[119] bona umiltà, e gran tumor m’appiani;
[124] Ito è così e va, sanza riposo,
[127] E io: «Se quello spirito ch’attende,
[129] qua giù dimora e qua sù non ascende,
[136] e lì, per trar l’amico suo di pena,
[137] ch’e’ sostenea ne la prigion di Carlo,
[139] Più non dirò, e scuro so che parlo;

46. Purgatorio • Canto XII

[4] Ma quando disse: «Lascia lui e varca;
[5] ché qui è buono con l’ali e coi remi,
[9] mi rimanessero e chinati e scemi.
[10] Io m’era mosso, e seguia volontieri
[11] del mio maestro i passi, e amendue
[31] Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte,
[35] quasi smarrito, e riguardar le genti
[39] tra sette e sette tuoi figliuoli spenti!
[54] e come, morto lui, quivi il lasciaro.
[55] Mostrava la ruina e ’l crudo scempio
[57] «Sangue sitisti, e io di sangue t’empio».
[60] e anche le reliquie del martiro.
[61] Vedeva Troia in cenere e in caverne;
[62] o Ilïón, come te basso e vile
[65] che ritraesse l’ombre e ’ tratti ch’ivi
[67] Morti li morti e i vivi parean vivi:
[70] Or superbite, e via col viso altero,
[71] figliuoli d’Eva, e non chinate il volto
[74] e del cammin del sole assai più speso
[82] Di reverenza il viso e li atti addorna,
[89] biancovestito e ne la faccia quale
[91] Le braccia aperse, e indi aperse l’ale;
[93] e agevolemente omai si sale.
[105] ch’era sicuro il quaderno e la doga;
[108] ma quinci e quindi l’alta pietra rade.
[114] s’entra, e là giù per lamenti feroci.
[131] e cerca e truova e quello officio adempie
[133] e con le dita de la destra scempie

47. Purgatorio • Canto XIII

[8] parsi la ripa e parsi la via schietta
[15] e la sinistra parte di sé torse.
[25] e verso noi volar furon sentiti,
[30] e dietro a noi l’andò reïterando.
[31] E prima che del tutto non si udisse
[33] passò gridando, e anco non s’affisse.
[35] E com’ io domandai, ecco la terza
[37] E ’l buon maestro: «Questo cinghio sferza
[38] la colpa de la invidia, e però sono
[44] e vedrai gente innanzi a noi sedersi,
[45] e ciascun è lungo la grotta assiso».
[47] guarda’mi innanzi, e vidi ombre con manti
[49] E poi che fummo un poco più avanti,
[51] gridar ‘Michele’ e ‘Pietro’ e ‘Tutti santi’.
[59] e l’un sofferia l’altro con la spalla,
[60] e tutti da la ripa eran sofferti.
[63] e l’uno il capo sopra l’altro avvalla,
[67] E come a li orbi non approda il sole,
[71] e cusce sì, come a sparvier selvaggio
[77] e però non attese mia dimanda,
[78] ma disse: «Parla, e sie breve e arguto».
[85] Volsimi a loro e: «O gente sicura»,
[91] ditemi, ché mi fia grazioso e caro,
[93] e forse lei sarà buon s’i’ l’apparo».
[101] in vista; e se volesse alcun dir ‘Come?’,
[106] «Io fui sanese», rispuose, «e con questi
[110] fossi chiamata, e fui de li altrui danni
[112] E perché tu non creda ch’io t’inganni,
[117] e io pregava Iddio di quel ch’e’ volle.
[118] Rotti fuor quivi e vòlti ne li amari
[119] passi di fuga; e veggendo la caccia,
[125] de la mia vita; e ancor non sarebbe
[131] vai dimandando, e porti li occhi sciolti,
[132] sì com’ io credo, e spirando ragioni?».
[141] E io: «Costui ch’è meco e non fa motto.
[142] E vivo sono; e però mi richiedi,
[148] E cheggioti, per quel che tu più brami,
[152] che spera in Talamone, e perderagli

48. Purgatorio • Canto XIV

[3] e apre li occhi a sua voglia e coverchia?».
[4] «Non so chi sia, ma so ch’e’ non è solo;
[6] e dolcemente, sì che parli, acco’lo».
[10] e disse l’uno: «O anima che fitta
[12] per carità ne consola e ne ditta
[13] onde vieni e chi se’; ché tu ne fai
[16] E io: «Per mezza Toscana si spazia
[18] e cento miglia di corso nol sazia.
[25] E l’altro disse lui: «Perché nascose
[28] E l’ombra che di ciò domandata era,
[48] e da lor disdegnosa torce il muso.
[49] Vassi caggendo; e quant’ ella più ’ngrossa,
[51] la maladetta e sventurata fossa.
[56] e buon sarà costui, s’ancor s’ammenta
[60] del fiero fiume, e tutti li sgomenta.
[63] molti di vita e sé di pregio priva.
[71] stava a udir, turbarsi e farsi trista,
[73] Lo dir de l’una e de l’altra la vista
[75] e dimanda ne fei con prieghi mista;
[88] Questi è Rinier; questi è ’l pregio e l’onore
[91] E non pur lo suo sangue è fatto brullo,
[92] tra ’l Po e ’l monte e la marina e ’l Reno,
[93] del ben richesto al vero e al trastullo;
[97] Ov’ è ’l buon Lizio e Arrigo Mainardi?
[98] Pier Traversaro e Guido di Carpigna?
[106] Federigo Tignoso e sua brigata,
[107] la casa Traversara e li Anastagi
[108] (e l’una gente e l’altra è diretata),
[109] le donne e ’ cavalier, li affanni e li agi
[110] che ne ’nvogliava amore e cortesia
[114] e molta gente per non esser ria?
[116] e mal fa Castrocaro, e peggio Conio,
[134] e fuggì come tuon che si dilegua,
[140] e allor, per ristrignermi al poeta,
[141] in destro feci, e non innanzi, il passo.
[147] e però poco val freno o richiamo.
[148] Chiamavi ’l cielo e ’ntorno vi si gira,
[150] e l’occhio vostro pur a terra mira;

49. Purgatorio • Canto XV

[2] e ’l principio del dì par de la spera
[6] vespero là, e qui mezza notte era.
[7] E i raggi ne ferien per mezzo ’l naso,
[12] e stupor m’eran le cose non conte;
[14] de le mie ciglia, e fecimi ’l solecchio,
[19] a quel che scende, e tanto si diparte
[21] sì come mostra esperïenza e arte;
[27] diss’ io, «e pare inver’ noi esser mosso?».
[38] e ‘Beati misericordes!’ fue
[39] cantato retro, e ‘Godi tu che vinci!’.
[40] Lo mio maestro e io soli amendue
[41] suso andavamo; e io pensai, andando,
[43] e dirizza’mi a lui sì dimandando:
[45] e ‘divieto’ e ‘consorte’ menzionando?».
[47] conosce il danno; e però non s’ammiri
[57] e più di caritate arde in quel chiostro».
[60] e più di dubbio ne la mente aduno.
[67] Quello infinito e ineffabil bene
[73] E quanta gente più là sù s’intende,
[74] più v’è da bene amare, e più vi s’ama,
[75] e come specchio l’uno a l’altro rende.
[76] E se la mia ragion non ti disfama,
[78] ti torrà questa e ciascun’ altra brama.
[87] e vedere in un tempio più persone;
[88] e una donna, in su l’entrar, con atto
[91] Ecco, dolenti, lo tuo padre e io
[92] ti cercavamo». E come qui si tacque,
[97] e dir: «Se tu se’ sire de la villa
[99] e onde ogne scïenza disfavilla,
[102] E ’l segnor mi parea, benigno e mite,
[109] E lui vedea chinarsi, per la morte
[122] velando li occhi e con le gambe avvolte,
[141] contra i raggi serotini e lucenti.
[145] Questo ne tolse li occhi e l’aere puro.

50. Purgatorio • Canto XVI

[1] Buio d’inferno e di notte privata
[8] onde la scorta mia saputa e fida
[9] mi s’accostò e l’omero m’offerse.
[11] per non smarrirsi e per non dar di cozzo
[13] m’andava io per l’aere amaro e sozzo,
[16] Io sentia voci, e ciascuna pareva
[17] pregar per pace e per misericordia
[20] una parola in tutte era e un modo,
[24] e d’iracundia van solvendo il nodo».
[26] e di noi parli pur come se tue
[30] e domanda se quinci si va sùe».
[31] E io: «O creatura che ti mondi
[35] rispuose; «e se veder fummo non lascia,
[39] e venni qui per l’infernale ambascia.
[40] E se Dio m’ha in sua grazia rinchiuso,
[44] ma dilmi, e dimmi s’i’ vo bene al varco;
[45] e tue parole fier le nostre scorte».
[46] «Lombardo fui, e fu’ chiamato Marco;
[47] del mondo seppi, e quel valore amai
[50] Così rispuose, e soggiunse: «I’ ti prego
[52] E io a lui: «Per fede mi ti lego
[55] Prima era scempio, e ora è fatto doppio
[57] qui, e altrove, quello ov’ io l’accoppio.
[60] e di malizia gravido e coverto;
[62] sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui;
[63] ché nel cielo uno, e un qua giù la pone».
[65] mise fuor prima; e poi cominciò: «Frate,
[66] lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui.
[71] libero arbitrio, e non fora giustizia
[72] per ben letizia, e per male aver lutto.
[75] lume v’è dato a bene e a malizia,
[76] e libero voler; che, se fatica
[79] A maggior forza e a miglior natura
[80] liberi soggiacete; e quella cria
[84] e io te ne sarò or vera spia.
[87] che piangendo e ridendo pargoleggia,
[92] quivi s’inganna, e dietro ad esso corre,
[102] di quel si pasce, e più oltre non chiede.
[105] e non natura che ’n voi sia corrotta.
[107] due soli aver, che l’una e l’altra strada
[108] facean vedere, e del mondo e di Deo.
[110] col pasturale, e l’un con l’altro insieme
[115] In sul paese ch’Adice e Po riga,
[116] solea valore e cortesia trovarsi,
[122] l’antica età la nova, e par lor tardo
[124] Currado da Palazzo e ’l buon Gherardo
[125] e Guido da Castel, che mei si noma,
[129] cade nel fango, e sé brutta e la soma».
[131] e or discerno perché dal retaggio
[143] già biancheggiare, e me convien partirmi
[145] Così tornò, e più non volle udirmi.

51. Purgatorio • Canto XVII

[4] come, quando i vapori umidi e spessi
[7] e fia la tua imagine leggera
[22] e qui fu la mia mente sì ristretta
[26] un crucifisso, dispettoso e fero
[27] ne la sua vista, e cotal si moria;
[29] Estèr sua sposa e ’l giusto Mardoceo,
[30] che fu al dire e al far così intero.
[31] E come questa imagine rompeo
[35] piangendo forte, e dicea: «O regina,
[49] e fece la mia voglia tanto pronta
[53] e per soverchio sua figura vela,
[57] e col suo lume sé medesmo cela.
[59] ché quale aspetta prego e l’uopo vede,
[64] Così disse il mio duca, e io con lui
[66] e tosto ch’io al primo grado fui,
[68] e ventarmi nel viso e dir: ‘Beati
[79] E io attesi un poco, s’io udissi
[81] poi mi volsi al maestro mio, e dissi:
[89] volgi la mente a me, e prenderai
[93] o naturale o d’animo; e tu ’l sai.
[98] e ne’ secondi sé stesso misura,
[105] e d’ogne operazion che merta pene.
[109] e perché intender non si può diviso,
[110] e per sé stante, alcuno esser dal primo,
[116] spera eccellenza, e sol per questo brama
[118] è chi podere, grazia, onore e fama
[123] e tal convien che ’l male altrui impronti.
[128] nel qual si queti l’animo, e disira;
[135] essenza, d’ogne ben frutto e radice.

52. Purgatorio • Canto XVIII

[2] l’alto dottore, e attento guardava
[4] e io, cui nova sete ancor frugava,
[5] di fuor tacea, e dentro dicea: ‘Forse
[15] ogne buono operare e ’l suo contraro».
[17] de lo ’ntelletto, e fieti manifesto
[23] tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,
[25] e se, rivolto, inver’ di lei si piega,
[32] ch’è moto spiritale, e mai non posa
[40] «Le tue parole e ’l mio seguace ingegno»,
[44] e l’anima non va con altro piede,
[57] e de’ primi appetibili l’affetto,
[59] di far lo mele; e questa prima voglia
[63] e de l’assenso de’ tener la soglia.
[66] che buoni e rei amori accoglie e viglia.
[74] per lo libero arbitrio, e però guarda
[79] e correa contro ’l ciel per quelle strade
[81] tra ’ Sardi e ’ Corsi il vede quando cade.
[82] E quell’ ombra gentil per cui si noma
[85] per ch’io, che la ragione aperta e piana
[91] E quale Ismeno già vide e Asopo
[92] lungo di sè di notte furia e calca,
[96] cui buon volere e giusto amor cavalca.
[99] e due dinanzi gridavan piangendo:
[101] e Cesare, per soggiogare Ilerda,
[102] punse Marsilia e poi corse in Ispagna».
[107] ricompie forse negligenza e indugio
[109] questi che vive, e certo i’ non vi bugio,
[113] e un di quelli spirti disse: «Vieni
[114] di retro a noi, e troverai la buca.
[121] E tale ha già l’un piè dentro la fossa,
[123] e tristo fia d’avere avuta possa;
[125] e de la mente peggio, e che mal nacque,
[129] ma questo intesi, e ritener mi piacque.
[130] E quei che m’era ad ogne uopo soccorso
[136] E quella che l’affanno non sofferse
[142] del qual più altri nacquero e diversi;
[143] e tanto d’uno in altro vaneggiai,
[145] e ’l pensamento in sogno trasmutai.

