Concordanze nella Divina Commedia di Dante (beta)

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Purgatorio • Canto IV

[1] Quando per dilettanze o ver per doglie,
[2] che alcuna virtù nostra comprenda,
[3] l’anima bene ad essa si raccoglie,
 
[4] par ch’a nulla potenza più intenda;
[5] e questo è contra quello error che crede
[6] ch’un’anima sovr’ altra in noi s’accenda.
 
[7] E però, quando s’ode cosa o vede
[8] che tegna forte a sé l’anima volta,
[9] vassene ’l tempo e l’uom non se n’avvede;
 
[10] ch’altra potenza è quella che l’ascolta,
[11] e altra è quella c’ha l’anima intera:
[12] questa è quasi legata e quella è sciolta.
 
[13] Di ciò ebb’ io esperïenza vera,
[14] udendo quello spirto e ammirando;
[15] ché ben cinquanta gradi salito era
 
[16] lo sole, e io non m’era accorto, quando
[17] venimmo ove quell’ anime ad una
[18] gridaro a noi: «Qui è vostro dimando».
 
[19] Maggiore aperta molte volte impruna
[20] con una forcatella di sue spine
[21] l’uom de la villa quando l’uva imbruna,
 
[22] che non era la calla onde salìne
[23] lo duca mio, e io appresso, soli,
[24] come da noi la schiera si partìne.
 
[25] Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
[26] montasi su in Bismantova e ’n Cacume
[27] con esso i piè; ma qui convien ch’om voli;
 
[28] dico con l’ale snelle e con le piume
[29] del gran disio, di retro a quel condotto
[30] che speranza mi dava e facea lume.
 
[31] Noi salavam per entro ’l sasso rotto,
[32] e d’ogne lato ne stringea lo stremo,
[33] e piedi e man volea il suol di sotto.
 
[34] Poi che noi fummo in su l’orlo suppremo
[35] de l’alta ripa, a la scoperta piaggia,
[36] «Maestro mio», diss’ io, «che via faremo?».
 
[37] Ed elli a me: «Nessun tuo passo caggia;
[38] pur su al monte dietro a me acquista,
[39] fin che n’appaia alcuna scorta saggia».
 
[40] Lo sommo er’ alto che vincea la vista,
[41] e la costa superba più assai
[42] che da mezzo quadrante a centro lista.
 
[43] Io era lasso, quando cominciai:
[44] «O dolce padre, volgiti, e rimira
[45] com’ io rimango sol, se non restai».
 
[46] «Figliuol mio», disse, «infin quivi ti tira»,
[47] additandomi un balzo poco in sùe
[48] che da quel lato il poggio tutto gira.
 
[49] Sì mi spronaron le parole sue,
[50] ch’i’ mi sforzai carpando appresso lui,
[51] tanto che ’l cinghio sotto i piè mi fue.
 
[52] A seder ci ponemmo ivi ambedui
[53] vòlti a levante ond’ eravam saliti,
[54] che suole a riguardar giovare altrui.
 
[55] Li occhi prima drizzai ai bassi liti;
[56] poscia li alzai al sole, e ammirava
[57] che da sinistra n’eravam feriti.
 
[58] Ben s’avvide il poeta ch’ïo stava
[59] stupido tutto al carro de la luce,
[60] ove tra noi e Aquilone intrava.
 
[61] Ond’ elli a me: «Se Castore e Poluce
[62] fossero in compagnia di quello specchio
[63] che sù e giù del suo lume conduce,
 
[64] tu vedresti il Zodïaco rubecchio
[65] ancora a l’Orse più stretto rotare,
[66] se non uscisse fuor del cammin vecchio.
 
[67] Come ciò sia, se ’l vuoi poter pensare,
[68] dentro raccolto, imagina Sïòn
[69] con questo monte in su la terra stare
 
[70] sì, ch’amendue hanno un solo orizzòn
[71] e diversi emisperi; onde la strada
[72] che mal non seppe carreggiar Fetòn,
 
[73] vedrai come a costui convien che vada
[74] da l’un, quando a colui da l’altro fianco,
[75] se lo ’ntelletto tuo ben chiaro bada».
 
[76] «Certo, maestro mio,» diss’ io, «unquanco
[77] non vid’ io chiaro sì com’ io discerno
[78] là dove mio ingegno parea manco,
 
[79] che ’l mezzo cerchio del moto superno,
[80] che si chiama Equatore in alcun’ arte,
[81] e che sempre riman tra ’l sole e ’l verno,
 
[82] per la ragion che di’, quinci si parte
[83] verso settentrïon, quanto li Ebrei
[84] vedevan lui verso la calda parte.
 
[85] Ma se a te piace, volontier saprei
[86] quanto avemo ad andar; ché ’l poggio sale
[87] più che salir non posson li occhi miei».
 
[88] Ed elli a me: «Questa montagna è tale,
[89] che sempre al cominciar di sotto è grave;
[90] e quant’ om più va sù, e men fa male.
 
[91] Però, quand’ ella ti parrà soave
[92] tanto, che sù andar ti fia leggero
[93] com’ a seconda giù andar per nave,
 
[94] allor sarai al fin d’esto sentiero;
[95] quivi di riposar l’affanno aspetta.
[96] Più non rispondo, e questo so per vero».
 
[97] E com’ elli ebbe sua parola detta,
[98] una voce di presso sonò: «Forse
[99] che di sedere in pria avrai distretta!».
 
[100] Al suon di lei ciascun di noi si torse,
[101] e vedemmo a mancina un gran petrone,
[102] del qual né io né ei prima s’accorse.
 
[103] Là ci traemmo; e ivi eran persone
[104] che si stavano a l’ombra dietro al sasso
[105] come l’uom per negghienza a star si pone.
 
[106] E un di lor, che mi sembiava lasso,
[107] sedeva e abbracciava le ginocchia,
[108] tenendo ’l viso giù tra esse basso.
 
[109] «O dolce segnor mio», diss’ io, «adocchia
[110] colui che mostra sé più negligente
[111] che se pigrizia fosse sua serocchia».
 
[112] Allor si volse a noi e puose mente,
[113] movendo ’l viso pur su per la coscia,
[114] e disse: «Or va tu sù, che se’ valente!».
 
[115] Conobbi allor chi era, e quella angoscia
[116] che m’avacciava un poco ancor la lena,
[117] non m’impedì l’andare a lui; e poscia
 
[118] ch’a lui fu’ giunto, alzò la testa a pena,
[119] dicendo: «Hai ben veduto come ’l sole
[120] da l’omero sinistro il carro mena?».
 
[121] Li atti suoi pigri e le corte parole
[122] mosser le labbra mie un poco a riso;
[123] poi cominciai: «Belacqua, a me non dole
 
[124] di te omai; ma dimmi: perché assiso
[125] quiritto se’? attendi tu iscorta,
[126] o pur lo modo usato t’ha’ ripriso?».
 
[127] Ed elli: «O frate, andar in sù che porta?
[128] ché non mi lascerebbe ire a’ martìri
[129] l’angel di Dio che siede in su la porta.
 
[130] Prima convien che tanto il ciel m’aggiri
[131] di fuor da essa, quanto fece in vita,
[132] per ch’io ’ndugiai al fine i buon sospiri,
 
[133] se orazïone in prima non m’aita
[134] che surga sù di cuor che in grazia viva;
[135] l’altra che val, che ’n ciel non è udita?».
 
[136] E già il poeta innanzi mi saliva,
[137] e dicea: «Vienne omai; vedi ch’è tocco
[138] meridïan dal sole e a la riva
[139] cuopre la notte già col piè Morrocco».
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