53. Purgatorio • Canto XIX

[3] vinto da terra, e talor da Saturno
[8] ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta,
[9] con le man monche, e di colore scialba.
[10] Io la mirava; e come ’l sol conforta
[13] la lingua, e poscia tutta la drizzava
[14] in poco d’ora, e lo smarrito volto,
[23] al canto mio; e qual meco s’ausa,
[26] quand’ una donna apparve santa e presta
[31] L’altra prendea, e dinanzi l’apria
[32] fendendo i drappi, e mostravami ’l ventre;
[34] Io mossi li occhi, e ’l buon maestro: «Almen tre
[35] voci t’ho messe!», dicea, «Surgi e vieni;
[37] Sù mi levai, e tutti eran già pieni
[39] e andavam col sol novo a le reni.
[44] parlare in modo soave e benigno,
[49] Mosse le penne poi e ventilonne,
[55] E io: «Con tanta sospeccion fa irmi
[61] Bastiti, e batti a terra le calcagne;
[65] indi si volge al grido e si protende
[67] tal mi fec’ io; e tal, quanto si fende
[77] e giustizia e speranza fa men duri,
[80] e volete trovar la via più tosto,
[82] Così pregò ’l poeta, e sì risposto
[85] e volsi li occhi a li occhi al segnor mio:
[94] Chi fosti e perché vòlti avete i dossi
[95] al sù, mi dì, e se vuo’ ch’io t’impetri
[100] Intra Sïestri e Chiaveri s’adima
[101] una fiumana bella, e del suo nome
[103] Un mese e poco più prova’ io come
[112] Fino a quel punto misera e partita
[117] e nulla pena il monte ha più amara.
[124] ne’ piedi e ne le man legati e presi;
[125] e quanto fia piacer del giusto Sire,
[126] tanto staremo immobili e distesi».
[127] Io m’era inginocchiato e volea dire;
[131] E io a lui: «Per vostra dignitate
[135] teco e con li altri ad una podestate.
[145] e questa sola di là m’è rimasa».

54. Purgatorio • Canto XX

[4] Mossimi; e ’l duca mio si mosse per li
[16] Noi andavam con passi lenti e scarsi,
[17] e io attento a l’ombre, ch’i’ sentia
[18] pietosamente piangere e lagnarsi;
[19] e per ventura udi’ «Dolce Maria!»
[22] e seguitar: «Povera fosti tanto,
[35] dimmi chi fosti», dissi, «e perché sola
[46] Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia
[48] e io la cheggio a lui che tutto giuggia.
[50] di me son nati i Filippi e i Luigi
[56] del governo del regno, e tanta possa
[57] di nuovo acquisto, e sì d’amici pieno,
[64] Lì cominciò con forza e con menzogna
[65] la sua rapina; e poscia, per ammenda,
[66] Pontì e Normandia prese e Guascogna.
[67] Carlo venne in Italia e, per ammenda,
[68] vittima fé di Curradino; e poi
[72] per far conoscer meglio e sé e ’ suoi.
[73] Sanz’ arme n’esce e solo con la lancia
[74] con la qual giostrò Giuda, e quella ponta
[76] Quindi non terra, ma peccato e onta
[80] veggio vender sua figlia e patteggiarne
[85] Perché men paia il mal futuro e ’l fatto,
[87] e nel vicario suo Cristo esser catto.
[89] veggio rinovellar l’aceto e ’l fiele,
[90] e tra vivi ladroni esser anciso.
[98] de lo Spirito Santo e che ti fece
[104] cui traditore e ladro e paricida
[106] e la miseria de l’avaro Mida,
[114] e in infamia tutto ’l monte gira
[118] Talor parla l’uno alto e l’altro basso,
[120] ora a maggiore e ora a minor passo:
[125] e brigavam di soverchiar la strada
[139] No’ istavamo immobili e sospesi
[151] così m’andava timido e pensoso.

55. Purgatorio • Canto XXI

[4] mi travagliava, e pungeami la fretta
[6] e condoleami a la giusta vendetta.
[10] ci apparve un’ombra, e dietro a noi venìa,
[14] Noi ci volgemmo sùbiti, e Virgilio
[19] «Come!», diss’ elli, e parte andavam forte:
[22] E ’l dottor mio: «Se tu riguardi a’ segni
[23] che questi porta e che l’angel profila,
[24] ben vedrai che coi buon convien ch’e’ regni.
[25] Ma perché lei che dì e notte fila
[27] che Cloto impone a ciascuno e compila,
[28] l’anima sua, ch’è tua e mia serocchia,
[32] d’inferno per mostrarli, e mosterrolli
[35] diè dianzi ’l monte, e perché tutto ad una
[45] esser ci puote, e non d’altro, cagione.
[60] per salir sù; e tal grido seconda.
[63] l’alma sorprende, e di voler le giova.
[67] E io, che son giaciuto a questa doglia
[68] cinquecent’ anni e più, pur mo sentii
[70] però sentisti il tremoto e li pii
[73] Così ne disse; e però ch’el si gode
[76] E ’l savio duca: «Omai veggio la rete
[77] che qui vi ’mpiglia e come si scalappia,
[78] perché ci trema e di che congaudete.
[80] e perché tanti secoli giaciuto
[85] col nome che più dura e più onora
[92] cantai di Tebe, e poi del grande Achille;
[98] fummi, e fummi nutrice, poetando:
[100] E per esser vivuto di là quando
[106] ché riso e pianto son tanto seguaci
[110] per che l’ombra si tacque, e riguardommi
[112] e «Se tanto labore in bene assommi»,
[115] Or son io d’una parte e d’altra preso:
[117] ch’io dica; ond’ io sospiro, e sono inteso
[118] dal mio maestro, e «Non aver paura»,
[119] mi dice, «di parlar; ma parla e digli
[120] quel ch’e’ dimanda con cotanta cura».
[126] forte a cantar de li uomini e d’i dèi.
[132] non far, ché tu se’ ombra e ombra vedi».

56. Purgatorio • Canto XXII

[4] e quei c’hanno a giustizia lor disiro
[5] detto n’avea beati, e le sue voci
[7] E io più lieve che per l’altre foci
[19] Ma dimmi, e come amico mi perdona
[21] e come amico omai meco ragiona:
[35] troppo da me, e questa dismisura
[37] E se non fosse ch’io drizzai mia cura,
[44] potean le mani a spendere, e pente’mi
[48] toglie ’l penter vivendo e ne li stremi!
[49] E sappie che la colpa che rimbecca
[66] e prima appresso Dio m’alluminasti.
[68] che porta il lume dietro e sé non giova,
[71] torna giustizia e primo tempo umano,
[72] e progenïe scende da ciel nova’.
[79] e la parola tua sopra toccata
[85] e mentre che di là per me si stette,
[86] io li sovvenni, e i lor dritti costumi
[88] E pria ch’io conducessi i Greci a’ fiumi
[92] e questa tepidezza il quarto cerchio
[98] Cecilio e Plauto e Varro, se lo sai:
[99] dimmi se son dannati, e in qual vico».
[100] «Costoro e Persio e io e altri assai»,
[106] Euripide v’è nosco e Antifonte,
[107] Simonide, Agatone e altri piùe
[110] Antigone, Deïfile e Argia,
[111] e Ismene sì trista come fue.
[113] èvvi la figlia di Tiresia, e Teti,
[114] e con le suore sue Deïdamia».
[117] liberi da saliri e da pareti;
[118] e già le quattro ancelle eran del giorno
[119] rimase a dietro, e la quinta era al temo,
[125] e prendemmo la via con men sospetto
[127] Elli givan dinanzi, e io soletto
[128] di retro, e ascoltava i lor sermoni,
[132] con pomi a odorar soavi e buoni;
[133] e come abete in alto si digrada
[138] e si spandeva per le foglie suso.
[140] e una voce per entro le fronde
[143] fosser le nozze orrevoli e intere,
[145] E le Romane antiche, per lor bere,
[146] contente furon d’acqua; e Danïello
[147] dispregiò cibo e acquistò savere.
[150] e nettare con sete ogne ruscello.
[151] Mele e locuste furon le vivande
[153] per ch’elli è glorïoso e tanto grande

57. Purgatorio • Canto XXIII

[7] Io volsi ’l viso, e ’l passo non men tosto,
[10] Ed ecco piangere e cantar s’udìe
[12] tal, che diletto e doglia parturìe.
[18] che si volgono ad essa e non restanno,
[20] venendo e trapassando ci ammirava
[21] d’anime turba tacita e devota.
[22] Ne li occhi era ciascuna oscura e cava,
[23] palida ne la faccia, e tanto scema
[36] e quel d’un’acqua, non sappiendo como?
[39] di lor magrezza e di lor trista squama,
[41] volse a me li occhi un’ombra e guardò fiso;
[48] e ravvisai la faccia di Forese.
[62] cade vertù ne l’acqua e ne la pianta
[66] in fame e ’n sete qui si rifà santa.
[67] Di bere e di mangiar n’accende cura
[68] l’odor ch’esce del pomo e de lo sprazzo
[70] E non pur una volta, questo spazzo
[72] io dico pena, e dovria dir sollazzo,
[76] E io a lui: «Forese, da quel dì
[88] Con suoi prieghi devoti e con sospiri
[90] e liberato m’ha de li altri giri.
[91] Tanto è a Dio più cara e più diletta
[116] qual fosti meco, e qual io teco fui,
[121] e ’l sol mostrai; «costui per la profonda
[125] salendo e rigirando la montagna
[131] e addita’lo; «e quest’ altro è quell’ ombra

58. Purgatorio • Canto XXIV

[4] e l’ombre, che parean cose rimorte,
[7] E io, continüando al mio sermone,
[13] «La mia sorella, che tra bella e buona
[16] Sì disse prima; e poi: «Qui non si vieta
[19] Questi», e mostrò col dito, «è Bonagiunta,
[20] Bonagiunta da Lucca; e quella faccia
[23] dal Torso fu, e purga per digiuno
[24] l’anguille di Bolsena e la vernaccia».
[26] e del nomar parean tutti contenti,
[29] Ubaldin da la Pila e Bonifazio
[33] e sì fu tal, che non si sentì sazio.
[34] Ma come fa chi guarda e poi s’apprezza
[37] El mormorava; e non so che «Gentucca»
[42] e te e me col tuo parlare appaga».
[43] «Femmina è nata, e non porta ancor benda»,
[52] E io a lui: «I’ mi son un che, quando
[53] Amor mi spira, noto, e a quel modo
[54] ch’e’ ditta dentro vo significando».
[56] che ’l Notaro e Guittone e me ritenne
[61] e qual più a gradire oltre si mette,
[63] e, quasi contentato, si tacette.
[66] poi volan più a fretta e vanno in filo,
[69] e per magrezza e per voler leggera.
[70] E come l’uom che di trottare è lasso,
[71] lascia andar li compagni, e sì passeggia
[74] Forese, e dietro meco sen veniva,
[81] e a trista ruina par disposto».
[87] e lascia il corpo vilmente disfatto.
[89] e drizzò li occhi al ciel, «che ti fia chiaro
[96] e va per farsi onor del primo intoppo,
[98] e io rimasi in via con esso i due
[100] E quando innanzi a noi intrato fue,
[103] parvermi i rami gravidi e vivaci
[104] d’un altro pomo, e non molto lontani
[107] e gridar non so che verso le fronde,
[108] quasi bramosi fantolini e vani
[109] che pregano, e ’l pregato non risponde,
[111] tien alto lor disio e nol nasconde.
[113] e noi venimmo al grande arbore adesso,
[114] che tanti prieghi e lagrime rifiuta.
[117] e questa pianta si levò da esso».
[119] per che Virgilio e Stazio e io, ristretti,
[124] e de li Ebrei ch’al ber si mostrar molli,
[131] ben mille passi e più ci portar oltre,
[135] come fan bestie spaventate e poltre.
[137] e già mai non si videro in fornace
[138] vetri o metalli sì lucenti e rossi,
[145] E quale, annunziatrice de li albori,
[146] l’aura di maggio movesi e olezza,
[147] tutta impregnata da l’erba e da’ fiori;
[149] la fronte, e ben senti’ mover la piuma,
[151] E senti’ dir: «Beati cui alluma

59. Purgatorio • Canto XXV

[3] lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio:
[10] E quale il cicognin che leva l’ala
[11] per voglia di volare, e non s’attenta
[12] d’abbandonar lo nido, e giù la cala;
[13] tal era io con voglia accesa e spenta
[20] e cominciai: «Come si può far magro
[25] e se pensassi come, al vostro guizzo,
[29] ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego
[35] figlio, la mente tua guarda e riceve,
[38] da l’assetate vene, e si rimane
[44] tacer che dire; e quindi poscia geme
[46] Ivi s’accoglie l’uno e l’altro insieme,
[47] l’un disposto a patire, e l’altro a fare
[49] e, giunto lui, comincia ad operare
[50] coagulando prima, e poi avviva
[54] che questa è in via e quella è già a riva,
[55] tanto ovra poi, che già si move e sente,
[56] come spungo marino; e indi imprende
[68] e sappi che, sì tosto come al feto
[71] sovra tant’ arte di natura, e spira
[74] in sua sustanzia, e fassi un’alma sola,
[75] che vive e sente e sé in sé rigira.
[76] E perché meno ammiri la parola,
[80] solvesi da la carne, e in virtute
[81] ne porta seco e l’umano e ’l divino:
[83] memoria, intelligenza e volontade
[90] così e quanto ne le membra vive.
[91] E come l’aere, quand’ è ben pïorno,
[95] e in quella forma ch’è in lui suggella
[97] e simigliante poi a la fiammella
[101] è chiamata ombra; e quindi organa poi
[103] Quindi parliamo e quindi ridiam noi;
[104] quindi facciam le lagrime e ’ sospiri
[107] e li altri affetti, l’ombra si figura;
[108] e quest’ è la cagion di che tu miri».
[109] E già venuto a l’ultima tortura
[110] s’era per noi, e vòlto a la man destra,
[113] e la cornice spira fiato in suso
[114] che la reflette e via da lei sequestra;
[116] ad uno ad uno; e io temëa ’l foco
[117] quinci, e quindi temeva cader giuso.
[124] e vidi spirti per la fiamma andando;
[125] per ch’io guardava a loro e a’ miei passi
[134] gridavano e mariti che fuor casti
[135] come virtute e matrimonio imponne.
[136] E questo modo credo che lor basti
[138] con tal cura conviene e con tai pasti

60. Purgatorio • Canto XXVI

[2] ce n’andavamo, e spesso il buon maestro
[7] e io facea con l’ombra più rovente
[8] parer la fiamma; e pur a tanto indizio
[11] loro a parlar di me; e cominciarsi
[18] rispondi a me che ’n sete e ’n foco ardo.
[25] Sì mi parlava un d’essi; e io mi fora
[32] ciascun’ ombra e basciarsi una con una
[36] forse a spïar lor via e lor fortuna.
[40] la nova gente: «Soddoma e Gomorra»;
[41] e l’altra: «Ne la vacca entra Pasife,
[44] volasser parte, e parte inver’ l’arene,
[47] e tornan, lagrimando, a’ primi canti
[48] e al gridar che più lor si convene;
[49] e raccostansi a me, come davanti,
[57] col sangue suo e con le sue giunture.
[63] ch’è pien d’amore e più ampio si spazia,
[65] chi siete voi, e chi è quella turba
[68] lo montanaro, e rimirando ammuta,
[69] quando rozzo e salvatico s’inurba,
[81] e aiutan l’arsura vergognando.
[88] Or sai nostri atti e di che fummo rei:
[90] tempo non è di dire, e non saprei.
[92] son Guido Guinizzelli, e già mi purgo
[98] mio e de li altri miei miglior che mai
[99] rime d’amore usar dolci e leggiadre;
[100] e sanza udire e dir pensoso andai
[107] per quel ch’i’ odo, in me, e tanto chiaro,
[111] nel dire e nel guardar d’avermi caro».
[112] E io a lui: «Li dolci detti vostri,
[116] col dito», e additò un spirto innanzi,
[118] Versi d’amore e prose di romanzi
[119] soverchiò tutti; e lascia dir li stolti
[122] e così ferman sua oppinïone
[137] e dissi ch’al suo nome il mio disire
[142] Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
[144] e vei jausen lo joi qu’esper, denan.

61. Purgatorio • Canto XXVII

[4] e l’onde in Gange da nona rïarse,
[8] e cantava ‘Beati mundo corde!’
[12] e al cantar di là non siate sorde»,
[17] guardando il foco e imaginando forte
[20] e Virgilio mi disse: «Figliuol mio,
[22] Ricorditi, ricorditi! E se io
[28] E se tu forse credi ch’io t’inganni,
[29] fatti ver’ lei, e fatti far credenza
[32] volgiti in qua e vieni: entra sicuro!».
[33] E io pur fermo e contra coscïenza.
[34] Quando mi vide star pur fermo e duro,
[36] tra Bëatrice e te è questo muro».
[38] Piramo in su la morte, e riguardolla,
[43] Ond’ ei crollò la fronte e disse: «Come!
[56] di là; e noi, attenti pur a lei,
[60] tal che mi vinse e guardar nol potei.
[61] «Lo sol sen va», soggiunse, «e vien la sera;
[67] E di pochi scaglion levammo i saggi,
[69] sentimmo dietro e io e li miei saggi.
[70] E pria che ’n tutte le sue parti immense
[72] e notte avesse tutte sue dispense,
[75] la possa del salir più e ’l diletto.
[77] le capre, state rapide e proterve
[81] poggiato s’è e lor di posa serve;
[82] e quale il mandrïan che fori alberga,
[85] tali eravamo tutti e tre allotta,
[87] fasciati quinci e quindi d’alta grotta.
[90] di lor solere e più chiare e maggiori.
[91] Sì ruminando e sì mirando in quelle,
[97] giovane e bella in sogno mi parea
[99] cogliendo fiori; e cantando dicea:
[101] ch’i’ mi son Lia, e vo movendo intorno
[105] dal suo miraglio, e siede tutto giorno.
[108] lei lo vedere, e me l’ovrare appaga».
[109] E già per li splendori antelucani,
[113] e ’l sonno mio con esse; ond’ io leva’mi,
[119] parole usò; e mai non furo strenne
[125] fu corsa e fummo in su ’l grado superno,
[127] e disse: «Il temporal foco e l’etterno
[128] veduto hai, figlio; e se’ venuto in parte
[130] Tratto t’ho qui con ingegno e con arte;
[134] vedi l’erbette, i fiori e li arbuscelli
[138] seder ti puoi e puoi andar tra elli.
[140] libero, dritto e sano è tuo arbitrio,
[141] e fallo fora non fare a suo senno:
[142] per ch’io te sovra te corono e mitrio».

62. Purgatorio • Canto XXVIII

[1] Vago già di cercar dentro e dintorno
[2] la divina foresta spessa e viva,
[34] Coi piè ristetti e con li occhi passai
[37] e là m’apparve, sì com’ elli appare
[41] e cantando e scegliendo fior da fiore
[49] Tu mi fai rimembrar dove e qual era
[53] a terra e intra sé, donna che balli,
[54] e piede innanzi piede a pena mette,
[55] volsesi in su i vermigli e in su i gialli
[58] e fece i prieghi miei esser contenti,
[74] per mareggiare intra Sesto e Abido,
[76] «Voi siete nuovi, e forse perch’ io rido»,
[82] E tu che se’ dinanzi e mi pregasti,
[85] «L’acqua», diss’ io, «e ’l suon de la foresta
[90] e purgherò la nebbia che ti fiede.
[92] fé l’uom buono e a bene, e questo loco
[95] per sua difalta in pianto e in affanno
[96] cambiò onesto riso e dolce gioco.
[98] l’essalazion de l’acqua e de la terra,
[102] e libero n’è d’indi ove si serra.
[108] e fa sonar la selva perch’ è folta;
[109] e la percossa pianta tanto puote,
[111] e quella poi, girando, intorno scuote;
[112] e l’altra terra, secondo ch’è degna
[113] per sé e per suo ciel, concepe e figlia
[118] E saper dei che la campagna santa
[120] e frutto ha in sé che di là non si schianta.
[123] come fiume ch’acquista e perde lena;
[124] ma esce di fontana salda e certa,
[131] Eünoè si chiama, e non adopra
[132] se quinci e quindi pria non è gustato:
[134] E avvegna ch’assai possa esser sazia
[140] l’età de l’oro e suo stato felice,
[143] qui primavera sempre e ogne frutto;
[146] a’ miei poeti, e vidi che con riso

63. Purgatorio • Canto XXIX

[4] E come ninfe che si givan sole
[8] su per la riva; e io pari di lei,
[10] Non eran cento tra ’ suoi passi e ’ miei,
[15] dicendo: «Frate mio, guarda e ascolta».
[20] e quel, durando, più e più splendeva,
[22] E una melodia dolce correva
[25] che là dove ubidia la terra e ’l cielo,
[26] femmina, sola e pur testé formata,
[30] sentite prima e più lunga fïata.
[33] e disïoso ancora a più letizie,
[36] e ’l dolce suon per canti era già inteso.
[41] e Uranìe m’aiuti col suo coro
[45] del mezzo ch’era ancor tra noi e loro;
[51] e ne le voci del cantare ‘Osanna’.
[63] e ciò che vien di retro a lor non guardi?».
[66] e tal candor di qua già mai non fuci.
[68] e rendea me la mia sinistra costa,
[73] e vidi le fiammelle andar davante,
[75] e di tratti pennelli avean sembiante;
[78] onde fa l’arco il Sole e Delia il cinto.
[80] che la mia vista; e, quanto a mio avviso,
[86] ne le figlie d’Adamo, e benedette
[88] Poscia che i fiori e l’altre fresche erbette
[95] le penne piene d’occhi; e li occhi d’Argo,
[102] venir con vento e con nube e con igne;
[103] e quali i troverai ne le sue carte,
[105] Giovanni è meco e da lui si diparte.
[109] Esso tendeva in sù l’una e l’altra ale
[110] tra la mezzana e le tre e tre liste,
[114] e bianche l’altre, di vermiglio miste.
[124] l’altr’ era come se le carni e l’ossa
[127] e or parëan da la bianca tratte,
[128] or da la rossa; e dal canto di questa
[129] l’altre toglien l’andare e tarde e ratte.
[135] ma pari in atto e onesto e sodo.
[140] con una spada lucida e aguta,
[143] e di retro da tutti un vecchio solo
[145] E questi sette col primaio stuolo
[148] anzi di rose e d’altri fior vermigli;
[151] E quando il carro a me fu a rimpetto,
[152] un tuon s’udì, e quelle genti degne

64. Purgatorio • Canto XXX

[4] e che faceva lì ciascun accorto
[10] e un di loro, quasi da ciel messo,
[12] gridò tre volte, e tutti li altri appresso.
[18] ministri e messaggier di vita etterna.
[20] e fior gittando e di sopra e dintorno,
[24] e l’altro ciel di bel sereno addorno;
[25] e la faccia del sol nascere ombrata,
[30] e ricadeva in giù dentro e di fori,
[34] E lo spirito mio, che già cotanto
[58] Quasi ammiraglio che in poppa e in prora
[60] per li altri legni, e a ben far l’incora;
[72] e ’l più caldo parlar dietro reserva:
[82] Ella si tacque; e li angeli cantaro
[87] soffiata e stretta da li venti schiavi,
[91] così fui sanza lagrime e sospiri
[98] spirito e acqua fessi, e con angoscia
[99] de la bocca e de li occhi uscì del petto.
[108] perché sia colpa e duol d’una misura.
[118] Ma tanto più maligno e più silvestro
[119] si fa ’l terren col mal seme e non cólto,
[125] di mia seconda etade e mutai vita,
[126] questi si tolse a me, e diessi altrui.
[128] e bellezza e virtù cresciuta m’era,
[129] fu’ io a lui men cara e men gradita;
[130] e volse i passi suoi per via non vera,
[134] con le quali e in sogno e altrimenti
[140] e a colui che l’ha qua sù condotto,
[143] se Letè si passasse e tal vivanda

65. Purgatorio • Canto XXXI

[8] che la voce si mosse, e pria si spense
[13] Confusione e paura insieme miste
[17] da troppa tesa, la sua corda e l’arco,
[18] e con men foga l’asta il segno tocca,
[20] fuori sgorgando lagrime e sospiri,
[21] e la voce allentò per lo suo varco.
[28] E quali agevolezze o quali avanzi
[33] e le labbra a fatica la formaro.
[44] del tuo errore, e perché altra volta,
[46] pon giù il seme del piangere e ascolta:
[51] rinchiusa fui, e che so’ ’n terra sparte;
[52] e se ’l sommo piacer sì ti fallio
[66] e sé riconoscendo e ripentuti,
[69] e prenderai più doglia riguardando».
[74] e quando per la barba il viso chiese,
[76] E come la mia faccia si distese,
[79] e le mie luci, ancor poco sicure,
[82] Sotto ’l suo velo e oltre la rivera
[89] ch’io caddi vinto; e quale allora femmi,
[93] sopra me vidi, e dicea: «Tiemmi, tiemmi!».
[95] e tirandosi me dietro sen giva
[101] abbracciommi la testa e mi sommerse
[103] Indi mi tolse, e bagnato m’offerse
[105] e ciascuna del braccio mi coperse.
[106] «Noi siam qui ninfe e nel ciel siamo stelle;
[112] Così cantando cominciaro; e poi
[126] e ne l’idolo suo si trasmutava.
[127] Mentre che piena di stupore e lieta

66. Purgatorio • Canto XXXII

[1] Tant’ eran li occhi miei fissi e attenti
[4] Ed essi quinci e quindi avien parete
[10] e la disposizion ch’a veder èe
[14] (e dico ‘al poco’ per rispetto al molto
[17] lo glorïoso essercito, e tornarsi
[18] col sole e con le sette fiamme al volto.
[20] volgesi schiera, e sé gira col segno,
[26] e ’l grifon mosse il benedetto carco
[29] e Stazio e io seguitavam la rota
[39] di foglie e d’altra fronda in ciascun ramo.
[47] gridaron li altri; e l’animal binato:
[49] E vòlto al temo ch’elli avea tirato,
[51] e quel di lei a lei lasciò legato.
[55] turgide fansi, e poi si rinovella
[58] men che di rose e più che di vïole
[71] e dico ch’un splendor mi squarciò ’l velo
[72] del sonno, e un chiamar: «Surgi: che fai?».
[75] e perpetüe nozze fa nel cielo,
[76] Pietro e Giovanni e Iacopo condotti
[77] e vinti, ritornaro a la parola
[79] e videro scemata loro scuola
[81] e al maestro suo cangiata stola;
[82] tal torna’ io, e vidi quella pia
[85] E tutto in dubbio dissi: «Ov’ è Beatrice?».
[90] con più dolce canzone e più profonda».
[91] E se più fu lo suo parlar diffuso,
[99] che son sicuri d’Aquilone e d’Austro.
[101] e sarai meco sanza fine cive
[104] al carro tieni or li occhi, e quel che vedi,
[106] Così Beatrice; e io, che tutto ai piedi
[108] la mente e li occhi ov’ ella volle diedi.
[114] non che d’i fiori e de le foglie nove;
[115] e ferì ’l carro di tutta sua forza;
[126] del carro e lasciar lei di sé pennuta;
[127] e qual esce di cuor che si rammarca,
[128] tal voce uscì del cielo e cotal disse:
[131] tr’ambo le ruote, e vidi uscirne un drago
[133] e come vespa che ritragge l’ago,
[135] trasse del fondo, e gissen vago vago.
[138] forse con intenzion sana e benigna,
[139] si ricoperse, e funne ricoperta
[140] e l’una e l’altra rota e ’l temo, in tanto
[144] tre sovra ’l temo e una in ciascun canto.
[151] e come perché non li fosse tolta,
[153] e basciavansi insieme alcuna volta.
[154] Ma perché l’occhio cupido e vagante
[157] poi, di sospetto pieno e d’ira crudo,
[158] disciolse il mostro, e trassel per la selva,
[160] a la puttana e a la nova belva.

67. Purgatorio • Canto XXXIII

[3] le donne incominciaro, e lagrimando;
[4] e Bëatrice, sospirosa e pia,
[13] Poi le si mise innanzi tutte e sette,
[14] e dopo sé, solo accennando, mosse
[15] me e la donna e ’l savio che ristette.
[16] Così sen giva; e non credo che fosse
[19] e con tranquillo aspetto «Vien più tosto»,
[30] voi conoscete, e ciò ch’ad essa è buono».
[31] Ed ella a me: «Da tema e da vergogna
[35] fu e non è; ma chi n’ha colpa, creda
[39] per che divenne mostro e poscia preda;
[40] ch’io veggio certamente, e però il narro,
[42] secure d’ogn’ intoppo e d’ogne sbarro,
[43] nel quale un cinquecento diece e cinque,
[46] E forse che la mia narrazion buia,
[47] qual Temi e Sfinge, men ti persuade,
[52] Tu nota; e sì come da me son porte,
[55] E aggi a mente, quando tu le scrivi,
[61] Per morder quella, in pena e in disio
[62] cinquemilia anni e più l’anima prima
[66] lei tanto e sì travolta ne la cima.
[67] E se stati non fossero acqua d’Elsa
[69] e ’l piacer loro un Piramo a la gelsa,
[74] fatto di pietra e, impetrato, tinto,
[76] voglio anco, e se non scritto, almen dipinto,
[79] E io: «Sì come cera da suggello,
[86] c’hai seguitata, e veggi sua dottrina
[88] e veggi vostra via da la divina
[94] «E se tu ricordar non te ne puoi»,
[97] e se dal fummo foco s’argomenta,
[103] E più corusco e con più lenti passi
[105] che qua e là, come li aspetti, fassi,
[110] qual sotto foglie verdi e rami nigri
[112] Dinanzi ad esse Ëufratès e Tigri
[114] e, quasi amici, dipartirsi pigri.
[117] da un principio e sé da sé lontana?».
[119] Matelda che ’l ti dica». E qui rispuose,
[121] la bella donna: «Questo e altre cose
[122] dette li son per me; e son sicura
[124] E Bëatrice: «Forse maggior cura,
[128] menalo ad esso, e come tu se’ usa,
[134] la bella donna mossesi, e a Stazio
[145] puro e disposto a salire a le stelle.

68. Paradiso • Canto I

[2] per l’universo penetra, e risplende
[3] in una parte più e meno altrove.
[5] fu’ io, e vidi cose che ridire
[19] Entra nel petto mio, e spira tue
[26] venire, e coronarmi de le foglie
[27] che la materia e tu mi farai degno.
[30] colpa e vergogna de l’umane voglie,
[40] con miglior corso e con migliore stella
[41] esce congiunta, e la mondana cera
[42] più a suo modo tempera e suggella.
[43] Fatto avea di là mane e di qua sera
[44] tal foce, e quasi tutto era là bianco
[45] quello emisperio, e l’altra parte nera,
[47] vidi rivolta e riguardar nel sole:
[49] E sì come secondo raggio suole
[50] uscir del primo e risalire in suso,
[54] e fissi li occhi al sole oltre nostr’ uso.
[61] e di sùbito parve giorno a giorno
[65] fissa con li occhi stava; e io in lei
[78] con l’armonia che temperi e discerni,
[82] La novità del suono e ’l grande lume
[88] e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso
[97] e dissi: «Già contento requïevi
[103] e cominciò: «Le cose tutte quante
[104] hanno ordine tra loro, e questo è forma
[111] più al principio loro e men vicine;
[113] per lo gran mar de l’essere, e ciascuna
[117] questi la terra in sé stringe e aduna;
[120] ma quelle c’hanno intelletto e amore.
[124] e ora lì, come a sito decreto,
[133] e sì come veder si può cadere

69. Paradiso • Canto II

[8] Minerva spira, e conducemi Appollo,
[9] e nove Muse mi dimostran l’Orse.
[19] La concreata e perpetüa sete
[22] Beatrice in suso, e io in lei guardava;
[23] e forse in tanto in quanto un quadrel posa
[24] e vola e da la noce si dischiava,
[26] mi torse il viso a sé; e però quella
[32] lucida, spessa, solida e pulita,
[37] S’io era corpo, e qui non si concepe
[42] come nostra natura e Dio s’unio.
[52] Ella sorrise alquanto, e poi «S’elli erra
[59] E io: «Ciò che n’appar qua sù diverso
[60] credo che fanno i corpi rari e densi».
[65] lumi, li quali e nel quale e nel quanto
[67] Se raro e denso ciò facesser tanto,
[69] più e men distributa e altrettanto.
[71] di princìpi formali, e quei, for ch’uno,
[77] lo grasso e ’l magro un corpo, così questo
[83] de l’altro; e s’elli avvien ch’io l’altro cassi,
[88] e indi l’altrui raggio si rifonde
[97] Tre specchi prenderai; e i due rimovi
[98] da te d’un modo, e l’altro, più rimosso,
[102] e torni a te da tutti ripercosso.
[108] e dal colore e dal freddo primai,
[117] da lui distratte e da lui contenute.
[120] dispongono a lor fini e lor semenze.
[123] che di sù prendono e di sotto fanno.
[127] Lo moto e la virtù d’i santi giri,
[130] e ’l ciel cui tanti lumi fanno bello,
[132] prende l’image e fassene suggello.
[133] E come l’alma dentro a vostra polve
[134] per differenti membra e conformate
[146] par differente, non da denso e raro;
[148] conforme a sua bontà, lo turbo e ’l chiaro».

70. Paradiso • Canto III

[3] provando e riprovando, il dolce aspetto;
[4] e io, per confessar corretto e certo
[10] Quali per vetri trasparenti e tersi,
[11] o ver per acque nitide e tranquille,
[18] a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte.
[22] e nulla vidi, e ritorsili avanti
[31] Però parla con esse e odi e credi;
[34] E io a l’ombra che parea più vaga
[35] di ragionar, drizza’mi, e cominciai,
[41] del nome tuo e de la vostra sorte».
[42] Ond’ ella, pronta e con occhi ridenti:
[47] e se la mente tua ben sé riguarda,
[55] E questa sorte che par giù cotanto,
[57] li nostri voti, e vòti in alcun canto».
[66] per più vedere e per più farvi amici?».
[72] sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta.
[78] e se la sua natura ben rimiri.
[85] E ’n la sua volontade è nostra pace:
[92] e d’un altro rimane ancor la gola,
[93] che quel si chere e di quel si ringrazia,
[94] così fec’ io con atto e con parola,
[97] «Perfetta vita e alto merto inciela
[99] nel vostro mondo giù si veste e vela,
[100] perché fino al morir si vegghi e dorma
[104] fuggi’mi, e nel suo abito mi chiusi
[105] e promisi la via de la sua setta.
[109] E quest’ altro splendor che ti si mostra
[110] da la mia destra parte e che s’accende
[113] sorella fu, e così le fu tolta
[116] contra suo grado e contra buona usanza,
[120] generò ’l terzo e l’ultima possanza».
[121] Così parlommi, e poi cominciò ‘Ave,
[122] Maria’ cantando, e cantando vanio
[127] e a Beatrice tutta si converse;
[130] e ciò mi fece a dimandar più tardo.

71. Paradiso • Canto IV

[1] Intra due cibi, distanti e moventi
[11] m’era nel viso, e ’l dimandar con ello,
[16] e disse: «Io veggio ben come ti tira
[17] uno e altro disio, sì che tua cura
[26] pontano igualmente; e però pria
[29] Moïsè, Samuel, e quel Giovanni
[35] e differentemente han dolce vita
[36] per sentir più e men l’etterno spiro.
[44] a vostra facultate, e piedi e mano
[45] attribuisce a Dio e altro intende;
[46] e Santa Chiesa con aspetto umano
[47] Gabrïel e Michel vi rappresenta,
[48] e l’altro che Tobia rifece sano.
[55] e forse sua sentenza è d’altra guisa
[59] l’onor de la influenza e ’l biasmo, forse
[63] Mercurio e Marte a nominar trascorse.
[69] di fede e non d’eretica nequizia.
[80] segue la forza; e così queste fero
[84] e fece Muzio a la sua man severo,
[88] E per queste parole, se ricolte
[97] e poi potesti da Piccarda udire
[107] che la forza al voler si mischia, e fanno
[113] de la voglia assoluta intende, e io
[117] tal puose in pace uno e altro disio.
[120] e scalda sì, che più e più m’avviva,
[123] ma quei che vede e puote a ciò risponda.
[128] tosto che giunto l’ha; e giugner puollo:
[142] e quasi mi perdei con li occhi chini.

72. Paradiso • Canto V

[9] che, vista, sola e sempre amore accende;
[10] e s’altra cosa vostro amor seduce,
[17] e sì com’ uom che suo parlar non spezza,
[20] fesse creando, e a la sua bontate
[21] più conformato, e quel ch’e’ più apprezza,
[24] e tutte e sole, fuoro e son dotate.
[28] ché, nel fermar tra Dio e l’omo il patto,
[30] tal quale io dico; e fassi col suo atto.
[41] e fermalvi entro; ché non fa scïenza,
[47] se non servata; e intorno di lei
[57] e de la chiave bianca e de la gialla;
[58] e ogne permutanza credi stolta,
[65] siate fedeli, e a ciò far non bieci,
[68] che, servando, far peggio; e così stolto
[71] e fé pianger di sé i folli e i savi
[75] e non crediate ch’ogne acqua vi lavi.
[76] Avete il novo e ’l vecchio Testamento,
[77] e ’l pastor de la Chiesa che vi guida;
[80] uomini siate, e non pecore matte,
[83] de la sua madre, e semplice e lascivo
[88] Lo suo tacere e ’l trasmutar sembiante
[91] e sì come saetta che nel segno
[97] E se la stella si cambiò e rise,
[100] Come ’n peschiera ch’è tranquilla e pura
[104] trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udia:
[106] E sì come ciascuno a noi venìa,
[112] e per te vederai come da questi
[119] noi semo accesi; e però, se disii
[122] detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì
[123] sicuramente, e credi come a dii».
[125] nel proprio lume, e che de li occhi il traggi,
[126] perch’ e’ corusca sì come tu ridi;
[138] e così chiusa chiusa mi rispuose

73. Paradiso • Canto VI

[4] cento e cent’ anni e più l’uccel di Dio
[7] e sotto l’ombra de le sacre penne
[9] e, sì cangiando, in su la mia pervenne.
[10] Cesare fui e son Iustinïano,
[12] d’entro le leggi trassi il troppo e ’l vano.
[13] E prima ch’io a l’ovra fossi attento,
[15] credea, e di tal fede era contento;
[19] Io li credetti; e ciò che ’n sua fede era,
[21] ogni contradizione e falsa e vera.
[24] l’alto lavoro, e tutto ’n lui mi diedi;
[25] e al mio Belisar commendai l’armi,
[33] e chi ’l s’appropria e chi a lui s’oppone.
[35] di reverenza; e cominciò da l’ora
[38] per trecento anni e oltre, infino al fine
[40] E sai ch’el fé dal mal de le Sabine
[45] incontro a li altri principi e collegi;
[46] onde Torquato e Quinzio, che dal cirro
[47] negletto fu nomato, i Deci e ’ Fabi
[53] Scipïone e Pompeo; e a quel colle
[58] E quel che fé da Varo infino a Reno,
[59] Isara vide ed Era e vide Senna
[60] e ogne valle onde Rodano è pieno.
[62] e saltò Rubicon, fu di tal volo,
[65] poi ver’ Durazzo, e Farsalia percosse
[67] Antandro e Simeonta, onde si mosse,
[68] rivide e là dov’ Ettore si cuba;
[69] e mal per Tolomeo poscia si scosse.
[75] e Modena e Perugia fu dolente.
[78] la morte prese subitana e atra.
[83] fatto avea prima e poi era fatturo
[85] diventa in apparenza poco e scuro,
[87] con occhio chiaro e con affetto puro;
[94] E quando il dente longobardo morse
[98] ch’io accusai di sopra e di lor falli,
[101] oppone, e l’altro appropria quello a parte,
[105] sempre chi la giustizia e lui diparte;
[106] e non l’abbatta esto Carlo novello
[110] per la colpa del padre, e non si creda
[114] perché onore e fama li succeda:
[115] e quando li disiri poggian quivi,
[127] E dentro a la presente margarita
[129] fu l’ovra grande e bella mal gradita.
[131] non hanno riso; e però mal cammina
[133] Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,
[134] Ramondo Beringhiere, e ciò li fece
[135] Romeo, persona umìle e peregrina.
[136] E poi il mosser le parole biece
[138] che li assegnò sette e cinque per diece,
[139] indi partissi povero e vetusto;
[140] e se ’l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe
[142] assai lo loda, e più lo loderebbe».

74. Paradiso • Canto VII

[7] ed essa e l’altre mossero a sua danza,
[8] e quasi velocissime faville
[10] Io dubitava e dicea ‘Dille, dille!’
[14] di tutto me, pur per Be e per ice,
[17] e cominciò, raggiandomi d’un riso
[23] e tu ascolta, ché le mie parole
[36] qual fu creata, fu sincera e buona;
[39] da via di verità e da sua vita.
[43] e così nulla fu di tanta ingiura,
[47] ch’a Dio e a’ Giudei piacque una morte;
[48] per lei tremò la terra e ’l ciel s’aperse.
[62] molto si mira e poco si discerne,
[73] Più l’è conforme, e però più le piace;
[77] l’umana creatura, e s’una manca,
[80] e falla dissimìle al sommo bene,
[82] e in sua dignità mai non rivene,
[101] e questa è la cagion per che l’uom fue
[112] Né tra l’ultima notte e ’l primo die
[118] e tutti li altri modi erano scarsi
[125] l’aere e la terra e tutte lor misture
[126] venire a corruzione, e durar poco;
[127] e queste cose pur furon creature;
[130] Li angeli, frate, e ’l paese sincero
[134] e quelle cose che di lor si fanno
[139] L’anima d’ogne bruto e de le piante
[141] lo raggio e ’l moto de le luci sante;
[143] la somma beninanza, e la innamora
[145] E quinci puoi argomentare ancora

75. Paradiso • Canto VIII

[5] di sacrificio e di votivo grido
[7] ma Dïone onoravano e Cupido,
[9] e dicean ch’el sedette in grembo a Dido;
[10] e da costei ond’ io principio piglio
[16] E come in fiamma favilla si vede,
[17] e come in voce voce si discerne,
[18] quand’ una è ferma e altra va e riede,
[20] muoversi in giro più e men correnti,
[24] che non paressero impediti e lenti
[28] e dentro a quei che più innanzi appariro
[32] e solo incominciò: «Tutti sem presti
[35] d’un giro e d’un girare e d’una sete,
[38] e sem sì pien d’amor, che, per piacerti,
[42] fatti li avea di sé contenti e certi,
[44] tanto s’avea, e «Deh, chi siete?» fue
[46] E quanta e quale vid’ io lei far piùe
[50] giù poco tempo; e se più fosse stato,
[53] che mi raggia dintorno e mi nasconde
[55] Assai m’amasti, e avesti ben onde;
[61] e quel corno d’Ausonia che s’imborga
[62] di Bari e di Gaeta e di Catona,
[63] da ove Tronto e Verde in mare sgorga.
[67] E la bella Trinacria, che caliga
[68] tra Pachino e Peloro, sopra ’l golfo
[72] nati per me di Carlo e di Ridolfo,
[76] E se mio frate questo antivedesse,
[87] là ’ve ogne ben si termina e s’inizia,
[89] grata m’è più; e anco quest’ ho caro
[91] Fatto m’hai lieto, e così mi fa chiaro,
[98] volge e contenta, fa esser virtute
[100] E non pur le nature provedute
[109] e ciò esser non può, se li ’ntelletti
[111] e manco il primo, che non li ha perfetti.
[113] E io: «Non già; ché impossibil veggio
[117] «Sì», rispuos’ io; «e qui ragion non cheggio».
[118] «E puot’ elli esser, se giù non si vive
[124] per ch’un nasce Solone e altro Serse,
[125] altro Melchisedèch e altro quello
[131] per seme da Iacòb; e vien Quirino
[142] E se ’l mondo là giù ponesse mente
[147] e fate re di tal ch’è da sermone;

76. Paradiso • Canto IX

[4] ma disse: «Taci e lascia muover li anni»;
[7] E già la vita di quel lume santo
[10] Ahi anime ingannate e fatture empie,
[14] ver’ me si fece, e ’l suo voler piacermi
[20] beato spirto», dissi, «e fammi prova
[27] e le fontane di Brenta e di Piava,
[28] si leva un colle, e non surge molt’ alto,
[31] D’una radice nacqui e io ed ella:
[32] Cunizza fui chiamata, e qui refulgo
[35] la cagion di mia sorte, e non mi noia;
[37] Di questa luculenta e cara gioia
[39] grande fama rimase; e pria che moia,
[43] E ciò non pensa la turba presente
[44] che Tagliamento e Adice richiude,
[49] e dove Sile e Cagnan s’accompagna,
[50] tal signoreggia e va con la testa alta,
[57] e stanco chi ’l pesasse a oncia a oncia,
[59] per mostrarsi di parte; e cotai doni
[64] Qui si tacette; e fecemi sembiante
[73] «Dio vede tutto, e tuo veder s’inluia»,
[89] tra Ebro e Macra, che per cammin corto
[91] Ad un occaso quasi e ad un orto
[92] Buggea siede e la terra ond’ io fui,
[95] fu noto il nome mio; e questo cielo
[98] noiando e a Sicheo e a Creusa,
[105] ma del valor ch’ordinò e provide.
[107] cotanto affetto, e discernesi ’l bene
[116] Raab; e a nostr’ ordine congiunta,
[123] che s’acquistò con l’una e l’altra palma,
[129] e di cui è la ’nvidia tanto pianta,
[130] produce e spande il maladetto fiore
[131] c’ha disvïate le pecore e li agni,
[133] Per questo l’Evangelio e i dottor magni
[134] son derelitti, e solo ai Decretali
[136] A questo intende il papa e ’ cardinali;
[139] Ma Vaticano e l’altre parti elette

77. Paradiso • Canto X

[2] che l’uno e l’altro etternalmente spira,
[3] lo primo e ineffabile Valore
[4] quanto per mente e per loco si gira
[9] dove l’un moto e l’altro si percuote;
[10] e lì comincia a vagheggiar ne l’arte
[18] e quasi ogne potenza qua giù morta;
[19] e se dal dritto più o men lontano
[21] e giù e sù de l’ordine mondano.
[30] e col suo lume il tempo ne misura,
[34] e io era con lui; ma del salire
[43] Perch’ io lo ’ngegno e l’arte e l’uso chiami,
[45] ma creder puossi e di veder si brami.
[46] E se le fantasie nostre son basse
[51] mostrando come spira e come figlia.
[52] E Bëatrice cominciò: «Ringrazia,
[56] a divozione e a rendersi a Dio
[59] e sì tutto ’l mio amore in lui si mise,
[64] Io vidi più folgór vivi e vincenti
[65] far di noi centro e di sé far corona,
[71] si trovan molte gioie care e belle
[73] e ’l canto di quei lumi era di quelle;
[82] E dentro a l’un senti’ cominciar: «Quando
[84] verace amore e che poi cresce amando,
[98] frate e maestro fummi, ed esso Alberto
[99] è di Cologna, e io Thomas d’Aquino.
[104] di Grazïan, che l’uno e l’altro foro
[117] l’angelica natura e ’l ministero.
[129] e da essilio venne a questa pace.
[131] d’Isidoro, di Beda e di Riccardo,
[142] che l’una parte e l’altra tira e urge,
[146] muoversi e render voce a voce in tempra
[147] e in dolcezza ch’esser non pò nota

78. Paradiso • Canto XI

[4] Chi dietro a iura e chi ad amforismi
[5] sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
[6] e chi regnar per forza o per sofismi,
[7] e chi rubare e chi civil negozio,
[9] s’affaticava e chi si dava a l’ozio,
[16] E io senti’ dentro a quella lumera
[22] Tu dubbi, e hai voler che si ricerna
[23] in sì aperta e ’n sì distesa lingua
[26] e là u’ dissi: “Non nacque il secondo”;
[27] e qui è uopo che ben si distingua.
[34] in sé sicura e anche a lui più fida,
[36] che quinci e quindi le fosser per guida.
[43] Intra Tupino e l’acqua che discende
[46] onde Perugia sente freddo e caldo
[47] da Porta Sole; e di rietro le piange
[61] e dinanzi a la sua spirital corte
[65] millecent’ anni e più dispetta e scura
[74] Francesco e Povertà per questi amanti
[76] La lor concordia e i lor lieti sembianti,
[77] amore e maraviglia e dolce sguardo
[80] si scalzò prima, e dietro a tanta pace
[81] corse e, correndo, li parve esser tardo.
[85] Indi sen va quel padre e quel maestro
[86] con la sua donna e con quella famiglia
[92] ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
[100] E poi che, per la sete del martiro,
[102] predicò Cristo e li altri che ’l seguiro,
[103] e per trovare a conversione acerba
[104] troppo la gente e per non stare indarno,
[106] nel crudo sasso intra Tevero e Arno
[114] e comandò che l’amassero a fede;
[115] e del suo grembo l’anima preclara
[117] e al suo corpo non volle altra bara.
[121] e questo fu il nostro patrïarca;
[127] e quanto le sue pecore remote
[128] e vagabunde più da esso vanno,
[131] e stringonsi al pastor; ma son sì poche,
[138] e vedra’ il corrègger che argomenta

79. Paradiso • Canto XII

[4] e nel suo giro tutta non si volse
[6] e moto a moto e canto a canto colse;
[9] quanto primo splendor quel ch’e’ refuse.
[11] due archi paralelli e concolori,
[16] e fanno qui la gente esser presaga,
[21] e sì l’estrema a l’intima rispuose.
[22] Poi che ’l tripudio e l’altra festa grande,
[23] sì del cantare e sì del fiammeggiarsi
[24] luce con luce gaudïose e blande,
[25] insieme a punto e a voler quetarsi,
[27] conviene insieme chiudere e levarsi;
[31] e cominciò: «L’amor che mi fa bella
[39] si movea tardo, sospeccioso e raro,
[43] e, come è detto, a sua sposa soccorse
[54] in che soggiace il leone e soggioga:
[57] benigno a’ suoi e a’ nemici crudo;
[58] e come fu creata, fu repleta
[62] al sacro fonte intra lui e la Fede,
[66] ch’uscir dovea di lui e de le rede;
[67] e perché fosse qual era in costrutto,
[70] Domenico fu detto; e io ne parlo
[73] Ben parve messo e famigliar di Cristo:
[76] Spesse fïate fu tacito e desto
[83] di retro ad Ostïense e a Taddeo,
[88] E a la sedia che fu già benigna
[97] Poi, con dottrina e con volere insieme,
[100] e ne li sterpi eretici percosse
[108] e vinse in campo la sua civil briga,
[118] e tosto si vedrà de la ricolta
[126] ch’uno la fugge e altro la coarta.
[130] Illuminato e Augustin son quici,
[134] e Pietro Mangiadore e Pietro Spano,
[136] Natàn profeta e ’l metropolitano
[137] Crisostomo e Anselmo e quel Donato
[139] Rabano è qui, e lucemi dallato
[144] di fra Tommaso e ’l discreto latino;
[145] e mosse meco questa compagnia».

80. Paradiso • Canto XIII

[2] quel ch’i’ or vidi—e ritegna l’image,
[8] basta del nostro cielo e notte e giorno,
[16] e l’un ne l’altro aver li raggi suoi,
[17] e amendue girarsi per maniera
[18] che l’uno andasse al primo e l’altro al poi;
[19] e avrà quasi l’ombra de la vera
[20] costellazione e de la doppia danza
[27] e in una persona essa e l’umana.
[28] Compié ’l cantare e ’l volger sua misura;
[29] e attesersi a noi quei santi lumi,
[34] e disse: «Quando l’una paglia è trita,
[40] e in quel che, forato da la lancia,
[41] e prima e poscia tanto sodisfece,
[45] da quel valor che l’uno e l’altro fece;
[46] e però miri a ciò ch’io dissi suso,
[50] e vedräi il tuo credere e ’l mio dire
[52] Ciò che non more e ciò che può morire
[64] e queste contingenze essere intendo
[66] con seme e sanza seme il ciel movendo.
[67] La cera di costoro e chi la duce
[68] non sta d’un modo; e però sotto ’l segno
[69] idëale poi più e men traluce.
[71] secondo specie, meglio e peggio frutta;
[72] e voi nascete con diverso ingegno.
[74] e fosse il cielo in sua virtù supprema,
[80] de la prima virtù dispone e segna,
[92] pensa chi era, e la cagion che ’l mosse,
[103] Onde, se ciò ch’io dissi e questo note,
[106] e se al “surse” drizzi li occhi chiari,
[108] ai regi, che son molti, e ’ buon son rari.
[110] e così puote star con quel che credi
[111] del primo padre e del nostro Diletto.
[112] E questo ti sia sempre piombo a’ piedi,
[114] e al sì e al no che tu non vedi:
[116] che sanza distinzione afferma e nega
[120] e poi l’affetto l’intelletto lega.
[122] perché non torna tal qual e’ si move,
[123] chi pesca per lo vero e non ha l’arte.
[124] E di ciò sono al mondo aperte prove
[125] Parmenide, Melisso e Brisso e molti,
[126] li quali andaro e non sapëan dove;
[127] sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti
[134] lo prun mostrarsi rigido e feroce,
[136] e legno vidi già dritto e veloce
[139] Non creda donna Berta e ser Martino,
[142] ché quel può surgere, e quel può cadere».

81. Paradiso • Canto XIV

[1] Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro
[8] del suo parlare e di quel di Beatrice,
[10] «A costui fa mestieri, e nol vi dice
[16] e se rimane, dite come, poi
[19] Come, da più letizia pinti e tratti,
[21] levan la voce e rallegrano li atti,
[22] così, a l’orazion pronta e divota,
[24] nel torneare e ne la mira nota.
[28] Quell’ uno e due e tre che sempre vive
[29] e regna sempre in tre e ’n due e ’n uno,
[30] non circunscritto, e tutto circunscrive,
[34] E io udi’ ne la luce più dia
[41] l’ardor la visïone, e quella è tanta,
[43] Come la carne glorïosa e santa
[53] e per vivo candor quella soverchia,
[61] Tanto mi parver sùbiti e accorti
[62] e l’uno e l’altro coro a dicer «Amme!»,
[65] per li padri e per li altri che fuor cari
[70] E sì come al salir di prima sera
[72] sì che la vista pare e non par vera,
[74] cominciare a vedere, e fare un giro
[77] come si fece sùbito e candente
[79] Ma Bëatrice sì bella e ridente
[83] a rilevarsi; e vidimi translato
[88] Con tutto ’l core e con quella favella
[91] E non er’ anco del mio petto essausto
[93] esso litare stato accetto e fausto;
[94] ché con tanto lucore e tanto robbi
[97] Come distinta da minori e maggi
[106] ma chi prende sua croce e segue Cristo,
[109] Di corno in corno e tra la cima e ’l basso
[111] nel congiugnersi insieme e nel trapasso:
[112] così si veggion qui diritte e torte,
[113] veloci e tarde, rinovando vista,
[114] le minuzie d’i corpi, lunghe e corte,
[117] la gente con ingegno e arte acquista.
[118] E come giga e arpa, in tempra tesa
[125] però ch’a me venìa «Resurgi» e «Vinci»
[126] come a colui che non intende e ode.
[135] e ch’io non m’era lì rivolto a quelli,
[137] per escusarmi, e vedermi dir vero:

82. Paradiso • Canto XV

[5] e fece quïetar le sante corde
[6] che la destra del cielo allenta e tira.
[13] Quale per li seren tranquilli e puri
[16] e pare stella che tramuti loco,
[17] se non che da la parte ond’ e’ s’accende
[33] e quinci e quindi stupefatto fui;
[36] de la mia gloria e del mio paradiso.
[37] Indi, a udire e a veder giocondo,
[43] E quando l’arco de l’ardente affetto
[47] «Benedetto sia tu», fu, «trino e uno,
[49] E seguì: «Grato e lontano digiuno,
[57] da l’un, se si conosce, il cinque e ’l sei;
[58] e però ch’io mi sia e perch’ io paia
[61] Tu credi ’l vero; ché i minori e ’ grandi
[65] con perpetüa vista e che m’asseta
[67] la voce tua sicura, balda e lieta
[70] Io mi volsi a Beatrice, e quella udio
[71] pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno
[73] Poi cominciai così: «L’affetto e ’l senno,
[76] però che ’l sol che v’allumò e arse,
[77] col caldo e con la luce è sì iguali,
[79] Ma voglia e argomento ne’ mortali,
[83] disagguaglianza, e però non ringrazio
[92] tua cognazione e che cent’ anni e piùe
[94] mio figlio fu e tuo bisavol fue:
[98] ond’ ella toglie ancora e terza e nona,
[99] si stava in pace, sobria e pudica.
[104] la figlia al padre, che ’l tempo e la dote
[105] non fuggien quinci e quindi la misura.
[113] di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio
[115] e vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio
[117] e le sue donne al fuso e al pennecchio.
[119] de la sua sepultura, e ancor nulla
[122] e, consolando, usava l’idïoma
[123] che prima i padri e le madri trastulla;
[126] d’i Troiani, di Fiesole e di Roma.
[129] qual or saria Cincinnato e Corniglia.
[134] e ne l’antico vostro Batisteo
[135] insieme fui cristiano e Cacciaguida.
[138] e quindi il sopranome tuo si feo.
[148] e venni dal martiro a questa pace».

83. Paradiso • Canto XVI

[23] quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni
[26] quanto era allora, e chi eran le genti
[31] e come a li occhi miei si fé più bella,
[32] così con voce più dolce e soave,
[38] e trenta fiate venne questo foco
[40] Li antichi miei e io nacqui nel loco
[44] chi ei si fosser e onde venner quivi,
[47] da poter arme tra Marte e ’l Batista,
[50] di Campi, di Certaldo e di Fegghine,
[53] quelle genti ch’io dico, e al Galluzzo
[54] e a Trespiano aver vostro confine,
[55] che averle dentro e sostener lo puzzo
[61] tal fatto è fiorentino e cambia e merca,
[66] e forse in Valdigrieve i Buondelmonti.
[70] e cieco toro più avaccio cade
[71] che cieco agnello; e molte volte taglia
[72] più e meglio una che le cinque spade.
[73] Se tu riguardi Luni e Orbisaglia
[74] come sono ite, e come se ne vanno
[75] di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,
[81] che dura molto, e le vite son corte.
[82] E come ’l volger del ciel de la luna
[83] cuopre e discuopre i liti sanza posa,
[88] Io vidi li Ughi e vidi i Catellini,
[89] Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi,
[91] e vidi così grandi come antichi,
[93] e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi.
[98] il conte Guido e qualunque del nome
[101] regger si vuole, e avea Galigaio
[102] dorata in casa sua già l’elsa e ’l pome.
[104] Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci
[105] e Galli e quei ch’arrossan per lo staio.
[107] era già grande, e già eran tratti
[108] a le curule Sizii e Arrigucci.
[110] per lor superbia! e le palle de l’oro
[116] dietro a chi fugge, e a chi mostra ’l dente
[122] disceso giù da Fiesole, e già era
[123] buon cittadino Giuda e Infangato.
[124] Io dirò cosa incredibile e vera:
[128] del gran barone il cui nome e ’l cui pregio
[130] da esso ebbe milizia e privilegio;
[133] Già eran Gualterotti e Importuni;
[134] e ancor saria Borgo più quïeto,
[138] e puose fine al vostro viver lieto,
[139] era onorata, essa e suoi consorti:
[148] Con queste genti, e con altre con esse,
[152] e giusto il popol suo, tanto che ’l giglio

84. Paradiso • Canto XVII

[4] tal era io, e tal era sentito
[5] e da Beatrice e da la santa lampa
[21] e discendendo nel mondo defunto,
[29] che pria m’avea parlato; e come volle
[34] ma per chiare parole e con preciso
[36] chiuso e parvente del suo proprio riso:
[47] per la spietata e perfida noverca,
[49] Questo si vuole e questo già si cerca,
[50] e tosto verrà fatto a chi ciò pensa
[56] più caramente; e questo è quello strale
[59] lo pane altrui, e come è duro calle
[60] lo scendere e ’l salir per l’altrui scale.
[61] E quel che più ti graverà le spalle,
[62] sarà la compagnia malvagia e scempia
[70] Lo primo tuo refugio e ’l primo ostello
[74] che del fare e del chieder, tra voi due,
[88] A lui t’aspetta e a’ suoi benefici;
[90] cambiando condizion ricchi e mendici;
[91] e portera’ne scritto ne la mente
[92] di lui, e nol dirai»; e disse cose
[105] che vede e vuol dirittamente e ama:
[113] e per lo monte del cui bel cacume
[115] e poscia per lo ciel, di lume in lume,
[118] e s’io al vero son timido amico,
[129] e lascia pur grattar dov’ è la rogna.
[135] e ciò non fa d’onor poco argomento.
[137] nel monte e ne la valle dolorosa
[141] la sua radice incognita e ascosa,

85. Paradiso • Canto XVIII

[2] quello specchio beato, e io gustava
[4] e quella donna ch’a Dio mi menava
[8] del mio conforto; e qual io allor vidi
[20] ella mi disse: «Volgiti e ascolta;
[30] e frutta sempre e mai non perde foglia,
[40] E al nome de l’alto Macabeo
[42] e letizia era ferza del paleo.
[43] Così per Carlo Magno e per Orlando
[46] Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo
[47] e ’l duca Gottifredi la mia vista
[48] per quella croce, e Ruberto Guiscardo.
[49] Indi, tra l’altre luci mota e mista,
[55] e vidi le sue luci tanto mere,
[57] vinceva li altri e l’ultimo solere.
[58] E come, per sentir più dilettanza
[64] E qual è ’l trasmutare in picciol varco
[73] E come augelli surti di rivera,
[77] volitando cantavano, e faciensi
[81] un poco s’arrestavano e taciensi.
[83] fai glorïosi e rendili longevi,
[84] ed essi teco le cittadi e ’ regni,
[89] vocali e consonanti; e io notai
[92] fur verbo e nome di tutto ’l dipinto;
[97] E vidi scendere altre luci dove
[98] era il colmo de l’emme, e lì quetarsi
[104] luci e salir, qual assai e qual poco,
[106] e quïetata ciascuna in suo loco,
[107] la testa e ’l collo d’un’aguglia vidi
[110] ma esso guida, e da lui si rammenta
[115] O dolce stella, quali e quante gemme
[119] tuo moto e tua virtute, che rimiri
[122] del comperare e vender dentro al templo
[123] che si murò di segni e di martìri.
[131] pensa che Pietro e Paulo, che moriro
[135] e che per salti fu tratto al martiro,

86. Paradiso • Canto XIX

[7] E quel che mi convien ritrar testeso,
[10] ch’io vidi e anche udi’ parlar lo rostro,
[11] e sonar ne la voce e «io» e «mio»,
[12] quand’ era nel concetto e ‘noi’ e ‘nostro’.
[13] E cominciò: «Per esser giusto e pio
[16] e in terra lasciai la mia memoria
[35] move la testa e con l’ali si plaude,
[36] voglia mostrando e faccendosi bello,
[41] a lo stremo del mondo, e dentro ad esso
[42] distinse tanto occulto e manifesto,
[46] E ciò fa certo che ’l primo superbo,
[49] e quinci appar ch’ogne minor natura
[51] che non ha fine e sé con sé misura.
[62] in pelago nol vede; e nondimeno
[71] de l’Indo, e quivi non è chi ragioni
[73] e tutti suoi voleri e atti buoni
[76] Muore non battezzato e sanza fede:
[93] e come quel ch’è pasto la rimira;
[94] cotal si fece, e sì leväi i cigli,
[97] Roteando cantava, e dicea: «Quali
[109] e tai Cristian dannerà l’Etïòpe,
[111] l’uno in etterno ricco e l’altro inòpe.
[122] che fa lo Scotto e l’Inghilese folle,
[124] Vedrassi la lussuria e ’l viver molle
[125] di quel di Spagna e di quel di Boemme,
[130] Vedrassi l’avarizia e la viltate
[133] e a dare ad intender quanto è poco,
[136] E parranno a ciascun l’opere sozze
[137] del barba e del fratel, che tanto egregia
[138] nazione e due corone han fatte bozze.
[139] E quel di Portogallo e di Norvegia
[140] lì si conosceranno, e quel di Rascia
[143] più malmenare! e beata Navarra,
[145] E creder de’ ciascun che già, per arra
[146] di questo, Niccosïa e Famagosta
[147] per la lor bestia si lamenti e garra,

87. Paradiso • Canto XX

[7] e questo atto del ciel mi venne a mente,
[8] come ’l segno del mondo e de’ suoi duci
[12] da mia memoria labili e caduci.
[16] Poscia che i cari e lucidi lapilli
[22] E come suono al collo de la cetra
[23] prende sua forma, e sì com’ al pertugio
[28] Fecesi voce quivi, e quindi uscissi
[31] «La parte in me che vede e pate il sole
[36] e’ di tutti lor gradi son li sommi.
[48] di questa dolce vita e de l’opposta.
[49] E quel che segue in la circunferenza
[55] L’altro che segue, con le leggi e meco,
[61] E quel che vedi ne l’arco declivo,
[63] che piagne Carlo e Federigo vivo:
[65] lo ciel del giusto rege, e al sembiante
[74] prima cantando, e poi tace contenta
[79] E avvegna ch’io fossi al dubbiar mio
[95] da caldo amore e da viva speranza,
[99] e, vinta, vince con sua beninanza.
[100] La prima vita del ciglio e la quinta
[105] quel d’i passuri e quel d’i passi piedi.
[108] e ciò di viva spene fu mercede:
[115] e credendo s’accese in tanto foco
[124] ond’ ei credette in quella, e non sofferse
[126] e riprendiene le genti perverse.
[133] E voi, mortali, tenetevi stretti
[138] che quel che vole Iddio, e noi volemo».
[142] E come a buon cantor buon citarista
[145] sì, mentre ch’e’ parlò, sì mi ricorda

88. Paradiso • Canto XXI

[2] de la mia donna, e l’animo con essi,
[3] e da ogne altro intento s’era tolto.
[4] E quella non ridea; ma «S’io ridessi»,
[17] e fa di quelli specchi a la figura
[34] E come, per lo natural costume,
[39] e altre roteando fan soggiorno;
[43] E quel che presso più ci si ritenne,
[46] Ma quella ond’ io aspetto il come e ’l quando
[47] del dire e del tacer, si sta; ond’ io,
[52] E io incominciai: «La mia mercede
[58] e dì perché si tace in questa rota
[66] col dire e con la luce che mi ammanta;
[68] ché più e tanto amor quinci sù ferve,
[97] E al mondo mortal, quando tu riedi,
[104] ch’io lasciai la quistione e mi ritrassi
[107] e non molto distanti a la tua patria,
[109] e fanno un gibbo che si chiama Catria,
[113] e poi, continüando, disse: «Quivi
[116] lievemente passava caldi e geli,
[119] fertilemente; e ora è fatto vano,
[122] e Pietro Peccator fu’ ne la casa
[125] quando fui chiesto e tratto a quel cappello,
[127] Venne Cefàs e venne il gran vasello
[128] de lo Spirito Santo, magri e scalzi,
[130] Or voglion quinci e quindi chi rincalzi
[131] li moderni pastori e chi li meni,
[132] tanto son gravi, e chi di rietro li alzi.
[137] di grado in grado scendere e girarsi,
[138] e ogne giro le facea più belle.
[139] Dintorno a questa vennero e fermarsi,
[140] e fero un grido di sì alto suono,

89. Paradiso • Canto XXII

[4] e quella, come madre che soccorre
[5] sùbito al figlio palido e anelo
[8] e non sai tu che ’l cielo è tutto santo,
[9] e ciò che ci si fa vien da buon zelo?
[11] e io ridendo, mo pensar lo puoi,
[23] e vidi cento sperule che ’nsieme
[26] la punta del disio, e non s’attenta
[28] e la maggiore e la più luculenta
[39] da la gente ingannata e mal disposta;
[40] e quel son io che sù vi portai prima
[43] e tanta grazia sopra me relusse,
[48] che fa nascere i fiori e ’ frutti santi.
[51] fermar li piedi e tennero il cor saldo».
[52] E io a lui: «L’affetto che dimostri
[53] meco parlando, e la buona sembianza
[54] ch’io veggio e noto in tutti li ardor vostri,
[58] Però ti priego, e tu, padre, m’accerta
[63] ove s’adempion tutti li altri e ’l mio.
[64] Ivi è perfetta, matura e intera
[67] perché non è in loco e non s’impola;
[68] e nostra scala infino ad essa varca,
[74] da terra i piedi, e la regola mia
[77] fatte sono spelonche, e le cocolle
[88] Pier cominciò sanz’ oro e sanz’ argento,
[89] e io con orazione e con digiuno,
[90] e Francesco umilmente il suo convento;
[91] e se guardi ’l principio di ciascuno,
[95] più fu, e ’l mar fuggir, quando Dio volse,
[97] Così mi disse, e indi si raccolse
[98] al suo collegio, e ’l collegio si strinse;
[103] né mai qua giù dove si monta e cala
[108] le mie peccata e ’l petto mi percuoto,
[109] tu non avresti in tanto tratto e messo
[111] che segue il Tauro e fui dentro da esso.
[115] con voi nasceva e s’ascondeva vosco
[118] e poi, quando mi fu grazia largita
[126] aver le luci tue chiare e acute;
[127] e però, prima che tu più t’inlei,
[128] rimira in giù, e vedi quanto mondo
[134] le sette spere, e vidi questo globo
[136] e quel consiglio per migliore approbo
[137] che l’ha per meno; e chi ad altro pensa
[141] per che già la credetti rara e densa.
[143] quivi sostenni, e vidi com’ si move
[144] circa e vicino a lui Maia e Dïone.
[146] tra ’l padre e ’l figlio; e quindi mi fu chiaro
[148] e tutti e sette mi si dimostraro
[149] quanto son grandi e quanto son veloci
[150] e come sono in distante riparo.

90. Paradiso • Canto XXIII

[5] e per trovar lo cibo onde li pasca,
[8] e con ardente affetto il sole aspetta,
[11] e attenta, rivolta inver’ la plaga
[13] sì che, veggendola io sospesa e vaga,
[15] altro vorria, e sperando s’appaga.
[16] Ma poco fu tra uno e altro quando,
[17] del mio attender, dico, e del vedere
[18] lo ciel venir più e più rischiarando;
[19] e Bëatrice disse: «Ecco le schiere
[20] del trïunfo di Cristo e tutto ’l frutto
[23] e li occhi avea di letizia sì pieni,
[31] e per la viva luce trasparea
[34] Oh Bëatrice, dolce guida e cara!
[37] Quivi è la sapïenza e la possanza
[38] ch’aprì le strade tra ’l cielo e la terra,
[42] e fuor di sua natura in giù s’atterra,
[45] e che si fesse rimembrar non sape.
[46] «Apri li occhi e riguarda qual son io;
[50] di visïone oblita e che s’ingegna
[60] e quanto il santo aspetto facea mero;
[61] e così, figurando il paradiso,
[65] e l’omero mortal che se ne carca,
[76] Così Beatrice; e io, che a’ suoi consigli
[89] e mane e sera, tutto mi ristrinse
[91] e come ambo le luci mi dipinse
[92] il quale e il quanto de la viva stella
[96] e cinsela e girossi intorno ad ella.
[98] qua giù e più a sé l’anima tira,
[106] e girerommi, donna del ciel, mentre
[107] che seguirai tuo figlio, e farai dia
[110] si sigillava, e tutti li altri lumi
[113] del mondo, che più ferve e più s’avviva
[114] ne l’alito di Dio e nei costumi,
[121] E come fantolin che ’nver’ la mamma
[133] Quivi si vive e gode del tesoro
[137] di Dio e di Maria, di sua vittoria,
[138] e con l’antico e col novo concilio,

91. Paradiso • Canto XXIV

[8] e roratelo alquanto: voi bevete
[10] Così Beatrice; e quelle anime liete
[13] E come cerchi in tempra d’orïuoli
[15] quïeto pare, e l’ultimo che voli;
[18] mi facieno stimar, veloci e lente.
[22] e tre fïate intorno di Beatrice
[25] Però salta la penna e non lo scrivo:
[37] tenta costui di punti lievi e gravi,
[40] S’elli ama bene e bene spera e crede,
[46] Sì come il baccialier s’arma e non parla
[51] a tal querente e a tal professione.
[61] E seguitai: «Come ’l verace stilo
[65] e argomento de le non parventi;
[66] e questa pare a me sua quiditate».
[69] tra le sustanze, e poi tra li argomenti».
[70] E io appresso: «Le profonde cose
[75] e però di sustanza prende intenza.
[76] E da questa credenza ci convene
[84] d’esta moneta già la lega e ’l peso;
[86] Ond’ io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda,
[91] onde ti venne?». E io: «La larga ploia
[93] in su le vecchie e ’n su le nuove cuoia,
[97] Io udi’ poi: «L’antica e la novella
[100] E io: «La prova che ’l ver mi dischiude,
[109] ché tu intrasti povero e digiuno
[111] che fu già vite e ora è fatta pruno».
[115] E quel baron che sì di ramo in ramo,
[123] e onde a la credenza tua s’offerse».
[124] «O santo padre, e spirito che vedi
[129] e anche la cagion di lui chiedesti.
[130] E io rispondo: Io credo in uno Dio
[132] non moto, con amore e con disio;
[133] e a tal creder non ho io pur prove
[134] fisice e metafisice, ma dalmi
[136] per Moïsè, per profeti e per salmi,
[137] per l’Evangelio e per voi che scriveste
[139] e credo in tre persone etterne, e queste
[140] credo una essenza sì una e sì trina,
[147] e come stella in cielo in me scintilla».

92. Paradiso • Canto XXV

[2] al quale ha posto mano e cielo e terra,
[8] ritornerò poeta, e in sul fonte
[11] l’anime a Dio, quivi intra’ io, e poi
[16] e la mia donna, piena di letizia,
[21] girando e mormorando, l’affezione;
[34] «Leva la testa e fa che t’assicuri:
[45] in te e in altrui di ciò conforte,
[47] la mente tua, e dì onde a te venne».
[49] E quella pïa che guidò le penne
[63] e la grazia di Dio ciò li comporti».
[65] pronto e libente in quel ch’elli è esperto,
[69] grazia divina e precedente merto.
[75] e chi nol sa, s’elli ha la fede mia?
[78] e in altrui vostra pioggia repluo».
[81] sùbito e spesso a guisa di baleno.
[84] infin la palma e a l’uscir del campo,
[88] E io: «Le nove e le scritture antiche
[93] e la sua terra è questa dolce vita;
[94] e ’l tuo fratello assai vie più digesta,
[97] E prima, appresso al fin d’este parole,
[103] E come surge e va ed entra in ballo
[109] Misesi lì nel canto e ne la rota;
[110] e la mia donna in lor tenea l’aspetto,
[111] pur come sposa tacita e immota.
[113] del nostro pellicano, e questi fue
[118] Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta
[124] In terra è terra il mio corpo, e saragli
[129] e questo apporterai nel mondo vostro».
[139] presso di lei, e nel mondo felice!

93. Paradiso • Canto XXVI

[7] Comincia dunque; e dì ove s’appunta
[8] l’anima tua, e fa ragion che sia
[9] la vista in te smarrita e non defunta:
[13] Io dissi: «Al suo piacere e tosto e tardo
[17] Alfa e O è di quanta scrittura
[22] e disse: «Certo a più angusto vaglio
[25] E io: «Per filosofici argomenti
[26] e per autorità che quinci scende
[29] così accende amore, e tanto maggio
[46] E io udi’: «Per intelletto umano
[47] e per autoritadi a lui concorde
[58] ché l’essere del mondo e l’esser mio,
[60] e quel che spera ogne fedel com’ io,
[63] e del diritto m’han posto a la riva.
[68] risonò per lo cielo, e la mia donna
[70] E come a lume acuto si disonna
[73] e lo svegliato ciò che vede aborre,
[80] e quasi stupefatto domandai
[82] E la mia donna: «Dentro da quei rai
[86] nel transito del vento, e poi si leva
[89] stupendo, e poi mi rifece sicuro
[91] E cominciai: «O pomo che maturo
[93] a cui ciascuna sposa è figlia e nuro,
[96] e per udirti tosto non la dico».
[100] e similmente l’anima primaia
[108] e nulla face lui di sé pareglio.
[112] e quanto fu diletto a li occhi miei,
[113] e la propria cagion del gran disdegno,
[114] e l’idïoma ch’usai e che fei.
[119] quattromilia trecento e due volumi
[121] e vidi lui tornare a tutt’ i lumi
[136] e El si chiamò poi: e ciò convene,
[138] in ramo, che sen va e altra vene.
[140] fu’ io, con vita pura e disonesta,

94. Paradiso • Canto XXVII

[6] intrava per l’udire e per lo viso.
[8] oh vita intègra d’amore e di pace!
[11] stavano accese, e quella che pria venne
[13] e tal ne la sembianza sua divenne,
[14] qual diverrebbe Iove, s’elli e Marte
[15] fossero augelli e cambiassersi penne.
[17] vice e officio, nel beato coro
[26] del sangue e de la puzza; onde ’l perverso
[29] nube dipigne da sera e da mane,
[31] E come donna onesta che permane
[32] di sé sicura, e per l’altrui fallanza,
[35] e tale eclissi credo che ’n ciel fue
[44] e Sisto e Pïo e Calisto e Urbano
[53] a privilegi venduti e mendaci,
[54] ond’ io sovente arrosso e disfavillo.
[58] Del sangue nostro Caorsini e Guaschi
[64] e tu, figliuol, che per lo mortal pondo
[66] e non asconder quel ch’io non ascondo».
[71] farsi e fioccar di vapor trïunfanti
[74] e seguì fin che ’l mezzo, per lo molto,
[78] il viso e guarda come tu se’ vòlto».
[83] folle d’Ulisse, e di qua presso il lito
[85] E più mi fora discoverto il sito
[87] sotto i mie’ piedi un segno e più partito.
[91] e se natura o arte fé pasture
[97] E la virtù che lo sguardo m’indulse,
[99] e nel ciel velocissimo m’impulse.
[107] il mezzo e tutto l’altro intorno move,
[109] e questo cielo non ha altro dove
[111] l’amor che ’l volge e la virtù ch’ei piove.
[112] Luce e amor d’un cerchio lui comprende,
[113] sì come questo li altri; e quel precinto
[117] sì come diece da mezzo e da quinto;
[118] e come il tempo tegna in cotal testo
[119] le sue radici e ne li altri le fronde,
[127] Fede e innocenza son reperte
[133] e tal, balbuzïendo, ama e ascolta
[138] di quel ch’apporta mane e lascia sera.
[148] e vero frutto verrà dopo ’l fiore».

95. Paradiso • Canto XXVIII

[7] e sé rivolge per veder se ’l vetro
[8] li dice il vero, e vede ch’el s’accorda
[13] E com’ io mi rivolsi e furon tocchi
[19] e quale stella par quinci più poca,
[28] e questo era d’un altro circumcinto,
[29] e quel dal terzo, e ’l terzo poi dal quarto,
[30] dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
[34] Così l’ottavo e ’l nono; e chiascheduno
[37] e quello avea la fiamma più sincera
[42] depende il cielo e tutta la natura.
[44] e sappi che ’l suo muovere è sì tosto
[46] E io a lei: «Se ’l mondo fosse posto
[53] in questo miro e angelico templo
[54] che solo amore e luce ha per confine,
[56] e l’essemplare non vanno d’un modo,
[63] e intorno da esso t’assottiglia.
[64] Li cerchi corporai sono ampi e arti
[65] secondo il più e ’l men de la virtute
[72] al cerchio che più ama e che più sape:
[77] di maggio a più e di minore a meno,
[79] Come rimane splendido e sereno
[82] per che si purga e risolve la roffia
[87] e come stella in cielo il ver si vide.
[88] E poi che le parole sue restaro,
[96] e terrà sempre, ne’ quai sempre fuoro.
[97] E quella che vedëa i pensier dubi
[99] t’hanno mostrato Serafi e Cherubi.
[102] e posson quanto a veder son soblimi.
[106] e dei saper che tutti hanno diletto
[112] e del vedere è misura mercede,
[113] che grazia partorisce e buona voglia:
[122] prima Dominazioni, e poi Virtudi;
[125] Principati e Arcangeli si girano;
[128] e di giù vincon sì, che verso Dio
[129] tutti tirati sono e tutti tirano.
[130] E Dïonisio con tanto disio
[132] che li nomò e distinse com’ io.
[136] E se tanto secreto ver proferse

96. Paradiso • Canto XXIX

[2] coperti del Montone e de la Libra,
[5] infin che l’uno e l’altro da quel cinto,
[10] Poi cominciò: «Io dico, e non dimando,
[12] là ’ve s’appunta ogne ubi e ogne quando.
[22] Forma e materia, congiunte e purette,
[25] E come in vetro, in ambra o in cristallo
[31] Concreato fu ordine e costrutto
[32] a le sustanze; e quelle furon cima
[42] e tu te n’avvedrai se bene agguati;
[43] e anche la ragione il vede alquanto,
[46] Or sai tu dove e quando questi amori
[47] furon creati e come: sì che spenti
[52] L’altra rimase, e cominciò quest’ arte
[62] con grazia illuminante e con lor merto,
[63] si c’hanno ferma e piena volontate;
[64] e non voglio che dubbi, ma sia certo,
[72] è tal, che ’ntende e si ricorda e vole,
[80] da novo obietto, e però non bisogna
[83] credendo e non credendo dicer vero;
[84] ma ne l’uno è più colpa e più vergogna.
[87] l’amor de l’apparenza e ’l suo pensiero!
[88] E ancor questo qua sù si comporta
[92] seminarla nel mondo e quanto piace
[94] Per apparer ciascun s’ingegna e face
[95] sue invenzioni; e quelle son trascorse
[96] da’ predicanti e ’l Vangelio si tace.
[98] ne la passion di Cristo e s’interpuose,
[100] e mente, ché la luce si nascose
[101] da sé: però a li Spani e a l’Indi
[103] Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi
[105] in pergamo si gridan quinci e quindi:
[108] e non le scusa non veder lo danno.
[110] ‘Andate, e predicate al mondo ciance’;
[112] e quel tanto sonò ne le sue guance,
[114] de l’Evangelio fero scudo e lance.
[115] Ora si va con motti e con iscede
[116] a predicare, e pur che ben si rida,
[117] gonfia il cappuccio e più non si richiede.
[125] e altri assai che sono ancor più porci,
[133] e se tu guardi quel che si revela
[141] diversamente in essa ferve e tepe.
[142] Vedi l’eccelso omai e la larghezza

97. Paradiso • Canto XXX

[2] ci ferve l’ora sesta, e questo mondo
[7] e come vien la chiarissima ancella
[15] nulla vedere e amor mi costrinse.
[37] con atto e voce di spedito duce
[43] Qui vederai l’una e l’altra milizia
[44] di paradiso, e l’una in quelli aspetti
[50] e lasciommi fasciato di tal velo
[58] e di novella vista mi raccesi
[61] e vidi lume in forma di rivera
[65] e d’ogne parte si mettien ne’ fiori,
[69] e s’una intrava, un’altra n’uscia fori.
[70] «L’alto disio che mo t’infiamma e urge,
[76] Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi
[77] ch’entrano ed escono e ’l rider de l’erbe
[88] e sì come di lei bevve la gronda
[95] li fiori e le faville, sì ch’io vidi
[103] E’ si distende in circular figura,
[108] che prende quindi vivere e potenza.
[109] E come clivo in acqua di suo imo
[111] quando è nel verde e ne’ fioretti opimo,
[115] E se l’infimo grado in sé raccoglie
[118] La vista mia ne l’ampio e ne l’altezza
[120] il quanto e ’l quale di quella allegrezza.
[121] Presso e lontano, lì, né pon né leva:
[125] che si digrada e dilata e redole
[127] qual è colui che tace e dicer vole,
[128] mi trasse Bëatrice, e disse: «Mira
[133] E ’n quel gran seggio a che tu li occhi tieni
[141] che muor per fame e caccia via la balia.
[142] E fia prefetto nel foro divino
[143] allora tal, che palese e coverto
[148] e farà quel d’Alagna intrar più giuso».

98. Paradiso • Canto XXXI

[4] ma l’altra, che volando vede e canta
[6] e la bontà che la fece cotanta,
[8] una fïata e una si ritorna
[11] di tante foglie, e quindi risaliva
[14] e l’ali d’oro, e l’altro tanto bianco,
[17] porgevan de la pace e de l’ardore
[19] Né l’interporsi tra ’l disopra e ’l fiore
[21] impediva la vista e lo splendore:
[25] Questo sicuro e gaudïoso regno,
[26] frequente in gente antica e in novella,
[27] viso e amore avea tutto ad un segno.
[34] veggendo Roma e l’ardüa sua opra,
[39] e di Fiorenza in popol giusto e sano,
[41] Certo tra esso e ’l gaudio mi facea
[42] libito non udire e starmi muto.
[43] E quasi peregrin che si ricrea
[45] e spera già ridir com’ ello stea,
[48] mo sù, mo giù e mo recirculando.
[50] d’altrui lume fregiati e di suo riso,
[51] e atti ornati di tutte onestadi.
[55] e volgeami con voglia rïaccesa
[58] Uno intendëa, e altro mi rispuose:
[59] credea veder Beatrice e vidi un sene
[61] Diffuso era per li occhi e per le gene
[64] E «Ov’ è ella?», sùbito diss’ io.
[67] e se riguardi sù nel terzo giro
[71] e vidi lei che si facea corona
[80] e che soffristi per la mia salute
[83] dal tuo podere e da la tua bontate
[84] riconosco la grazia e la virtute.
[91] Così orai; e quella, sì lontana
[92] come parea, sorrise e riguardommi;
[94] E ’l santo sene: «Acciò che tu assommi
[96] a che priego e amor santo mandommi,
[100] E la regina del cielo, ond’ ïo ardo
[117] cui questo regno è suddito e devoto».
[118] Io levai li occhi; e come da mattina
[124] E come quivi ove s’aspetta il temo
[126] e quinci e quindi il lume si fa scemo,
[128] nel mezzo s’avvivava, e d’ogne parte
[130] e a quel mezzo, con le penne sparte,
[132] ciascun distinto di fulgore e d’arte.
[133] Vidi a lor giochi quivi e a lor canti
[136] e s’io avessi in dir tanta divizia
[140] nel caldo suo caler fissi e attenti,

99. Paradiso • Canto XXXII

[3] e cominciò queste parole sante:
[4] «La piaga che Maria richiuse e unse,
[6] è colei che l’aperse e che la punse.
[10] Sarra e Rebecca, Iudìt e colei
[16] E dal settimo grado in giù, sì come
[28] E come quinci il glorïoso scanno
[29] de la donna del cielo e li altri scanni
[32] che sempre santo ’l diserto e ’l martiro
[33] sofferse, e poi l’inferno da due anni;
[34] e sotto lui così cerner sortiro
[35] Francesco, Benedetto e Augustino
[36] e altri fin qua giù di giro in giro.
[38] ché l’uno e l’altro aspetto de la fede
[40] E sappi che dal grado in giù che fiede
[47] e anche per le voci püerili,
[48] se tu li guardi bene e se li ascolti.
[49] Or dubbi tu e dubitando sili;
[58] e però questa festinata gente
[60] intra sé qui più e meno eccellente.
[62] in tanto amore e in tanto diletto,
[66] diversamente; e qui basti l’effetto.
[67] E ciò espresso e chiaro vi si nota
[94] e quello amor che primo lì discese,
[109] Ed elli a me: «Baldezza e leggiadria
[110] quant’ esser puote in angelo e in alma,
[111] tutta è in lui; e sì volem che sia,
[116] andrò parlando, e nota i gran patrici
[117] di questo imperio giustissimo e pio.
[127] E quei che vide tutti i tempi gravi,
[129] che s’acquistò con la lancia e coi clavi,
[130] siede lungh’ esso, e lungo l’altro posa
[132] la gente ingrata, mobile e retrosa.
[136] e contro al maggior padre di famiglia
[142] e drizzeremo li occhi al primo amore,
[149] e tu mi seguirai con l’affezione,
[151] E cominciò questa santa orazione:

100. Paradiso • Canto XXXIII

[2] umile e alta più che creatura,
[11] di caritate, e giuso, intra ’ mortali,
[13] Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
[14] che qual vuol grazia e a te non ricorre,
[28] E io, che mai per mio veder non arsi
[30] ti porgo, e priego che non sieno scarsi,
[40] Li occhi da Dio diletti e venerati,
[46] E io ch’al fine di tutt’ i disii
[49] Bernardo m’accennava, e sorridea,
[53] e più e più intrava per lo raggio
[57] e cede la memoria a tanto oltraggio.
[60] rimane, e l’altro a la mente non riede,
[62] mia visïone, e ancor mi distilla
[70] e fa la lingua mia tanto possente,
[74] e per sonare un poco in questi versi,
[79] E’ mi ricorda ch’io fui più ardito
[88] sustanze e accidenti e lor costume
[98] mirava fissa, immobile e attenta,
[99] e sempre di mirar faceasi accesa.
[104] tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella
[115] Ne la profonda e chiara sussistenza
[117] di tre colori e d’una contenenza;
[118] e l’un da l’altro come iri da iri
[119] parea reflesso, e ’l terzo parea foco
[120] che quinci e quindi igualmente si spiri.
[121] Oh quanto è corto il dire e come fioco
[122] al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi,
[125] sola t’intendi, e da te intelletta
[126] e intendente te ami e arridi!
[134] per misurar lo cerchio, e non ritrova,
[138] l’imago al cerchio e come vi s’indova;
[143] ma già volgeva il mio disio e ’l velle,
[145] l’amor che move il sole e l’altre stelle.
[150] è = e grave
[154] é = e acute
[157] ë = e uml
[161] È = E grave
[162] Ë = E uml
[219] 1.E.8.
[228] electronic works. See paragraph 1.E below.
[254] 1.E. Unless you have removed all references to Project Gutenberg:
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[268] 1.E.2. If an individual Project Gutenberg-tm electronic work is
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[323] you in writing (or by e-mail) within 30 days of receipt that s/he
[335] 1.E.9. If you wish to charge a fee or distribute a Project